lunedì 2 luglio 2012

Meglio Borboni che italioni di Gilberto Oneto



Martedì scorso il nostro quotidiano ha pubblicato con un certo rilievo (in prima pagina)un commento a quello che era successo il sabato precedente a Caserta. I fatti sono noti e se ne è parlato anche troppo: nella reggia concessa a Ferdinando III, discendente dei Borbone ed erede al trono delle Due Sicilie, per festeggiare le sue nozze d'oro di fronte a ottocento invitati paganti (l'incasso pare sia andato per aiuti ai loro fratelli Kosovari), a un certo punto è stato suonato l'inno borbonico di Giovanni Paisiello.
Quello che ha scandalizzato tanti patrioti non è che il buon Ferdinando III e il suo seguito si siano alzati per doveroso rispetto ma che lo abbiano fatto anche il Ministro degli esteri italione Dini (e gentile consorte) e tutte le altre personalità presenti a vario titolo: Procuratori, Presidente della provincia, Eccellenze, Eminenze e altezzosità varie.
Come è possibile - si sono chiesti tutti i buoni patrioti - che questi abbiano potuto rendere omaggio a un regno "nemico" dell'unità della Patria? E soprattutto, com'è ammissibile che vengano concessi tanti onori ai Borbone quando si tengono lontani i Savoia dal grembo premuroso e tricolore della madrepatria?
Per cominciare, dubito che la più parte dei presenti si sia resa conto di quello che stava succedendo: quanti conoscevano l'inno di Paisiello e quanti sapevano che era l'inno del defunto Regno?
Sicuramente lo sapeva Ferdinando III, che è infatti prontamente scattato sugli attenti, e forse pochi altri nostalgici presenti in sala. I coniugi Dini l'avranno preso per l'inno del Costarica e si sono subito inturgiditi, tutti gli altri si sono alzati per imitazione, perché hanno visto i potenti farlo: non c'è niente - soprattutto in quelle assolate latitudini - che coinvolga la gente più dell'imitazione leccapiedistica del potente di turno.
Avrebbero fatto lo stesso in presenza di qualche Don scattato in piedi al suono di Funiculì Funiculà o del motivetto di Forza Italia.Ma se poi qualcuno di loro lo avesse anche fatto coscientemente, che male ci sarebbe stato?
È un inno carico di storia e solo per questo merita tutto il rispetto.
In quanto alla ritrita menata sui Borbone "negazione di Dio" (c'è cascato anche Sergio Romano in un editoriale sul Corrierone: ma non si è mai letto Alianello?), e alla ingiusta disparità di trattamento con i "poveri" Savoia mi sembra poi che si esageri.
Innanzitutto, i Borbone non hanno mai avuto la fregola di volere unificare l'Italia (cosa che li pone sulla nostra lista dei "buoni") e - soprattutto - ai Padani non hanno mai rotto le scatole.
Anche la presenza napoletana durante le "radiose giornate" del 1848 è stata poco più che formale: il corpo di spedizione del generale Guglielmo Pepe ha fatto qualche marcia nella Bassa infastidendo più le donne che gli Austriaci e se ne è tornato a casa appena si è accorto che le cannonate erano vere e non da parata.
I Savoia invece di guai ne hanno combinati un sacco e li stiamo ancora pagando tutti. Sono i Savoia che hanno invaso l'Italia, che hanno distrutto stati antichi per ridurli a provincie prefettizie, sono loro che hanno intrapreso mortifere guerre, che hanno sfaldato il tessuto antico di una intera area geografica.
I Borbone invece si facevano napoletanamente i fatti loro (belli o brutti, ma che riguardavano solo loro e i loro concittadini) e non dovevano poi neanche essere così tirannici se per quasi dieci anni i loro sudditi hanno combattuto una sanguinosa guerra di resistenza contro l'esercito savoiardo, con centinaia di migliaia di morti, se molti di loro hanno resistito senza speranza per mesi a Gaeta, a Messina o nell'eroica Civitella del Tronto alle cannonate liberatrici dell'esercito italiano. Civitella si è arresa solo il 20 marzo del 1861, tre giorni dopo la tronfia proclamazione del Regno d'Italia.
E molte migliaia di soldati napoletani hanno preferito affrontare la prigionia e la morte nei campi di concentramento piuttosto che abiurare al loro giuramento di fedeltà ai Borbone. Nessuno ha fatto altrettanto per i Savoia, figuriamoci per quelli un po' fighetti delle ultime generazioni.
Alla Padania i Borbone non hanno fatto niente di male, i Savoia sì. Basterebbe questo per fare alzare in piedi anche noi al loro inno, altro che scrivere vaccate!
Se poi oggi si comincia a organizzare un movimento legittimista napoletano che vuole andarsene dall'Italia, noi non possiamo che essere con loro: combattiamo la stessa battaglia di libertà da Roma. Se poi si vogliono rimettere sul trono un Borbone, sono solo fatti loro.
Credo che sia del tutto fuori posto che un organo di stampa indipendentista pubblichi in prima pagina un articolo anti-borbonico e patriottardo nella peggiore salsa italionesca. È anche peggio ancora che lo faccia con elegante prosa Citiana e con citazioni storiche sballate.
Questo ci porta a fare alcune brevi considerazioni sulla politica culturale del nostro quotidiano. Neanche le (speriamo ultime) giornate di sbando organizzativo che sta vivendo "La Padania" possono giustificare cadute di livello del genere.
Si è sempre sostenuto (e in questi ultimi giorni lo si è sottolineato con vigore) che la vera forza della Padanità deve essere rappresentata dalla cultura identitaria: per questo abbiamo inventato le pagine "Noi Padani" che ci siamo conquistate, con l'aiuto di tanti collaboratori, con la solidarietà di tanti lettori e dei più sensibili dirigenti del Movimento, strappando spazio a pagine di cultura (si fa per dire) e di costume zeppe di tette televisive, vicende di pederasti, notizie di guepieres e canzonette.
Per questo abbiamo sempre lottato (non sempre vittoriosamente) contro la peggiore italionità lessicale, piena di Nord per Padania, Alto Adige per Sud Tirolo, Paese per paese, eccetera. Ma tavanate come quella sull'inno Borbonico sono veramente eccessive, soprattutto in questi giorni di sofferenza del Movimento.
Il titolo di apertura dello stesso numero de "La Padania" era: "Lega, l'ora del repulisti". Non è il caso di cominciarlo anche nel nostro giornale?