Voglio ricordare che tale documento e stato scritto da un testimone dei fatti,quindi data la preziosa importanza del testo ne consiglio un attenta lettura
Dopo l'abboccamento di Salzano con Cialdini, i duci napoletani non pensarono a dar battaglia, né a Caianello né a Teano; essi aveano la mia di ritirarsi sempre; ed al cimento immediato e necessario preferirono attendere, indietreggiando.
Il 25, Re Francesco, con ordine del giorno, infervorò i soldati a difendere la patria bandiera sulle rive del Garigliano. In effetto i soldati fremeano di misurarsi con l'esercito sardo; i duci però faceano di tutto per ismorzare l'entusiasmo de' loro dipendenti, e raccomandavano prudenza e moderazione verso i nemici.
Cialdini, sicuro di non essere assalito, avea manifestato il disegno di girare per Roccamorfina e Montecroce, tagliar la ritirata ai Borbonici, ricacciandoli sopra Capua, e metterli così tra il suo esercito e quello del La Rocca coadiuvato da' garibaldini. Cialdini non pose ad effetto quel suo disegno strategico, giudicandolo ineseguibile per le cattive strade; ma la vera ragione sarà stata che invece di girare i Borbonici, costoro avrebbero potuto girarlo ed asserragliarlo in que' monti ed in quelle valli impraticabili. Nondimeno si può francamente affermare che il Generale piemontese fu troppo prudente: co' Generali napoletani tutto si potea osare, non avendo costoro altro scopo dimostrato che ritirarsi, e finire la guerra al più presto possibile.
Cialdini, abbandonato il progetto di prendere alle spalle l'esercito napoletano, cominciò a molestarlo alla retroguardia, mentre questo si ritirava da Teano verso il Garigliano.
Il 26 ottobre si era cominciata la ritirata de' Borbonici con poco ordine. I Battaglioni marciavano mischiati con la cavalleria ed artiglieria, e si traversavano strade anguste e cattive; tutto accennava disordine e confusione. Meckel con la sua brigata era di retroguardia, ed avea mandato il tenente Loriol dello Stato Maggiore con un plotone di cacciatori a cavallo per riconoscere il nemico.
Loriol ritornato sino a Teano, si avvide che questo paese era occupato da' Piemontesi; nonpertanto, ardito com'era, entrò per impadronirsi del pane preparato per la truppa sarda. Appena scoperto fu assalito dalla cavalleria nemica, quindi bisognò voltar briglia, ed avvenne una scaramuccia tra cavalieri sardi e napoletani. Di quest'ultimi ne furono uccisi cinque, e sei fatti prigionieri, perché oppressi dal numero, ma si batteano con bravura. Il resto del plotone napoletano si ritirava; Loriol vedendosi inseguito, voltò faccia, e solo, ebbe l'audacia di far fronte alla testa, cadde, e fu creduto morto, quindi lasciato in mezzo la strada.
Ma Loriol non era morto, appena riavutosi, carponi si trascinò sotto un ponte, e quando i nemici si allontanarono, si condusse dalla parte di Casale, ov'era l'esercito borbonico, e fu salvato e soccorso dal tenente Conte Suarez che comandava una pattuglia napoletana.
Circa le due pomeridiane di quel giorno 26, i Piemontesi assalirono la sinistra de' Napoletani al villaggio S. Giuliano. Corse Negri con l'artiglieria a proteggere la divisione Echanitz, e la brigata d'Orgemont che si trovava alle prese col nemici a S. Maria la Piana.
I Piemontesi si avanzarono in gran numero, allora vi si oppose la brigata Polizzy, e quella estera condotta di Mortillet; quello attaccò di fronte, questi di fianco con una marcia rapida e ben calcolata. I Sardi erano più di diecimila, oltre della cavalleria ed otto cannoni rigati. Da principio assalirono con impeto, trovando però una valida resistenza, retrocessero, perché ricevuti a colpi di mitraglia, e caricati alla baionetta si scompigliarono, soffrendo danni non lievi. I duci napoletani però invece di approfittare della vittoria, che non avrebbe potuto fallire, preferiron di ritirarsi senza essere inseguiti. Gli stessi uffiziali sardi dissero, che i Generali napoletani non vollero essere vittoriosi nello scontro di S. Giuliano e S. Maria la Piana.
Nel fatto d'armi del 26 ottobre si distinsero molti uffiziali superiori e subalterni, cioè il generale Polizzy, il Colonnello Mortillet, il tenente-colonnello Tedeschi, il Maggiore Presti del genio, il tenente colonnello delli Franci, i Capitani de Torrenteros, delli Franci, e Ferrara dello Stato Maggiore.
Tra gli uffiziali di artiglieria si distinsero, il Generale Matteo Negri, i Capitani Fevôt, Tabacchi e Sary, ed i tenenti Brunner, Pfyffer, Charret e de Sayve che erano uffiziali di ordinanza di Meckel. Degli altri uffiziali costa a me, come testimone oculare, che si distinsero l'aiutante maggiore Simonetti, i Capitani Carrubba e Romeo, tutti e tre del 9° cacciatori, i quali fecero caricare alla baionetta da' loro dipendenti i nemici, e l'inseguirono tanto che fu necessità obbligarli a farli ritornare indietro, per non cadere in fallo o in qualche agguato.
Quel giorno, il tenente-colonnello Scappaticci comandante del 9° Cacciatori, ed il Maggiore Musitani comandante interino del 5° della stessa arma, appena cominciò l'azione guerresca di S. Giuliano e S. Maria la Piana, voltarono briglia ed abbandonarono i loro Battaglioni senza comando immediato; e tutti e due di gran trotto corsero a mettersi in salvo dietro il Garigliano! Alla metà della via incontrarono il generale in Capo Salzano, e non trovarono né modo né pretesti per giustificare la loro viltà. Il 28 ottobre il 5° e il 9° cacciatori ebbero la umiliazione che in tutto il campo del Garigliano, si lesse un ordine del giorno vergognosissimo a carico de' propri Comandanti, i quali furono mandati nel Castello di Gaeta. Scappaticci fu espulso poi dalla Piazza, e fu surrogato nel comando del 9° Cacciatori dal bravo ed onesto Maggiore Francesco Gottcher.
È qui necessario correggere un errore involontario del tenentecolonnello delli Franci. Questo distinto uffiziale di Stato Maggiore nella sua pregevole cronaca di autunno del 1860 a pag. 145 dice: «Nondimeno egli potea esser vinto (Polizzy) se Won Meckel, prevedendo che potesse al Polizzy abbisognare altra soldatesca non glie l'avesse mandata: che, il nono cacciatori di riserva presso Polizzy, disobbedendo agli ordini ricevuti, invece di andare a Cascano ricoverò in Sessa.Il 9° Cacciatori trovandosi in un paesetto giù verso Cascano, all'infretta fu chiamato sul campo di battaglia, avendo lasciata la zuppa, dopo una corsa di due miglia di strada montuosa giunse su' monti di S. Giuliano, e sebbene abbandonato dal suo comandante fu diretto nella pugna da' due valorosi aiutanti maggiori Simonetti e del Giudice.
Il 9° Cacciatori non era di riserva, ma attaccò il nemico in prima linea, e consta a me che si battè valorosamente, avendo avuto morti e feriti nel fatto d'armi del 26 ottobre. È poi assolutamente falso che il 9° Cacciatori disobbedisse a Polizzy, e che invece di andare a Cascano ricoverasse a Sessa, ma seguì la ritirata della truppa un poco avanti la retroguardia di Mortillet. Io non so come il signor delli Franci sia stato tratto in errore; per disingannarsi gli sarebbe stato sufficiente l'ordine del giorno del 28 del Generale in Capo, il quale dice tra le altre cose: «...Ma eziandio la falsa nuova che eransi perdute due compagnie del 9° cacciatori (forse erano quelle de' Capitani Carrubba e Romeo che inseguirono troppo il nemico?) e disciolto il resto della brigata, (Polizzy)mentre la sera si ritirò in piena regola, unitamente alla brigata estera.
Il signor delli Franci non fece riflessione che, se il 9° Cacciatori si fosse ricoverato in Sessa la sera del 26 ottobre, sarebbe stato tagliato fuori e fatto prigioniero da' Piemontesi.
Si avverta che taluni chiamano scontro di Cascano il fatto d'armi di S. Maria la Piana e S. Giuliano: in Cascano la sola artiglieria fece fuoco di ritirata. Nel fatto d'armi di S. Giuliano e S. Maria la Piana, i Napoletani soffrirono poco danno, cioè si ebbero venti morti e diciotto feriti. I Piemontesi ebbero maggiori danni arrecati dall'artiglieria napoletana.
L'esercito borbonico, la sera del 26 passò il Garigliano sul bel ponte di ferro; all'estrema retroguardia stavano i valorosi cacciatori a cavallo. Tutti accampammo sulla diritta sponda del Garigliano, e ci estendevamo dalle foci del fiume sino sotto Traetto.
Dopo il narrato scontro, l'esercito sardo rimase due giorni a riordinarsi, e preparasi a sforzare la posizione de' Borbonici sul Garigliano.
Il 29 ottobre Cialdini si avanzò alla testa di tre colonne di truppa, e con materiali di ponti per passare il fiume. I duci napoletani avevano deciso di tagliare il ponte di ferro, e siccome non bastò il tempo, si tolsero le tavole di mezzo, ovvero i dormienti, lasciando due strisce laterali ove potea passarci una sola persona. Vicino al ponte erano 32 cannoni in batteria, 24 da campo ed 8 da montagna. Vi erano parecchi battaglioni, cioè il 3° e il 4° e sei compagnie del 3° di linea, oltre del 14° di linea che stava di riserva, ed era comandato dal prode colonnello Zattera che si era tanto distinto in Reggio. Di posto avanzato stava il 2° cacciatori, tre squadroni di lancieri ed un altro del 1° degli usseri. Questa truppa era comandata dal maresciallo Colonna.
Alle 9 del mattino si vide avanzare il nemico; il generale Matteo Negri, comandante l'artiglieria, accompagnato dal colonnello Salazar e dal capitano Giovanni Afan de Rivera, andò incontro per ben riconoscere la disposizione delle forze nemiche. Veduti i Sardi numerosi con serrate colonne e con cinque squadroni di cavalleria, ritornò e dispose la difesa, lasciando il carico al 2° cacciatori di far fronte a tutta l'oste sarda per quanto più avesse potuto.
S'imprese l'azione con migliaia di fucilate. Il 2° cacciatori valorosamente sostenne
più di un'ora l'assalto di tutti i nemici, indi si ritirò, in bell'ordine dietro il ponte, passando ad uno ad uno in fila sulle due strisce laterali di tavole che vi erano rimaste. I Sardi si avanzarono numerosi: ma la batteria n.°3, comandata dal distinto e valoroso capitano Carlo Corsi, accorso in fretta sul campo di battaglia, li accolse con tale grandine di scaglie da covrire di cadaveri quei campi, disordinando il resto de' combattenti. Allora si gridò da soldati napoletani onde la numerosa cavalleria intatta per le antecedenti pugne, caricato avesse i fuggiaschi. Accorse il 3° reggimento dragoni che si trovava più vicino; ma giunto alla testa del ponte dovette fermarsi perché, come ho detto da quel ponte erano state tolte le tavole: e fu questo uno degli errori de' Generali napoletani allo scopo di difendersi soltanto, e mai assalire! E così si perdette la più bella occasione che mai avesse avuto in quella campagna l'esercito napoletano, d'impiegare utilmente la bella e quasi oziosa cavalleria, ove figuravano tra gli eleganti da parata, uffiziali di cuore ed anco di provata intelligenza.
I Piemontesi non assaliti, mentre erano in grande disordine, si riordinarono; ed eccitati da' proprii duci, un gran numero di loro ripresero fronte, si spinsero alla corsa, ed afferrarono la Torre guardiana delle coste e la testa del ponte; e quivi tra sassi, gore e sinuosità di terreno tiravano non visti. Però quelli che rimasero scoperti diedero indietro frettolosamente; e più volte risospinti da' loro duci assalirono, ma furono sempre decimati: conciosiachè il generale Barbalonga fece collocare più a sinistra la batteria n° 13 coadiuvata dal 14° cacciatori, onde li percosse di fianco e di rovescio. Finalmente tutti voltarono le spalle e fuggirono in disordine; fu allora che il 2° cacciatori ripassò il ponte ed inseguì i Piemontesi facendone quaranta prigionieri, tutti bersaglieri.
Nel furor della zuffa fu ferito al piede il giovine e prode generale Matteo Negri; pregato, non volle ritirarsi, rimase esposto a' colpi del nemico; poco dopo altra ferita toccogli all'addome, e cadde dicendo: difendete questo passo e vinceremo. Prode soldato! accogli le benedizioni di tutti coloro che amano l'onor militare, e quello della patria derelitta; tu fosti sempre generoso del tuo sangue ed avaro di quello de' tuoi dipendenti.
Il generale Negri fu condotto sulle braccia de' soldati ad una casa a Scauri, ove tempo dieci ore spirò tra le braccia di un suo fratello, e circondato da molti ammiratori ed amici. La sua salma fu trasportata e seppellita in Gaeta con grandi onori; e per ordine del Re ebbesi un monumento per rammentare a' posteri il valore e le virtù militari di quel giovine Generale. Ecco sul proposito una lettera di Francesco II, diretta al generale in capo Salzano: «Eccellenza! Con dolore inesplicabile ho inteso il funesto annunzio della perdita che tutti abbiamo fatta del prode generale Negri, avvenuta dopo la gloriosa ferita da lui riportata nel combattimento di que sto giorno. Le sue rare virtù lo rendono degno di essere ricordato alla posterità; però dopo che avrà ricevuto in questa piazza gli onori funebri, che troppo gli sono dovu ti, saranno le spoglie racchiuse in un sepolcrale monumento che sarà eretto in que sto Duomo. Gaeta 29 ottobre 1860. Firmato FRANCESCO.»
Nel complesso delle azioni sostenute sul Garigliano oltre i gloriosi ed i prodi che vi lasciarono la vita,
e che m'è dispiacevole non poterli qui tutti nominare, tra coloro che vi versarono il proprio sangue, molti furono i fortunati che superarono, sfidando i maggiori pericoli. Ne' rapporti ufficiali leggo nomi distintissimi che è giustizia ripetere.
I marescialli Colonna e Barbalonga fecero bravamente il loro dovere, quello nel respingere l'attacco di fronte, l'altro allorquando bersagliò validamente il nemico con fuochi micidiali di fianco, e parte dell'onore di quella giornata si attribuisce al Barbalonga.
Il capo dello Stato Maggiore generale Bertolini, il tenente colonnello delli Franci, il capitano de Torrenteros e Bianchi ed il tenente Fiore riscossero dal Generalissimo Salzano ogni elogio, e si ebbero lusinghieri rapporti pe' servizii in quell'occorrenza prestati.
Il tenentecolonnello Gabriele Ussani di artiglieria meritò essere promosso Colonnello sul campo di battaglia; trovo elogiati il tenente colonnello Salazar ed il capitano Giovanni Afan de Rivera dell'istessa reale artiglieria. Il capitano Carlo Corsi (batteria n.3) fu oggetto di particolare ammirazione per avere potentemente contribuito alla gloria di quella giornata, respingendo da prode il nemico. Un encomio è pure segnato per le batterie numero 10 e 15.
Il 2°, 4° e 14° Battaglioni cacciatori, ed il 3° Reggimento di linea si dimostrarono truppe agguerrite, valorose e disciplinate. I rispettivi comandanti, in quell'occorrenza potettero anco andar superbi de' loro dipendenti. Tra gli altri distinti trovo speciali appunti a pro del tenentecolonnello Cortada, del maggiore Antonio Barbera comandante il 4° cacciatori, e per i capitani Michele Giuliani ed Angellotti, quest'ultimo del 2° cacciatori.
I Piemontesi assalitori ebbero danni maggiori degli assaliti Napoletani, perché decimati dalla mitraglia di costoro.
I Generali sardi non osarono più di tentare la prova di assalire il ponte del Garigliano, avendo sperimentato quanto valessero i Napoletani quando aveano duci come un Matteo Negri, ed uffiziali superiori simili a quelli che si distinsero il 29 ottobre 1860.
Intanto era necessario che i Piemontesi sforzassero subito quella posizione del Garigliano, e cacciassero verso Gaeta quel resto di esercito fedele; dappoichè il prolungamento della guerra avrebbe loro arrecato danni imprevisti, maggiormente che in quel tempo l'Austria riuniva armi ed armati sul Mincio, e Cavour stava sopra un letto di Procuste, come si rileva dalle sue lettere scritte a Persano.
Era poi opinione del bravo ed istruito capo dello Stato Maggiore Bertolini, non che di tanti uffiziali di merito, che i Piemontesi avrebbero potuto girare la posizione dell'esercito napoletano per la via di S. Germano e Pontecorvo, non solo intercettare la comunicazione con Gaeta, ma toglier loro la ritirata sopra quella Piazza. Ed infatti il tenentecolonnello Armenio fu avvertito da un villico, che i Piemontesi si disponevano a girare il fianco sinistro del campo del Garigliano dalla parte di Fratta e Castelforte. Il generale in capo Salzano, considerando che sarebbe stato un colpo fatale,
se i Sardi avessero girata la posizione, dispose che si guernissero di truppa e di artiglieria que' luoghi ove si supponeva che il nemico avesse potuto spingersi per effettuare il suo disegno di guerra, e toglierli facilità di passaggio; onde al capitano Andruzzi ed all'altro Rosehneim del genio fu dato incarico di far saltare il ponte sul Liri in Pontecorvo, facendosi coadiuvare dal Maggiore Pagano, comandante il Battaglione del Reggimento Marina, che si era formato dopo che il suddetto reggimento si disciolse in Napoli per opera de' felloni. Così al Maggiore Ferrara anche del genio, si commise l'incarico di far saltare l'altro ponte a Spigno. Operazioni che vennero eseguite prontamente e brillantemente.
Al Capitano Giacomo Mellini del 5° Cacciatori fu commesso distruggere tutte le scafe ed i passaggi che da S. Giorgio al Garigliano poteano rinvenirsi. Il Mellini noto e distinto uffiziale pe' suoi servizii resi nel 1848 in Sicilia ed in Calabria nel 1860, trovandosi accantonato in S. Maria Infante con più compagnie del Battaglione di cui facea parte, eseguì la difficile e pericolosa commissione con lode del Generale in Capo Salzano, il quale volle controllare e verificare le operazioni del Mellini, ed inviò con un drappello di cavalleria in diverse direzioni i capi di Stato Maggiore Satriano e de Torrenteros, i quali con rapporti constatarono che il Mellini avea con caldo zelo adempito lo incarico affidatogli, e talora sotto gli attacchi di avvisaglie nemiche.
I Piemontesi però, dopo che furono ben picchiati da' Napoletani, smisero la burbanza di misurarsi altra volta con pari condizioni, avendone sperimentato il valore; quindi pensarono ad altri mezzi di guerra per isloggiarli senza pericolo dalle posizione che occupavano. I Generali sardi avendo tutti i mezzi di cui mancava il tradito esercito nazionale, determinarono assalirlo dal fianco destro dalla parte del mare: ed a questo scopo fecero venire da Napoli l'Ammiraglio Persano con tutta la flotta per bombardare i Napoletani accampati alle foci del Garigliano. Quel crimine coronato di Napoleone III, per le ragioni che dirò tra non guari, avea dato ordine al suo Viceammiraglio Barbier di guardare la spiaggia di Sperlonga sino a Mondragone, con la ingiunzione di respingere le navi sarde da guerra che si avvicinassero ostilmente.
Appena comparve la flotta sarda, già coadiuvata da quella napoletana, il Viceammiraglio francese, credendo sicura la protezione del suo Sovrano, andò incontro a Persano ed ORDINÒ a costui di ritornare al di là di Mondragone: Persano ubbidì! E così i Napoletani per pochi giorni furono lasciati tranquilli dalla parte del mare.
Dopo il 29 ottobre avvennero molte scaramucce tra Piemontesi e Napoletani, ma quelli non si avventuravano più a spingersi risolutamente in avanti; faceano come que' cani, che vi perseguitano latrando se fuggite, ma fuggono essi quando lor mostrare il viso ed il bastone.
Re Francesco venne più volte sul Garigliano per dirigere le difese delle scelte posizioni, e per animare i soldati con la sua presenza e col suo esempio.
Egli era infaticabile, pensava a tutto, e dava tutti quegli ordini che richiedevano
le difficili circostanze in cui trovavasi il suo disgraziato e fedele esercito.
Era la sera del 31 ottobre, e nessuna novità interessante giungeva che avesse cambiato le nostre condizioni sul Garigliano. Molti uffiziali e soldati mostrarono desiderio di udire la S. Messa il giorno seguente festa di Ognissanti. Io per contentare il pio desiderio de' miei filiani, feci venire dal vicino paese di Traetto tutti gli arredi sacri ed il bisognevole, e s'improvvisò un altarino sul versante della montagna di quel paese che guarda a sud. Era più che sicuro del fatto mio, e perciò mi disposi a dir la Messa, sebbene tuonasse il cannone; dapoichè i nemici erano ben tenuti a segno sulla sinistra riva del fiume. Scena commoventissima era quella di vedere tanti prodi militari col viso abbronzito dal Sole e dalle fatiche, in ginocchio, col capo abbassato sino a terra, e l'arme in pugno assistere all'incruento sacrifizio...
Molti di que' prodi, già preparati sin dal giorno precedente, vollero cibarsi del pane eucaristico. All'elevazione dell'Ostia consacrata e alla Comunione s'intonarono le solite canzoncine; quelle valli e que' monti intesero pure le laudi del Dio di pace e di amore nel canto di que' guerrieri impavidi ed insanguinati..!
Quella Messa durò più dell'ordinario; io era commosso sino alle lagrime; avea in animo recitare un sermoncino d'occasione, ma avea tremula la voce, e l'animo sensibilmente affranto non me 'l permise.
Il luogo, le circostanze, l'atteggiamento di que' fedeli che mi stavano attorno, formavano una scena attraente e commoventissima. Oh, santissima religione di un Dio umanato! bella immortal, benefica, religione de' padri nostri, quanto sei sublime..! i tuoi augusti misteri, il tuo splendido rito, là su' campi di battaglia specialmente conquidono i più perversi cuori... Oh, se io amava il soldato cattolico con tutte le potenze dell'anima mia, soltanto una immeritata sventura nazionale potè staccarmi da lui....!
Intanto, giovava a' Piemontesi avanzarsi verso Gaeta; la perdita del tempo potea esser loro fatale, ed essi altro mezzo non aveano per farsi avanti che forzare il campo borbonico del Garigliano. A' Piemontesi non conveniva rimanere inoperosi sulla sinistra riva del fiume; la politica europea guardava ogni loro mossa, quindi diveniva suprema necessità forzare le posizioni occupate da' Napoletani. Questo mezzo l'aveano tentato e furono battuti; tentarono l'altro più comodo di fare operare la flotta, e il Viceammiraglio francese si oppose. Fu allora che Re V. Emmanuele si rivolse col telegrafo a Parigi e a Londra, e fece appello al non intervento, accusando d' intervento l'ostilità del Viceammiraglio Barbier.
Napoleone III, proteggeva Francesco II, come avea protetto il Papa, cioè con disegno di far cadere l'uno e l'altro insensibilmente, ordendo tranelli e bassi tradimenti, degni non di un monarca ma di un galeotto settario. Egli avea fatto in apparenza il generoso con far guardare la spiaggia, credendo forse che i Napoletani fossero stati facilmente battuti e disfatti dalla parte di terra; ma inteso che erano saldi e vincitori sul Garigliano, non potendo por giù la maschera di protettore, procurò farsi sollecitare con più dispacci dal Gabinetto di Londra a rispettare il non intervento; onde il 1° novembre telegrafò a Barbier che guardasse solamente Gaeta.
Francesco II, fidando sulla protezione napoleonica, si trovò a mal partito, cioè con l'esercito esposto a doppie offese dalla parte di terra e di mare; e quello che più importava si era, che l'artiglieria da campo per ritirarsi a Gaeta dovea battere l'unica strada che costeggia prossimamente il mare.
Era circa mezza notte del 1° novembre, facea un tempo torbido e piovoso; noi eravamo coricati à la belle étoile sulla sponda diritta del Garigliano, e come ho detto, vicinissimi al mare. Persano silenzioso accostossi con tutta la flotta al campo napoletano, e cominciò a bombardare i dormienti soldati, i quali, credendosi sicuri da quella parte, non sapeano spiegarsi quel repentino assalto: nondimeno rimasero fermi a' loro posti, e soffrirono pochi danni relativamente, ad onta che il prode Persano - l'eroe di Ancona! - facesse percuoterli con bombe e granate da pezzi rigati da 80, malamente diretti.
Il Re fece sentire a Barbier, che sarebbe suo desiderio impedirsi per poche ore le ostilità della flotta sarda, finchè l'esercito napoletano levasse il campo dal Garigliano trasportandolo altrove. Ma Barbier a malincuore si negò, perché gli ordini di Napoleone III erano precisi, e non ammetteano alcuna interpretazione...!
Nelle prime ore mattutine del 2 novembre giunse l'ordine della ritirata; quell'ordine fu portato dal distinto capitano dello Stato Maggiore Emmanuele Fazio, il quale traversando in carrozza la strada di Scauri fu accompagnato a cannonate dalla flotta sarda, e fu un vero miracolo se giunse al Garigliano. L'esercito borbonico retrocesse, e fu destinato in diversi luoghi, battendo la via de' monti; la maggior parte però fu diretta a Mola di Gaeta, ove dovea accamparsi per fronteggiare il nemico. A guardia del ponte del Garigliano rimase poca truppa; vi erano due compagnie del 6° cacciatori comandate dal capitano Bozzelli, ed erano queste le più vicine al Ponte: quelle truppa fu lasciata allo scopo di guarentire la ritirata del resto dell'esercito. La brigata Polizzy, alla quale io apparteneva fu pure destinata a Mola. Noi cominciammo dunque, ma ben tardi, la ritirata, battendo la via de' monti di Traetto per discendere poi a Mola.
I Piemontesi, che campeggiavano sulla sinistra del fiume, non ardirono assalirci, invece aspettarono che il campo, fulminato dalla flotta, fosse sgombro intieramente; quando videro decampare l'ultima brigata sotto gli ordini del generale Won Meckel, si accinsero sospettosi a passare sulla destra riva. Ma temendo che il ponte fosse minato, ne gettarono un altro provvisorio alle foci del Garigliano. La prima a passare il fiume fu l'intiera divisione comandata da de Sonnaz, che assalì le due compagnie del 6° cacciatori; le quali, sebbene avessero ricevuto l'ordine di ritirarsi nel momento che già aveano cominciato la pugna col nemico, vollero rimanere a quel posto per darci un esempio d'incredibile bravura. Tutti quelli che ci trovavamo sopra i monti di Traetto, fummo spettatori di una lotta non mai vista. Due compagnie di cacciatori, che allora non erano più di duecento uomini, comandate dal prode capitano Bozzelli, novello Leonida alle Termopili, bersagliate di fianco dalla flotta, e da fronte da imponenti forze, esse sole contrastarono maravigliosamente la marcia della divisione de Sonnaz, seguita da altre divisioni..!!
Quelle due compagnie contrastarono lungo tempo il passaggio del fiume, ed arrecarono non pochi danni a' nemici. Ma circondate e decimate, anzi che darsi prigioniere, vollero resistere sino all'ultimo, votandosi a sicura morte che gloriosissima si ebbero col lor prode Capitano Bozzelli!! Oh quanto mi duole non poter nominare tutti que' prodi soldati!
La brigata delle quale io faceva parte, battendo strade obblique, rampicandosi sopra i monti, percorrendo valli e burroni, giunse sul tardi a Mola, stanca, affranta ed affamata, ma disposta sempre a combattere!
Mola di Gaeta, che oggi ha ripreso l'antico suo nome di Formia, trovasi sul corso della via Appia nella regione Ausonia ed Aurunca; essa è famosa per la morte tragica di Cicerone.
Molti ruderi ricordano ancora la sua antica grandezza cantata da' poeti latini. Ha circa ottomila abitanti, compreso Castellone. Appartiene alla Provincia di Terra di Lavoro, e dista da Gaeta poco meno di tre miglia. Mola è fabbricata sulla sponda del mare, addossata ad una alta e scoscesa montagna: la sua forma è lunga e stretta; ha due strade principali, una interna che taglia diritta dall'est all'ovest, e l'altra della stessa lunghezza e posizione costeggia il mare.
IGenerali napoletani speravano che Napoleone III non avesse fatto bombardare Mola dalla flotta sarda, quindi non aveano fatto eseguire fortificazione alcuna per guarentirla dalla parte del mare; e quando si giunse in quella città, disposero sola mente le truppe per respingere il nemico che si avanzasse dalla parte del Garigliano per la via di Scauri. Avendo però avuta la prima solenne prova della punica fede napoleonica, e vedendo che la flotta nemica si disponeva ad assalirci e bombardar ci anche in Mola, all'infretta fecero mettere in batteria un cannone da 12 dietro un angolo di casa, guidandone poi i colpi il valoroso colonnello Gabriele Ussani. Si costruirono sulla strada, donde dovea sboccare il nemico, due traverse con fossi, si posero quattro pezzi rigati da 4, i quali servivano pure a rispondere alle offese della flotta.
La sera del 2 novembre, si riunirono sette Generali, cioè Salzano, Ruggiero, Colonna, Sanchez de Luna, Polizzy, Bertolini e Barbalonga, e dissero che, ove mai la squadra sarda assalisse Mola, questa città non si sarebbe potuta difendere; dissero pure che non converrebbe stendersi nelle province, perché senza vettovaglie e senza danari; peggio poi passar la frontiera. Conchiusero dunque ridurre l'esercito sotto Gaeta, cioè quello che desideravano da un pezzo la maggior parte fra essi!
IIRe e il Ministero opinavano diversamente, e diceano, il ristretto spazio avanti Gaeta non essere bastevole a contenere il residuale esercito, e quella parte che vi sareb be accampata non avere ritirata alcuna, tosto o tardi doversi rifugiare nella Piazza, ulti mo baluardo della monarchia! E la Piazza sarebbe stata costretta arrendersi dopo non molto tempo dovendo alimentare tanta gente. Proponevano che l'esercito voltasse verso gli Abruzzi, ed operasse nella valle di S. Germano, ove aiutato e soccorso in tutto dalle popolazioni, che mal soffrivano i Piemontesi, molestasse costoro alle spalle, e li travagliasse, nel caso previsto che essi avessero messo in assedio Gaeta.
Il Generale Ministro Casella corse a Mola a persuadere i Generali di mettere in esecuzione il disegno di guerra del Re e del Ministero. Però que' Generali stanchi, e qualcheduno anche avvilito, voleano finirla subito senza più compromettersi in modo alcuno; quindi opponevano la stanchezza del soldato, la mancanza de' mezzi di guerra e del danaro, e molte altre ragioni sciorinavano quali vere, quali false, e futili.
È da osservarsi però, che proponea di andare in Abruzzo chi rimaner dovea in Gaeta, ed abborriva chi andarvi dovea! E pure l'esercito era ancora numeroso, si potea ancora tentar la sorte delle armi. I soldati erano stanchi, ma non avviliti; anzi avendo provato essere più bravi de' Piemontesi, voleano battersi ad oltranza, e difendere l'ultimissimo lembo della propria bandiera. Caso strano nelle guerre, ove i soldati si voleano battere, ed i Generali ritirarsi e finir la guerra con un nemico che avea per programma, distruggere la loro bandiera, l'esercito, l'autonomia e il Regno!
Se si fosse trovato un Generale di mente e di cuore, che avesse preso risolutamente il comando di que' soldati, facendo una rapida diversione negli Abruzzi, l'esercito nemico si sarebbe trovato compromesso nelle sue posizioni; forse non avrebbe potuto assediar Gaeta; e non sappiamo quali sarebbero state l'eventualità, trovandosi con una terribile fortezza di fronte, e con un esercito nazionale alle spalle, il quale aiutato da popolazioni amiche, forse sarebbesi invertite le sorti del combattimento. La storia, ch'è la maestra della vita, ci apprende che non di rado i più piccoli incidenti di guerra han rovinato intieri eserciti ben guidati e meglio muniti, sperdendo in un giorno i calcoli e le speranza di tanti anni.
Io non iscrivo adesso queste mie riflessioni seduto comodamente e tranquillamente avanti la mia scrivania, ma le scrissi sul luogo delle catastrofi, quando pativa tutte le privazioni e le fatiche del soldato, e correa gli stessi suoi pericoli. Ciò servirà di risposta a tutti coloro i quali non avendo ragioni da addurre in contrario, ricorrono alla melensa sentenza, dicendo: dopo i fatti compiuti è facile schiccherar sentenze. A costoro si potrebbe anche rispondere: voi non avevate né onor nazionale, né mente, né cuore. Il vero soldato dovrebbe morire con l'arme in pugno, e dovrebbe consegnarla al nemico nel solo caso che gli restasse alcun mezzo per difendere il suo principio, e quando il farsi uccidere sarebbe un inutile e dannoso sacrifizio.
Il chiarissimo storico, cav. Michele Farnerari, asserisce con ragioni inappuntabili nella sua pregevole Storia della Monarchia di Napoli e delle sue fortune,che la catastrofe della dinastia e del Regno dovea necessariamente avvenire, perché la maggior parte de' capi dell'esercito e degli uomini che componeano i grandi corpi dello Stato erano vili e corrotti.
Noi, non istavamo sotto le bandiere del Regno delle Due Sicilie per prenderci il soldo, o per fare gli azzimati pavoneggiandoci con gli abiti militari gallonati ed indorati. I Generali, non occupavano quelli alti posti per prendersi i bei soldi, e fare i burbanzosi ed i terroristi in tempo di pace; ma tutti stavamo lì per farci ammazzare all'occorrenza, onde difendere la santissima nostra religione, l'onor militare, il Re, la Patria. Casi estremi richieggiono risoluzioni energetiche ed audaci audaces fortuna juvat timidosque repellit.
Mentre i Generali napoletani, e il ministero di Gaeta questionavano sul destino dell'esercito, l'artiglieria, dal Garigliano si ritirava a Mola per la via di Scauri battendo la strada che costeggiava da vicino il mare.
L'Ammiraglio Persano mandò ne' paraggi attigui tre navi da guerra, cioè il Tripoli, il Governolo e il Carlo Alberto sotto gli ordini di Mantica per mitragliare quell'artiglieria lungo lo stradale.
In effetti verso le 2 pomeridiane del 2 novembre, i legni sardi aprirono un fuoco nutrito e micidiale a mitraglia e a palla piena contro quell'arma ed armati.
Il borioso Persano dice nel suo Diario parte 4a pag. 103, che le cannonate «sulle truppe nemiche le pongono in pieno scompiglio, e l'obbligano a riparare di corsa dentro Mola stessa.» Impudenza di un italianissimo Ammiraglio dopo sei anni déclassé! Consta a migliaia e migliaia di persone, che appena i nostri artiglieri furono assaliti nella loro ritirata, puntarono i cannoni sulle navi sarde, e le obbligarono a prendere il largo, tirando da lungi con cannoni rigati da 80. I Napoletani soffrirono poco danno a causa del mare agitato, e più di tutto perché i Sardi aggiustavano male i loro tiri. L'artiglieria si ritirò in Mola in perfetto ordine, e facendo sempre fuoco sulla flottiglia nemica. Aggiungo che il nome del colonnello Ussani, anche in quella lotta fu pe' Borbonici una vera gloria.
Verso le 4 di quello stesso giorno le navi nemiche si accostarono sotto Mola, e cominciarono a menar granate a danno di quella piccola Città: ma il solo cannone da 12, opportunamente collocato sull'aperta spiaggia, e l'artiglieria da campo rigata le fecero subito prendere il largo.
Dopo tante questioni tra Ministri e Generali, finalmente si prese una mezza misura, che era secondo il desiderio di costoro; cioè che alquanti Battaglioni accrescessero il presidio di Gaeta, e il resto muovesse per Itri verso la frontiera romana, per aspettare ivi gli avvenimenti.
I Piemontesi che aveano provato il valore de' soldati napoletani, non voleano arrischiare a Mola un dubbio assalimento dalla parte di terra; essi voleano far la guerra comodamente, cioè guardarsi bene la loro pelle e distruggere con qualsiasi mezzo il nemico. Il loro disegno di guerra era facilissimo, cioè bombardare e mandare a soqquadro Mola, e quando i soldati borbonici ed i cittadini fossero stati sepolti a metà sotto le ruine, assalirli da terra! Oh la morale de' rigeneratori..!
La mattina del 4 novembre, Persano si presentò sotto Mola con tutta la flotta che avea disponibile, fra cui molte navi napoletane, in tutto avea 14 legni tra grandi e piccoli, e con trecento bocche da fuoco, la maggior parte cannoni rigati da 36, da 60 e da 80. I Napoletani altro non aveano da opporre che quattro cannoni antichi, due da 60 e due da 80, mandati da Gaeta, e all'infretta, collocati sulla spiaggia dal ripetuto distinto Colonnello Gabriele Ussani.
Persano cominciò a buttare sulla disgraziata città una miriade di proiettili, bombe, granate e scharaphenel. Questo micidiale proiettile è di forma conica, si carica ne' cannoni rigati, è tutto pieno di polvere e pezzi di ferro, ed all'esterno è anche pieno
di capsule fulminanti, di modo che, ove giunge, appena urta, scoppia, e fa l'ufficio della palla e della bomba, né vi dà tempo di mettervi in salvo pria che scoppiasse, e spesso è causa d'incendio.
Mentre Persano bombardava le case, le Chiese e gli Ospedali, ov'erano due mila feriti, che andavano a soqquadro; i cittadini di Mola fuggivano, nascondendosi alcuni nelle grotte e nelle cantine, ove sentivansi gridi disperati e strazianti di donne e di fanciulli!
Ussani che dirigeva i quattro cannoni mandati da Gaeta, quantunque senza parapetti e fossati, facea trarre a furia contro la flotta, ed imberciava tanto bene che il prode Persano, co' suoi 14 legni, ebbe la prudenza di prendere il largo, e tirare sulla Città coi suoi cannoni rigati di lunga portata; i quali faceano un danno inestimabile alle fabbriche di Mola. E così tenendosi fuori tiro de' cannoni della spiaggia, bombardava e distruggeva senza pericolo, per farsene poi un vanto vandalico nel suo Diario.
De' cannoni, che erano sulla spiaggia, tre furono smontati con danni di molti artiglieri. Ciò prova il valore de' Napoletani in quella disuguale lotta, ove combatteano con quattro cannoni contro trecento!
La truppa reggeva impavida sotto quella pioggia di proiettili che ci regalavano i nostri futuri fratelli. I soldati sebbene avessero sofferti non lievi danni, perché orribilmente bersagliati dall'artiglieria della flotta, rimasero fermi a' posti avanzati, pronti a respingere l'assalto della truppa piemontese dalla parte di Scauri, che si attendea da un momento all'altro.
In quel terribile bombardamento, io mi trovavo col 9° Battaglione cacciatori, all'entrata di Mola dalla parte di quella strada che mena al Garigliano. Quel Battaglione era in seconda linea di avamposti, e si trovava in mezzo ad un magnifico oliveto. Le bombe, le granate, e le sharaphenel che ci regalavano dal Mare, non offesero che pochi soldati, ma rovinarono quell'oliveto e molte casipole. I proiettili nemici passavano sulle nostre teste perché mal dirette. Le granate e le bombe venivano più di rado, erano queste riserbate per le case di Mola, e quando ce ne regalavano qualcheduna, la potevamo scansare con facilità, o perché scoppiava in aria, o cadendo a terra, ci dava il tempo di ripararci dietro i grossi tronchi degli alberi di olivo. Le bombe e le granate che ci largiva la flotta sarda, non erano secondo la giusta valutazione del tempo e dello spazio che doveano percorrere, o scoppiavano in aria, o cadendo a terra ci davano il tempo di metterci in salvo. Vi fu qualche soldato che ebbe la temerarità di avventurarsi sulla bomba appena caduta a terra per toglierne (credendolo possibile) la miccia accesa...! e ciò per impedirne lo scoppio: ma più di una volta si deplorò qualche caso tragico!
Il Viceammiraglio francese Barbier de Tinan, vedendo da Gaeta quell'opera indegna di popoli civili, mandò il Vascello l'Alexandre per consegnare a Persano una lettera, nella quale diceva a costui, che avea oltrepassati i limiti del tiro de' legni francesi; quell'infrazione egli l'avea avvertita con una cannonata a palla, giusta la prevenzione fattagli; e soggiungeva infine, che non glielo avrebbe più permesso.
Persano rispose con una bravata, non già diretta a' Francesi, ma alla truppa napoletana: e tra le altre sfacciate menzogne, osò scrivere a quel Viceammiraglio, che il fuoco erasi cominciato da' Borbonici, ed egli credevasi nel diritto di ribattere i colpi nemici.
Epperò sospese il bombardamento, e verso le tre pomeridiane segnalòall'esercito piemontese di avanzarsi sopra Mola. L'avanguardia era comandata da de Sonnaz e fu respinta da' Napoletani.
Fu allora che Persano si avvicinò proprio alla spiaggia, essendo stati smontati i quattro cannoni mandati da Gaeta, e con tutta la flotta cominciò a vomitar fuoco e ferro sopra Mola, e sopra la truppa napoletana, e con una energia degna di un selvaggio pirata!
Quello che avvenne in Mola dopo le quattro pomeridiane del 4 novembre, è indescrivibile; ed in quel grande scompiglio, quasi ad accrescerlo, giunge dal Generale in capo l'ordine della ritirata. Si confusero e si scompigliarono tutti i Battaglioni, e non vi fu più né ordine, né modo d'intendersi anche due sole persone. La truppa sarda avvertita della nostra marcia retrograda, si avanzò ma senza slancio, e sospettosa sempre. I Battaglioni esteri, che aveano inteso il segno delle ritirata, appena furono attaccati, fecero poca resistenza, e alla scompigliata retrocessero sul resto della truppa arrecando maggiore confusione. I soldati borbonici non aveano lo spazio di muoversi, né dentro Mola, né per l'angusta via che mena ad Itri e Gaeta. In quella via erano carri, ambulanze, artiglieria, cavalli da tiro e da sella, ed altre carrozze e carri di que' cittadini che fuggivano; i quali portavansi quanto aveano di meglio, e tutto a pigiarsi, urtarsi, confondersi! In mezzo a quel disordine, chi gridava, chi piangeva, chi bestemmiava... Per accrescere sempre più la confusione e il pericolo, Persano profittandone, si avvicina sotto le case di Mola, a solo scopo di distruggere le sostanze e la vita de' privati, o di quei che più non poteano molestarlo, e ci stordiva col solo rombo de' suoi numerosi cannoni e con lo scoppio di innumerevoli granate e bombe.
Questo bugiardo Ammiraglio ecco quanto scrisse a Cavour: «Quest'oggi, 4 novembre 1860, poco dopo le 2 pomeridiane, la squadra ha avuto l'onore di concorrere a far libero il paese alle nostre truppe, che col solito impero e valore davano l'assalto alla città di Mola, difesa da numerosa soldatesca che, riparata dietro barricate(ci avea presi per garibaldini!) muniti di cannoni, tirando da caseggiamenti, opponeva valida e micidiale resistenza.» Sfacciato, e mille volte bugiardo. E son queste quelle che si dicono notizie ufficiali!Intanto l'esercito sardo ci bersagliava alle spalle, mentre noi asserragliati dentro Mola facevamo serii sforzi per avanzarci tutti alla parte opposta di Castellone. La truppa piemontese avrebbe potuto massacrarci tutti o prenderci prigionieri, se fosse stata meglio guidata, e non si fosse avanzata senza slancio e sospettosa, a causa che trovò di fronte la batteria di campo n.15 quella svizzera, e il 10° battaglione Cacciatori; non ebbe il coraggio di affrontarli, si tenne a rispettosa distanza, e soffrì non pochi danni. Intanto quel Battaglione, e quella batteria, sempre fulminati dalla flotta, furono anche costretti a ritirarsi.
Cadde ferito tra gli altri l'aiutante maggiore del 10° cacciatori. Della batteria svizzera fu ferito il tenente Brunner, e il prode e brillante capitano Fevôt che la comandava; costui fu pure stritolato sotto l'ugne de' cavalli, e sotto le ruote di quell'artiglieria che con tanto valore avea diretta e comandata!
Causa di quella disastrosa ritirata fu il generale Salzano, che in quelle eccezionali circostanze, ed attesi i luoghi, non dovea ordinare in quel modo la ritirata: ma la maggior parte dei Generali napoletani erano buoni solamente a commettere simili errori madornali. Io non so ancora spiegarmi come non rimanessimo tutti vittima di quella barbara guerra, e come traversammo quella stretta via che taglia a mezzo Mola, ov'erano agglomerate due brigate, quella di Polizzy, e l'altra di Mortillet, oltre di tutti que' carri, cavalli, artiglieria ec. L'altra strada di Mola, quella della marina, era orribilmente battuta da' proiettili della flotta; e chi osò avventurarsi per traversarla, o fu ferito, o ucciso, o si annegò in mare, mentre ben pochi salvaronsi.
Giunti a Castellone, ch'è in continuazione di Mola, i Battaglioni si riordinarono immediatamente. Avvenne però un'altra confusione: un poco ci faceano marciar diritto verso Itri, un altro poco ci diceano di poggiar sulla sinistra verso il Borgo di Gaeta, e così di seguito: finchè si avanzò la truppa piemontese e ci prese di fianco. Però, siccome questa in quel sito non potea essere protetta dalla flotta, fu combattuta, onde fu costretta parte a retrocedere, parte a sospendere la marcia; conciosiachè i soldati napoletani voltarono faccia ed assalirono i nemici con lo slancio della disperazione.
Pria che la truppa si riordinasse fuori Castellone io vidi scene affliggentissime ed indescrivibili a qualunque umana favella. Si vedeano in quelle strade, in que' viottoli, in que' burroni, casse, scatole, ed altre masserizie alla rinfusa. Uomini, donne, fanciulli appena vestiti, fuggire a sciame e spaventati sulle rocce e su' monti. Era un quadro desolantissimo! Quella strada rotabile e quelle viuzze erano ingombre di carri, carretti e carrozze che trasportavano gente e quanto questa avea di meglio. Si vedeano vecchi cadenti ed ammalati bruscamente tolti da' loro letti, e condotti dalla pietà de' parenti, trascinandosi in mezzo a quell'orribile confusione, investiti or da' soldati, or dalla cavalleria, or dall'artiglieria. Ed in mezzo a quelle armi ed armati, in mezzo a quegli animali inferociti dall'odor della polvere e dal rombo del cannone, si sentivano donne, fanciulli, e fanciulle gridare, chiedere pietà, affollarsi ed urtarsi atterriti come dementi. Il figlio cercava i vecchi genitori, la madre desolata chiedeva della figlia, o del fanciulletto perduto. Là una madre che strascinava tre piccoli figli, chiedendo aiuto con istrazianti grida per trovare un altro figlio perduto. Fanciulli e garzoncelli piangendo chiedere e cercare i proprii genitori e parenti. Intanto ognuno a sè badando poco curava i pianti e la disperazione altrui.
Tutto era confusione e scompiglio: uomini, donne, fanciulli, soldati, carri, cannoni, cavalli, si urtavano e si distruggevano: chi piangeva, chi gridava, chi bestemmiava...! Dio! Dio! quale orrendo spettacolo! Oh! se i reggitori delle nazioni calcolassero le conseguenze funeste della guerra; se avessero veduto quello che io vidi il 4 novembre 1860, ah!, fossero pure tigri in forma umana, risparmierebbero sì cruenti spettacoli, risparmierebbero il più terribile de' flagelli sociali, la guerra!
(Estratto dal libro di Giuseppe
Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta).