Gabriel Garcia Moreno
Di antica e illustre famiglia spagnola, ultimo di otto figli, Garcia Moreno nacque a Guayaquil il 24 dicembre 1821. Venuto a mancare il padre, proprio nel periodo d’inizio scuola, Gabriele ricevette lezioni di grammatica dal religioso di un vicino convento, che in seguito, lo aiutò a frequentare l’università di Quito. Compiuti gli studi liceali, prese la decisione di ricevere la tonsura e gli Ordini minori; ma il suo carattere, le sue attitudini, i suoi presentimenti lo spinsero ad una vita più militante. Orientò i suoi studi di specializzazione verso il diritto e ottenne la laurea, con voti brillanti, nel 1845.
L’Ecuador era sorto nel 1830, dallo smembramento della Colombia di Bolivar. Il presidente, il Generale Flores, fedele di Bolivar, aveva imposto al paese una costituzione ultra-liberale e anticattolica (come sempre la tolleranza di tutti i culti venne decretata insieme all’intolleranza nei confronti della religione di Cristo e del clero cattolico). Legato alla massoneria della Nuova Granada tentò invano, con il pretesto della beneficenza, di istituire delle logge di confratelli nel paese. Nel 1845, con un paese in preda alla corruzione e alla violenza sulla popolazione, si scatenò una guerra civile che, nel giro di due mesi si concluse con la schiacciante sconfitta di Flores. Sotto il nuovo presidente Roca la situazione economica e sociale non dava alcun cenno di miglioramento e nell’aprile 1846 nacque “La frusta”, un settimanale satirico fondato da Garcia Moreno che contribuì notevolmente a screditare il nuovo incapace e governo. Mentre la crisi nel paese si accentuava, giunsero notizie del tentativo da parte di Flores di voler riprendere il potere con la forza. Moreno allora mise da parte la propria ostilità nei confronti di Roca e fondò il “vendicatore” che contribuì, con la proposta d’interdizione dei rapporti commerciali con le nazioni europee che avessero sostenuto il tentativo di invasione, a far fallire il bellicoso progetto di Flores (progetto che non verrà mai abbandonato ed anzi, negli anni successivi assisteremo ancora a vari tentativi del generale di riconquistare il potere, fortunatamente tutti falliti). Scongiurato il pericolo, la fondazione del nuovo giornale “El diablo” turbò alquanto la dolce quiete del presidente Roca, dei suoi ministri e dei suoi funzionari, ma senza impedire tuttavia le loro speculazioni a danno del paese. Fino alla conclusione del mandato essi continuarono a sfruttare l’Ecuador, condannando alla deportazione chiunque osasse lamentarsi e protestare. Con l’elezione del nuovo presidente Naboa, a cui la massoneria non aveva perdonato il fallito allontanamento dei gesuiti dall’Ecuador, Gabriel Garcia Moreno continuò la sua campagna politica contro i liberali corrotti, pubblicando anche un libello in difesa dei gesuiti (“Defensa de los Jesuitsas”). Nel 1851, il colpo di stato del generale Urbina, liberale radicale vicino alla massoneria, scacciò Noboa dalla presidenza e lo esiliò in Perù. Urbina inaugurò un vero e proprio regno del terrore; per soddisfare il suo odio si accanì contro i Gesuiti e votò la loro deportazione nonostante le proteste del popolo. Garcia Moreno, in mezzo ad un popolo terrorizzato, quando la stampa era proibita e la tribuna rimaneva muta, non esitò ad inchiodare alla gogna l’onnipotente dittatore sulle colonne del suo nuovo giornale “La Nacion”. Impossibile da eliminare fisicamente a causa della sua notorietà tra il popolo, Garcia Moreno fu esiliato a Parigi nel 1853.
L’incontro con l’Europa fu l’occasione per approfondire gli studi sul diritto cristiano, leggere la famosa opera dell’abate Rohrbacher “La storia universale della Chiesa Cattolica” e riscoprire una fede autenticamente vissuta (riscoperta resa necessaria da anni di politica militante che ne avevano parzialmente ostacolato la pratica). L’esilio così, lo aveva reso grande e maturo, pronto all’imminente rivincita cattolica e sociale dell’Ecuador.
Nel 1856, grazie ad una proposta parlamentare di amnistia, gli amici di Garcia Moreno chiesero un salvacondotto per questo grande e famoso cittadino e per accattivarsi le simpatie della popolazione, il nuovo presidente Roblez acconsentì. Riaccolto in patria Moreno fu eletto al senato nel 1857 e si distinse per interventi a favore della riduzione delle imposte, per il miglioramento dell’istruzione pubblica e tentò di far approvare invano una legge che richiedeva la chiusura di tutte le logge massoniche del paese. Negli anni tra il 1959 e il 1860 l’ennesimo colpo di stato militare portò a capo del governo il generale Franco che, dopo aver soppiantato gli avversari Roblez e Urbina, deteneva tutto il potere nelle sue mani e meditava di cedere parte del territorio nazionale al Perù che lo aveva aiutato nella conquista del potere. Anche questa ennesima minaccia fu sventata da Garcia Moreno che presiedeva un governo provvisorio a cui aderivano tutte le province dell’interno: la vittoria riportata sul traditore fu un trionfo non solo per la nazione ma anche per tutti i buoni cattolici che ebbero così in pugno l’occasione di forgiare un nuovo stato secondo i principi della regalità sociale di Cristo. Il progetto di costituzione, discusso nei mesi dopo la vittoria e promosso in prima linea da Garcia Moreno (nel frattempo eletto presidente dell’Ecuador), oltre a importanti riforme sul piano elettorale e amministrativo proponeva la religione cattolica come unica religione dello stato, escludendone ogni altra e si decise di stipulare al più presto un concordato con la Chiesa. Furono questi anni fondamentali in cui tutto il paese fu investito da una grande riforma sociale, politica ed economica che non si esaurì solo sul piano materiale ma fu saggiamente accompagnata da una più lodevole riforma spirituale che grazie al concordato, permetteva alla Chiesa di proseguire la propria missione evangelizzatrice in Ecuador, solo pochi anni prima osteggiata dai massoni liberali. Sola, circondata da stati ormai caduti vittime del virus della rivoluzione, questa piccola nazione del sud america riconobbe quale fosse lo stato normale della società e la vera libertà restituendosi al “governo di Dio”. Di pari passo con queste importanti riforme cresceva l’odio settario dei liberali, che non si lasciavano sfuggire occasione per insultare Moreno dalle colonne dei propri giornali, accusandolo di connivenza con la Chiesa e di essere cieco innanzi al nuovo spirito della libertà e dei diritti umani, che da Parigi ormai aveva invaso tutto il mondo. Dopo essere sfuggito ad un attentato nel 1864, ordito dai massoni innanzi ad un rivale impossibile da sconfiggere con le armi della politica, il 15 maggio 1865 Garcia Moreno fece eleggere alla presidenza Carron, un suo sodale (la costituzione vietava di candidarsi per due mandati consecutivi). Il nuovo presidente iniziò la sua carriera con un solenne messaggio di completa adesione alla politica sino ad allora adottata da Garcia Moreno, ma circondatosi di uomini d’estrazione liberale, finì ben presto col governare in modo opposto al programma dichiarato. Inviato nel 1866 in Cile per negoziare un trattato commerciale, Garcia Moreno sfuggì all’ennesimo attentato massonico e riuscì a ritornare in patria. Sbarazzatisi di Carron, i liberali promossero a presidente Espinosa, un uomo timido e scrupoloso che divenne ben presto schiavo delle funzioni parlamentari e legali con grave danno del partito conservatore. Espinosa era dunque troppo debole per poter rappresentare una valida alternativa a Garcia Moreno, candidato e nuovamente eletto presidente nel 1869. Il suo secondo mandato rimane caratterizzato ancora una volta dalla forte carica cristiana e sociale, che gli permise non solo di ristabilire pienamente il concordato, ma anche di varare una costituzione veramente cattolica, che comprendeva anche la consacrazione della nazione al Sacro Cuore di Gesù. Non solo, Garcia Moreno si adoperò anche per riformare l’istruzione, risollevare economicamente le casse dello stato, ristrutturare carceri e ospedali e donare al paese una rete infrastrutturale moderna. In questa apoteosi dello stato cristiano c’erano però ancora alcune zone d’ombra dove i liberali e i massoni covavano la loro vendetta nei confronti del presidente cattolico. Fu deciso che Garcia Moreno doveva morire. Il 6 agosto 1875 il presidente, mentre usciva dalla cattedrale di Quito, dove era andato ad adorare il Santissimo Sacramento, fu accoltellato da un gruppo di facinorosi, giovani e debosciati liberali prestati al gioco massonico. Il capo del gruppo, un certo Rayo, colpendolo ferocemente gli gridò «Muori, carnefice della libertà!» e Garcia Moreno ebbe ancora qualche istante per pronunciare una breve ma significativa frase: «Dio non muore!». Era la fine dell’Ecuador simbolo per eccellenza del moderno stato cattolico, senza la guida singolarmente illuminante del proprio presidente il paese ripiombò nel giogo del liberalismo e della rivoluzione nel giro di pochi anni. La storia di Garcia Moreno, il più grande presidente cattolico della storia moderna, è la storia di una delle molte sconfitte che hanno caratterizzato la Chiesa negli ultimi due secoli. Distrutto, dilaniato e consunto il mondo cattolico sembra essere indirizzato sul proverbiale viale del tramonto. Innanzi a questi anni ferrigni è facile lasciarci scoraggiare, ma proprio la voce del grande presidente dell’Ecuador si eleva a monito per ricordarci che comunque andrà noi non perderemo mai perché, anche se noi mortali possiamo essere sconfitti, Dio non muore!
L’Ecuador era sorto nel 1830, dallo smembramento della Colombia di Bolivar. Il presidente, il Generale Flores, fedele di Bolivar, aveva imposto al paese una costituzione ultra-liberale e anticattolica (come sempre la tolleranza di tutti i culti venne decretata insieme all’intolleranza nei confronti della religione di Cristo e del clero cattolico). Legato alla massoneria della Nuova Granada tentò invano, con il pretesto della beneficenza, di istituire delle logge di confratelli nel paese. Nel 1845, con un paese in preda alla corruzione e alla violenza sulla popolazione, si scatenò una guerra civile che, nel giro di due mesi si concluse con la schiacciante sconfitta di Flores. Sotto il nuovo presidente Roca la situazione economica e sociale non dava alcun cenno di miglioramento e nell’aprile 1846 nacque “La frusta”, un settimanale satirico fondato da Garcia Moreno che contribuì notevolmente a screditare il nuovo incapace e governo. Mentre la crisi nel paese si accentuava, giunsero notizie del tentativo da parte di Flores di voler riprendere il potere con la forza. Moreno allora mise da parte la propria ostilità nei confronti di Roca e fondò il “vendicatore” che contribuì, con la proposta d’interdizione dei rapporti commerciali con le nazioni europee che avessero sostenuto il tentativo di invasione, a far fallire il bellicoso progetto di Flores (progetto che non verrà mai abbandonato ed anzi, negli anni successivi assisteremo ancora a vari tentativi del generale di riconquistare il potere, fortunatamente tutti falliti). Scongiurato il pericolo, la fondazione del nuovo giornale “El diablo” turbò alquanto la dolce quiete del presidente Roca, dei suoi ministri e dei suoi funzionari, ma senza impedire tuttavia le loro speculazioni a danno del paese. Fino alla conclusione del mandato essi continuarono a sfruttare l’Ecuador, condannando alla deportazione chiunque osasse lamentarsi e protestare. Con l’elezione del nuovo presidente Naboa, a cui la massoneria non aveva perdonato il fallito allontanamento dei gesuiti dall’Ecuador, Gabriel Garcia Moreno continuò la sua campagna politica contro i liberali corrotti, pubblicando anche un libello in difesa dei gesuiti (“Defensa de los Jesuitsas”). Nel 1851, il colpo di stato del generale Urbina, liberale radicale vicino alla massoneria, scacciò Noboa dalla presidenza e lo esiliò in Perù. Urbina inaugurò un vero e proprio regno del terrore; per soddisfare il suo odio si accanì contro i Gesuiti e votò la loro deportazione nonostante le proteste del popolo. Garcia Moreno, in mezzo ad un popolo terrorizzato, quando la stampa era proibita e la tribuna rimaneva muta, non esitò ad inchiodare alla gogna l’onnipotente dittatore sulle colonne del suo nuovo giornale “La Nacion”. Impossibile da eliminare fisicamente a causa della sua notorietà tra il popolo, Garcia Moreno fu esiliato a Parigi nel 1853.
L’incontro con l’Europa fu l’occasione per approfondire gli studi sul diritto cristiano, leggere la famosa opera dell’abate Rohrbacher “La storia universale della Chiesa Cattolica” e riscoprire una fede autenticamente vissuta (riscoperta resa necessaria da anni di politica militante che ne avevano parzialmente ostacolato la pratica). L’esilio così, lo aveva reso grande e maturo, pronto all’imminente rivincita cattolica e sociale dell’Ecuador.
Nel 1856, grazie ad una proposta parlamentare di amnistia, gli amici di Garcia Moreno chiesero un salvacondotto per questo grande e famoso cittadino e per accattivarsi le simpatie della popolazione, il nuovo presidente Roblez acconsentì. Riaccolto in patria Moreno fu eletto al senato nel 1857 e si distinse per interventi a favore della riduzione delle imposte, per il miglioramento dell’istruzione pubblica e tentò di far approvare invano una legge che richiedeva la chiusura di tutte le logge massoniche del paese. Negli anni tra il 1959 e il 1860 l’ennesimo colpo di stato militare portò a capo del governo il generale Franco che, dopo aver soppiantato gli avversari Roblez e Urbina, deteneva tutto il potere nelle sue mani e meditava di cedere parte del territorio nazionale al Perù che lo aveva aiutato nella conquista del potere. Anche questa ennesima minaccia fu sventata da Garcia Moreno che presiedeva un governo provvisorio a cui aderivano tutte le province dell’interno: la vittoria riportata sul traditore fu un trionfo non solo per la nazione ma anche per tutti i buoni cattolici che ebbero così in pugno l’occasione di forgiare un nuovo stato secondo i principi della regalità sociale di Cristo. Il progetto di costituzione, discusso nei mesi dopo la vittoria e promosso in prima linea da Garcia Moreno (nel frattempo eletto presidente dell’Ecuador), oltre a importanti riforme sul piano elettorale e amministrativo proponeva la religione cattolica come unica religione dello stato, escludendone ogni altra e si decise di stipulare al più presto un concordato con la Chiesa. Furono questi anni fondamentali in cui tutto il paese fu investito da una grande riforma sociale, politica ed economica che non si esaurì solo sul piano materiale ma fu saggiamente accompagnata da una più lodevole riforma spirituale che grazie al concordato, permetteva alla Chiesa di proseguire la propria missione evangelizzatrice in Ecuador, solo pochi anni prima osteggiata dai massoni liberali. Sola, circondata da stati ormai caduti vittime del virus della rivoluzione, questa piccola nazione del sud america riconobbe quale fosse lo stato normale della società e la vera libertà restituendosi al “governo di Dio”. Di pari passo con queste importanti riforme cresceva l’odio settario dei liberali, che non si lasciavano sfuggire occasione per insultare Moreno dalle colonne dei propri giornali, accusandolo di connivenza con la Chiesa e di essere cieco innanzi al nuovo spirito della libertà e dei diritti umani, che da Parigi ormai aveva invaso tutto il mondo. Dopo essere sfuggito ad un attentato nel 1864, ordito dai massoni innanzi ad un rivale impossibile da sconfiggere con le armi della politica, il 15 maggio 1865 Garcia Moreno fece eleggere alla presidenza Carron, un suo sodale (la costituzione vietava di candidarsi per due mandati consecutivi). Il nuovo presidente iniziò la sua carriera con un solenne messaggio di completa adesione alla politica sino ad allora adottata da Garcia Moreno, ma circondatosi di uomini d’estrazione liberale, finì ben presto col governare in modo opposto al programma dichiarato. Inviato nel 1866 in Cile per negoziare un trattato commerciale, Garcia Moreno sfuggì all’ennesimo attentato massonico e riuscì a ritornare in patria. Sbarazzatisi di Carron, i liberali promossero a presidente Espinosa, un uomo timido e scrupoloso che divenne ben presto schiavo delle funzioni parlamentari e legali con grave danno del partito conservatore. Espinosa era dunque troppo debole per poter rappresentare una valida alternativa a Garcia Moreno, candidato e nuovamente eletto presidente nel 1869. Il suo secondo mandato rimane caratterizzato ancora una volta dalla forte carica cristiana e sociale, che gli permise non solo di ristabilire pienamente il concordato, ma anche di varare una costituzione veramente cattolica, che comprendeva anche la consacrazione della nazione al Sacro Cuore di Gesù. Non solo, Garcia Moreno si adoperò anche per riformare l’istruzione, risollevare economicamente le casse dello stato, ristrutturare carceri e ospedali e donare al paese una rete infrastrutturale moderna. In questa apoteosi dello stato cristiano c’erano però ancora alcune zone d’ombra dove i liberali e i massoni covavano la loro vendetta nei confronti del presidente cattolico. Fu deciso che Garcia Moreno doveva morire. Il 6 agosto 1875 il presidente, mentre usciva dalla cattedrale di Quito, dove era andato ad adorare il Santissimo Sacramento, fu accoltellato da un gruppo di facinorosi, giovani e debosciati liberali prestati al gioco massonico. Il capo del gruppo, un certo Rayo, colpendolo ferocemente gli gridò «Muori, carnefice della libertà!» e Garcia Moreno ebbe ancora qualche istante per pronunciare una breve ma significativa frase: «Dio non muore!». Era la fine dell’Ecuador simbolo per eccellenza del moderno stato cattolico, senza la guida singolarmente illuminante del proprio presidente il paese ripiombò nel giogo del liberalismo e della rivoluzione nel giro di pochi anni. La storia di Garcia Moreno, il più grande presidente cattolico della storia moderna, è la storia di una delle molte sconfitte che hanno caratterizzato la Chiesa negli ultimi due secoli. Distrutto, dilaniato e consunto il mondo cattolico sembra essere indirizzato sul proverbiale viale del tramonto. Innanzi a questi anni ferrigni è facile lasciarci scoraggiare, ma proprio la voce del grande presidente dell’Ecuador si eleva a monito per ricordarci che comunque andrà noi non perderemo mai perché, anche se noi mortali possiamo essere sconfitti, Dio non muore!
Luca Fumagalli
Fonte: Il Cinghiale Corazzato, foglio di informazione e cultura a cura della CAP dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, numero 29, agosto 2009