mercoledì 4 luglio 2012

Il Cesarismo e l'idea della politica cristiana di Mons. Jean-Joseph Gaume


 

Da: La Révolution, recherches historique sur l'origine et la propagation du mal en Europe, sixième livraison, Paris 1856, pag. 1-29.

PROEMIO
Nella parte quinta di questa opera è stato evidentemente provato:
1° Che il Volterianesimo, o la filosofia del secolo XVIII, ha gagliardamente contribuito alla rivoluzione francese, nell'ordine religioso e nell'ordine sociale;
2° Che anzi, per parlare esattamente, il Volterianesimo altro non è che la rivoluzione attuatasi nelle menti, aspettando tempo di manifestarsi nei fatti;
3° Che il Volterianesimo ha costantemente sostenuto che i veri lumi, la vera libertà, la vera civiltà, non si trovavano che nelle repubbliche di Sparta, d'Atene e di Roma; che il regno sociale del Cristianesimo era stato un periodo di barbarie, di schiavitù e di superstizione; e che quest'età di ferro non era cessata in Europa che facendo tempo dal Rinascimento.
4° Che il Volterianesimo non ha cessato di prendere per tipo della perfezione l'antichità pagana, la sua filosofia, la sua morale, i suoi grandi uomini, le sue arti, la sua letteratura, le sue istituzioni sociali: che ha messo in opera tutti i suoi sforzi per persuadere alle nazioni che il vero mezzo di rigenerazione era il riferirsi, per quanto fosse possibile, al modello dei Greci e dei Romani;
5° Che il Volterianesimo è uscito tutto intero dai collegi cattolici, sì riguardo alle persone e sì riguardo alle dottrine. Riguardo alle persone, tutti i volteriani sono stati educati dal clero secolare e regolare: riguardo alle dottrine, tutte, senza eccezione, trovansi letteralmente negli autori classici, e soltanto in essi.
6° Che il Volterianesimo non è stato prodotto nè dall'insegnamento dei professori, che era ortodosso, nè dai loro esempi che erano irreprensibili, ma unicamente dall'insegnamento letterario;
7° Che il Volterianesimo ha provato egli stesso tale genealogia, adorando gli autori pagani, e discacciando i suoi maestri ecclesiastici.
8° Che il Volterianesimo non può essere riguardato nè come un'aberrazione momentanea, nè come un eccezione malaugurata, composta soltanto di alcuni individui: ma che tutto il XVIII secolo, nella generalità delle classi letterate, era volteriano, cioè pagano nelle idee, nel linguaggio, nei costumi, nella vita e in morte.
Per evitare la conseguenza che scatta da questi fatti, e per difendere gli studi classici, si dice:
«Nel XVIII secolo spirava sull'Europa un soffio d'empietà che pervertiva la gioventù all'uscir di collegio. Questa è la terribile cagione del Volterianesimo; l'educazione letteraria non vi ha parte, oppure assai piccola».
Questa risposta allontana, ma non risolve la difficoltà. Si tratta di sapere quale fosse cotesto spirito d'empietà e donde venisse.
Si ripiglia: «Era, nell'ordine sociale, lo spirito di indipendenza, lo spirito repubblicano provocato dal Cesarismo, cioè dall'assolutismo dei re, e specialmente di Luigi XIV, contro cui, già da lungo tempo, nelle alte classi formavasi una terribile reazione.
Nell'ordine religioso era il libero pensare, nato dal Protestantesimo. Ecco per qual motivo il Volterianesimo non è stato altro, che una guerra incessante contro la società e contro il cattolicismo».
Da una parte il Cesarismo, dall'altra il Protestantesimo, sarebbero questi adunque gli antenati del Volterianesimo o della filosofia del XVIII secolo. Nonostante le difficoltà ond'è inviluppata questa soluzione, tuttavia non la ripudiamo. Ma il Cesarismo ed il Protestantesimo non sono nati da se stessi; anch'essi hanno le loro cause. Per muovere innanzi un passo nella nostra storia genealogica del male, è d'uopo dunque che ci rivolgiamo al Cesarismo ed al protestantesimo, e che loro domandiamo, così come abbiamo fatto pel Volterianesimo e per la rivoluzione: Di chi siete figli? qual è la vostra genealogia? La risposta del Cesarismo darà materia a questa sesta parte: quella del protestantesimo sarà oggetto della seguente.
Nelle gravi contingenze in cui versa l'Europa, al cospetto di eventualità forse più gravi per l'avvenire, ci sembra difficile il trattare un soggetto più importante, sotto il duplice aspetto della religione e della società. L'avvenire sarà figlio del presente, come il presente è figlio del passato: se non sappiamo donde veniamo è impossibile il sapere dove andremo. 

N.B.: «Due Spiriti opposti si disputano il dominio del mondo, e la storia non è altro che il racconto della loro eterna lotta; (...) Questi due Spiriti che soli spiegano il dualismo sono i veri e propri dominatori del mondo; ma, e questo ci affrettiamo a dirlo, certamente essi non sono eguali fra loro, affermare ciò sarebbe cadere nel manicheismo, errore mostruoso che la ragione respinge e la fede condanna. È vero al contrario che questi due Spiriti sono ineguali di una ineguaglianza infinita: uno è Dio, eterna potenza, l'altro una semplice creatura, un essere effimero che un soffio potrebbe annientare. Solo che Dio, con una decisione della sua infallibile saggezza che l'uomo non potrà mai sondare in profondità, ha lasciato a Satana il terribile potere di combattere contro di Lui e di tenere per incerta la vittoria nella lotta per il possesso del genere umano. Cercheremo ben presto di sollevare un angolo del velo che ricopre questo incontestabile mistero.» Gaume, Traité du Saint-Esprit (II ed.) Tome I, Paris 1869, pag. 31.


IL CESARISMO

CAPITOLO I.

Idea del Cesarismo.

Importanza della questione. –– Definizione del Cesarismo. –– Sua origine. ­ Sua storia nell'antichità –– Esso fonda l'ordine religioso e sociale sulla sovranità dell'uomo. –– Questa sovranità dal popolo passa a Cesare.­ La legge Regia. –– Diritti e prerogative di Cesare. –– Parole di Gravina, di Terrasson. –– Articolo della legge Regia. –– Esiti del Cesarismo nell'antichità.
***
Il male, entrando nel mondo, ha prodotto il dualismo: da ciò, due uomini nell'uomo e due città sulla terra: da ciò parimenti, due filosofie, due letterature così opposte fra di loro quanto gli spiriti che le animano, i principii da cui partono, i mezzi che impiegano e lo scopo a cui tendono. Da ciò, per una conseguenza non meno assoluta, due politiche: la politica del bene e la politica del male; la politica cristiana e la politica pagana. Col farle conoscere amendue, si mette avanti agli occhi delle nazioni la vita e la morte, perchè è un mostrare ad esse le due vie, l'una delle quali conduce alla  felicità, l’altra all'abisso.
Il mezzo più sicuro di riuscirvi e ad un tempo più conforme al disegno della nostra opera è di delineare a grandi tratti la storia di queste due politiche, e dei loro generali risultati nel mondo, nelle diverse età del loro regno. Incominciamo dalla politica pagana, che noi chiamiamo Cesarismo.
Una medaglia rappresentante un imperatore con questa leggenda: Divus Caesar, imperator et summus pontifex: il divo Cesare, imperatore e sommo pontefice, ecco il Cesarismo.  
Di fatto, il Cesarismo è la riunione della sovranità temporale e della sovranità spirituale in mano dell'uomo, si chiami popolo, senato, imperatore o re. In diritto, è la dottrina che pretende di fondare un ordine di cose sopra una tal base.  
In questo sistema, l’uomo sociale, emancipato dalla tutela delle leggi divine, regna senza controllo sulle anime e sui corpi. La sua ragione è la regola del vero, la sua volontà è la fonte del diritto. Lo scopo supremo della sua politica è la prosperità materiale, senza relazione alcuna con la prosperità morale.
I futuri destini dell'umanità non entrano punto nei suoi computi: per lui la religione non è che uno strumento di regno: egli l'ha in mano e la governa come qualunque altro ramo della pubblica amministrazione, mediante sacerdoti che sono suoi funzionari ed agenti. Finchè il suo interesse lo richiede e dentro i limiti in cui lo richiede, la fa rispettare; altrimenti l'abbandona ed anche la perseguita. Purchè rassodino la sicurezza del godimento, contenendo il popolo nel dovere, tutte le religioni, per quanto siano contraddittorie, sono buone ai suoi occhi: le protegge tutte senza aver fede in nessuna.  
La medesima supremazia anche nell'ordine sociale. Tutto viene dall'uomo, all'uomo ritorna tutto. È l'uomo che, mediante un contratto da lui steso, da lui sottoscritto, fondò le società. Crea e delega il potere col diritto di ripigliarlo, commisura a ciascuno la libertà, fa la proprietà; costituisce la famiglia; dà l'educazione; governa le fortune: nulla sfugge alla sua sovranità.
Come ognun vede, il Cesarismo, abbozzato nelle sue grandi linee, è l'apoteosi sociale dell'uomo. In linea di principio, è la promulgazione dei diritti dell'uomo contro i diritti di Dio; e, di fatto, il dispotismo innalzato all'ultima sua potenza. Tale fu il sistema che resse il mondo antico.
Questo sistema ebbe inizio quel giorno in cui l'uomo, con un atto solenne di ribellione, proclamando la propria indipendenza, divenne a sè medesimo il proprio dio: eritis sicut dii, secondo il detto profondo del sacro testo. Invece di governare sè e di governare le creature a norma dei divini voleri, governò tutte le cose secondo gli arbitrari suoi voleri. Lo stato sociale, fondato sopra un'audace ribellione, ne fu il castigo: schiavitù uguale non si aggravò mai sopra il mondo. Sotto i diversi nomi di Popolo e di Cesare l'uomo la impose e vi soggiacque a vicenda.  
Lasciando di esaminare se i pagani ammettessero o no, in teoria, l'origine divina del potere, egli è certo che, nella pratica generale, si attenevano pel no. Al principio tutte le loro storie ci rappresentano l'uomo sotto nome di popolo, come fonte dell'autorità, operante pel proprio interesse e non per l'interesse della divinità. Non già per praticare più perfettamente la legge di Dio, ma per satisfare più agevolmente ai proprii desideri e per meglio provvedere a sue necessità instituisce società. Se gli dèi –– e quali dèi! intervengono, non è che pura formalità; la religione non è un fine, ma un mezzo di governare. Sparta, Atene, Roma, le altre repubbliche dell'antichità classica  non muovono da diverso principio, non hanno altra regola di condotta [1]. Ivi, come principio, ogni cosa s'inchina non davanti alla maestà degli dei, ma davanti alla maestà del popolo. In quanto re, il popolo fa le leggi, crea i magistrati, i senati, gl'imperatori: li giudica, gli assolve o li condanna. In quanto pontefice, interpreta a suo senno la legge naturale, di cui conserva alcuni frammenti; instituisce sacerdozi, adotta e fabbrica dei, stabilisce feste, prescrive riti, ordina sacrifici e sceglie le vittime; dà, toglie, divide la proprietà; regola i matrimoni, proscrive oppure comanda la poligamia e il divorzio. S'impossessa del fanciullo appena nato, gli lascia o gli toglie la vita, lo alimenta per proprio conto, e lo educa a proprio profitto; in breve, sotto il nome di Popolo, l'uomo ribellato s'arroga tutti i diritti di Dio e li esercita senza alcun controllo.
Tale fu, finchè sussistettero le repubbliche, il ferreo giogo che pesò su quelle città famose che una mendace educazione e bieca ci rappresenta, da quattro secoli a questa parte, siccome il tipo della perfezione sociale ed il paradiso della libertà.
Col tempo, le nazionalità del mondo antico vanno a perdersi nell'impero fondato da Romolo. Allora il popolo romano, signore di tutti i popoli, diviene per eccellenza il Popolo-Re che presto personifica sè stesso in un uomo chiamato il divo Cesare. A quest'uomo individuale si trasferiscono tutti i diritti, tutte le prerogative religiose e sociali dell'uomo collettivo o del popolo, cioè del popolo romano e insieme degli altri popoli di cui questi è il dominatore e l'erede.  Re, pontefice e dio, Cesare regna sovranamente sul mondo. Re e pontefice, fa nell'ordine sociale e religioso tutto quello che faceva il popolo, egli è la legge viva e suprema: questa legge obbliga gli altri, ma non lui. Come dio, si attribuisce i titoli e le prerogative della divinità; parla della propria eternità e dei suoi divini orecchi [2]. Da vivo, si fa offrire sacrifici, e condanna all'estremo supplizio coloro che ricusano di parteciparvi; da morto, ha templi ed altari [3].  
Un ordine di cose si stabilisce sul domma dell'onnipotenza e della divinità di Cesare. Se non che se un tempo si adorava il popolo, ora si adora il divus Imperator. La maestà di quello si tramuta nella maestà di questo [4]. Mentre gli antichi legisti dicevano: «Ogni volontà del popolo è legge», i giuristi imperiali dicono: «Ogni volontà di Cesare è legge: quidquid placuit principi legis habet vigorem [5]».
Questo assioma, divenuto così famoso, è la base legale del Cesarismo: esso promulga l'apoteosi dell'uomo, principio fondamentale a cui devesi sempre risalire se vuolsi fare un giusto concetto della storia religiosa e sociale dell'antichità pagana, come pure del tempo moderno, condotto dalla rivoluzione a promulgare il medesimo dogma.
Questo punto importantissimo richiede prove e schiarimenti; e noi li attingeremo alla storia.  
Allorchè Augusto, vincitore dei suoi rivali, rientrò in Roma dopo la battaglia di Filippi, i poeti, il dì innanzi suoi nemici e dopo suoi adoratori, furono i primi ad incensarlo: il senato che lo avrebbe condannato alle gemonie se fosse stato vinto, lo acclamò padre e salvatore della patria, ed il popolo, le cui urla avrebbero accompagnato al supplizio l'antico triunviro, gli fece omaggio, nè basta: chè fecegli anche gèttito della propria libertà. In favore di lui si spogliò di tutti i suoi diritti civili e politici di qualunque natura; ed in cambio non domandò al nuovo suo padrone che piaceri e la pace per goder dei piaceri: panem et circenses. Questo trasferimento dell'onnipotenza religiosa e sociale si fece mediante la Legge Regia [6], che ha avuto tanta celebrità nella storia del diritto romano.  
In virtù di cotal legge, Cesare succede in tutti i diritti del senato e del popolo. Nell'ordine politico, egli è il capo supremo delle forze di terra e di mare: ha il supremo governo della Repubblica col diritto assoluto di pace e di guerra, a livello amministrativo è console, console perpetuo, proconsole, proconsole perpetuo, senatore, capo del senato che convoca e discioglie, tribuno del popolo, e tribuno perpetuo. Nell'ordine civile e legislativo, egli è censore, è pretore. I suoi editti, i suoi decreti; i suoi pareri, le sue lettere, i suoi rescritti, le sue decisioni hanno forza di legge [7]. Così, nell'ordine sociale, Cesare ha in mano il potere in tutti i gradi, sotto tutti i nomi e sotto tutte le forme.  
Lo stesso avviene nell'ordine religioso. Egli è sacerdote, è augure, è sommo pontefice, capo assoluto di tutti i sacerdozi e di tutte le religioni. «I Cesari, dice il giureconsulto Gravina, ben compresero che la pienezza della civile potestà sfuggirebbe loro di mano se anche non vi aggiungessero la pienezza della potestà religiosa e se, investendo sè medesimi del sommo pontificato, non divenivano arbitri supremi delle cose divine, dalle quali tutte le umane sono rette e governate. Laonde, per avere in propria balìa tutte le umane cose, non presero solamente nè l'augurato nè il quindicemvirato, che erano i due maggiori sacerdozi; ma, ad esempio d'Augusto, assunsero il sommo pontificato; in virtù del qual diritto, comandavano a tutti i pontefici, ed a tutti gli altri sacerdozi, decidendo sovranamente della religione, delle cerimonie, dei riti e del culto degli dèi; ed interpretando il diritto religioso in tutto ciò che vi ha di oscuro, e la loro interpretazione aveva forza di legge [8]».
Questo trasferimento di potestà avviene in favore di ogni nuovo Cesare: e gli imperatori mettono assai cura in far constare questo fatto principalissimo, facendolo incidere nelle loro medaglie, nelle quali si trova invariabilmente, da Augusto sino a Graziano, il titolo di divino, d'imperatore, di sommo pontefice, di console, di proconsole, di tribuno del popolo, e tutti quelli che proclamano l'assoluta loro potenza nell'ordine religioso e nell'ordine sociale.
Di tal fatta è la legge Regia [9] che costituisce la base dell'ordine sociale dell'antichità, ed il cui testo, alquanto prolisso, si riepiloga tutto intero nell'articolo seguente: «Tutto ciò che per uso della Repubblica, Cesare crederà essere conforme alla maestà delle divine ed umane cose, delle pubbliche e delle private, avrà egli il diritto e la potestà di farlo [10]».
È forse d'uopo il dire che l'abbrutimento delle anime, la snervatezza dei caratteri, l'universale degradazione, le rivoluzioni ognor rinascenti, le crudeltà e le lascivie più mostruose, furono gli effetti d'un sistema politico che, facendo di Nerone, di Caligola, di Domiziano  un dio, ne trasformava i pazzi capricci in leggi religiose e sociali obbligatorie in tutto l'impero?

CAPITOLO II.

Idea della politica cristiana

Abolizione della legge Regia. –– Divisione del potere. –– Parole del papa San Gelasio all'imperatore Anastasio. –– La politica cristiana seguita da Costantino, da Carlomagno, dai re cristiani. –– Esposizione che ne fa San Bernardo. –– San Tommaso. –– Sorgente del potere –– Origine e scopo delle società. –– Magnifico quadro della politica e della società cristiana che ne fa San Tommaso.
***
Da venti secoli l'uomo, schiavo dell'uomo, si agita nei ferri onde da sè medesimo si è inceppato. Iddio ha pietà del mondo: ed il suo Figliuolo discende dal cielo per rigenerare tutte le cose, sì l'ordine sociale come l'ordine religioso. Afferrando la legge Regia, Egli la lacera e ne appende i brani alla croce: poscia, a quel patto della più mostruosa schiavitù sostituisce il gran patto della libertà universale. Per inaugurare un nuovo monarcato ed una nuova politica, divide il potere [11]: a fianco di Cesare crea il pontefice: a Cesare lascia la potestà dei corpi, al pontefice dà il dominio delle anime. La società spirituale e la società temporale, unite senza confondersi non altrimenti che l'anima ed il corpo, cammineranno con passo sicuro nella via della loro perfezione. L'umana libertà è salva, perchè il dispotismo cesareo è reso per sempre impossibile.
Nella politica cristiana il potere, in luogo di salire dalla terra, discende dal cielo. Ministro di Dio, e non mandatario del popolo, Cesare cessa d'essere autonomo per divenire il primo suddito delle leggi divine. Il pontefice, rivestito dell'infallibilità di Dio stesso, conservane le leggi, le interpreta, le promulga; e se è d'uopo Cesare, mettendo la spada a servizio dello spirito, le fa eseguire.
Mentre che nel Cesarismo non si contano per nulla i futuri destini dell'uomo; mentrechè la materiale prosperità è lo scopo supremo della politica e la religione non altro che uno strumento di regno, nella politica cristiana, i futuri destini dell'uomo sono il perno delle costituzioni; la prosperità morale, lo scopo supremo della politica, e la religione il fine ulteriore a cui si riferisce l'intero ordine sociale. In breve, mentre il Cesarismo è la promulgazione dei diritti dell'uomo, la politica cristiana è la promulgazione dei diritti di Dio.
Laonde il Cesarismo non è che la rivoluzione, poichè colloca in alto quello che giacer dovrebbe in basso; e deprime al basso quello che dovrebbe essere posto in alto: la politica cristiana invece non è che l'ordine, poichè mette ciascuna cosa a suo luogo, in alto cioè quello che debba stare in alto, ed in basso quello che debba stare in basso.  
Nella stessa guisa che la semente deposta in un terreno fecondo ben presto si svolge con vegetazione vigorosa, la divina parola, che contiene tutta la politica cristiana: Rendete a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio, dà origine ad una nuova società piena d'avvenire e di energia.
Al cospetto dei tribunali e negli anfiteatri, sotto le zanne dei leoni ed in mezzo ai roghi, gli apostoli ed i martiri, dicendo agli imperatori ed ai loro carnefici: Non possiamo, non possumus, rivelano l'esistenza di questa giovane società e ne rassodano i fondamenti.
I Cesari dovranno allora spogliarsi della loro divinità, ed i loro orecchi udiranno ben presto proprio dalla voce dei pontefici l'esposizione del gran codice della libertà umana. «Avvi due cose, Augusto imperatore, da cui questo mondo è governato: l'autorità sacra del pontefice e la potestà di Cesare. L'autorità dei vescovi tanto più è formidabile in quanto che debbono render conto a Dio, nell'estremo giudizio, anche della salvezza dei re. Non ignorate che, quantunque la vostra dignità v'innalzi sopra gli altri uomini, dovete però piegare umilmente il capo davanti ai pontefici, incaricati della dispensazione delle divine cose, e che dovete essere loro sottomessi in ciò che concerne l'ordine della religione e l'amministrazione dei santi misteri. Sapete che in tutte queste cose dipendete dal loro giudizio e che non avete diritto di assoggettarli ai vostri voleri. In tutto ciò che si attiene all'ordine pubblico, questi stessi vescovi alle vostre leggi obbediscono; e voi, a vostra volta, dovete obbedir loro in tutto ciò che concerne le cose sante di cui sono i dispensatori [12]».
Fra le parole del pontefice cristiano ed i discorsi dei flamini dell'antica Roma a Cesare vi ha distanza infinita. Il gran patto dell'ordine e della libertà che hanno ricevuto in deposito, i papi lo trasmettono, per serie non interrotta, ai propri successori: i Padri della Chiesa ed i dottori lo spiegano ai popoli ed ai re; ed esso diviene la base del diritto pubblico.
Nel concilio Niceno, Costantino vi rende omaggio con queste nobili parole: «Iddio vi ha fatto suoi pontefici, dice egli ai vescovi; e vi ha dato la potestà di giudicare i nostri popoli e noi medesimi. È dunque giusto che ci sottomettiamo ai vostri giudizi e non già che pretendiamo di essere giudici vostri. Iddio vi ha costituiti per essere come nostri dèi; e come gli dèi potrebbero essere dagli uomini giudicati? [13]».   
Riconosciuto solennemente da Carlomagno e dai suoi successori all'impero, il gran patto della libertà è già popolare nel secolo XI.   
L'illustre fondatore di Chiaravalle, San Bernardo, scrivendo a Corrado re dei Romani, gli espone in queste parole il concetto della politica cristiana: «Iddio solo, dice egli, è propriamente sovrano. Il Figliuolo di Dio fatto uomo è stato investito da suo Padre di questa sovrana potestà. Fra gli uomini non vi ha potere o diritto di comandare, se non derivante da Dio e dal suo Verbo. Il Figliuolo di Dio fatto uomo, Gesù Cristo, è ad un tempo sommo pontefice e re sovrano. Nella propria persona e perciò nella sua Chiesa Egli riunisce e il sacerdozio e la regia autorità.
«Ma il sacerdozio è uno, come uno è Dio, come una è la Fede, una la Chiesa, una l'umanità. L'autorità regia è molteplice come le nazioni: essa è divisa in re diversi ed indipendenti gli uni dagli altri. Ma queste così diverse nazioni in cui si divide l'umanità, sono ricondotte all'unità umana ed all'unità divina mediante l'unità della fede cristiana, mediante l'unità della Cattolica Chiesa, e mediante l'unità del suo sacerdozio.
«Il dovere, l'onore, la prerogativa del primo re cristiano, qual è l'imperatore, è di essere il braccio destro, la spada della cristianità per difendere tutto il corpo e specialmente il capo, e secondarne l'influenza civilizzatrice al di dentro ed al di fuori [14]».
Dalle labbra dell'abate di Chiaravalle questa dottrina passa su quelle dei più grandi teologi. Nel suo opuscolo De regimine principum, San Tommaso spiega in tal modo l'organizzazione cristiana delle società:
«Il fine della comunità, dice egli, è il medesimo di quello degl'individui. Ora, se chiedete ad un cristiano: Per qual fine Iddio vi ha creato e messo al mondo? ei risponde: Iddio mi ha creato e messo al mondo per conoscerlo, per amarlo, per servirlo e con questo mezzo giungere alla vita eterna che è il mio fine.
«Interrogata sul medesimo punto ogni comunità cristiana deve dare la medesima risposta: niun'altra può sostenersi [15].»  
Partendo da questo principio, luminoso come il sole, il dottore angelico svolge magnificamente le leggi che reggono l'ordine sociale fondato dal cristianesimo, i doveri reciproci dei re e dei sudditi, come pure le relazioni dei regni temporali col regno di Gesù Cristo che è la Chiesa: l'ordine e l'armonia paiono qui fluire dalla penna dell'ammirabile filosofo.  
Per San Tommaso, ciascun regno particolare è una nave fornita del suo equipaggio e di tutti i suoi attrezzi. Il re ne è il nocchiero. Lanciata in alto mare la nave veleggia verso il porto: tal porto è il fine per cui il regno è stato creato. Con la sua consueta lucidezza San Tommaso prova che cotal fine non è nè può essere l'opulenza, nè i piaceri, ma soltanto l'acquisto della virtù; ed anche questa non ha oggetto se non conduce al possedimento del Sommo bene che è Dio stesso [16].
«Ora, soggiunge l'illustre teologo, se l'uomo potesse con le naturali sue forze pervenire a questo fine ulteriore, spetterebbe al re il condurvelo; poichè nell'ordine umano, essendo il re il superiore più elevato, a lui solo spetterebbe di dirigere al fine supremo tutto ciò che è sotto a lui. Così in tutte le cose vediamo che colui che presiede al fine e all'uso d'una cosa, dirige coloro che preparano i mezzi acconci per giungere a questo fine: l'uomo di mare dirige il costruttore di navi, l'architetto dirige il muratore, il capo delle armi l'armaiolo.
«Ma non potendo l'uomo pervenire con virtù puramente umane al proprio fine, che è il possedimento di Dio, ne risulta che il condurvelo debba essere opera di una direzione divina e non già umana. Il Re cui appartiene questa direzione suprema è Colui che non è soltanto uomo, ma Dio nel tempo stesso, nostro Signore Gesù Cristo, che facendo gli uomini figliuoli di Dio li conduce al regno celeste.  
«Ed affinché le cose temporali e le spirituali non si confondessero insieme, questa suprema direzione è stata commessa non ai re, ma ai sacerdoti, e specialmente al Sommo Sacerdote, al successore di San Pietro, Vicario di Gesù Cristo, romano Pontefice, al quale tutti i re del popolo cristiano debbono essere sommessi come al figliuolo stesso di Dio. Tale è l'ordine: il meno si riferisce al più, l’inferiore è sottomesso al superiore, e tutti pervengono al loro fine [17].
Per vedere in un'immagine sensibile questa bella e profonda esposizione della politica cristiana, vuolsi dunque considerare ciascun regno come una nave di cui il re è il nocchiero, e tutti i regni cristiani riuniti come una grande squadra, ciascun legno della quale, per giungere al porto, debba attenersi al vascello ammiraglio che è il regno visibile di Gesù Cristo cioè la Chiesa, di cui il sommo Pontefice è il nocchiero. Ciascun pilota, per quanto sia padrone sulla propria nave, non è indipendente. Per serbar l'ordine, ei deve sempre manovrare a norma dei segnali dell'ammiraglio, in modo da dirigere la propria nave verso il termine finale della navigazione. Laonde ciascun re è obbligato di provvedere alla salute eterna del suo popolo, sia ordinando ciò che può procacciarla, sia vietando ciò che può impedirla: ed è proprio il sommo pontefice a fargli conoscere l'una cosa e l'altra; nella guisa stessa che l'ammiraglio dà ordini ai capitani e dirige la squadra [18].  
In somma il Verbo eterno da cui l'universo è stato creato e per cui sussiste, è la legge, la via, la verità, la vita e perciò stesso il re sovrano delle nazioni. Col farsi uomo, ha unito e subordinato nella sua persona la terra al cielo, l'umanità alla divinità. Quanto si è compito nel Dio-Uomo, si compirà proporzionalmente in tutte le creature. Tutto dev'essere assoggettato a Cristo; e, mediante Cristo a Dio suo Padre. Tale è la gran legge della rigenerazione umana ed il fine della creazione.  
Questa grande subordinazione sarà consumata, come dice l'Apostolo, allorchè, dopo aver distrutto ogni principato, ogni potestà, ogni forza, Cristo sottometterà sè stesso, col suo regno, a Colui che gli avrà sottomessa ogni cosa, sì che Dio sia tutto in tutti [19].
Di che risulta che l'universo è una vasta teocrazia che si forma nel tempo per compiersi nell'eternità [20].
Questo magnifico principio è la base della politica cristiana? Lo vedremo nei capitoli seguenti.
Intanto la luminosa esposizione di San Tommaso mostra tutta la differenza che corre tra il Cesarismo ovvero l'ordine sociale pagano e l'ordine sociale cristiano.  
Il primo dice: La società è un fatto umano.
Il secondo afferma: La società è un fatto divino.     
Il primo: Pontefice e re tutt'insieme, l'uomo ovvero Cesare regna da padrone assoluto sui corpi e sulle anime, senza dipendere da nessuno.
Il secondo: Cesare non ha il dominio delle anime: ed anche nell'ordine temporale è sottomesso alle leggi divine, delle quali il sommo Pontefice è conservatore ed interprete.
Il primo: Niun potere che possa o debba controbilanciare il potere di Cesare: franchigie, libertà, distinzioni, educazione, proprietà, tutto deve venire da lui, dipendere da lui, riferirsi a lui.
Il secondo: Sommissione di Cesare al Pontefice: rispetto alla libertà di tutti, alle franchigie, ai titoli, ai diritti acquisiti.
Il primo: La religione è uno strumento di regno.
Il secondo: La religione è lo scopo dei regni ed il fine degl'imperi.  
Il primo: La Chiesa è nello Stato come la serva nella famiglia.
Il secondo: Lo Stato è nella Chiesa come il figlio nelle braccia della propria madre.
Il primo: Mio supremo dovere è di procurare ai popoli la maggior quantità di godimenti possibili, senza riguardo al loro ultimo fine.  
Il secondo: Mio dovere è di far poco pei piaceri dei popoli, molto pei loro bisogni, tutto per la loro virtù, al fine di condurli al possedimento eterno del sommo bene.
Tali sono, a grandi linee, i due sistemi sociali che si dividono la durata dei secoli: l'opposizione tra il giorno e la notte non è più perfetta. Da essi sono uscite due diverse civiltà: la civiltà pagana, ovvero il culto sociale dell'uomo con la forza bruta per regola, la schiavitù per base, il sensualismo per scopo, la poesia, la pittura, la scultura, la musica, le feste, i teatri, tutte le arti corrotte e corruttrici per conseguenza, i delitti, gli sconvolgimenti, e la degradazione per risultato.
La civiltà cristiana, ossia il culto sociale di Dio, con la verità per regola, la libertà per base, l'emancipazione dello spirito per fine, tutte le arti santificate e santificatrici per sequela; la virtù, la pace, ed il vero progresso per risultamento. 
I nostri avi, semplici ed ingenui, scelsero il sistema cristiano. Una rapida occhiata sulla loro storia ci mostrerà i benefizi che ne ritrassero, come pure ci farà vedere l'idea sublime che avevano della politica e della regia autorità.

CESARISMO
POLITICA CRISTIANA
La società è un fatto umano.La società è un fatto divino.
Pontefice e re tutt'insieme, l'uomo ovvero Cesare regna da padrone assoluto sui corpi e sulle anime, senza dipendere da nessuno.  Cesare non ha il dominio delle anime: ed anche nell'ordine temporale è sottomesso alle leggi divine, delle quali il sommo Pontefice è conservatore ed interprete.
Nessun potere che possa o debba controbilanciare il potere di Cesare: franchigie, libertà, distinzioni, educazione, proprietà, tutto deve venire da lui, dipendere da lui, riferirsi a lui. Sottomissione di Cesare al Pontefice: rispetto della libertà di tutti, delle franchigie, dei titoli, dei diritti acquisiti.
La religione è uno strumento di regno. La religione è lo scopo dei regni ed il fine degl'imperi.
La Chiesa è nello Stato come la serva nella famiglia. Lo Stato è nella Chiesa come il figlio nelle braccia della propria madre.
Mio supremo dovere è di procurare ai popoli la maggior quantità di godimenti possibili, senza riguardo al loro ultimo fine.Mio dovere è di far poco pei piaceri dei popoli, molto pei loro bisogni, tutto per la loro virtù, al fine di condurli al possedimento eterno del sommo bene.

[Traduzione italiana di G. Buttafuoco, vol. IV, parte VI, Milano 1857.]

NOTE:

[1] Nelle repubbliche classiche e specialmente a Roma, ogni potestà religiosa, civile e sociale, viene originariamente dal popolo. «I re, dice Terrasson, nominati dal popolo, furono i primi ministri della religione, e stabilirono a piacer loro le feste, il culto di ciascun dio, come pure le cerimonie che si dovevano osservare nei sacrifici. Il re, dice la legge quarta del codice Papiriano, presiederà ai sacrifici e deciderà delle cerimonie che vi saranno osservate».  Lo stesso codice, nella legge quindicesima, aggiunge: «Il popolo si eleggerà dei magistrati; farà plebisciti (che avevano forza di legge); finalmente, non si intraprenderà nessuna guerra e non si concluderà nessuna pace contro il suo parere».
«Il console Valerio Publicola volle che i littori abbassassero i fasci consolari alla presenza del popolo convocato: la sua maestà, teneva vece di quella dei re. Lo stesso console fece decretare una legge per la quale nessun cittadino poteva essere giudicato in ultima istanza, se non mediante una sentenza delle Curie; ed ogni colpevole condannato poteva appellare al popolo. (Terrasson, Storia della giurisprudenza romana, p. 26, 75)»
Così legislatore, pontefice, re, magistrato, corte d'appello e di cassazione, il popolo era tutto questo. Quello che avveniva a Roma, avveniva nella Grecia, donde Roma aveva tratto le sue costituzioni e le sue leggi.
[2] Aeternitas tua... Diocletianus maximus, aeternus, imperator... ad divinas nostras aures fama quaedam pervenit. Decret., Diocl. apud Bolland. Act. S. Georg. 25 aprile, ecc. 
[3] «I Cesari pagani, dice l’autore della Storia universale della Chiesa, erano insiememente dèi, sommi pontefici ed imperatori. Plinio condanna all'estremo supplizio i cristiani di Bitinia, perché ricusavano d'offrire sacrifici all'immagine di Traiano. Adriano fa un dio del suo compagno di lascivie. Antonino e Marc'Aurelio hanno in mogli vere prostitute. In luogo di reprimere il loro libertinaggio, ne ricompensano i complici: morte, ne fanno le dee tutelari degli sposi, consacrano loro templi e pontefici, ed obbligano le giovani spose ad offrire loro sacrifici.
I cesari pagani erano anche la legge viva e suprema. La loro volontà aveva forza di legge: questa legge obbligava gli altri ma non già essi. Signori del diritto, o più veramente, essendo essi medesimi il diritto principale, erano padroni di tutto, della proprietà come di qualunque altra cosa: nulla rimaneva ad altrui che pel loro beneplacito. Non v'era posto per l'indipendenza di alcun re, di alcun popolo.
Se ne vede un saggio nell'imperatore Caligola. L'idea pagana del Cesare pagano si attuò tutta intera nella persona di lui. Egli stesso si dichiarò dio, si dedicò un tempio, pontefici e sacrifici. Morta sua sorella Drusilla, con la quale aveva commesso più d'un incesto, ne fece una dea, e giurava pubblicamente per la sua divinità: Quando gliene veniva talento, mandava a dire al tale, o al tal altro senatore si guardasse bene dal toccare la propria moglie, stantechè l'imperatore si degnava di prenderla per propria. Allorchè ebbe condotto il romano esercito attraverso le Gallie, fin sulle rive dell'Oceano, per raccogliere conchiglie, scrisse ai suoi intendenti di Roma di preparargli un trionfo, di cui non si fosse mai veduto l'uguale; poiché essi avevano diritto sui beni di tutti gli uomini (Quando in omnium hominum bona jus haberent Suet., in Calig.). Ricordatevi, diceva alla sua avola, che mi è permesso tutto e verso tutti (Memento omnis mihi et in omnes licere. Id. ibid.). Nè si contentava di dirlo solamente: infatti, avendo dato a Napoli lo spettacolo d'una battaglia navale, fece gettare gli spettatori in mare. Piacesse agli dei, esclamò egli altra volta, che il popolo romano non avesse che una sola testa! (Utinam populus romanus unam cervicem haberet. Id. ibid.) Ciò era per avere il diletto di abbatterla d'un sol colpo (Storia universale della Chiesa, t. XVIII , p. 1 e 2.)».
[4] Dicebatur populi romani majestas... verso jure populi ad principes, majestas imperatoria dici coepit. Lorry, Instit. exposit., t. I; p. 49, ediz. in-12.
[5] Huc usque unicum legum auctorem in civitate Romana agnovimus, populum nempe, idque tam sub regibus, quam constante republica. Postquam Augustus rerum potitus fuit, populus lege Regia, quae de ejus imperio lata est, ei et in eum, omnem suam potestatem transtulit, atque exinde quidquid principi placuit legis habuit vigorem. Id., ibid., p. 9.
[6] Veggasi questa legge in Gravina, ecc:., e in Terrasson, p. 241.
[7] Gravina, De ortu et progressu juris civil., c. IV, p.68.
[8] Potestatem civilem omnem, principes tuto se minime sperabant retenturos nisi etiam religione muniissent, susceptoque pontificatu maximo, arripuissent potestatem rerum divinarum, quibus humana omnia obligantur atque volvuntur. Igitur, ut per divina in arbitrium suum humana omnia redigerent, imperatores non solum auguratum, et quindecemviratum sacrorum, quae majora sacerdotia erant; sed, Augusti exemplo, ipsum susceperunt pontificatum maximum, quo jure pontificibus aliis ac sacerdotiis omnibus imperabant, de sacris, ceremoniis et ritibus, omnique deorum cultu non edicta proponebant modo, sed et faciebant leges, et obscurum quod esset in jure sacro interpretatione pandebant.Gravina, De ortu et progressu juris civil., c. VII, p. 8.
[9] Nella sua Storia della giurisprudenza romana, Terrasson riassume in tal modo quella famosa legge Regia che serve di base all'ordine sociale nell'antichità: «Tutta la potestà religiosa, politica, legislativa e civile, in una parola, l'onnipotenza in tutte le cose e sopra tutte le cose di cui essi fruiscono, popolo e senato trasferirono in Cesare, allorchè la Repubblica divenne Impero. Ciò fecesi in virtù della legge Regia, di cui Ulpiano così discorre: «Il beneplacito del principe ha forza di legge, in virtù della legge regia promulgata sul suo impero, per la quale il popolo gli conferisce e trasfonde in lui tutto il suo impero e la sua potestà» (Quod principi placuit legis habet vigorem; utpote cum lege Regia, quae de imperio ejus lata est, populus ei et in eum omne suum imperium et potestatem conferat. Lib. I, Princip., § de Constit. princip.)
Al succedere di ciascun imperatore si rinnovano tutte le disposizioni di questa legge. (p. 241)
[10] Quaecumque ex usu reipubicae, majestati divinarum, humanarum, publicarum privatarumque rerum esse censebit, ei agere jus potestasque sit. Grav., p. 22.
[11] Veggasi Gerlache, Studii sopra Sallustio, prefazione.
[12] Epist. VII; S. Gelas, S. P., ad Anastas. imper.
[13] Euseb. Vit. Const., lib. III, cap. 27.
[14] Epist. 244 Ad Conrad. reg. Rom., oper., t. I, p. 514. Ediz. nuovissima analizzata da Rohrbacher, p. 422, t. XV.
[15] Lib. II, cap. XIV.
[16] Quia homo vivendo secundum virtutem, ad ulteriorem finem ordinatur, qui consistit in fruitione divina, oportet eamdem finem esse multituidinis humanae, qui est hominis unius. Non est ergo ultimus finis multitudinis congregatae vivere secundum virtutem, sed per virtuosam vitam pervenire ad fruitionem divinam. De reg. princip., lib. II, c. XIV.
[17] Hujus ergo regni ministerium, ut a terrenis essent spiritualia distincta, non terrenis regibus, sed sacerdotibus est commissum et praecipue summo sacerdoti, successori Petri, Christi vicario, Romano pontifici, cui omnes reges populi christiani oportet esse subditos, sicut ipsi Domino nostro Jesu Christo. Sic enim ei ad quem finis ultimi cura pertinet, subditi esse debent illi, ad quos pertinet cura antecedentium finium, et ejus imperio dirigi. Id., lib. I, cap. XIV.
[18] Quia igitur vitae, qua in praesenti bene vivimus, finis est beatitudo coelestis, ad regis officium pertinet ea ratione vitam multitudinis bonam procurare, secundum quod congruit ad coelestem beatitudinem consequendam, ul scilicet ea praecipiat, quae ad coelestem beatitudinem ducunt; et eorum contraria secundum quod fuerit possibile, interdicat. Quae autem sit ad veram beatitudinem via, et quae sint impedimenta ejus, ex lege divina cognoscitur, cujus doctrina pertinet ad sacerdotum officium. Id., lib. I, cap. XIV.
[19] 1Cor. 15.
[20] Storia universale della Chiesa, t. XIX, p. 391, prima edizione.