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La tradizione non è un passato qualsiasi la cui conservazione sarebbe opportuna doverosa; è un deposito della Fede, che come tale non muta nei suoi principi e valori; e tuttavia vive nel tempo, e questo, a sua volta, è, concretamente, i tempi, le circostanze, la storia.
Negli anni di Nostro Signore i Giudei credevano che la loro tradizione fosse il giudaismo, che invece si formò storicamente dopo il ritorno dall'esilio, e si sclerotizzò in una serie di minute inutili regole. La predicazione di Cristo e la lettura che ne fece san Paolo recuperano alcuni pochi assunti della tradizione biblica arcaica – il peccato originale, la figura di Abramo come padre della Fede – ma superano il giudaismo storico, e danno inizio a una religione del tutto nuova, eppure fedele alla tradizione. Lo strumento di diffusione della Fede è, con Paolo, la cultura divulgata occidentale, che si esprime in greco come lingua veicolare, e in latino come lingua ufficiale dei cittadini romani quale era l’Apostolo. Si suppone che anche i riti, fin dalle origini, fossero, nell'essenziale, quelli che tuttora si celebrano: commento al Vangelo, Consacrazione, recita del Padre Nostro; e compiuti da una gerarchia sacerdotale a sua volta consacrata.
Quando l’Occidente, con san Girolamo, lasciò il greco per il latino, ciò non venne inteso se non come un adattamento della tradizione, non una frattura. E così quando il Concilio di Trento e san Pio V stabilirono regole universali del rito.
L’uso delle lingue nazionali in luogo del latino nei riti, deciso dal Vaticano II, potrebbe essere un adattamento ai tempi e non una frattura, come quando il latino sostituì il greco; e ciò sarebbe secondo tradizione. Quello che invece ne è fuori è lo stile.
Già, il punto non è che un rito sacro venga celebrato in aramaico, greco o latino o in qualsiasi altra lingua anche moderna: è che sia un rito, perciò sottratto alle ovvie incertezze delle banale veicolazione linguistica quotidiana. Per capirci meglio, un sacerdote sull’altare non può usare lo stesso registro linguistico dello stesso sacerdote quando chiacchiera di banalità o quando discute di calcio; il che è perfettamente lecito, però non è sacro.
Il Padre Nostro in italiano, recitato come si legge nei Vangeli, ha la stessa sacralità e la stessa valenza spirituale del Pater Noster in latino; non è così delle belle frasette coniate dal celebrante secondo i suoi gusti o la sua formazione letteraria, e non solo durante la predica, ma nel momento più solenne della Messa. Celebrante, non presidente come se la Messa la dicessimo tutti assieme: il che non è, se un sacerdote può celebrare una Messa valida senza fedeli, e i fedeli non possono celebrare una Messa valida senza sacerdote. Ecco un esempio di come il linguaggio sbagliato può produrre effetti sbagliati di ben più seria gravità.
Ci vorrebbero dunque due piccoli ritorni alla tradizione: lo stile alto, e il divieto di variare il Messale. 

Ulderico Nisticò (http://radiospada.org/)