Qualche giorno fa durante l’udienza generale Bergoglio ha rievocato una storia fondamentale da ricordare ovvero la storia della chiesa cattolica in Giappone.
Il messaggio cristiano è presente in sol levante dalla metà del ‘500 quando il gesuita Francisco Javier iniziò l’opera di evangelizzazione di quei luoghi lontani.
Dal 1548 al 1590 la comunità cattolica giapponese cresce tanto da portare la prima delegazione gesuita interamente giapponese in un viaggio nel cuore della cristianità europea.
Il crescente incontro del popolo giapponese con il messaggio di Cristo non poteva non inquietare lo shogun Tokugawa Leyasu che vedeva spodestata la propria autorità di fronte ad un trono ben più alto ed eterno di quello temporale.
Il cristianesimo entra in clandestinità con centinaia di migliaia di fedeli nel 1614, l’anno in cui viene svolta l’ultima processone a Nagasaki prima della distruzione delle 11 chiese .
La repressione non si fermerà all’abbattimento delle chiese ma proseguirà con la persecuzione fisica dei fedeli. Il divieto di professare il culto provocherà una serie di rivolte, come quella di Shimbara guidata dal giovanissimo samurai Shiro Amakusa ma animata soprattutto dai contadini, il che iconograficamente la rende una sorta di Vandea giapponese. Una rivolta repressa nel sangue, conclusa con un assedio e la decapitazione dei rivoltosi ( comprese donne e bambini ) presso il castello di Horu. La spiaggia riempita di migliaia di pali con migliaia di teste conficcate a monito verso tentazioni cattoliche future è una immagine infernale del martirio dimenticato di questi lontani difensori della fede.
I cristiani di Giappone quindi si sono visti costretti ad entrare in clandestinità. Una sorta di cristianità nascosta , priva di organizzazione ufficiale, senza chiese e comunicante attraverso codici non riconoscibili ai “profani”. La vita cristiana proseguiva nelle comunità attraverso un custode designato dei testi sacri, un annunciatore che visitava le famiglie per annunciare le domeniche e le feste. Catechismo e battesimi
avvengono regolarmente. Il tutto lontano dalla guida della Santa Sede dato che la popolazione giapponese dal 1641 vive blindata e privata di ogni contatto con soggetti provenienti dall’estero.
Si deve attendere fino al 1853 per la forzatura del blocco doganale e con essa anche per il ritorno di missionari Europei. A partire dal 1871 con il riconoscimento delle comunità cristiane durante la restaurazione Meiji vengono riedificate chiese e luoghi per il culto.
Il peso di questi lungi 250 anni di cristianità nascosta sopravvissuta nelle pura fede senza la guida e l’organizzazione di diocesi e strutture ecclesiastiche organizzate è eccezionale dal punto di vista della potenza della fede stessa ed è la dimostrazione di come nulla si possa di fronte la verità . Come il messaggio di Cristo è sopravvissuto senza guida in Giappone, cosi sopravvivrà anche ora nonostante le divisioni e il timone traballante della barca di Pietro.
Il messaggio cristiano è presente in sol levante dalla metà del ‘500 quando il gesuita Francisco Javier iniziò l’opera di evangelizzazione di quei luoghi lontani.
Dal 1548 al 1590 la comunità cattolica giapponese cresce tanto da portare la prima delegazione gesuita interamente giapponese in un viaggio nel cuore della cristianità europea.
Il crescente incontro del popolo giapponese con il messaggio di Cristo non poteva non inquietare lo shogun Tokugawa Leyasu che vedeva spodestata la propria autorità di fronte ad un trono ben più alto ed eterno di quello temporale.
Il cristianesimo entra in clandestinità con centinaia di migliaia di fedeli nel 1614, l’anno in cui viene svolta l’ultima processone a Nagasaki prima della distruzione delle 11 chiese .
La repressione non si fermerà all’abbattimento delle chiese ma proseguirà con la persecuzione fisica dei fedeli. Il divieto di professare il culto provocherà una serie di rivolte, come quella di Shimbara guidata dal giovanissimo samurai Shiro Amakusa ma animata soprattutto dai contadini, il che iconograficamente la rende una sorta di Vandea giapponese. Una rivolta repressa nel sangue, conclusa con un assedio e la decapitazione dei rivoltosi ( comprese donne e bambini ) presso il castello di Horu. La spiaggia riempita di migliaia di pali con migliaia di teste conficcate a monito verso tentazioni cattoliche future è una immagine infernale del martirio dimenticato di questi lontani difensori della fede.
I cristiani di Giappone quindi si sono visti costretti ad entrare in clandestinità. Una sorta di cristianità nascosta , priva di organizzazione ufficiale, senza chiese e comunicante attraverso codici non riconoscibili ai “profani”. La vita cristiana proseguiva nelle comunità attraverso un custode designato dei testi sacri, un annunciatore che visitava le famiglie per annunciare le domeniche e le feste. Catechismo e battesimi
avvengono regolarmente. Il tutto lontano dalla guida della Santa Sede dato che la popolazione giapponese dal 1641 vive blindata e privata di ogni contatto con soggetti provenienti dall’estero.
Si deve attendere fino al 1853 per la forzatura del blocco doganale e con essa anche per il ritorno di missionari Europei. A partire dal 1871 con il riconoscimento delle comunità cristiane durante la restaurazione Meiji vengono riedificate chiese e luoghi per il culto.
Il peso di questi lungi 250 anni di cristianità nascosta sopravvissuta nelle pura fede senza la guida e l’organizzazione di diocesi e strutture ecclesiastiche organizzate è eccezionale dal punto di vista della potenza della fede stessa ed è la dimostrazione di come nulla si possa di fronte la verità . Come il messaggio di Cristo è sopravvissuto senza guida in Giappone, cosi sopravvivrà anche ora nonostante le divisioni e il timone traballante della barca di Pietro.
Federico Franzin (http://radiospada.org/)