venerdì 31 gennaio 2014

Conte Clemente Solaro della Margarita: DIRITTO DIVINO E SOVRANITA' DEL POPOLO.

 

Conte Clemente Solaro della Margarita.





LEZIONI DI POLITICA
raccolte fra le sue principali opere

CAPITOLO VI. DIRITTO DIVINO E SOVRANITA' DEL POPOLO


I. [...] Facoltà creatrice non é nell'uomo; se l'arroga; le società vanno a soqquadro. Nell'ordine materiale, altro non hanno fatto gli uomini che scoprire ed usufruttuare cose esistenti e preordinate a loro servizio. Nell'ordine morale non hanno che riconosciuto ed usufruttuato i principii della legge eterna; quando da questa si dipartono trovano menzogna e danno: essa regge sola i destini del mondo; patti non fondati sopra di lei non potevano farsi.
II. Non gettò il Signore l'umana specie sul globo abbandonata a se stessa, tal che gli uomini avessero a scegliere fra la società e lo stato d'individuale indipendenza. L'uomo era libero, ma posto in società con Dio, e con la compagna che gli aveva data nell'Eden. Rotte le leggi di quel primordiale consorzio, ne ebbe danno, e si trovò sottoposto ai mali, alle passioni, alle miserie dell'intelletto e del cuore; i delitti inondarono la terra, seguì il diluvio, e il mondo fu ridotto ad una sola famiglia.
III. Qui si manifesta la storia delle umane società; i figli di Noè popolarono la terra, e i capi delle prime famiglie furono i primi principi, cui soggiogò il più forte. Nemrod estese la sua autorità su molte genti. Traccia di patto non abbiamo: non é pur supponibile. Gli uomini si assoggettano alla possanza, ma questa non ammette mai condizioni a lei ripugnanti: tal prestigio é in lei che attrae i deboli per il beneficio di protezione, i forti per riverenza a maggior forza: tutti per il bisogno ingenito d'obbedire a chi può comandare, e comanda: tal bisogno é un dovere, é base dell'economia generale del mondo, é conforme all'idea creatrice.
Iddio signor dell'universo; i sovrani signori della terra; i padri signori delle loro famiglie; la legge del primo governa gli uni e gli altri: chi la trasgredisce si ribella a Dio medesimo. Quella comanda la soggezione ai sudditi; a Lui si ribellano ribellandosi ai loro sovrani; soggezione ai figli; a Lui si ribella chi non rispetta i genitori. La legge divina vuol quiete le famiglie, quieti gli Stati, la concordia fra questi, la pace nel mondo. Questa deduzione di principi é logica, é conforme alla ragione; non trovasi in essa luogo per il patto sociale né per la sovranità del popolo; se le società non sono che grandi famiglie, tanto vale il dire che la moltitudine degli individui che le compongono é sovrana, quanto l'affermare che l'autorità nelle case private risiede nei figli e nei servi, e non nel padre e capo delle medesime.
IV. La corrotta natura, l'umano orgoglio non consentono con questi principi: si volle dare una base fittizia al consorzio degli uomini; ne è conseguenza il disordine. Il principio d'autorità che emana da Dio, costituisce il diritto divino; se si considera emanato dall'uomo diviene un diritto di ribellione contro la volontà di Lui, che solo poteva dire: "Ego Dominus" . Non s'avvedono codesti falsi politici, che negando la suprema autorità dell'Ente creatore ad una si assoggettano indegna dell'umana eccellenza. L'uomo che obbedisce al sovrano perché tiene da Dio il potere, può saviamente andar fiero di obbedire a colui cui serve il mondo: ma se obbedisce al sovrano perché da altri uomini ebbe l'autorità , si fa servo e degrada se stesso.
V. La dottrina che ogni autorità deriva da Dio, la professarono perfino i pagani, e non fu posta in dubbio prima del XVI secolo di nostra era.
"Sit igitur persuasum civibus dominos esse omnium rerum ac moderatores Deos: eaque quae gerantur, eorum geri ditione ac nomine", così il romano filosofo (Cic. "De legib." , lib.II, n.VII). Terenzio parlando all'imperatore diceva: "Tibi summum rerum judicium Dii dederunt, subditis obsequii gloria relicta est" (Tacit. "Annal.", lib. VI). E Plinio a Trajano: "Principem dat Deus, qui erga omne hominum genus vice sua fugantur" ("Panegyr. Trai"). Hobbes il primo sognò il patto sociale; Spinosa e Locke lo seguirono nel pessimo intento di sconvolgere ogni principio religioso e politico. Puffendorf, Burlamaqui e quasi tutti i pubblicisti protestanti ammisero il patto sociale, non curando che fosse scoperta recente. Essi non tennero conto né di Tertulliano, il quale disse: "Colimus imperatorem, ut hominem a Deo secundum, et quidquid est a Deo consecutum et solo Deo minorem" (Tert. lib. "ad Scap."); né di S.Agostino che così scriveva: "Non tribuamus dandi regni atque imperii potestatem nisi vero Deo" ("De civit. Dei"), né di tanti altri dottori che avevano la stessa verità dichiarata. Spedalieri non seguiva le tracce dei sofisti, pur non ebbe il coraggio di ritornare all'antica dottrina; dubitò del patto sociale (p.13) in quanto al fatto, lo riconobbe in diritto (nel "Saggio teoretico di diritto naturale" del P.Taparelli, é stupendamente confutato). Montesquieu aveva troppo interesse di adulare il secolo; addottò l'errore. Rousseau dai sogni de' suoi predecessori trasse conseguenze più assurde e scellerate, erigendo in dogma la sovranità del popolo: applicata, sul fine del secolo scorso, tal dottrina in Francia orrendamente la sconvolse. Neker non é autore sospetto; servì magistralmente la rivoluzione, visto però le teorie alle prove, scrisse nelle sue memorie: "Rien n'est plus id‚ al que la souveraineté‚ du peuple". Ma é un ideale che priva del ben positivo, cui solo può provvedere la legge divina.
VII. Io non m'inchino all'opinione di Beccaria, ove dice: "Non é da sperarsi alcun vantaggio durevole dalla politica morale se ella non é fondata sui sentimenti indelebili dell'uomo" (Dei delitti e delle pene, 2). Nulla si deve fondare unicamente sul sentire dell'uomo: dacché decadde, i suoi sentimenti sono tutti intralciati dalle passioni; come sgombrarli dalla pania che li vela? quanto si fa per lo uomo, si fondi sui principi della legge divina; essi soltanto sono certi e palesi. E' pure stravolgere l'idea che aver si deve della giustizia, il non intendere per essa "che il vincolo necessario per tenere uniti gl'interessi particolari, che senza esso si scioglierebbero nell'antico stato d'insociabilità" (Dei delitti e delle pene, 2). Gli uomini, anche considerati nello stato di natura, hanno dei doveri cui non possono mancare. La costante e perpetua volontà di dare a ciascheduno il suo, quale si dichiara essere la giustizia secondo il diritto romano (Instit. lib.1, tit.1), non mi arride; questa definizione non comprende che la ferma risoluzione dell'uomo d'essere giusto, cioè di applicare la giustizia; la quale, io mi avventuro a definire, é quella virtù essenziale, per cui si venera e compie la volontà dell'Essere supremo. Qualunque atto se ne allontani, sia pur consentito da intere nazioni, non é secondo giustizia, non potendo questa sussistere in opposizione a quella suprema volontà. [...]
VIII. [...] Coloro che ammesso il patto sociale sostengono la sovranità del popolo, cadono nell'assurdo; come può questo averla, se nell'atto d'esercitarla si dichiara suddito? sudditi sovrani; sovrani senza sudditi; sono idee che ripugnano; il popolo non avrebbe impero che sopra se stesso, e lo perderebbe sottomettendosi all'autorità. L'obbedienza a questa é legge di natura; né v'ha più falso principio di quello di Rousseau, quando dice che la sovranità é l'esercizio della volontà generale. Se la sudditanza all'autorità deriva dalla legge naturale non é possibile un patto; ciò che é dovere non ha bisogno di essere consentito: manca la base razionale onde supporre il patto sociale e la sovranità del popolo; manca in fatto la prova che abbiano esistito mai. Le tradizioni, la storia, le opinioni di tutti i savii dal principio del mondo fino ai due ultimi secoli protestano contro l'erroneo principio; ed a fronte del diritto divino, su cui non può cadere dubbio, che rimane del contratto sociale?
X. Nelle monarchie riceve il sovrano da Dio, non dal predecessore, al momento che questo spira, il potere. E' morto il re viva il re, si rispondeva in Francia; il re non muore mai. Se quelle sono elettive, l'eletto riceve autorità da Dio; l'elezione fatta secondo le leggi é il modo di riconoscerla, non la conferisce.
Nelle repubbliche i magistrati che le reggono hanno da Dio il potere; la moltitudine può sceglierli, non dar loro mai l'autorità: come la darebbe non avendola essa? deriva questa dalla legge di natura, che comanda di rettamente provvedere al bene della società, non dalla indefinibile volontà dei membri della medesima. Oh quanto é provvida ogni disposizione che dalla ragione eterna emana!
L'usurpatore che ingiustamente l'autorità possiede, compiuto il fatto, ha il diritto e il dovere d'esercitarla; ciò vuole il vantaggio della società, né possono i sudditi sottrarvisi in quanto concerne il bene e la conservazione della medesima, lo possono in quanto tendesse a mantenere l'usurpazione: autorità ingiusta non ha diritto ad essere difesa. Il diritto divino provvede alla sicurezza degli umani consorzi, non sanziona mai le violenze
XI. Santa é la legittimità, ma Dio ne é il padrone, la trasferisce a piacer suo; cessa in faccia a Lui ogni diritto, quando condanna una famiglia sovrana a scendere dal trono. Toglie ciò che aveva dato. Scellerati i re Cananei, ma erano ben loro quelle terre da essi possedute, finché il Signore disse a Mosé: "Destrue eos". Rigettato Saulo non fu unto re d'Israele Gionata, ma Davide. Dubitar non possiamo della giustizia di Dio: in questi fatti con la brevità di nostra vista non vediamo che la sua volontà, ma questa e quella sono una cosa sola. Più non parla in quel modo Iddio; non lice a noi d'interpretare a piacer nostro i suoi decreti; il dovere di obbedire all'autorità che da lui deriva é certo; si segua. Sa ben egli dar prova di sua volontà quando giunge il tempo. Tali eventi succedono allora che confondono i disegni degli uomini; vi concorrono coll'opera loro da quella volontà guidati, e forza é che vi si prostrino e la confessino. Persino i delitti de' popoli divengono strumenti della sua giustizia.
(Avvedimenti politici, cap. II, pagg.10-22)
IX. Il Re deve riconoscere da Dio lo scettro [...] Se tale é l'animo d'un buon Principe moltissimo importa, che al salire al trono i suoi primi atti ne rendano convinti i sudditi.[...] potrà dispiacere a coloro che sono avversi alla religione, ma sarà di gran conforto a quanti considerando il Sovrano come rappresentante del Re del cielo, tanto più a lui si mostreranno devoti, quanto più lo vedranno pio e religioso calpestando il rispetto umano, miserabile pianta che anche nelle Reggie attecchisce e ne offusca lo splendore. [...]
(ritrovare da dove é tratto)