Il martire nel linguaggio cristiano è la persona che ha reso testimonianza a Cristo con il sangue; martirio si ha nella testimonianza spontaneamente resa alla verità del Cristianesimo mediante la morte o le sofferenze subite esclusivamente in odio alla religione. Gesù nel suo grande discorso per la missione degli Apostoli (Mt 10) dice: «io vi mando come pecore in mezzo ai lupi» (v. 16) e preannuncia (v. 17): «Guardatevi dagli uomini perché essi vi faranno comparire nei tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe» (v. 18) «e sarete condotti per causa mia davanti ai governatori e ai re, per rendermi testimonianza davanti a loro e davanti ai gentili». Al momento del processo non debbono preoccuparsi né del modo di parlare né di che cosa dire, perché lo Spirito del Padre parlerà in loro (v. 20). Il tempo in cui tutto questo accadrà è il tempo escatologico, in cui «il fratello metterà a morte il fratello e il padre il figlio e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. E sarete odiati da tutti per causa del mio nome; ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvo» (vv. 21. 22)[1]: «Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni» (ITm 6,12).
La coscienza della gloria dell'onore cristiano genera il sentimento della dignità cristiana stessa e dell'onore medesimo. Già in Israele la fedeltà a Dio si tinge di un senso religioso dell'onore. Il comandamento divino è la gloria di Israele (Sal 119, 5 s); l'idolatria è il suo supremo decadimento, come il suo supremo peccato: allora Israele «baratta la sua gloria con l'idolo» (Sal 106, 20)[2]. Con la temporanea vittoria del modernismo in alcuni ambienti che si dicono di Chiesa, ma che in realtà non lo sono affatto (sono anti-chiesa, cf. 1Gv 2,18), purtroppo la gloria di Dio è stata evidentemente barattata con l'idolatria attinta anche dall'«umanesimo», questo a grave danno della fede dei semplici (cf. Mt 18,6), ovvero la «celebrazione dell'uomo e di tutto l'umano, intesa come riconoscimento e difesa del suo primato nell'universo e nella storia»[3].
La parola di Dio nella Chiesa «nel rivelarsi illumina, dona saggezza ai semplici» (Sal 118,130), mentre il ciancio della «generazione perversa e degenere» (Fil 2,15) traghetta gli uomini nell'errore (cf. Ef 4,14); incarna lo spirito dell'anticristo chi non riconosce Gesù; egli «non viene da Dio» (1Gv 4,3) come chi sovverte dietro parvenza di nuova intelligenza la «coscienza della gloria dell'onore cristiano». Questa nuova forma di idolatria può essere individuata- parlando oggi di martirio- in espressioni oltremisura oltraggiose: «[...] tutti i poveri del mondo, siano essi battezzati o meno, appartengono alla Chiesa. La loro povertà e sofferenza è il loro battesimo di sangue»[4].
Il nome cristiano è una gloria (1Piet 4,15 s). Secondo s. Giovanni, proprio la ricerca dell'onore mondano ha precluso a più d'uno l'accesso alla fede (Gv 5,44; 12,43). Gesù stesso ha aperto la via al senso cristiano dell'onore. Indifferente alla gloria degli uomini (5,41), «disprezzò l'infamia della croce» (Ebr 12, 2). Il suo unico onore era di compiere la sua missione, «non ricercando la propria gloria», ma «la gloria di Colui che l'ha mandato» (Gv 7, 18), rimettendosi per il suo onore al Padre solo (8, 50. 54)[5].
Mons. Spadafora ci parla[6] di «martirio come di testimonianza, al quale è connesso talvolta secondariamente il senso di sofferenza (cruenta o no) subita a motivo della testimonianza stessa». Si possono distinguere varie testimonianze:
1) quella del Padre, che di fronte alla umanità accredita il Figlio con un'azione interna in ciascun individuo (cioè col dono della fede: Gv 5, 37 s.; 6, 44 ss.) e per mezzo di Lui (Gv 5, 36; 14, 10 ecc.); anche lo Spirito Santo, i Profeti e le Scritture in genere, in particolare il Battista, testimoniano della vita e dottrina di Gesù (Gv 5, 33.39-45; 15, 26; At 10, 43);
2) quella di Gesù stesso «testimonio fedele e verace» (Ap 3, 14), a riguardo del Padre e della dottrina sua, resa con la predicazione e i miracoli davanti agli Apostoli, al popolo ed alle autorità giudaiche, al governatore romano (Gv 18, 37; I Tim 6, 13: qui affiora l'idea di testimonianza data con l'accettazione cosciente della morte violenta);
3) ma soprattutto quella degli Apostoli, espressamente stabiliti da Gesù testimoni qualificati della sua risurrezione e in genere del suo insegnamento, con la prospettiva delle persecuzioni spinte fino alla morte (Mt 10, 17-31; Lc 24, 46 ss.; Gv 15, 20 ss. 27; At l, 8; 10, 41 ss. ecc.); essi si mostrano consapevoli di questo loro dovere e lo adempiono coraggiosamente (Gv 19, 35; 21, 24; At 1, 21 s.; 2, 32; 5, 29-32; 10, 39-42; IGv 1, 1 ss. ecc.), dando nello stesso tempo a Dio ed a Cristo la "testimonianza" del più grande amore (Gv 15, 13); l'affermazione di questi testimoni diretti ha evidentemente grandissimo valore storico e apologetico.
Nel Vecchio Testamento i «martiri» soffrivano pur di mantenere fede all'Alleanza ed alle promesse fatte a Dio (Ebr 11,1-12); erano eroi nella fedeltà alla legge di Dio (IIMac 6, 18-31; 7,1-41); il «martire» non si vende per trenta denari, non tradisce il «sangue innocente»; il mercante d'Israele invece pattuisce il prezzo del venduto, «prezzo di sangue» (cf. Mt 27,8 s.); il mercante si prostituisce (cf. Mich 1,7) per idolatria ed anche per vana gloria. Nei servi fedeli, invece, «come Dio ci ha trovati degni di affidarci il vangelo così lo predichiamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori» (1Ts 2,4).
Sant'Agostino ammonisce[7] gli increduli: «Tra gli increduli occorre poi annoverare anche quei tali di cui parla l'Apostolo quando afferma: Tutti cercano il proprio tornaconto, non gli interessi di Gesù Cristo. Di loro, in un altro passo, l'Apostolo dice che predicano la parola di Dio non per amore di verità ma cercando pretesti, con animo non casto, non mossi cioè da carità pura e sincera. Questi tali avevano in cuore sentimenti (visibili in foro esterno, NdR) contrastanti con quel che predicavano. Predicavano infatti il nome santo (del Signore) ma per piacere agli uomini, al segno che parlando di loro l'Apostolo dice ancora: Costoro non servono Dio ma il loro ventre». Se la predicazione dell'incredulo si scosta addirittura dalla regola della fede (Tradizione o Depositum fidei), il Santo di Ippona dice «Se fossero giunti a tanto, l'Apostolo li avrebbe scomunicati con le parole: Se qualcuno vi annunziasse un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema. Chi infatti predica un vangelo falsificato non annunzia Cristo, che è la verità».
Menzogna (cf. Gv 8,44) e Verità (cf. Gv 14,6) sono incompatibili, pertanto bisogna amare Colui che è «la via, la verità e la vita», ed avere terrore dei menzogneri, «non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna» (Mt 10,28).
La «testimonianza» continua nella Chiesa da parte dei successori degli Apostoli e dei discepoli di Cristo fino alla fine dei tempi; essi devono per «mandato» (cf. Mc 16,15) trasmettere fedelmente la dottrina di Gesù anche a costo della vita (Ap 6, 9 ss.; 11, 3-12; 17, 6; 20, 4); questa è la condizione indispensabile per essere riconosciuti da Gesù davanti al Padre (cf. Mt 10, 32). Non c'è trasmissione della dottrina, non c'è «testimonianza» e non può esserci «martirio», non c'è adempimento al «mandato» se non secondo la Chiesa e nella fede in Gesù; la Scrittura non può essere «usata» se non secondo il principio di «convergenza dei Padri»[8], mediante il ricorso per l'appunto alla Tradizione:
«Conoscete ancora, Venerabili Fratelli, altre mostruosità di errori ed altre frodi, con cui i figli del secolo acerbamente impugnano la divina autorità e le leggi della Chiesa, per conculcare insieme i diritti della potestà civile e di quella sacra. A questo mirano inique macchinazioni contro questa Romana Cattedra del Beatissimo Pietro, nella quale Cristo pose l’inespugnabile fondamento della sua Chiesa. A questo mirano altresì quelle sette segrete che occultamente sorsero dalle tenebre per corrompere gli ordini civili e religiosi, e che dai Romani Pontefici Nostri Predecessori più volte furono condannate con lettere apostoliche che Noi, con la pienezza della Nostra Potestà Apostolica, confermiamo e ordiniamo che siano diligentissimamente osservate. Questo vogliono le scaltrissime società Bibliche [attualmente proliferano come mortali batteri nella «chiesa conciliare» dietro pretesti di «nuove intelligenze», NdR] mentre, rinnovando le vecchie arti degli eretici, senza badare a spese non si peritano di spargere fra gli uomini anche più rozzi i libri delle divine Scritture, volgarizzati contro le santissime regole della Chiesa e sovente corrotti con perverse spiegazioni, affinché, abbandonate la divina tradizione, la dottrina dei Padri e l’autorità della Chiesa cattolica, tutti interpretino la parola del Signore secondo il loro privato giudizio e, guastandone il senso, cadano in errori gravissimi»[9].
Aggiunge l'Enciclopedia Cattolica[10], ultima degna di tal nome ed oggi ben nascosta in magazzini e cantine di molte diocesi usurpate, se non addirittura cestinata durante la «nuova Pentecoste» conciliare: Il martirio nel tempo escatologico è intimamente legato a Gesù stesso. «Per causa mia sarete condotti davanti ai governatori e ai re», «per causa del mio nome sarete odiati da tutti». «Tutti» vuol dire, secondo le chiare parole di Gesù, giudei e gentili, che avversano dall’inizio la predicazione cristiana. Questa ostilità, che termina in atti di violenza contro gli assertori della verità evangelica, è in se stessa una rivelazione di quello che è l’uomo di fronte a Gesù: essa fa scoprire i più intimi sentimenti dei giudei ed elleni riguardo alla rivelazione di Dio stesso. D’altra parte la testimonianza resa pubblicamente dai discepoli di Gesù rivela anche la presenza dello Spirito Santo in loro. Così negli ultimi tempi saranno manifesti «gli uomini» nei giudei e gentili, mentre lo Spirito Santo sarà manifesto nei martiri.
La testimonianza fa parte del concetto di martire e questa deve essere pubblica. Chi avrà riconosciuto Gesù davanti agli uomini, sarà riconosciuto dal Figliuol dell’uomo dinanzi agli angeli di Dio (cf. Lc 12,8). Il martirio non si esaurisce nel fatto che il martire soffre per la causa di Cristo. Distingue la morte del martire dalla morte del soldato il fatto che quest’ultimo soffre per un uomo (o una causa umana), il martire invece per il «Figliuol dell’uomo», il quale con la sua propria morte ha iniziata la creazione di un mondo futuro, trascendente le cause umane. La testimonianza del martire presuppone la testimonianza di colui che era «nato e venuto al mondo per rendere testimonianza alla verità» (Gv 18,37). Il discepolo soffre come il Maestro o meglio ancora con il Maestro, perché si trova nella stessa situazione escatologica, nella quale la parola «verità» significa la rivelazione di Dio stesso. «Battezzati nella morte di Gesù», «innestati alla somiglianza di lui» (Rom 6,3. 5) che paragona la propria morte a un Battesimo (Lc 12,50, onde il termine: «Battesimo del sangue») e bevendo il calice della morte del Signore non abbiamo altra uscita che rammentare (ICor 11,26) la morte del Signore. Non si può appartenere alla Chiesa senza aver parte anche alla Passione di Gesù. Non possono tutti diventare martiri, perché il martirio è solo uno dei carismi nella Chiesa, ma tutti devono seguire il Signore nella Passione. Non è una analogia fortuita, se i «santi», che sono passati per mortificazioni e sofferenze, vengono paragonati ai martiri. Il principio di ogni ascesi cristiana è quello della mortificatio Christi «che portiamo sempre attorno nel corpo nostro» (IICor 4,10). Paragonare «santità » ed «ascesi» con il martirio, non è dunque arbitrario. Nel discorso per la missione degli Apostoli (Mt 10) Gesù stesso mise accanto ai martiri coloro che prendono la loro croce e lo seguono (v. 38). [10]
Prosegue l'Enciclopedia Cattolica[11]: Nel martire si manifesta lo Spirito Santo negli ultimi tempi, specialmente nella parola della sua testimonianza, che raggiunge il suo apice nella professione della frase christianus sum. E questa la ragione perché il racconto dei martiri ha il suo centro nelle parole enunziate dal martire nell’interrogatorio giudiziale. Ma d’altra parte l’inabitazione dello Spirito Santo nel martire eleva anche il suo corpo a una dignità, che farà di esso una reliquia sacra. Come Gesù dopo la sua morte non rimase nella terra, ma fu elevato al cielo, così anche il martire gode del privilegio, che lo distingue dagli altri fedeli, di salire direttamente al Paradiso. È comprensibile che il martire diventi in questo modo un intercessore per i fedeli. […] è molto significativo che gli Ebrei non conoscano la categoria dei martiri; quelli che presso di loro hanno sofferto per le usanze della legge sono qualificati come « giusti». Il significato specifico connesso con la parola «rendere testimonianza» non si spiega con i presupposti generali della religione giudaica, ma con la situazione escatologica, che fa della «testimonianza non soltanto un atto di accusa contro i persecutori (testimonianza a carico), ma anche la rivelazione di una realtà nuova. E' vero che le parole del testimone della verità hanno una importanza straordinaria, ma voler limitare il senso del martirio alla sola confessio, significa chiudere gli occhi davanti alla realtà, che il nuovo mondo non si realizza per parole, e siano anche parole dello Spirito Santo, ma per la morte di Gesù e di coloro che l’hanno seguito nella effusione del sangue». […] nella Chiesa antica il nome di martire è diventato sempre di più il titolo privilegiato di coloro che sono morti per Gesù […] La Chiesa è dunque […] anche nella sempre nuova vocazione di confessori e martiri, la Chiesa apostolica.
Si capisce perché secondo la fede cattolica, nella sola povertà (secondo lo spirito del mondo) non c'è alcun martirio (v. Cantalamessa), come non c'è nella sola sofferenza (secondo lo spirito del mondo) alcun martirio (v. Madre Teresa).
Sono da biasimare coloro che tacciono la Verità per altri vari motivi, così sant'Agostino[12]: «nel Vangelo si legge che molti fra i più ragguardevoli Giudei credettero in Cristo ma si rifiutavano di confessarlo pubblicamente per non essere cacciati dalle sinagoghe. Anche costoro vengono biasimati e condannati e, parlando di loro nel seguito del racconto, l'Evangelista dice: Essi amarono la gloria degli uomini più che non la gloria di Dio. Ecco dunque che vengono disapprovati tanto coloro che non credono alla verità che predicano quanto gli altri che non diffondono la verità in cui credono. Chi allora meriterà il nome di servo veramente fedele, se non colui a cui si dirà: Avanti, servo buono e fedele! sei stato fedele nel poco, ti darò autorità sul molto; entra nel gaudio del tuo padrone? Un servo di tal sorta non parla se non quando ha creduto né tace di ciò che forma l'oggetto della sua fede, per cui non gli succede di dare agli altri delle cose di cui lui stesso è sprovvisto né di venir privato delle cose che aveva per non averle erogate [agli altri]. Sta infatti scritto: A chi ha sarà dato, mentre a chi non ha sarà tolto anche quello che ha».
Il Casali ci parla[13] della «testimonianza del martirio»: Gesù aveva predetto la persecuzione e la morte cui i suoi seguaci sarebbero andati incontro. Infatti ancor prima della conversione di Saulo, il Diacono Stefano, lapidato a Gerusalemme apre la schiera dei confessori di Cristo che continua ininterrotta nei secoli: dagli Apostoli (i quali tutti subirono il martirio compreso S. Giovanni che fu messo in una caldaia di olio bollente da cui uscì miracolosamente illeso) fino oggi, a Maria Goretti, a Pierluigi Chanel, ai Missionari e ai semplici fedeli della Cina, della Russia, e di ogni parte del mondo. Già gli imperatori romani volevano soffocare nel sangue la Religione di Cristo e invece, come diceva Tertulliano il sangue dei martiri era semenza di nuovi cristiani. Hanno fatto martiri il giudaismo, il paganesimo, lo scisma, l’eresia, la massoneria, il comunismo, ed ogni altro genere di vizi. Non c’è stata epoca che non abbia visto la Chiesa imporporata dalla testimonianza del sangue. Tutta la Tradizione ha considerato il martirio come una prova del cristianesimo. Considerato in tutti i suoi elementi, non si può spiegare, infatti, senza un intervento di Dio e perciò è senz’altro un miracolo morale col quale viene confermata la divinità del Cristianesimo. Abbiamo detto: «in tutti i suoi elementi» perchè ci sono pure uomini che hanno dato la vita per nobili ideali, quali l’amor di patria, l’amore della verità, della libertà, ecc. Ma il numero di questi non è nemmeno da mettersi in confronto con la schiera interminabile di eroi cristiani, numerosissimi in ogni tempo. E tra questi elementi sono da considerarsi:
1) - LA QUALITÀ DELLE PERSONE che subivano il martirio. Non solo erano giovani coraggiosi e robusti, ma timide donne e perfino bambine e bambini; erano vecchi, erano persone di qualunque età e condizione. Erano mamme che lasciavano la creatura appena nata, come Vibia Perpetua; che esortava gli stessi figli a sostenere i tormenti, cui assistevano impavide, per subire tante volte il martirio nel cuore prima che nel corpo come S. Felicita, madre di sette Martiri, sotto Marco Aurelio; o che ponevano il figlio ancora agonizzante, sul carro degli altri martiri già volati al cielo come la mamma di S. Melitone.
2) - LA FACILITÀ DI LIBERARSI. Molte volte sarebbe bastata una parola di rinnegazione per esser lasciati liberi, un granello d’incenso gettato nel tripode dei falsi dèi. Avevano le promesse, le lusinghe più allettanti, l’offerta di tutti i piaceri e gli onori del mondo. E veder giovanette rinunziare alla mano di nobili personaggi, per conservare la loro purezza e fede in Cristo, come Agnese, Dorotea, e mille e mille altre.
3) - L’ASSENZA DI OGNI FORMA DI GLORIA. Non era la gloria di eroi che cercavano; molte volte venivano condannati a turme oscuramente: nessuno nemmeno avrebbe conosciuto il loro nome: e andavano cantando, gioiosi solo di sapere che il loro nome era scritto in cielo.
4) - SENZA ALCUN FANATISMO. Conoscevano le pene che li aspettavano e pregavano umilmente fiduciosi della forza che Dio loro avrebbe dato, ché da soli non ce la facevano, come S. Felicita che piange nel carcere per le doglie del figlio che deve nascere e, al custode che le domanda: «Come farai dinanzi alle belve tu, che piangi ora?», risponde: «Ora sono io che soffro, ma là ci sarà un altro in me, che soffrirà per me perché io andrò a soffrire per Lui!». (Dagli atti autentici del martirio di S. Perpetua e Felicita).
5) - L’IMMENSO AMORE verso Dio (1Gv 5,3: «perché in questo consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi»), per cui danno la vita, verso Gesù cui testimoniano la dottrina, verso i fratelli, cui danno il sacrificio e l’esempio, verso, i persecutori che amano, e per i quali pregano, fino a destarne il più grande stupore ed ammirazione.
6) - VIVA FEDE perché il corpo li chiamerebbe a risparmiarsi e a non soffrire, ma la visione della verità e la speranza del cielo fa loro superare i tormenti.
Tutti questi elementi ci fanno vedere il martire in una luce tutta particolare; il «fenomeno di uomini coscienti e liberi che sono morti per la fede Cristiana non è un fatto umano, ma suppone necessariamente l’intervento di una forza superiore»[14].
Radio Spada già aveva parlato[15] del Protomartire santo Stefano: S. Stefano fu lapidato secondo le usanze ebraiche, senza intercessione alcuna del governo romano, il che ci riporta all’anno di instabilità seguito alla deposizione di Pilato. S. Stefano era con tutta probabilità un ebreo dalla profonda cultura ellenistica, dotato di un’eccellente capacità oratoria, che ovviamente non era gradita ai farisei. Divenuto diacono si inimicò particolarmente un gruppo di ebrei liberti (discendenti di ebrei schiavizzati da Pompeo e successivamente liberati) che, con l’aiuto di diversi demagoghi, fecero portare S. Stefano di fronte al Sinedrio con l’accusa di aver “sobillato” contro la Legge mosaica. Il processo fu chiaramente una farsa, essendo lo stesso Sinedrio interessato a togliere di mezzo i più influenti seguaci di Cristo. Negli Atti S. Stefano ci lascia con un’ultima orazione; un’invettiva rivolta contro i sacerdoti che lo mandavano a morire per sete di potere: <<O gente testarda e pagana nel cuore e negli orecchi, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; voi che avete ricevuto la Legge per mano degli angeli e non l’avete osservata>>. A quel punto la vita terrena di Stefano non si prolungò per molto, fu infatti trascinato dai farisei in preda alla furia fuori le mura di Gerusalemme.
Gli stessi, i medesimi, mai cambiati: «O gente testarda e pagana nel cuore e negli orecchi, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo», «traditori e uccisori del Giusto» pertanto storicamente «deicidi», purtroppo secondo la già condannata dottrina del Concilio Vaticano II sono oggi divenuti «padri nella fede»; ai quali ci lega «uno specialissimo vincolo spirituale»; «profeti e patriarchi»; «stirpe di Abramo»; «degni della benedizione dell'Onnipotente»; ai quali si chiede «di pregare per me e per noi»; essi «non hanno bisogno di conoscere o riconoscere Cristo per salvarsi»; i «lapidatori» e «deicidi» ricevono augurio per la «guida spirituale delle loro comunità»; degni di auspicio «per la loro missione»; la Chiesa «non deve preoccuparsi per la loro conversione»; sono «una predica vivente»; «richiamano alla mente la Passione di Cristo» (ma non perché Lo hanno sputato, malmenato, umiliato e Crocifisso); saranno salvati «interamente»; Chiesa e «deicidi» hanno una «rispettiva missione» (dottrine di Ratzinger e di Bergoglio). E la dichiarazione «Nostra Aetate», secondo Wojtyla «il cui insegnamento esprime la fede della Chiesa», introduce un'Alleanza fantasiosamente mai disattesa così come conferma il documento (che secondo vari Vescovi sarebbe di anti-magistero) «Evangelii Gaudium». [*]
Sant'Agostino, Discorso n° 315 nella Festa del Martire Stefano: «Quanta, d'altra parte, la somiglianza della "passione" di Stefano con quella del suo Signore e suo Salvatore. Falsi testimoni contro costui così come contro di lui: proprio sullo stesso argomento. Sapete infatti e ricordate che dissero i falsi testimoni contro Cristo Signore: Noi lo abbiamo udito dire: distruggo questo tempio e in tre giorni ne edifico un altro nuovo. Non aveva detto esattamente così il Signore: ma la falsità volle essere vicina alla verità. Com'è che sono testimoni falsi? Ascoltarono dire: Distruggete questo tempio, e dopo tre giorni lo susciterò di nuovo. E l'evangelista dice: Ma egli parlava del tempio del suo Corpo. Testimoni falsi: in luogo di quel che fu detto: Distruggete, dissero: Distruggo. Poco cambiarono nelle sillabe, ma i testimoni falsi furono tanto più cattivi per quanto vollero avvicinarsi alla verità con la calunnia. Ed a costui che cosa venne opposto? Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno distruggerà questo luogo e sovvertirà la tradizione della Legge. Davano una falsa testimonianza e una profezia verace. Allo stesso modo quell'empio Caifa, loro maestro, principe dei sacerdoti, consigliando i Giudei a dare la morte a Cristo, questo disse: È meglio che muoia un solo uomo e non perisca la nazione intera. E l'Evangelista commentò: Non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote in quell'anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione. Che vuol dire questo, fratelli? Grande è la forza della verità. Gli uomini hanno in odio la verità, ma inconsciamente profetizzano la verità. Non sono essi ad operare, ma si opera per loro mezzo. Dunque, questi testimoni falsi si fecero avanti simili a quei testimoni falsi per i quali il Cristo fu ucciso. Quelli lo condussero davanti al Sinedrio per dare maggiore importanza al giudizio. Ma l'amico di Cristo, esposta la propria causa, annunziò la verità del suo Signore. Era vicino a morire: perché quella lingua pia doveva tacere davanti agli empi? Perché non doveva morire per la verità? Quanto alla somiglianza della passione, è dissimile dal suo Signore solo perché in Cristo comporta un mistero. Infatti egli è Dio per l'eccellenza della maestà. Il Signore, quando fu condotto alla passione, interrogato, preferì tacere; costui non tacque. Perché il Signore preferì tacere? Perché di lui era stato predetto: Come pecora fu condotto per essere immolato, e come agnello muto davanti al suo tosatore, così non aprì la sua bocca. Ma costui perché non volle tacere? Perché proprio dal Signore era stato detto: Quello che vi dico nelle tenebre, ditelo nella luce; e quello che ascoltate all'orecchio, ditelo sui tetti. Come predicò sui tetti santo Stefano? Calpestando la casa di fango, la carne. Infatti, chi non teme la morte, calpesta la carne».
Santo Stefano prega per noi.
Pubblicazione a cura di Carlo Di Pietro (clicca qui per leggere altri studi pubblicati)