Matteo Simonetti è un saggista marchigiano residente a Potenza Picena, autore di diversi volumi a carattere politico.
Nel 2005 pubblica “Stasera dirige Nietzsche” (sul rapporto tra musica e politica), nel 2006 – a quattro mani con il Senatore Magnalbò – dà alle stampe Per un manifesto della destra e infine Demonocrazia (2010), una critica di alcune degenerazioni dell’attuale ordine liberal-democratico.
L’A. stesso in quarta di copertina propone Hannah l’antisemita come un libro che “ponendosi al di là di ogni pregiudizio e militanza, cerca di riflettere sulla natura dell’antisemitismo e dell’ebraismo storico e culturale, senza preoccuparsi dell’impopolarità”.
La domanda di fondo dell’intero testo può essere così sintetizzata: se alcune accuse rivolte agli israeliti (attaccamento al denaro, modalità d’azione lobbistiche, “doppia fedeltà”, sionismo come nazionalismo razzista, generale disprezzo verso i “gentili”, carattere utopistico e rivoluzionario dell’azione politica) sono condivise e proposte da pensatori ebrei – o di origine ebraica - considerati “politicamente corretti”, per quale motivo chiunque altro intenda avanzare critiche affini viene bollato come antisemita? E, questione sottintesa: alla luce delle affermazioni di questi intellettuali, quanto c’è di vero in alcuni giudizi sull'ebraismo?