Il 7 dicembre dell'anno 1965 veniva promulga- con 2308 voti favorevoli, 70 contrari e 8 nulli- la dichiarazione «Dignitatis Humanae», secondo alcuni Vescovi e teologi oggi è certamente un giorno di lutto per la Chiesa.
La «Pascendi» del 08.09.1907 definisce il «modernismo» quale «sintesi di tutte le eresie», ma cerchiamo di capire di cosa si tratta, perché il Papa santo usa questa definizione e come nasce, appunto, questa condanna che può sembrare alquanto «generica». Cerchiamo quindi di dedicare almeno 30 minuti del nostro tempo per capire se siamo integralmente cattolici (cf. 2Tm 4,7), se siamo facilmente ingannabili (cf. Lc 21,8) o se siamo eterodossi (cf. Mc 13,22).
L'Enciclica di san Pio X «Pieni l'animo» del 28.07.1906 riafferma i concetti espressi nell'Enciclica «Il fermo proposito» (11.06.1905) e richiama i Vescovi d'Italia «ad una maggiore cautela e severità nella scelta di sacerdoti e predicatori». Il documento si rende necessario poiché, dice il Papa, «si avvertono inquietanti e malsani desideri di nuovi orientamenti in alcune pubblicazioni cattoliche». Difatti il «modernismo nasce dall'irrequietezza e bramosia di novità che sino ai pontificati di Gregorio XVI e Pio IX serpeggiavano in alcuni ambienti cattolici, specialmente in Francia, insofferenti della teologia scolastica»[1].
Genesi filosofica e preventive condanne della Chiesa: - contro l'agnosticismo di Immanuel Kant (1742-1804); - contro l'indifferentismo del Lamennais (1843); - contro il razionalismo di Hermes[2] (1835) e di Günther[3] (1857) che predicavano lo scetticismo e negavano la storicità di alcuni episodi del N.T.; - contro il tradizionalismo di Bautain[4] (1840) e Bonetty[5] (1855); - contro l'ontologismo ed il Frohschammer (1862); - contro il pensiero del teologo protestante John Henry Newman, poi convertitosi. Ecc … «sono le tappe dell'errore e i sintomi della tempesta che si addensava per la Chiesa»[6]. Già nel 1893 l'Enciclica «Provvidentissimus Deus» di papa Leone XIII ammetteva la legittimità degli studi biblici, tuttavia solo nello spirito della fede, contro le moderne derive degli intellettuali soprattutto eterodossi che, credendosi probabilmente ispirati più dei Padri (cf. 2Tm 4,3), pretendevano di restituire alla Bibbia una presunta autenticità storica, stravolgendone il messaggio e «rifiutando(si) di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole» (4).
Il volume «dall'Oglio»[7] riporta la nota 1 a pag. 572, in essa si legge che il sommo pontefice san Pio X volle esprimere la sua totale condanna con questo «primo monito solenne che parte dalla cattedra di Pietro» per contrastare quell'insieme di inquietudini che più appresso prenderà appunto il nome di «modernismo» e che «avrà la sua perentoria condanna nell'Enciclica Pascendi Dominici Gregis». Dall'Enciclica «Pieni l'animo»:
In ordine alla fondazione e direzione di fogli e periodici il clero deve fedelmente osservare quanto è prescritto nell'art. 42 della Costituzione Apostolica «Officiorum» (25 gennaio 1897): «Agli uomini del clero... è vietato, salvo il permesso degli Ordinari, assumere l'incarico di dirigere giornali o fogli periodici» … Similmente è da riprovare nelle pubblicazioni cattoliche ogni parlare, che ispirandosi a novità malsana, derida la pietà dei fedeli ed accenni a nuovi orientamenti della Chiesa, nuove aspirazioni dell'anima moderna, nuova vocazione sociale del clero, nuova civiltà cristiana, e simili.
Cosa riprova inoltre san Pio X nella «Pieni l'animo»?
Sono da riprovare: - «Ogni linguaggio, che possa ispirare nel popolo avversione alle classi superiori»; - L'atteggiamento di certi religiosi che vanno fra il popolo e «non manifestano il dovuto ossequio verso i superiori»; - Quel sacerdote che «non manifesta integro il suo augusto carattere di ministro di Dio»; - Quel sacerdote che opera in «qualsivoglia maniera … fra il popolo a scapito della dignità sacerdotale, con danno dei doveri e della disciplina ecclesiastica»[8]. Quanto detto ed altro «non potrebbe essere che altamente riprovato».
Il giorno 8 settembre dell'anno 1907, con la «Pascendi Dominici Gregis» la Chiesa definisce e sancisce perennemente la condanna al «modernismo»; san Pio X nel documento dimostra analiticamente «i pericoli degli errori moderni», tanto da lasciare di stucco gli stessi camaleontici «modernisti» per la sua attenta analisi; il «dall'Oglio»[9] riporta la nota 2 a pag. 577: «per la gravità del contenuto, per il momento in cui apparve, per le ripercussioni che ha suscitato nel mondo cattolico, questa Enciclica può ben dirsi il più importante documento del pontificato di papa san Pio X».
Dalla cattedra di Pietro viene scagliato l'anatema che impedisce, ed impedirà «a perpetua memoria», ai perniciosissimi «modernisti notori e reprobi» di vantare la loro appartenenza alla Chiesa cattolica, essi difatti «sono da ritenersi … secondo l'ordine di Dio … etnici e pubblicani»[10] poiché «quelli che son tra loro divisi per ragioni di fede o di governo, non possono vivere nell’unita di tale Corpo e per conseguenza neppure nel suo divino Spirito»[11].
San Pio X, con l'intenzione «di custodire intatto il Deposito della fede» e di salvaguardare le anime dei fedeli, ripudia le «profane parole» e le «opposizioni di una scienza di falso nome». Chi sono i destinatari dell'anatema? Secondo il Pontefice santo lo sono tutti gli «uomini di perverso parlare (At 10,30), cianciatori di vanità e seduttori (Tit 1,10), erranti e consiglieri agli altri di errore (2Tim 3, 13)», come personalmente credo e spero (pregando) di aver fatto notare meglio in altri studi.
La Chiesa già da tempo aveva rilevato che alcuni sacerdoti, laici, teologi, scrittori, ecc …, pur vivendo con fede fervente e pur essendo particolarmente intelligenti, tuttavia spesso sacrificavano la verità, quindi la loro «carità apparente» altro non era che talvolta «filantropia», altre volte «amore interessato», forse «vaneggiamento», ecc… ma comunque sempre atteggiamento «manco di carità» (cf. 1Cor 13,6), «per la qual cosa- dice il papa- non Ci è oggimai più lecito di tacere, seppur non vogliamo aver vista di mancare al dovere Nostro gravissimo».
Il «modernismo» viene bollato con marchio di infamia tuttavia differisce dalle più comuni e notorie eresie, questo perché mentre le seconde solitamente contraddicono visibilmente un dogma, il «modernismo» è da ritenersi un camaleontico «complesso di idee e atteggiamenti diversi per origine e significato, di un tentativo vasto e multiforme non senza l'influenza dell'immanentismo e del soggettivismo idealistico che mira, nel pensiero dei suoi rappresentanti, a conciliare la rinnovata cultura storica e le recenti esperienze sociali con il messaggio cristiano»[12].
Nel dicembre del 1954, il dotto scrittore ecclesiastico mons. Giuseppe Ricciotti, sul «Giornale d'Italia» in una serie di articoli, narra e denuncia tutti gli eventi e le persone che furono causa del «modernismo», dal Ricciotti definito «meteora del modernismo», mai estintosi e da combattere necessariamente con i precetti della «Pascendi». Degni di rilevanza (in negativo) sono: - il biblista Alfred Firmin Loisy, le cui ricerche vengono condannate il 3 luglio 1907 dal Sant'Uffizio con il Decreto «Lamentabili Sane Exitu», nello stesso contesto è anatematizzato anche il «criticismo dogmatico»; - Antonio Fogazzaro, lettore appassionato del Rosmini, con il suo «nebuloso riformismo» e le sue opere inserite nell'Index, insieme ad altri giovani dai nomi Casati e Gallarati-Scotti ed al sacerdote Eretico Bonaiuti, scomunicato e ridotto allo stato laicale; - il gesuita Tyrrel, padre del «modernismo inglese» con la sua opera «Lettera ad un professore di antropologia»; - fra gli altri, il sacerdote oratoriano Lucien Laberthonnière (precursore del movimento pentecostale e carismatico); - lo scienziato e matematico francese Edouard Le Roy (amico del teologo in odore di eresia e scienziato Pierre Teilhard de Chardin); - il filosofo francese Maurice Blondel (noto per il «sistema dell’immanenza»); - l’anglo-austriaco, barone del Sacro Romano Impero e biblista eterodosso Friedrich von Hügel; - il sacerdote italiano Romolo Murri (sospeso a divinis e scomunicato); ecc …
Sebbene il «modernismo» sia difficile da smascherare poiché cognizione camaleontica e apparentemente innocua, ma ambigua e pericolosissima, comunque la Chiesa è riuscita ad individuare in linea di massima quali sono le eresie principali del pensiero che appresso prenderà il nome di «Nouvelle Théologie»[13]; le ha elencate in «proposizioni da biasimare», scagliando l'anatema contro i fautori ostinati, divulgatori pertinaci e servitori taciti. Il «modernismo» contemporaneo prende forma presso l'università dei gesuiti di Lyon Fourvière, uno dei centri della cosiddetta «Nouvelle théologie», grazie all'opera ostile di H. de Lubac e di J. Daniélou. Fra gli altri, «aderirono alle idee della "Nouvelle Théologie" teologi come Pierre Teilhard de Chardin, Yves Congar, Hans Küng, Edward Schillebeeckx, Han Urs von Balthasar (1905-1988), Marie-Dominique Chenu (1895-1990), Karl Rahner (1904-1984), Louis Bouyer (1913-2004), Etienne Gilson (1884-1978), il già citato Daniélou e Joseph Ratzinger (gli ultimi 2 dicono di aver ritrattato, N.d.A.) … Il punto più basso il movimento lo toccò con la condanna comminata dall’Enciclica "Humani generis" di Papa Pio XII (1939-1958) il 12 agosto 1950, ma il suo riscatto avvenne durante il Concilio Vaticano Secondo (1962-1965), dove il peso dei teologi della "Nouvelle Théologie" fu decisivo»[14].
In un certo senso si può dire che tutti quei religiosi infiltrati nella Chiesa e quei pensatori o teologi corrotti che in qualche modo erano riusciti a «sopravvivere», anche solo come mito ideologico, alla «Quanta Cura» di papa Pio IX dell'8 dicembre 1864 cui è annesso il «Sillabo» degli errori dell'epoca, ebbene i «sopravvissuti» in qualche maniera riescono ad insinuarsi nella Chiesa e probabilmente, come abbiamo già visto, insidiare addirittura la sedia di Pietro. Cerco adesso di riassumere per punti tutto quanto ci necessita sapere per salvarci l'anima anche combattendo il «modernismo»:
1) PREPARAZIONE. san Pio X ordina che a fondamento degli studi sacri deve e dovrà esserci la «filosofia scolastica», così come è sempre stato. Precisava Leone XIII[15], «se dai Dottori scolastici furono agitate questioni troppo sottili … se fu detta cosa che mal si affaccia con dottrine accertate dei secoli seguenti … non è nostra intenzione che tutto ciò debba servir d'esempio da imitare anche ai dì nostri». San Pio X ordina ciò come legge per gli studi nei seminari, poiché «la causa di siffatti errori (moderni, N.d.A.), chi la ricerchi diligentemente, sta principalmente in ciò che di questi nostri tempi, quanto più fervono gli studi delle scienze naturali, tanto più son venute meno le discipline più severe e più alte: alcune di queste infatti sono quasi poste in dimenticanza; alcune sono trattate stancamente e con leggerezza, e, ciò che è indegno, perduto lo splendore della primitiva dignità, sono deturpate da prave sentenze e da enormi errori»;
2) EDUCAZIONE. Definisce attente regole di valutazione nella scelta degli educatori nei seminari, «chiunque in alcun modo sia infetto di modernismo, senza riguardi di sorta si tenga lontano dall'ufficio cosi di reggere e cosi d'insegnare: se già si trovi con tale incarico, ne sia rimosso. Parimente si faccia con chiunque o in segreto o apertamente favorisce il modernismo, sia lodando modernisti, sia attenuando la loro colpa, sia criticando la Scolastica, i Padri, il Magistero ecclesiastico, sia ricusando obbedienza alla potestà ecclesiastica, da qualunque persona essa si eserciti; e similmente con chi in materia storica, archeologica e biblica si mostri amante di novità; e finalmente, con quelli altresì che non si curano degli studi sacri o paiono a questi anteporre i profani»;
3) CONTROLLO. Censura gli iscritti nocivi, favorisce i «Censori» a supporto degli Ordinari per impedire le pubblicazioni immonde, e denuncia la pericolosità della «fede fai da te» soprattutto in tempi moderni, «qualsivoglia libro o giornale o periodico di tal genere non si dovrà mai permettere o agli alunni dei Seminari o agli uditori delle Università cattoliche: il danno che ne proverrebbe non sarebbe minore di quello delle letture immorali; sarebbe anzi peggiore, perché ne andrebbe viziata la radice stessa del vivere cristiano. Né altrimenti si dovrà giudicare degli scritti di taluni cattolici, uomini del resto di non malvagie intenzioni, ma che digiuni di studi teologici e imbevuti di filosofia moderna, cercano di accordare questa con la fede e di farla servire, come essi dicono, ai vantaggi della fede stessa»;
4) DIVIETI. Vieta ogni sorta di convegno o riunione dei sacerdoti non adeguatamente supervisionati e preparati. Ovviamente censura di «laicismo» (oggi spacciato in certo modo per «laicità»), «non avverrà che i Vescovi li permettano, lo faranno solo a questa condizione: che non vi si trattino cose di pertinenza dei Vescovi o della Sede Apostolica, non vi si facciano proposte o postulati che implichino usurpazione della sacra potestà, non vi si faccia affatto menzione di quanto sa di modernismo, di presbiterianismo, di laicismo»;
5) PUGNO DURO. Richiede fermezza e vincola all'obbedienza citando le nobili direttive dei Vescovi dell'Umbria[16], «Ad estirpare - così essi - gli errori già diffusi e ad impedire che più oltre si diffondano o che esistano tuttavia maestri di empietà, pei quali si perpetuino i perniciosi effetti originati da tale diffusione, il sacro Congresso, seguendo gli esempi di San Carlo Borromeo, stabilisce che in ogni diocesi si istituisca un Consiglio di uomini commendevoli dei due cleri, a cui spetti il vigilare se e con quali arti i nuovi errori si dilatino o si propaghino, e farne avvertito il Vescovo perché di concorde avviso prenda rimedi con cui il male si estingua fin dal principio e non si spanda di vantaggio a rovina delle anime, e, ciò che è peggio, si afforzi e cresca»;
6) RIVELAZIONI PRIVATE. Condanna al n° VI ogni culto o apparizione non riconosciuti, inoltre disciplina quelle questioni dove le «apparizioni o rivelazioni non furono né approvate né condannate dalla Sede Apostolica, ma solo passate come da piamente credersi con sola fede umana»;
7) GIURAMENTO. Il giorno 01.09.1910 introduce[17] il «Giuramento antimodernista», che riporterò alla fine di questo breve studio e che chiarisce definitivamente le idee ai dubbiosi. Il «Giuramento» fu abolito, per evidenti ragioni, in pieno clima conciliare da mons. Montini (Paolo VI) nel 1966;
8) SAN FRANCESCO. Papa Benedetto XV promulga l'Enciclica «Sacra Propediem», denunciando[18] che gli eresiarchi hanno deformato la figura e l'opera di San Francesco. «Innanzi tutto conviene che ognuno abbia un’idea esatta della figura di San Francesco, in quanto taluni, secondo l’invenzione dei modernisti, presentano l’uomo di Assisi poco obbediente a questa Cattedra apostolica, come il campione di una vaga e vana religiosità, tanto che egli non può essere correttamente chiamato né Francesco d’Assisi né santo» … Di lui va ricordato quanto egregiamente dice Tommaso da Celano: «Artefice veramente esimio, sotto la cui formazione religiosa, con lode degna di essere esaltata, si rinnova nell’uno e nell’altro sesso la Chiesa di Cristo, e trionfa una triplice schiera di gente che vuole salvarsi». Il Pontefice ricorda inoltre la vera carità di san Francesco, che non è il buonismo, e lo esalta ad esempio contro «le passioni predominanti in questa incredibile perversità di costumi, l’amore sconfinato delle ricchezze e un’insaziabile sete di piaceri»;
9) CONDANNA DEFINITIVA. Papa Pio XII il 22.08.1950 promulga l'Enciclica «Humani Generis», «circa alcune false opinioni che minacciano di sovvertire i fondamenti della dottrina cattolica». Non mi è possibile estrapolare solamente alcune esortazioni dal Documento poiché credo che andrebbe studiato integralmente da chiunque voglia aver diritto di parola nell'ambiente.
DOCUMENTI DA CONOSCERE E CHE CONFERMANO LA MIA ANALISI
IL SILLABO DI PIO IX
Sillabo dei principali errori dell'età nostra, che son notati nelle Allocuzioni concistoriali, nelle Encicliche e in altre Lettere apostoliche del SS. signor nostro papa Pio IX (1864). (Posizioni eretiche, frasi, dichiarazioni, idee condannate - non si possono dire o credere, N.d.A. - In caso di dubbi sul motivo della condanna di specifiche proposizioni sotto elencate, il lettore domandi nei commenti):
I - Panteismo, naturalismo e razionalismo assoluto
I. Non esiste niun Essere divino, supremo, sapientissimo, provvidentissimo, che sia distinto da quest'universo, e Iddio non è altro che la natura delle cose, e perciò va soggetto a mutazioni, e Iddio realmente vien fatto nell'uomo e nel mondo, e tutte le cose sono Dio ed hanno la sostanza stessissima di Dio; e Dio è una sola e stessa cosa con il mondo, e quindi si identificano parimenti tra loro, spirito e materia, necessità e libertà, vero e falso, bene e male, giusto ed ingiusto.
II. È da negare qualsiasi azione di Dio sopra gli uomini e il mondo.
III. La ragione umana è l'unico arbitro del vero e del falso, del bene e del male indipendentemente affatto da Dio; essa è legge a se stessa, e colle sue forze naturali basta a procurare il bene degli uomini e dei popoli.
IV. Tutte le verità religiose scaturiscono dalla forza nativa della ragione umana; laonde la ragione è la prima norma, per mezzo di cui l'uomo può e deve conseguire la cognizione di tutte quante le verità, a qualsivoglia genere esse appartengano.
V. La rivelazione divina è imperfetta, e perciò soggetta a processo continuo e indefinito, corrispondente al progresso della ragione umana.
VI. La fede di Cristo si oppone alla umana ragione; e la rivelazione divina non solo non giova a nulla, ma nuoce anzi alla perfezione dell'uomo.
VII. Le profezie e i miracoli esposti e narrati nella sacra Scrittura sono invenzioni di poeti, e i misteri della fede cristiana sono il risultato di indagini filosofiche; e i libri dell'Antico e Nuovo Testamento contengono dei miti; e Gesù stesso è un mito.
II. È da negare qualsiasi azione di Dio sopra gli uomini e il mondo.
III. La ragione umana è l'unico arbitro del vero e del falso, del bene e del male indipendentemente affatto da Dio; essa è legge a se stessa, e colle sue forze naturali basta a procurare il bene degli uomini e dei popoli.
IV. Tutte le verità religiose scaturiscono dalla forza nativa della ragione umana; laonde la ragione è la prima norma, per mezzo di cui l'uomo può e deve conseguire la cognizione di tutte quante le verità, a qualsivoglia genere esse appartengano.
V. La rivelazione divina è imperfetta, e perciò soggetta a processo continuo e indefinito, corrispondente al progresso della ragione umana.
VI. La fede di Cristo si oppone alla umana ragione; e la rivelazione divina non solo non giova a nulla, ma nuoce anzi alla perfezione dell'uomo.
VII. Le profezie e i miracoli esposti e narrati nella sacra Scrittura sono invenzioni di poeti, e i misteri della fede cristiana sono il risultato di indagini filosofiche; e i libri dell'Antico e Nuovo Testamento contengono dei miti; e Gesù stesso è un mito.
II - Razionalismo moderato
VIII. Siccome la ragione umana si equipara colla stessa religione, perciò le discipline teologiche si devono trattare al modo delle filosofiche.
IX. Tutti indistintamente i dommi della religione cristiana sono oggetto della naturale scienza ossia filosofia, e l'umana ragione, storicamente solo coltivata, può colle sue naturali forze e principi pervenire alla vera scienza di tutti i dommi, anche i più reconditi, purché questi dommi siano stati alla stessa ragione proposti.
X. Altro essendo il filosofo ed altro la filosofia, quegli ha diritto e ufficio di sottomettersi alle autorità che egli ha provato essere vere: ma la filosofia né può, né deve sottomettersi ad alcuna autorità.
XI. La Chiesa non solo non deve mai correggere la filosofia, ma anzi deve tollerarne gli errori e lasciare che essa corregga se stessa.
XII. I decreti della Sede apostolica e delle romane Congregazioni impediscono il libero progresso della scienza.
XIII. Il metodo e i principi, coi quali gli antichi Dottori scolastici coltivarono la teologia, non si confanno alle necessità dei nostri tempi e al progresso delle scienze.
XIV. La filosofia si deve trattare senza aver riguardo alcuno alla soprannaturale rivelazione.
IX. Tutti indistintamente i dommi della religione cristiana sono oggetto della naturale scienza ossia filosofia, e l'umana ragione, storicamente solo coltivata, può colle sue naturali forze e principi pervenire alla vera scienza di tutti i dommi, anche i più reconditi, purché questi dommi siano stati alla stessa ragione proposti.
X. Altro essendo il filosofo ed altro la filosofia, quegli ha diritto e ufficio di sottomettersi alle autorità che egli ha provato essere vere: ma la filosofia né può, né deve sottomettersi ad alcuna autorità.
XI. La Chiesa non solo non deve mai correggere la filosofia, ma anzi deve tollerarne gli errori e lasciare che essa corregga se stessa.
XII. I decreti della Sede apostolica e delle romane Congregazioni impediscono il libero progresso della scienza.
XIII. Il metodo e i principi, coi quali gli antichi Dottori scolastici coltivarono la teologia, non si confanno alle necessità dei nostri tempi e al progresso delle scienze.
XIV. La filosofia si deve trattare senza aver riguardo alcuno alla soprannaturale rivelazione.
III - Indifferentismo, latitudinarismo
XV. È libero ciascun uomo di abbracciare e professare quella religione che, sulla scorta del lume della ragione, avrà reputato essere vera.
XVI. Gli uomini nell'esercizio di qualsivoglia religione possono trovare la via della eterna salvezza, e conseguire l'eterna salvezza.
XVII. Almeno si deve bene sperare della eterna salvezza di tutti coloro che non sono nella vera Chiesa di Cristo.
XVIII. Il protestantesimo non è altro che una forma diversa della medesima vera religione cristiana, nella quale egualmente che nella Chiesa cattolica si può piacere a Dio.
XVI. Gli uomini nell'esercizio di qualsivoglia religione possono trovare la via della eterna salvezza, e conseguire l'eterna salvezza.
XVII. Almeno si deve bene sperare della eterna salvezza di tutti coloro che non sono nella vera Chiesa di Cristo.
XVIII. Il protestantesimo non è altro che una forma diversa della medesima vera religione cristiana, nella quale egualmente che nella Chiesa cattolica si può piacere a Dio.
IV - Socialismo, comunismo, società segrete, società bibliche, società clerico-liberali
Tali pestilenze sono condannate più volte e con gravissime espressioni nella Lettera Enciclica Qui pluribus, 9 novembre 1846; nell'allocuzione Quibus quantisque, 20 aprile 1849; nella Lettera Enciclica Noscitis et Nobiscum, 8 dicembre 1849; nell'Allocuzione Singulari quadam, 9 dicembre 1854; nella Lettera Apostolica Quanto conficiamur, 17 agosto 1863
V - Errori sulla Chiesa e suoi diritti
XIX. La Chiesa non è una vera e perfetta società pienamente libera, né è fornita di suoi propri e costanti diritti, conferitile dal suo divino Fondatore, ma tocca alla potestà civile definire quali siano i diritti della Chiesa e i limiti entro i quali possa esercitare detti diritti.
XX. La potestà ecclesiastica non deve esercitare la sua autorità senza licenza e consenso del governo civile.
XXI. La Chiesa non ha potestà di definire dommaticamente che la religione della Chiesa cattolica sia l'unica vera religione.
XXII. L'obbligazione che vincola i maestri e gli scrittori cattolici, si riduce a quelle cose solamente, che dall'infallibile giudizio della Chiesa sono proposte a credersi da tutti come dommi di fede.
XXIII. I Romani Pontefici ed i Concilii ecumenici si scostarono dai limiti della loro potestà, usurparono i diritti dei Principi, ed anche nel definire cose di fede e di costumi errarono.
XXIV. La Chiesa non ha potestà di usare la forza, né alcuna temporale potestà diretta o indiretta.
XXV. Oltre alla potestà inerente all'episcopato, ve n'è un'altra temporale che è stata ad esso concessa o espressamente o tacitamente dal civile impero il quale per conseguenza la può revocare, quando vuole.
XXVI. La Chiesa non ha connaturale e legittimo diritto di acquistare e di possedere.
XXVII. I sacri ministri della Chiesa ed il Romano Pontefice debbono essere assolutamente esclusi da ogni cura e da ogni dominio di cose temporali.
XXVIII. Ai Vescovi, senza il permesso del Governo, non è lecito neanche promulgare le Lettere apostoliche.
XXIX. Le grazie concesse dal Romano Pontefice si debbono stimare irrite, quando non sono state implorate per mezzo del Governo.
XXX. L'immunità della Chiesa e delle persone ecclesiastiche ebbe origine dal diritto civile.
XXXI. Il foro ecclesiastico per le cause temporali dei chierici, siano esse civili o criminali, dev'essere assolutamente abolito, anche senza consultare la Sede apostolica, e nonostante che essa reclami.
XXXII. Senza violazione alcuna del naturale diritto e delle equità, si può abrogare l'immunità personale, in forza della quale i chierici sono esenti dalla leva e dall'esercizio della milizia; e tale abrogazione è voluta dal civile progresso, specialmente in quelle società le cui costituzioni sono secondo la forma del più libero governo.
XXXIII. Non appartiene unicamente alla ecclesiastica potestà di giurisdizione, qual diritto proprio e connaturale, il dirigere l'insegnamento della teologia.
XXXIV. La dottrina di coloro che paragonano il Romano Pontefice ad un Principe libero che esercita la sua azione in tutta la Chiesa, è una dottrina la quale prevalse nel medio evo.
XXXV. Niente vieta che per sentenza di qualche Concilio generale, o per opera di tutti i popoli, il sommo Pontificato si trasferisca dal Vescovo Romano e da Roma ad un altro Vescovo e ad un'altra città.
XXXVI. La definizione di un Concilio nazionale non si può sottoporre a verun esame, e la civile amministrazione può considerare tali definizioni come norma irretrattabile di operare.
XXXVII. Si possono istituire Chiese nazionali non soggette all'autorità del Romano Pontefice, e del tutto separate.
XXXVIII. Gli arbìtri eccessivi dei Romani Pontefici contribuirono alla divisione della Chiesa in quella di Oriente e in quella di Occidente.
XX. La potestà ecclesiastica non deve esercitare la sua autorità senza licenza e consenso del governo civile.
XXI. La Chiesa non ha potestà di definire dommaticamente che la religione della Chiesa cattolica sia l'unica vera religione.
XXII. L'obbligazione che vincola i maestri e gli scrittori cattolici, si riduce a quelle cose solamente, che dall'infallibile giudizio della Chiesa sono proposte a credersi da tutti come dommi di fede.
XXIII. I Romani Pontefici ed i Concilii ecumenici si scostarono dai limiti della loro potestà, usurparono i diritti dei Principi, ed anche nel definire cose di fede e di costumi errarono.
XXIV. La Chiesa non ha potestà di usare la forza, né alcuna temporale potestà diretta o indiretta.
XXV. Oltre alla potestà inerente all'episcopato, ve n'è un'altra temporale che è stata ad esso concessa o espressamente o tacitamente dal civile impero il quale per conseguenza la può revocare, quando vuole.
XXVI. La Chiesa non ha connaturale e legittimo diritto di acquistare e di possedere.
XXVII. I sacri ministri della Chiesa ed il Romano Pontefice debbono essere assolutamente esclusi da ogni cura e da ogni dominio di cose temporali.
XXVIII. Ai Vescovi, senza il permesso del Governo, non è lecito neanche promulgare le Lettere apostoliche.
XXIX. Le grazie concesse dal Romano Pontefice si debbono stimare irrite, quando non sono state implorate per mezzo del Governo.
XXX. L'immunità della Chiesa e delle persone ecclesiastiche ebbe origine dal diritto civile.
XXXI. Il foro ecclesiastico per le cause temporali dei chierici, siano esse civili o criminali, dev'essere assolutamente abolito, anche senza consultare la Sede apostolica, e nonostante che essa reclami.
XXXII. Senza violazione alcuna del naturale diritto e delle equità, si può abrogare l'immunità personale, in forza della quale i chierici sono esenti dalla leva e dall'esercizio della milizia; e tale abrogazione è voluta dal civile progresso, specialmente in quelle società le cui costituzioni sono secondo la forma del più libero governo.
XXXIII. Non appartiene unicamente alla ecclesiastica potestà di giurisdizione, qual diritto proprio e connaturale, il dirigere l'insegnamento della teologia.
XXXIV. La dottrina di coloro che paragonano il Romano Pontefice ad un Principe libero che esercita la sua azione in tutta la Chiesa, è una dottrina la quale prevalse nel medio evo.
XXXV. Niente vieta che per sentenza di qualche Concilio generale, o per opera di tutti i popoli, il sommo Pontificato si trasferisca dal Vescovo Romano e da Roma ad un altro Vescovo e ad un'altra città.
XXXVI. La definizione di un Concilio nazionale non si può sottoporre a verun esame, e la civile amministrazione può considerare tali definizioni come norma irretrattabile di operare.
XXXVII. Si possono istituire Chiese nazionali non soggette all'autorità del Romano Pontefice, e del tutto separate.
XXXVIII. Gli arbìtri eccessivi dei Romani Pontefici contribuirono alla divisione della Chiesa in quella di Oriente e in quella di Occidente.
VI - Errori che riguardano la società civile, considerata in sé come nelle sue relazioni con la Chiesa
XXXIX. Lo Stato, come quello che è origine e fonte di tutti i diritti, gode un certo suo diritto del tutto illimitato.
XL. La dottrina della Chiesa cattolica è contraria al bene ed agl'interessi della umana società.
XLI. Al potere civile, anche esercitato dal signore infedele, compete la potestà indiretta negativa sopra le cose sacre; perciò gli appartiene non solo il diritto del cosidetto exequatur, ma anche il diritto del cosiddetto appello per abuso.
XLII. Nella collisione delle leggi dell'una e dell'altra potestà, deve prevalere il diritto civile.
XLIII. Il potere laicale ha la potestà di rescindere, di dichiarare e far nulli i solenni trattati (che diconsi Concordati) pattuiti con la Sede apostolica intorno all'uso dei diritti appartenenti alla immunità ecclesiastica; e ciò senza il consenso della stessa Sede apostolica, ed anzi, malgrado i suoi reclami.
XLIV. L'autorità civile può interessarsi delle cose che riguardano la religione, i costumi ed il governo spirituale. Quindi può giudicare delle istruzioni che i pastori della Chiesa sogliono dare per dirigere, conforme al loro ufficio, le coscienze, ed anzi può fare regolamenti intorno all'amministrazione dei Sacramenti ed alle disposizioni necessarie per riceverli.
XLV. L'intero regolamento delle pubbliche scuole, nelle quali è istruita la gioventù dello Stato, eccettuati solamente sotto qualche riguardo i Seminari vescovili, può e dev'essere attribuito all'autorità civile; e talmente attribuito, che non si riconosca in nessun'altra autorità il diritto di intromettersi nella disciplina delle scuole, nella direzione degli studi, nella collazione dei gradi, nella scelta e nell'approvazione dei maestri.
XLVI. Anzi, negli stessi Seminari dei Chierici, il metodo da adoperare negli studi è soggetto alla civile autorità.
XLVII. L'ottima forma della civile società esige che le scuole popolari, quelle cioè che sono aperte a tutti i fanciulli di qualsiasi classe del popolo, e generalmente gl'istituti pubblici, che sono destinati all'insegnamento delle lettere e delle più gravi discipline, nonché alla educazione della gioventù, si esimano da ogni autorità, forza moderatrice ed ingerenza della Chiesa, e si sottomettano al pieno arbitrio dell'autorità civile e politica secondo il placito degli imperanti e la norma delle comuni opinioni del secolo.
XLVIII. Può approvarsi dai cattolici quella maniera di educare la gioventù, la quale sia disgiunta dalla fede cattolica, e dall'autorità della Chiesa e miri solamente alla scienza delle cose naturali, e soltanto o per lo meno primieramente ai fini della vita sociale.
IL. La civile autorità può impedire ai Vescovi ed ai popoli fedeli di comunicare liberamente e mutuamente col Romano Pontefice.
L. L'autorità laicale ha di per sé il diritto di presentare i Vescovi e può esigere da loro che incomincino ad amministrare le diocesi prima che essi ricevano dalla S. Sede la istituzione canonica e le Lettere apostoliche.
LI. Anzi il Governo laicale ha diritto di deporre i Vescovi dall'esercizio del ministero pastorale, né è tenuto ad obbedire al Romano Pontefice nelle cose che spettano alla istituzione dei Vescovati e dei Vescovi.
LII. Il Governo può di suo diritto mutare l'età prescritta dalla Chiesa in ordine alla professione religiosa tanto delle donne quanto degli uomini, ed ingiungere alle famiglie religiose di non ammettere alcuno ai voti solenni senza suo permesso.
LIII. Sono da abrogarsi le leggi che appartengono alla difesa dello stato delle famiglie religiose, e dei loro diritti e doveri; anzi il Governo civile può dare aiuto a tutti quelli i quali vogliono disertare la maniera di vita religiosa intrapresa, e rompere i voti solenni; e parimenti, può spegnere del tutto le stesse famiglie religiose, come anche le Chiese collegiate ed i benefici semplici ancorché di giuspatronato e sottomettere ed appropriare i loro beni e le rendite all'amministrazione ed all'arbitrio della civile potestà.
LIV. I Re e i Principi non solamente sono esenti dalla giurisdizione della Chiesa, ma anzi nello sciogliere le questioni di giurisdizione sono superiori alla Chiesa.
LV. È da separarsi la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa.
XL. La dottrina della Chiesa cattolica è contraria al bene ed agl'interessi della umana società.
XLI. Al potere civile, anche esercitato dal signore infedele, compete la potestà indiretta negativa sopra le cose sacre; perciò gli appartiene non solo il diritto del cosidetto exequatur, ma anche il diritto del cosiddetto appello per abuso.
XLII. Nella collisione delle leggi dell'una e dell'altra potestà, deve prevalere il diritto civile.
XLIII. Il potere laicale ha la potestà di rescindere, di dichiarare e far nulli i solenni trattati (che diconsi Concordati) pattuiti con la Sede apostolica intorno all'uso dei diritti appartenenti alla immunità ecclesiastica; e ciò senza il consenso della stessa Sede apostolica, ed anzi, malgrado i suoi reclami.
XLIV. L'autorità civile può interessarsi delle cose che riguardano la religione, i costumi ed il governo spirituale. Quindi può giudicare delle istruzioni che i pastori della Chiesa sogliono dare per dirigere, conforme al loro ufficio, le coscienze, ed anzi può fare regolamenti intorno all'amministrazione dei Sacramenti ed alle disposizioni necessarie per riceverli.
XLV. L'intero regolamento delle pubbliche scuole, nelle quali è istruita la gioventù dello Stato, eccettuati solamente sotto qualche riguardo i Seminari vescovili, può e dev'essere attribuito all'autorità civile; e talmente attribuito, che non si riconosca in nessun'altra autorità il diritto di intromettersi nella disciplina delle scuole, nella direzione degli studi, nella collazione dei gradi, nella scelta e nell'approvazione dei maestri.
XLVI. Anzi, negli stessi Seminari dei Chierici, il metodo da adoperare negli studi è soggetto alla civile autorità.
XLVII. L'ottima forma della civile società esige che le scuole popolari, quelle cioè che sono aperte a tutti i fanciulli di qualsiasi classe del popolo, e generalmente gl'istituti pubblici, che sono destinati all'insegnamento delle lettere e delle più gravi discipline, nonché alla educazione della gioventù, si esimano da ogni autorità, forza moderatrice ed ingerenza della Chiesa, e si sottomettano al pieno arbitrio dell'autorità civile e politica secondo il placito degli imperanti e la norma delle comuni opinioni del secolo.
XLVIII. Può approvarsi dai cattolici quella maniera di educare la gioventù, la quale sia disgiunta dalla fede cattolica, e dall'autorità della Chiesa e miri solamente alla scienza delle cose naturali, e soltanto o per lo meno primieramente ai fini della vita sociale.
IL. La civile autorità può impedire ai Vescovi ed ai popoli fedeli di comunicare liberamente e mutuamente col Romano Pontefice.
L. L'autorità laicale ha di per sé il diritto di presentare i Vescovi e può esigere da loro che incomincino ad amministrare le diocesi prima che essi ricevano dalla S. Sede la istituzione canonica e le Lettere apostoliche.
LI. Anzi il Governo laicale ha diritto di deporre i Vescovi dall'esercizio del ministero pastorale, né è tenuto ad obbedire al Romano Pontefice nelle cose che spettano alla istituzione dei Vescovati e dei Vescovi.
LII. Il Governo può di suo diritto mutare l'età prescritta dalla Chiesa in ordine alla professione religiosa tanto delle donne quanto degli uomini, ed ingiungere alle famiglie religiose di non ammettere alcuno ai voti solenni senza suo permesso.
LIII. Sono da abrogarsi le leggi che appartengono alla difesa dello stato delle famiglie religiose, e dei loro diritti e doveri; anzi il Governo civile può dare aiuto a tutti quelli i quali vogliono disertare la maniera di vita religiosa intrapresa, e rompere i voti solenni; e parimenti, può spegnere del tutto le stesse famiglie religiose, come anche le Chiese collegiate ed i benefici semplici ancorché di giuspatronato e sottomettere ed appropriare i loro beni e le rendite all'amministrazione ed all'arbitrio della civile potestà.
LIV. I Re e i Principi non solamente sono esenti dalla giurisdizione della Chiesa, ma anzi nello sciogliere le questioni di giurisdizione sono superiori alla Chiesa.
LV. È da separarsi la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa.
VII - Errori circa la morale naturale e cristiana
LVI. Le leggi dei costumi non abbisognano della sanzione divina, né è necessario che le leggi umane siano conformi al diritto di natura, o ricevano da Dio la forza di obbligare.
LVII. La scienza delle cose filosofiche e dei costumi, ed anche le leggi civili possono e debbono prescindere dall'autorità divina ed ecclesiastica.
LVIII. Non sono da riconoscere altre forze se non quelle che sono poste nella materia, ed ogni disciplina ed onestà di costumi si deve riporre nell'accumulare ed accrescere in qualsivoglia maniera la ricchezza e nel soddisfare le passioni.
LIX. Il diritto consiste nel fatto materiale; tutti i doveri degli uomini sono un nome vano, e tutti i fatti umani hanno forza di diritto.
LX. L'autorità non è altro che la somma del numero e delle forze materiali.
LXI. La fortunata ingiustizia del fatto non apporta alcun detrimento alla santità del diritto.
LXII. È da proclamarsi e da osservarsi il principio del cosidetto non-intervento.
LXIII. Il negare obbedienza, anzi il ribellarsi ai Principi legittimi, è cosa logica.
LXIV. La violazione di qualunque santissimo giuramento e qualsivoglia azione scellerata e malvagia ripugnante alla legge eterna, non solo non sono da riprovare, ma anzi da tenersi del tutto lecite e da lodarsi sommamente, quando si commettano per amore della patria.
LVII. La scienza delle cose filosofiche e dei costumi, ed anche le leggi civili possono e debbono prescindere dall'autorità divina ed ecclesiastica.
LVIII. Non sono da riconoscere altre forze se non quelle che sono poste nella materia, ed ogni disciplina ed onestà di costumi si deve riporre nell'accumulare ed accrescere in qualsivoglia maniera la ricchezza e nel soddisfare le passioni.
LIX. Il diritto consiste nel fatto materiale; tutti i doveri degli uomini sono un nome vano, e tutti i fatti umani hanno forza di diritto.
LX. L'autorità non è altro che la somma del numero e delle forze materiali.
LXI. La fortunata ingiustizia del fatto non apporta alcun detrimento alla santità del diritto.
LXII. È da proclamarsi e da osservarsi il principio del cosidetto non-intervento.
LXIII. Il negare obbedienza, anzi il ribellarsi ai Principi legittimi, è cosa logica.
LXIV. La violazione di qualunque santissimo giuramento e qualsivoglia azione scellerata e malvagia ripugnante alla legge eterna, non solo non sono da riprovare, ma anzi da tenersi del tutto lecite e da lodarsi sommamente, quando si commettano per amore della patria.
VIII - Errori circa il matrimonio cristiano
LXV. Non si può in alcun modo tollerare che Cristo abbia elevato il matrimonio alla dignità di Sacramento.
LXVI. Il Sacramento del matrimonio non è che una cosa accessoria al contratto, e da questo separabile, e lo stesso Sacramento è riposto nella sola benedizione nuziale.
LXVII. Il vincolo del matrimonio non è indissolubile per diritto di natura, ed in vari casi può sancirsi per la civile autorità il divorzio propriamente detto.
LXVIII. La Chiesa non ha la potestà d'introdurre impedimenti dirimenti il matrimonio, ma tale potestà compete alla autorità civile, dalla quale debbono togliersi gl'impedimenti esistenti.
LXIX. La Chiesa incominciò ad introdurre gl'impedimenti dirimenti, nei secoli passati non per diritto proprio, ma usando di quello che ricevette dalla civile potestà.
LXX. I canoni tridentini, nei quali s'infligge scomunica a coloro che osano negare alla Chiesa la facoltà di stabilire gl'impedimenti dirimenti, o non sono dommatici, ovvero si debbono intendere dell'anzidetta potestà ricevuta.
LXXI. La forma del Concilio Tridentino non obbliga sotto pena di nullità in quei luoghi, ove la legge civile prescriva un'altra forma, e ordina che il matrimonio celebrato con questa nuova forma sia valido.
LXXII. Bonifazio VIII per primo asserì che il voto di castità emesso nella ordinazione fa nullo il matrimonio.
LXXIII. In virtù del contratto meramente civile può aver luogo tra cristiani il vero matrimonio; ed è falso che, o il contratto di matrimonio tra cristiani è sempre sacramento, ovvero che il contratto è nullo se si esclude il sacramento.
LXXIV. Le cause matrimoniali e gli sponsali di loro natura appartengono al foro civile.
LXVI. Il Sacramento del matrimonio non è che una cosa accessoria al contratto, e da questo separabile, e lo stesso Sacramento è riposto nella sola benedizione nuziale.
LXVII. Il vincolo del matrimonio non è indissolubile per diritto di natura, ed in vari casi può sancirsi per la civile autorità il divorzio propriamente detto.
LXVIII. La Chiesa non ha la potestà d'introdurre impedimenti dirimenti il matrimonio, ma tale potestà compete alla autorità civile, dalla quale debbono togliersi gl'impedimenti esistenti.
LXIX. La Chiesa incominciò ad introdurre gl'impedimenti dirimenti, nei secoli passati non per diritto proprio, ma usando di quello che ricevette dalla civile potestà.
LXX. I canoni tridentini, nei quali s'infligge scomunica a coloro che osano negare alla Chiesa la facoltà di stabilire gl'impedimenti dirimenti, o non sono dommatici, ovvero si debbono intendere dell'anzidetta potestà ricevuta.
LXXI. La forma del Concilio Tridentino non obbliga sotto pena di nullità in quei luoghi, ove la legge civile prescriva un'altra forma, e ordina che il matrimonio celebrato con questa nuova forma sia valido.
LXXII. Bonifazio VIII per primo asserì che il voto di castità emesso nella ordinazione fa nullo il matrimonio.
LXXIII. In virtù del contratto meramente civile può aver luogo tra cristiani il vero matrimonio; ed è falso che, o il contratto di matrimonio tra cristiani è sempre sacramento, ovvero che il contratto è nullo se si esclude il sacramento.
LXXIV. Le cause matrimoniali e gli sponsali di loro natura appartengono al foro civile.
IX - Errori intorno al civile principato del Romano Pontefice
LXXV. Intorno alla compatibilità del regno temporale col regno spirituale disputano tra loro i figli della Chiesa cristiana e cattolica.
LXXVI. L'abolizione del civile impero posseduto dalla Sede apostolica gioverebbe moltissimo alla libertà ed alla prosperità della Chiesa.
LXXVI. L'abolizione del civile impero posseduto dalla Sede apostolica gioverebbe moltissimo alla libertà ed alla prosperità della Chiesa.
X - Errori che si riferiscono all'odierno liberalismo
LXXVII. In questa nostra età non conviene più che la religione cattolica si ritenga come l'unica religione dello Stato, esclusi tutti gli altri culti, quali che si vogliano.
LXXVIII. Però lodevolmente in alcuni paesi cattolici si è stabilito per legge che a coloro i quali vi si recano, sia lecito avere pubblico esercizio del culto proprio di ciascuno.
LXXIX. È assolutamente falso che la libertà civile di qualsivoglia culto, e similmente l'ampia facoltà a tutti concessa di manifestare qualunque opinione e qualsiasi pensiero palesemente ed in pubblico, conduca a corrompere più facilmente i costumi e gli animi dei popoli, e a diffondere la peste dell'indifferentismo.
LXXX. Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà.
LXXVIII. Però lodevolmente in alcuni paesi cattolici si è stabilito per legge che a coloro i quali vi si recano, sia lecito avere pubblico esercizio del culto proprio di ciascuno.
LXXIX. È assolutamente falso che la libertà civile di qualsivoglia culto, e similmente l'ampia facoltà a tutti concessa di manifestare qualunque opinione e qualsiasi pensiero palesemente ed in pubblico, conduca a corrompere più facilmente i costumi e gli animi dei popoli, e a diffondere la peste dell'indifferentismo.
LXXX. Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà.
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LAMENTABILI SANE EXITU DI SAN PIO X
Decreto della Sacra Congregazione del Sant'Uffizio del 3 luglio 1907. Con deplorevoli frutti, l'età nostra, impaziente di freno nell'indagare le somme ragioni delle cose, non di rado segue talmente le novità, che, lasciata da parte, per così dire, l'eredità del genere umano, cade in errori gravissimi. Questi errori sono di gran lunga più pericolosi qualora si tratti della disciplina sacra, dell'interpretazione della Sacra Scrittura, dei principali misteri della Fede. È da dolersi poi grandemente che, anche fra i cattolici, si trovino non pochi scrittori i quali, trasgredendo i limiti stabiliti dai Padri e dalla Santa Chiesa stessa, sotto le apparenze di più alta intelligenza e col nome di considerazione storica, cercano un progresso dei dogmi che, in realtà, è la corruzione dei medesimi. Affinché dunque simili errori, che ogni giorno si spargono tra i fedeli, non mettano radici nelle loro anime e corrompano la sincerità della Fede, piacque al Santissimo Signore Nostro Pio per divina Provvidenza Papa X, che per questo officio della Sacra Romana ed Universale Inquisizione si notassero e si riprovassero quelli fra di essi che sono i precipui. Perciò, dopo istituito diligentissimo esame e avuto il voto dei Reverendi Signori Consultori, gli Eminentissimi e Reverendissimi Signori Cardinali Inquisitori generali nelle cose di fede e di costumi, giudicarono che le seguenti proposizioni sono da riprovarsi e da condannarsi, come si riprovano e si condannano con questo generale Decreto:
1. La legge ecclesiastica che prescrive di sottoporre a previa censura i libri concernenti la Sacra Scrittura non si estende ai cultori della critica o dell'esegesi scientifica dei Libri dell'Antico e del Nuovo Testamento.
2. L'interpretazione che la Chiesa dà dei Libri sacri non è da disprezzare, ma soggiace ad un più accurato giudizio e alla correzione degli esegeti.
3. Dai giudizi e dalle censure ecclesiastiche, emanati contro l'esegesi libera e superiore, si può dedurre che la fede proposta dalla Chiesa contraddice la storia, e che i dogmi cattolici in realtà non si possono accordare con le vere origini della religione cristiana.
4. Il magistero della Chiesa non può determinare il genuino senso delle sacre Scritture nemmeno con definizioni dogmatiche.
5. Siccome nel deposito della fede non sono contenute solamente verità rivelate, in nessun modo spetta alla Chiesa giudicare sulle asserzioni delle discipline umane.
6. Nella definizione delle verità, la Chiesa discente e la Chiesa docente collaborano in tale maniera, che alla Chiesa docente non resta altro che ratificare le comuni opinioni di quella discente.
7. La Chiesa, quando condanna gli errori, non può esigere dai fedeli nessun assenso interno che accetti i giudizi da lei dati.
8. Sono da ritenersi esenti da ogni colpa coloro che non tengono in alcun conto delle riprovazioni espresse dalla Sacra Congregazione dell'Indice e da altre Sacre Congregazioni Romane.
9. Coloro che credono che Dio è l'Autore della Sacra Scrittura sono influenzati da eccessiva ingenuità o da ignoranza.
10. L'ispirazione dei Libri dell'Antico Testamento consiste nel fatto che gli Scrittori israeliti tramandarono le dottrine religiose sotto un certo aspetto particolare in parte conosciuto e in parte sconosciuto ai gentili.
11. L'ispirazione divina non si estende a tutta la Sacra Scrittura al punto che tutte e singole le sue parti siano immuni da ogni errore.
11. L'ispirazione divina non si estende a tutta la Sacra Scrittura al punto che tutte e singole le sue parti siano immuni da ogni errore.
12. L'esegeta, qualora voglia affrontare con utilità gli studi biblici, deve, anzitutto, lasciar cadere quel certo qual preconcetto inerente l'origine sovrannaturale della Sacra Scrittura.
13. Gli stessi Evangelisti e i Cristiani della seconda e terza generazione composero le parabole evangeliche in modo artificioso così da spiegare gli esigui frutti della predicazione di Cristo presso i giudei.
14. Gli Evangelisti riferirono in molte narrazioni non tanto ciò che effettivamente accadde, quanto ciò che essi ritennero maggiormente utile ai lettori, ancorché falso.
15. Gli Evangeli furono soggetti a continue aggiunte e correzioni, fino alla definizione e alla costituzione del canone; in essi, pertanto, della dottrina di Cristo, non rimase che un tenue e incerto vestigio.
16. I racconti d Giovanni non sono propriamente storia, ma mistica contemplazione del Vangelo; i discorsi contenuti nel suo Vangelo sono meditazioni teologiche sul Mistero della Salvezza, destituite di verità storica.
17. Il quarto Evangelo esagerò i miracoli, non solo perché apparissero maggiormente straordinari, ma anche affinché fossero più adatti a significare l'opera e la gloria del Verbo Incarnato.
18. Giovanni rivendica a sé il ruolo di testimone di Cristo; in verità egli non è che un eccellente testimone di vita cristiana, ovvero della vita di Cristo alla fine del primo secolo. __
19. Gli esegeti eterodossi espressero più fedelmente il vero senso della Scrittura di quanto non abbiano fatto gli esegeti cattolici.
19. Gli esegeti eterodossi espressero più fedelmente il vero senso della Scrittura di quanto non abbiano fatto gli esegeti cattolici.
20. La Rivelazione non poté essere altro che la coscienza acquisita dall'uomo circa la sua relazione con Dio.
21. La Rivelazione, che costituisce l'oggetto della Fede cattolica, non si è conclusa con gli Apostoli.
22. I dogmi, che la Chiesa presenta come rivelati, non sono verità cadute dal cielo, ma l'interpretazione di fatti religiosi, che la mente umana si è data con travaglio.
23. Può esistere, ed esiste in realtà, un'opposizione tra i fatti raccontati dalla Sacra Scrittura ed i dogmi della Chiesa fondati sopra di essi; sicché il critico può rigettare come falsi i fatti che la Chiesa crede certissimi.
24. Non dev'essere condannato l'esegeta che pone le premesse, cui segue che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non neghi direttamente i dogmi stessi.
25. L'assenso della Fede si appoggia da ultimo su una congerie di probabilità.
26. I dogmi della Fede debbono essere accettati soltanto secondo il loro senso pratico, cioè come norma precettiva riguardante il comportamento, ma non come norma di Fede.
27. La Sacra Scrittura non prova la Divinità di Gesù Cristo; ma è un dogma che la coscienza cristiana deduce dal concetto di Messia.
28. Gesù, durante il suo Ministero, non parlava per insegnare di essere il Messia, né i suoi miracoli miravano a dimostrarlo.
29. Si può ammettere che il Cristo storico sia molto inferiore al Cristo della Fede.
30. In tutti i testi evangelici, il nome "Figlio di Dio" equivale soltanto al nome "Messia" e non significa assolutamente che Cristo è vero e naturale Figlio di Dio.
31. La dottrina su Cristo, tramandata da Paolo, Giovanni e dai Concili Niceno, Efesino e Calcedonense, non è quella insegnato da Gesù, ma che su Gesù concepì la coscienza cristiana.
32. Non è possibile conciliare il senso naturale dei testi evangelici con quello che i nostri teologi insegnano circa la coscienza e la scienza infallibile di Gesù Cristo.
33. È evidente a chiunque non sia influenzato da opinioni preconcette che Gesù ha professato un errore circa il prossimo avvento messianico, o che la maggior parte della sua dottrina, contenuta negli Evangeli sinottici, è priva di autenticità.
34. Il critico non può affermare che la scienza di Cristo non sia circoscritta da alcun limite, se non ponendo ipotesi - non concepibile storicamente e che ripugna al senso morale - secondo la quale Cristo abbia avuto la conoscenza di Dio in quanto uomo e non abbia voluto in alcun modo darne notizia ai discepoli e alla posterità.
35. Cristo non ebbe sempre la coscienza della sua dignità messianica.
36. La Risurrezione del Salvatore non è propriamente un fatto di ordine storico, ma un fatto di ordine meramente sovrannaturale, non dimostrato né dimostrabile, che la coscienza cristiana lentamente trasse dagli altri.
37. La Fede nella Risurrezione di Cristo inizialmente non fu tanto nel fatto stesso della Risurrezione, quanto nella vita immortale di Cristo presso Dio.
38. La dottrina concernente la Morte espiatrice di Cristo non è evangelica, ma solo paolina.
39. Le opinioni sull'origine dei Sacramenti, di cui erano imbevuti i Padri tridentini, e che senza dubbio ebbero un influsso nei loro Canoni dogmatici, sono molto distanti da quelle cui ora gli storici del Cristianesimo dànno credito.
40. I Sacramenti ebbero origine perché gli Apostoli e i loro successori interpretarono una certa idea e intenzione di Cristo, sotto la persuasione e la spinta di circostanze ed eventi.
41. I Sacramenti hanno come unico fine di ricordare alla mente dell'uomo la presenza sempre benefica del Creatore.
42. La comunità cristiana inventò la necessità del Battesimo, adottandolo come rito necessario e annettendo ad esso gli obblighi della professione cristiana.
43. L'uso di conferire il Battesimo ai bambini fu un'evoluzione disciplinare, ragion per cui il Sacramento è diventato due, cioè il Battesimo e la Penitenza.
44. Nulla prova che il rito del Sacramento della Confermazione sia stato istituito dagli Apostoli; la formale distinzione di due Sacramenti, cioè del Battesimo e della Confermazione, non risale alla storia del cristianesimo primitivo.
45. Non tutto ciò che narra Paolo a proposito dell'istituzione dell'Eucaristia [I Cor., 11, 23-25] è da considerarsi fatto storico.
46. Il concetto della riconciliazione del cristiano peccatore, per autorità della Chiesa, non fu presente nella comunità primitiva: fu la Chiesa ad abituarsi lentamente a questo concetto. Per di più, dopo che la Penitenza fu riconosciuta quale istituzione della Chiesa, non veniva chiamata col nome di Sacramento, poiché era considerata come Sacramento vergognoso.
47. Le parole del Signore "Ricevete lo Spirito Santo; a coloro ai quali rimetterete i peccati saranno rimessi e a coloro ai quali non li rimetterete non saranno rimessi" [Gv., 20, 22-23] non si riferiscono al Sacramento della Penitenza, anche se i Padri tridentini vollero affermarlo.
48. Giacomo, nella sua epistola [Gm., 5, 14 sqq.], non volle promulgare un Sacramento di Cristo, ma raccomandare una pia pratica e se in ciò riconobbe un certo qual mezzo di Grazia, non lo intese con quel rigore con cui lo intesero i teologi che stabilirono la nozione e il numero dei Sacramenti.
49. Coloro che erano soliti presiedere alla cena cristiana acquisirono il carattere sacerdotale per il fatto che essa progressivamente andava assumendo l'indole di un'azione liturgica.
50. Gli anziani che, nelle adunanze dei Cristiani, esercitavano l'ufficio di vigilanza, furono dagli Apostoli creati preti o vescovi per provvedere all'ordinamento necessario delle crescenti comunità, e non propriamente per perpetuare la missione e la potestà Apostolica.
51. Il Matrimonio fu riconosciuto dalla Chiesa come Sacramento della nuova Legge solo molto tardi; infatti, perché il Matrimonio fosse considerato Sacramento, era necessario che lo precedesse la piena dottrina della Grazia e la spiegazione teologica del Sacramento.
52. Cristo non volle costituire la Chiesa come società duratura sulla terra, per lunga successione di secoli; anzi, nella mente di Cristo, il regno del Cielo, unitamente alla fine del mondo, doveva essere prossimo.
53. La costituzione organica della Chiesa non è immutabile; ma la società cristiana, non meno della società umana, va soggetta a continua evoluzione.
54. I dogmi, i sacramenti, la gerarchia, sia nel loro concetto come nella loro realtà, non sono che interpretazioni ed evoluzioni dell'intelligenza cristiana, le quali svilupparono e perfezionarono il piccolo germe latente nel Vangelo con esterne aggiunte.
55. Simon Pietro non ha mai sospettato di aver ricevuto da Cristo il primato nella Chiesa.
56. La Chiesa Romana diventò capo di tutte le Chiese non per disposizione della Divina Provvidenza, ma per circostanze puramente politiche.
57. La Chiesa si mostra ostile ai progressi delle scienze naturali e teologiche.
58. La verità non è immutabile più di quanto non lo sia l'uomo stesso, poiché si evolve con lui, in lui e per mezzo di lui.
59. Cristo non insegnò un determinato insieme di dottrine applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini, ma piuttosto iniziò un certo qual moto religioso adattato e da adattare a diversi tempi e circostanze.
60. La dottrina cristiana fu, nel suo esordio, giudaica; poi divenne, per successive evoluzioni, prima paolina, poi giovannea, infine ellenica e universale.
61. Si può dire senza paradosso che nessun passo della Scrittura, dal primo capitolo della Genesi fino all'ultimo dell'Apocalisse, contiene una dottrina perfettamente identica a quella che la Chiesa insegna sullo stesso argomento, e perciò nessun capitolo della Scrittura ha lo stesso senso per il critico e per il teologo.
62. Gli articoli principali del Simbolo apostolico non avevano per i cristiani dei primi tempi lo stesso significato che hanno per i cristiani del nostro tempo.
63. La Chiesa si dimostra incapace a tutelare efficacemente l'etica evangelica, perché ostinatamente si attacca a dottrine immutabili, inconciliabili con i progressi odierni.
64. Il progresso delle scienze richiede una riforma del concetto che la dottrina cristiana ha di Dio, della Creazione, della Rivelazione, della Persona del Verbo Incarnato e della Redenzione.
65. Il Cattolicesimo odierno non può essere conciliato con la vera scienza, a meno che non si trasformi in un cristianesimo non dogmatico, cioè in protestantesimo lato e liberale.
Nella seguente Feria V, il giorno 4 dello stesso mese ed anno, fatta di tutte queste cose accurata relazione al Santissimo Signor Nostro Pio Papa X, Sua Santità approvò e confermò il Decreto degli Eminentissimi Padri e diede ordine che tutte e singole le sopra enumerate proposizioni siano considerate da tutti come riprovate e condannate.
***
GIURAMENTO ANTI-MODERNISTA[19]
IO (NOME). fermamente accetto e credo in tutte e in ciascuna delle verità definite, affermate e dichiarate dal magistero infallibile della Chiesa, soprattutto quei principi dottrinali che contraddicono direttamente gli errori del tempo presente.
Primo: credo che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza e può anche essere dimostrato con i lumi della ragione naturale nelle opere da lui compiute (cf Rm 1,20), cioè nelle creature visibili, come causa dai suoi effetti.
Secondo: ammetto e riconosco le prove esteriori della rivelazione, cioè gli interventi divini, e soprattutto i miracoli e le profezie, come segni certissimi dell'origine soprannaturale della religione cristiana, e li ritengo perfettamente adatti a tutti gli uomini di tutti i tempi, compreso quello in cui viviamo.
Terzo: con la stessa fede incrollabile credo che la Chiesa, custode e maestra del verbo rivelato, è stata istituita immediatamente e direttamente da Cristo stesso vero e storico mentre viveva fra noi, e che è stata edificata su Pietro, capo della gerarchia ecclesiastica, e sui suoi successori attraverso i secoli.
Quarto: accolgo sinceramente la dottrina della fede trasmessa a noi dagli apostoli tramite i padri ortodossi, sempre con lo stesso senso e uguale contenuto, e respingo del tutto la fantasiosa eresia dell'evoluzione dei dogmi da un significato all'altro, diverso da quello che prima la Chiesa professava; condanno similmente ogni errore che pretende sostituire il deposito divino, affidato da Cristo alla Chiesa perché lo custodisse fedelmente, con una ipotesi filosofica o una creazione della coscienza che si è andata lentamente formando mediante sforzi umani e continua a perfezionarsi con un progresso indefinito.
Quinto: sono assolutamente convinto e sinceramente dichiaro che la fede non è un cieco sentimento religioso che emerge dall'oscurità del subcosciente per impulso del cuore e inclinazione della volontà moralmente educata, ma un vero assenso dell'intelletto a una verità ricevuta dal di fuori con la predicazione, per il quale, fiduciosi nella sua autorità supremamente verace, noi crediamo tutto quello che il Dio personale, creatore e signore nostro, ha detto, attestato e rivelato.
Mi sottometto anche con il dovuto rispetto e di tutto cuore aderisco a tutte le condanne, dichiarazioni e prescrizioni dell'enciclica Pascendi e del decreto Lamentabili, particolarmente circa la cosiddetta storia dei dogmi.
Riprovo altresì l'errore di chi sostiene che la fede proposta dalla Chiesa può essere contraria alla storia, e che i dogmi cattolici, nel senso che oggi viene loro attribuito, sono inconciliabili con le reali origini della religione cristiana.
Disapprovo pure e respingo l'opinione di chi pensa che l'uomo cristiano più istruito si riveste della doppia personalità del credente e dello storico, come se allo storico fosse lecito difendere tesi che contraddicono alla fede del credente o fissare delle premesse dalle quali si conclude che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non siano positivamente negati.
Condanno parimenti quel sistema di giudicare e di interpretare la sacra Scrittura che, disdegnando la tradizione della Chiesa, l'analogia della fede e le norme della Sede apostolica, ricorre al metodo dei razionalisti e con non minore disinvoltura che audacia applica la critica testuale come regola unica e suprema.
Rifiuto inoltre la sentenza di chi ritiene che l'insegnamento di discipline storico-teologiche o chi ne tratta per iscritto deve inizialmente prescindere da ogni idea preconcetta sia sull'origine soprannaturale della tradizione cattolica sia dell'aiuto promesso da Dio per la perenne salvaguardia delle singole verità rivelate, e poi interpretare i testi patristici solo su basi scientifiche, estromettendo ogni autorità religiosa e con la stessa autonomia critica ammessa per l'esame di qualsiasi altro documento profano.
Mi dichiaro infine del tutto estraneo ad ogni errore dei modernisti, secondo cui nella sacra tradizione non c'è niente di divino o peggio ancora lo ammettono ma in senso panteistico, riducendolo ad un evento puro e semplice analogo a quelli ricorrenti nella storia, per cui gli uomini con il proprio impegno, l'abilità e l'ingegno prolungano nelle età posteriori la scuola inaugurata da Cristo e dagli apostoli.
Mantengo pertanto e fino all'ultimo respiro manterrò la fede dei padri nel carisma certo della verità, che è stato, è e sempre sarà nella successione dell'episcopato agli apostoli[20], non perché si assuma quel che sembra migliore e più consono alla cultura propria e particolare di ogni epoca, ma perché la verità assoluta e immutabile predicata in principio dagli apostoli non sia mai creduta in modo diverso né in altro modo intesa[21].
Mi impegno ad osservare tutto questo fedelmente, integralmente e sinceramente e di custodirlo inviolabilmente senza mai discostarmene né nell'insegnamento né in nessun genere di discorsi o di scritti. Così prometto, così giuro, così mi aiutino Dio e questi santi Vangeli di Dio.
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BREVI NOTE
CIRCA L'ERESIA[22]. «Eretico è il battezzato che non si sottomette al giudizio della Chiesa riguardo alle verità rivelate. Seguendo il suo criterio o le sue passioni fa una scelta, accetta alcune verità ed altre le rigetta, facendo se stesso giudice della verità». L’eresia detta «materiale» si ha in chi non è consapevole; l’eresia detta «formale» si ha in chi è consapevole; il «peccato di eresia» si ha nell’errante consapevole che non fa pubblica confessione; il «delitto di eresia» si ha nell’errante consapevole che fa pubblica confessione, ovvero si manifesta eretico «formale». L’eretico «formale» si rifiuta con ostinazione di sottomettersi all’insegnamento ed al giudizio della Chiesa; viene espulso; non partecipa alla «comunione dei santi» e non può salvarsi; non può né insegnare e né governare, a tal proposito la Scrittura: «Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!» (Mt 15,14).
CIRCA L'INFALLIBILITÀ[23]. Tutti i Pontefici hanno sempre operato nella dottrina- nella docenza- in tal senso, e mai hanno «aperto» al male, non è previsto dalla nostra fede, poiché «ai successori di Pietro non fu promesso lo Spirito Santo perché, per sua rivelazione, manifestassero una nuova dottrina, ma perché, per la sua assistenza, custodissero inviolabilmente ed esponessero con fedeltà la rivelazione trasmessa dagli apostoli, ossia il deposito della Fede»[24]; pertanto, aggiunge Pio XII[25], «dal consenso universale di un magistero ordinario della chiesa si trae un argomento certo e sicuro»; e Leone XIII[26]: «Per questo i padri del concilio Vaticano (Primo) nulla hanno decretato di nuovo, ma solo ebbero in vista l’istituzione divina, l’antica e costante dottrina della Chiesa e la stessa natura della Fede, quando decretarono: “Per Fede divina e cattolica si deve credere tutto ciò che si contiene nella parola di Dio scritta o tramandata, e viene proposto dalla Chiesa o con solenne definizione o con ordinario e universale magistero come verità da Dio rivelata”»; in aggiunta cito il fondamentale dogma sull'interpretazione della Scrittura secondo il tradizionale principio di «convergenza dei Padri»[27], come sintetizzato, quale giuramento, anche nella Professio Fidei Tridentina: «Ammetto pure la sacra Scrittura secondo l'interpretazione che ne ha dato e ne dà la santa madre Chiesa, alla quale compete giudicare del senso genuino e dell'interpretazione delle sacre Scritture, né mai l'intenderò e l'interpreterò se non secondo l'unanime consenso dei padri»; e quello sui dogmi rivelati, come insegna la Chiesa dalla sua fondazione e come la Dei Filius commemora: «Quindi deve essere approvato in perpetuo quel significato dei sacri dogmi che la Santa Madre Chiesa ha dichiarato, né mai si deve recedere da quel significato con il pretesto o con le apparenze di una più completa intelligenza. Crescano dunque e gagliardamente progrediscano, lungo il corso delle età e dei secoli, l'intelligenza e la sapienza, sia dei secoli, sia degli uomini, come di tutta la Chiesa, ma nel proprio settore soltanto, cioè nel medesimo dogma, nel medesimo significato, nella medesima affermazione».
Pubblicazione a cura di Carlo Di Pietro (clicca qui per leggere altri studi pubblicati) (http://radiospada.org/)