Mi ricollego- comunque senza entrare nel merito- all'iniziativa lanciata dal Locatelli: «Ma cosa sta accadendo alla nostra Cattolica e cara Sacra Bibbia?». Come abbiamo visto già in precedenza, in «ambienti postconciliari» si tende sempre più- con oggettiva evidenza- ad un pericoloso avvicinamento al «Giudaismo», ma in che senso? Non nel senso corretto e propriamente «ecumenico», bensì pare che si voglia in tutti i modi «modificare la Chiesa» per compiacere chi «Chiesa non è», sacrificando evidentemente la verità. Come ricorda anche la nota e quasi introvabile «Enciclopedia Cattolica» (Città del Vaticano, imprimatur 1952, 12 Volumi): «Si vede subito che tali teorie sono in contrasto con la fede cattolica». Oggi vorrei parlarvi, con l'aiuto dei grandi commentatori del recente passato, di Matteo XVIII,17: ovvero della «Chiesa» che diventa «comunità» o «assemblea» pericolosamente intesa, così si capisce, nel solo senso dell'A.T. … Si legga per maggiori informazioni «Che cos'è la sacra Bibbia e come giunge fino a noi?», breve commento del Tintori O.F.M. (Sacra Bibbia, San Paolo, 1931, Roma), da me implementato con alcune dichiarazioni apprese dalla dogmatica, «attualizzato» e rilanciato.
CITAZIONE 1 (pre-Concilio Vaticano II)
CITAZIONE 2 (pre-Concilio Vaticano II)
Mons. S. Garofalo, «Bibbia»: Gesù ha sottolineato finora che Pietro ha riconosciuto il Maestro come Messia e Figlio del Vivente in virtù di un particolare dono di rivelazione da parte di Dio; le parole, di stile solenne, introducono una dichiarazione di particolare importanza. In aramaico, la lingua parlata da Gesù, Pietro-pietra corrispondono a un unico termine: «kefa», di genere maschile; volendo conservare il genere in tutti e due i casi, si potrebbe dire: «tu sei roccia e su questa roccia... ». In greco fu necessario distinguere «Petròs» e «petra». Il nome «Petròs», come — sembra — il corrispondente «kefa», non era ancora usato come nome proprio. Simone conosce adesso il valore del nuovo nome annunziatogli da Cristo fin dal primo incontro (Gv. 1, 42); già il fatto di un mutamento di nome significava per lui l’orientamento verso un nuovo destino (cfr. Gen. 17,5). Pietro, dunque, è costituito fondamento della Chiesa, qui concepita come un edificio, una casa, di cui Gesù dice: la mia «Chiesa», come dirà: il mio «regno» (Gv. 18,36). Il termine greco «ekklesìa», donde «Chiesa», è usato nei Vangeli soltanto da Mt., qui e in 18,17, ed indica una comunità organizzata. Nel V. T. greco, il termine traduce l’ebr. «qahal» col quale era designato il popolo eletto in quanto assemblea convocata dalla volontà di Dio (cfr. Num. 13,1; Gal. 6,6).
CITAZIONE 3 (pre-Concilio Vaticano II)
CITAZIONE 4 (pre-Concilio Vaticano II)
CITAZIONE 5 (pre-Concilio Vaticano II)
BREVI NOTE (pre-Concilio Vaticano II)
Mons. F. Spadafora, «Dizionario Biblico»: Nel Vecchio Testamento «qahal» indica adunata di popolo (per es. Deut. 9, 10; 18, 16) qualche volta per motivi civili (Eccle. 26, 5; Iudc. 20, 2; il popolo è convocato per la guerra), ma ordinariamente a scopo religioso (Deut. 9, 10; 18, 16, ecc.; molte volte in Ps.): così il giorno in cui il popolo veniva convocato alle falde del Sinai (Deut. 4, 9-13; 5, 19, ecc.) è detto «iom haqqahal»; e "Chiesa (= adunata) d'Israele" il raduno del popolo per la dedicazione del tempio (I Reg. 8, 14 . 22), e per la celebre festa delle capanne, sotto Esdra e Neemia (Neh. 8, 17). "Sinagoga", invece, ha un significato più generico e profano. Il termine Chiesa è usato solo tre volte nei Vangeli (Mt. 16, 18; 18, 17 bis); 23 volte negli Atti; 64 nelle Lettere di s. Paolo; 1 in Iac … È l'unica Chiesa universale che comprende tutti i fedeli, e che si manifesta nelle varie comunità o Chiese particolari (per es. Rom. 16, 1; I Cor 1, 2; 2Cor 1, 1). L'universalità della Chiesa vien confermata dal fatto che sia le chiese giudaico-cristiane (per es. in Gerusalemme) sia quelle etnico-cristiane (in Antiochia) era n dette con lo stesso diritto Chiesa. La Chiesa realizza il "regno di Dio" ( ="regno dei cieli": Mt.) preannunziato dai profeti, termine ultimo di tutta l'antica economia (v. Alleanza). La Chiesa è lo stesso "regno di Dio"… La relazione tra Cristo e i fedeli, principio di unione e di grazia, è presentata con l'immagine di Cristo capo del corpo della Chiesa (Eph. 1, 22; 2, 16; 4, 15.16; 5, 23.30; Col. 1, 18, 24; 3, 15). Cristo capo ha il primato assoluto (Col. 1, 18; Eph. 1, 22); a lui la Chiesa è soggetta (Eph. 5, 24); Egli è principio di unione (Eph. 4, 16) e di vita del corpo (Col. 2, 19); questo deve tendere a lui (Eph. 4, 15). Con il sacrificio della croce Cristo operò questa unione, soppresse la legge, ruppe la parete che divideva i Giudei dai Gentili (Eph. 2, 14-16), influì salutarmente sui fedeli (Eph. 4, 15, 16; Col. l, 20; 3, 15) e redense la Chiesa (Eph. 5, 23). Affinché questo corpo giungesse alla statura perfetta, Cristo, oltre i vari doni, come il battesimo e la fede, largì il suo Spirito (Eph. 2, 22; 4, 4) e mansioni di vario genere che i fedeli devono disimpegnare nella misura a ciascuno di essi concessa (Eph. 4, 11-14) e nella carità (Eph. 4, 3.16). I fedeli a loro volta risentono di questi influssi vitali in quanto son membra del corpo di Cristo (Eph. 4, 16) e aderiscono al Capo (Col. 2, 19) … La Chiesa è inoltre sposa di Cristo (Eph. 5, 22-32; cf. II Cor 11, 2) e Cristo consegnò se stesso per lei affinché la santificasse.
Gesuita e teologo francese Xavier Dufour, «Vocabulaire de theologie biblique»: Nel mondo greco la parola ekklesia, di cui « chiesa » non è che un ricalco, designa l'assemblea del dèmos, del popolo come forza politica. Di questo senso profano (cfr. Atti 19, 32. 39 s) si tinge il senso religioso quando Paolo parla dello svolgimento attuale di un'assemblea cristiana riunita «in chiesa» (ad es. 1 Cor 11, 18). Nei Settanta, invece, la parola designa una assemblea convocata per un atto religioso, spesso cultuale (ad es. Deut 23; 1 Re 8; Sal 22, 26): corrisponde all'ebr. qabal, usato soprattutto dalla scuola deuteronomica per designare l'assemblea dell'Horeb (ad es. Deut 4,10), delle steppe di Moab (Deut 31,30) o della terra promessa (ad es. Gios 8, 35; Giud 20, 2), e dal Cronista (ad es. 1 Cron 28, 8; Neem 8, 2) per designare l'assemblea liturgica di Israele al tempo dei re o dopo l'esilio- Ma se ekklesìa traduce sempre «gahal», quest'ultima parola è resa talvolta con altri vocaboli, specialmente con synagogbè (ad es. Num 16, 3; 20, 4; Deut 5, 22), che per lo più rende il termine sacerdotale `edah. Chiesa e sinagoga sono due termini pressoché sinonimi (cfr. Giac 2, 2): non si opporranno che quando i cristiani si saranno appropriato il primo, riservando il secondo ai Giudei recalcitranti. La scelta di ekklesìa da parte dei Settanta è stata senza dubbio guidata dall'assonanza qahal/ekklesìa, ma anche dalle suggestioni dell'etimologia: questo termine, venendo da enkalèo (chiamo da, convoco), indicava di per sé che Israele, il popolo di Dio, era il raduno degli uomini convocati dall'iniziativa divina, e si collegava ad una espressione ,sacerdotale in cui era espressa l'idea di chiamata: kletè haghìa, traduzione letterale di miqrah qodes, «convocazione santa» (Es 12,16; Lev 23, 3; Num 29, 1). Naturalissimo che Gesù, fondando un nuovo popolo di Dio in continuazione dell'antico, l'abbia designato con un nome biblico dell'assemblea religiosa (ha dovuto dire in aramaico sia 'edta, sia kenista,tradotto per lo più con synagoghè, sia più probabilmente qehalah), nome reso con ekklesìa in Mt 16,18. Così pure la prima generazione crístiana, cosciente di essere il nuovo popolo di Dio (1 Piet 2, 10) prefigurato dalla «chiesa del deserto» (Atti 7, 38), ha adottato un termine che, venendo dalle Scritture, era attissimo a designarla come « Israele di Dio » (Gal 6, 16; cfr. Apoc 7, 4; Giac 1, 1; Fil 3, 3)- Questo termine inoltre presentava il vantaggio di includere il tema dell'appello che Dio rivolge gratuitamente in Gesù Cristo prima ai Giudei, poi ai pagani, per formare «la convocazione santa» degli ultimi tempi (cfr. 1 Cor 1, 2; Rom 1, 7: «convocati santi»).
Padre G. Casali, «Somma di Teologia Dogmatica»: Dopo aver visto da chi e come sono nate le Chiese scismatici e protestanti, vediamo la genuina origine della Chiesa Cattolica da Gesù. Lo dimostreremo in diverse Proposizioni Opposte alla dottrina dei vari fratelli separati, attingendo direttamente dal Vangelo e dalla storia della Chiesa nei primi tempi. Nei Vangeli troviamo usata da Gesù la parola Chiesa per due volte (Mt. 16,18; e 18,17), moltissime altre invece la parola Regno di Dio o Regno dei Cieli. Matteo, che nello scrivere il suo Vangelo ha di mira specialmente gli Ebrei, preferisce la seconda espressione come più adatta per loro; gli altri Evangelisti, che si dirigono in particolare ai pagani, usano come più adatta la prima. In che senso Gesù intendeva queste parole lo vedremo nelle seguenti tesi. TESI. - Il Regno predicato da Gesù Cristo non solo è escatologico, cioè finale, e al di là della vita presente, ma è anche su questa terra fino alla fine del mondo, per continuare poi in Cielo. La tesi è contro i Protestanti e i Modernisti. PROVA: Su questa terra Gesù presenta il suo Regno come già inaugurato dalla predicazione del Vangelo. «Dal tempo di Giovanni Battista fino ad oggi il regno dei cieli si acquista con la forza e i violenti se ne impadroniscono» (Mt. 11,12). «Se… io scaccio i demoni in virtù dello Spirito di Dio è segno che il Regno di Dio è giunto a voi» (Mt. 12,28). (Cfr. pure Lc. 16,16; 17,20.21). Dice che sarà dato ai Gentili: così nella parabola dei vignaioli (Mt. 21,33 ss.; Mc. 12, 1 - 12), e dei convitati (Lc. 14,16 ss.), quando si dice di affittare la vigna ad altri coloni e di chiamare altri convitati al posto di quelli che avevano rifiutato (il popolo Ebreo). Ne parla come un regno nel quale si trovano buoni e cattivi, come nella parabola della zizzania e del buon grano (Mt. 13, 37), e in quella della rete gettata in mare che raccoglie più sorta di pesci (Matteo, 13); ne annunzia le circostanze, le persecuzioni (Mt. 10; Mc. 13; Lc. 10). Quando i Farsei gli domandano quando verrà il regno di Dio, Gesù risponde: «Il regno di Dio è dentro di voi» (Lc. 17, 21). C’è alla fine del mondo. Questo regno continuerà fino alla fine del mondo con la presenza di Gesù: «Ecco che io sono con voi fino alla fine del mondo» (Mt. 28,20). Allora tornerà il Figlio dell’Uomo con grande potenza e maestà a giudicare i buoni e i cattivi. I Modernisti pretesero di disconoscere questa verità dicendo che Gesù l’aveva annunziata come prossima, mentre poi non si sarebbe avverata. Dimenticano che quella profezia era stata annunziata insieme a quella della distruzione di Gerusalemme, dove, come già abbiamo esposto, le parole: «Non passerà questa generazione, finché tutte queste cose si siano avverate» (Mt. 24, 34), si riferivano alla catastrofe della città. Continuerà nel cielo. - Non solo Gesù parla del regno celeste per ogni anima che passa da questa all’altra vita, per cui promette copiosa ricompensa nel cielo (Mt. 16, 24; Mc. 8, 34; Le. 9, 23), a chi avrà osservato sulla terra i suoi comandamenti, ma nell’ultimo giorno, mentre condannerà i cattivi, inviterà i buoni, i benedetti dal Padre, ad entrare nel possesso del Regno che fu loro preparato fino dal principio del mondo (Mt. 25, 34). Nell’Antico Testamento già si parla di questo Regno che si inizia cogli Ebrei, in aspettativa del Cristo futuro, ma che sarà instaurato in pieno alla venuta del Messia, estendendosi anche agli altri popoli: durerà per tutti i tempi e non avrà mai fine (Dan. 7, 13; Is. 9, 6-7; Ger. 25 - 5). I primi Cristiani si riuniscono sotto l’autorità degli Apostoli, compiono i loro atti religiosi, formano le prime comunità cristiane. Basta leggere gli Atti degli Apostoli e le Lettere inviate da essi, specialmente da S. Paolo alla varie Comunità. Questi usa ben 65 volte la parola «Chiesa», ora col significato di «riunione» dei fedeli, ora di «comunità locale» (Chiesa di Efeso, di Corinto, ecc.), ora di «famiglia universale» dei cristiani. Negli Atti degli Apostoli, scritti da Luca, discepolo di Paolo, si descrive la vita religiosa dei fedeli, dopo l’Ascensione di Gesù, dall’inizio ufficiale della Chiesa guidata da Pietro e dagli Apostoli cogli ottomila nuovi battezzati nel giorno di Pentecoste TESI - La Chiesa di Gesù Cristo non è soltanto un regno interiore e invisibile, ma anche esterno e visibile. La tesi è contro i Luterani e i Calvinisti che negano una Chiesa visibile; ed anche contro i Donatisti eretici del IV secolo, i quali dicevano che la vera Chiesa è composta soltanto da coloro che sono santi; contro i Valdesi (sec. XII) e i Fraticelli (Wicleff e Huss, sec. XIV, XV) precursori del Luteranesimo i quali dicevano che la Chiesa è formata dai soli predestinati. É pure contro i Modernisti Protestanti, di cui abbiamo parlato (pag. 111) e i Modernisti in genere, i quali fanno consistere la Chiesa in una viva esperienza religiosa individuale, per i quali è necessaria anche la prima parte della tesi. PROVA 1) - É regno interiore e invisibile. Fino dalla predicazione del Battista il regno di Dio è presentato come una rinnovazione interiore dell’uomo colla penitenza (Mt. 3, 2; Lc. 3, 8) colla remissione dei peccati (Mt. 9, 1; Le. 5, 17). Parlando a Nicodemo, Gesù spiega che per entrare nei regno di Dio bisogna rinascere nell’acqua e nello Spirito Santo (Gv. 3, 5). Contro lo spirito di esteriorità dei Farìseì, i quali davano la prevalenza alle osservanze esterne, dice: «Se la vostra giustizia non sarà più abbondante di quella degli Scribi e dei Farisei non entrerete nel regno dei cieli» (Mt. 5, 20). Alla Samaritana, che gli chiede se Dio dovrà essere adorato al Tempio di Gerusalemme o sul Monte Gàrizin, nella sua regione, Gesù risponde: «Verrà il tempo, ed è ora, quando i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità» (Gv. 4, 23). Pure la predicazione delle virtù e delle beatitudini indica come i suoi seguaci hanno un legame interiore che non si ferma a una semplice esperienza religiosa individuale, ma richiede in tutti un’osservanza che parta dal profondo dell’anima e della volontà. 2) - É anche esteriore e visibile. Per Regno o Chiesa visibile intendiamo una società di cui l’intelligenza può conoscere l’esistenza mediante i sensi. Essa non resta nascosta internamente, ma si vede esteriormente. La Chiesa di Cristo è visibile, in quanto che coi nostri sensi possiamo conoscerla come una società religiosa ben distinta dalle altre. Non è quindi soltanto l’assemblea dei predestinati, né quella dei giusti, né quella delle anime unite fra loro col senso della paternità divina, ma la società dei fedeli che guidati da Pietro e dagli Apostoli e dai loro successori professano la stessa fede, osservano gli stessi comandamenti, ricevono gli stessi sacramenti. Quindi sono visibili i membri che compongono la Chiesa e i vincoli che lì uniscono. Così Gesù volle la sua Chiesa. Già i Profeti dell’Antico Testamento avevano annunziato il regno messianico come un regno interno e esterno, e gli Ebrei avevano tanto pensato questa esteriorità fino a intenderla erroneamente aspettando un predominio politico. Nelle parabole Gesù lo raffigura alle pecorelle, al gregge, ai pesci raccolti nella rete, a una nave, alla vigna, al campo, alla casa da edificare, tutti esempi che richiamano il carattere esterno di questo Per i suoi seguaci non basterà che credano, ma che siano battezzati e saranno riconosciuti dall’esercizio della carità degli uni verso gli altri (Cfr. Gv. 13, 35). Dovranno dare testimonianza della fede fino a subire le più grandi persecuzioni e a dar la vita. Tutte queste cose indicano chiaramente la visibilità della Chiesa. A completare la dimostrazione c’è il fatto che Gesù istituisce la Chiesa con una Gerarchia, coi Sacramenti, col potere di giudicare come vedremo in altre tesi. La Chiesa primitiva presenta queste caratteristiche volute dal Suo Divin Fondatore. Quanto abbiamo detto nella tesi ci mostra le prime comunità cristiane ben visibili in una vita cristiana interiore e con osservanze esteriori. Essa è il Corpo Mistico di cui Cristo è il Capo e la vita soprannaturale passa in tutte le membra che si riconoscono nella unità della fede (Efes. 4, 6) del Battesimo (1 Cor. 1, 12) dell’Altare e del Pane Eucaristica (I Cor. 10, 16). Negli Atti degli Apostoli troviamo: che Pietro invita alla penitenza chiamando al Battesimo (2,38) e poco: dopo (6,7) è detto che la famiglia dei fedeli cresceva sempre più, ed era «un cuor solo ed un’anima sola» (4,34).
BREVI NOTE E CITAZIONI (Concilio Vaticano II)
CITAZIONE 1 (Concilio Vaticano II)
CITAZIONE 2 (Concilio Vaticano II)
DOGMI DA CONOSCERE
Tutti i Pontefici hanno sempre operato nella dottrina- nella docenza- in tal senso, e mai hanno «aperto» al male, non è previsto dalla nostra fede, poiché «ai successori di Pietro non fu promesso lo Spirito Santo perché, per sua rivelazione, manifestassero una nuova dottrina, ma perché, per la sua assistenza, custodissero inviolabilmente ed esponessero con fedeltà la rivelazione trasmessa dagli apostoli, ossia il deposito della Fede»; pertanto, aggiunge Pio XII, «dal consenso universale di un magistero ordinario della chiesa si trae un argomento certo e sicuro»; e Leone XIII: «Per questo i padri del concilio Vaticano (Primo) nulla hanno decretato di nuovo, ma solo ebbero in vista l’istituzione divina, l’antica e costante dottrina della Chiesa e la stessa natura della Fede, quando decretarono: “Per Fede divina e cattolica si deve credere tutto ciò che si contiene nella parola di Dio scritta o tramandata, e viene proposto dalla Chiesa o con solenne definizione o con ordinario e universale magistero come verità da Dio rivelata”»; in aggiunta cito il fondamentale dogma sull'interpretazione della Scrittura secondo il tradizionale principio di «convergenza dei Padri», come sintetizzato, quale giuramento, anche nella Professio Fidei Tridentina: «Ammetto pure la sacra Scrittura secondo l'interpretazione che ne ha dato e ne dà la santa madre Chiesa, alla quale compete giudicare del senso genuino e dell'interpretazione delle sacre Scritture, né mai l'intenderò e l'interpreterò se non secondo l'unanime consenso dei padri»; e quello sui dogmi rivelati, come insegna la Chiesa dalla sua fondazione e come la Dei Filius commemora: «Quindi deve essere approvato in perpetuo quel significato dei sacri dogmi che la Santa Madre Chiesa ha dichiarato, né mai si deve recedere da quel significato con il pretesto o con le apparenze di una più completa intelligenza. Crescano dunque e gagliardamente progrediscano, lungo il corso delle età e dei secoli, l'intelligenza e la sapienza, sia dei secoli, sia degli uomini, come di tutta la Chiesa, ma nel proprio settore soltanto, cioè nel medesimo dogma, nel medesimo significato, nella medesima affermazione». Approfondimento: «Breve dissertazione sul modernismo. Cosa bisogna sapere?».
Pubblicazione a cura di Carlo Di Pietro (clicca qui per leggere altri studi pubblicati) (http://radiospada.org/)