martedì 3 dicembre 2013

R.P. Raffaele Ballerini d.C.d.G. : DI UN'ALLEANZA DEI CATTOLICI COLLA DEMOCRAZIA (I°)

 
 
La Civiltà Cattolica anno XLVI, serie XVI, vol. III (fasc. 1084, 6 ago. 1895), Roma 1895 pag. 390-399.

R.P. Raffaele Ballerini d.C.d.G.

DI UN'ALLEANZA DEI CATTOLICI COLLA DEMOCRAZIA

I.

Lo sfacelo interno del liberalismo, in quanto partito politico, e la disistima nella quale è caduto generalmente fra noi, mettono in grave pensiero tutti coloro che, ad ogni patto, vorrebbero pur conservare e salvare in Italia il più che sia possibile dei frutti della rivoluzione. Veggono essi che quel liberalismo che finora se li è goduti, è giudicato; e si è attirato addosso l'universale maledizione: che coloro i quali, con una certa buona fede, vi si erano dati e l'hanno seguito, riputandolo sanabile, si sono disingannati: che oggi è troppo manifesto aver esso distrutto ogni cosa e non creato altro, fuorchè corruttela, ladrerie, imposture, tirannidi, ignominie, disperazione. L'unione poi e l'operosità fortunata dei cattolici, i quali per tanti anni furon creduti, insieme col Papa e colla Chiesa, politicamente morti e sepolti, e le splendide loro vittorie nelle elezioni amministrative delle principali città, Milano, Torino, Roma, Bologna, Brescia, Bergamo, Lucca, Venezia li sgomenta. Sentono essi che un novello spirito agita la mole della nazione, che grandi mutazioni si stanno preparando, e se non tutto l'antico è in via di rifarsi, molto si rifarà; e ad ogni modo si hanno tutti i segni che novus rerum nascitur ordo, come giorni sono, al chiudersi della sessione parlamentare in Montecitorio, il pomposo 33.·. della Massoneria, Giovanni Bovio, ne ha manifestato pavido il presentimento.
Posto ciò, cominciano a mettere innanzi una proposta, che sembra loro feconda di bene: la congiunzione, o l'alleanza dei cattolici colla democrazia. Di questa si fa campione il più autorevole e sensato de' suoi giornali, la Corrispondenza verde di Roma, i cui concetti valgono la spesa di essere indicati. Ed eccoli in compendio.
I vecchi partiti, dic'essa, si disfanno. Nelle tenebre che sempre più si addensano, «due grandi idee che dominano la storia patria, che sono come i due poli, fra i quali si è svolta attraverso i secoli la vita italiana, l'idea democratica e l'idea cattolica, sono come i due fari verso i quali possono rivolgersi fidenti gli occhi del paese, per trovare salute.» Chi guida i democratici ed i cattolici, dovrebbe «affrettare la fusione dei due partiti, i quali racchiudono ancora ciò che di sano e di veramente vivo esiste nella nazione.» Or perchè «si persevera invece in un sistema di ostilità, che non ha più oggi alcuna ragione di essere?» E siccome il perchè s'ha da cercare, non nel campo dei cattolici, ma dei democratici militanti, che guardano la croce come il diavolo, così la Corrispondenza soggiunge: «Bisogna pur dirlo, bisogna pure che i capi della democrazia se ne convincano, l'anticlericalismo è un sentimento passato di moda... non è più che una grottesca grulleria, buona per accalappiare i citrulli e i radicali, i quali si trastullano, mantenendo viva quella curiosità preistorica, perdono il loro tempo a combattere dei mulini a vento [1]

II.

La proposta per sè certamente sarebbe assai bella. Se l'idea democratica, della quale si discorre loro al presente, si fosse mantenuta schietta ed immutata, come l'idea cattolica «attraverso i secoli fra i quali la vita italiana si è svolta»; niente di più agevole e naturale si potrebbe dare, che la ricongiunzione e l'alleanza tra loro. Ma i cattolici osservano che l'idea odierna non è più quella dessa di una volta; è anzi una tutt'altra, che d'italiano nè pure merita il nome. Non è più l'idea variamente democratica dei nostri Comuni di Firenze, di Pisa, di Siena, di Bologna, di Milano, nel medio evo, fino al cadere del secolo decimoquinto. È invece un'idea sì diversa, che non ne comporta nè meno il paragone: un'idea bastarda, un'idea barbara, un'idea attinta a scaturigini le più impure. Nè il giacobinismo francese, nè il radicalismo elvetico, nè il socialismo tedesco, han punto che fare colla nostra storica democrazia. Questa idea democratica, che si dovrebbe alleare in Italia coll'idea cattolica, è tutta un impasto di assurde mostruosità, che passano dal Morelly e dal Brisson de Warville al Proudhon ed a Louis Blanc, dal Rousseau al Lassalle, dal d'Alembert al Tolstoi, dal Robespierre a Carlo Marx. Non si tratta più di democrazia, ma di demagogia. Nulla di italianamente e cattolicamente conciliabile è dunque nei due termini che si avrebbero, non da ricongiungere, chè non sono stati mai insieme, ma da congiungere in fraterna concordia.
Osservano inoltre i cattolici che l'anticlericalismo, ossia l'odio all'idea cattolica e la guerra alla pratica sua, è tanto essenziale all'idea democratica moderna, che, senza ciò, i suoi proseliti, maestri e gerofanti non potrebbero concepirla. Si provi la Corrispondenza a persuadere del contrario i Cavallotti, i Barbato, i de Felice, i Bovio, i Gori, i Turati, i de Andreis, i Gnocchi Viani, gli scrittori dell'Italia del popolo di Milano, quelli del Diritto di Roma e cent'altri simili paladini della odierna democrazia. E poi, quando ne sia venuto a capo, si riparlerà dell'alleanza.
Del resto essa ancora l'intende, se ne affligge e ne sfoga, il dolore con dire: «Sappiamo purtroppo che, nel campo democratico, esistono molti uomini, più o meno eminenti, i quali vorrebbero cristallizzare il loro partito nelle vecchie fantasmagorie ghibelline, fossilizzarlo nello sterile proseguimento di un dissidio, che la ragione dei tempi rende inutile, senza parlare dei sepolcri imbiancati, i quali dell'anticlericalismo si fanno sgabello, per conquistare il favore delle consorterie abbrutite dall'odio perseverante contro tutto ciò che sa di religiosità e di strumento per tenere in piedi le istituzioni cadenti, in seno alle quali l'avversione alla fede altrui è segnacolo di fraternità e di solidarietà [2]
Il che vale un riconoscere che, sotto il velame di una falsa democrazia catoniana, tutta questa turba di gente ricopre le corruzioni, le cupidigie e le empietà delle sètte massoniche e giudaiche, per le quali appunto il partito liberalesco, fin qui dominante, tra le esecrazioni dei popoli, si sta dissolvendo. E se ciò è, conviene aspettare prima che la vera e storica idea democratica s'impossessi di molte menti italiane, e poi discorrere di farle dare la mano fraterna dai cattolici. Per sino a tanto che questo non avviene, il ragionare di alleanza fra le due idee, è come ragionare di accordo fra il giorno e la notte. Alla proposta, i cattolici possono sempre a buona legge rispondere: — Si nega il supposto. Il quale è, che l'idea propugnata dai nostri così detti democratici, sia uno dei fari, o dei poli, verso cui si possa voltar l'occhio, con isperanza di salvezza. Al contrario, è una face promotrice di ruinosi incendii, è una torbida nuvola gravida di tempesta.
Di fatto non a salvezza questa idea può punto condurre, ma unicamente, o agli scompigli dell'anarchia, o ai terrori del dispotismo. E lo ha bene avvertito Stefano Lamy, in un suo recentissimo volume, parlando del come due volte dall'idea democratica in Francia fosse potuta uscire la spada dei due Imperi napoleonici. «La demagogia aveva ingerito sgomento della libertà. Un Napoleone era sorto, che levando agli uni la fiducia di turbare la società, ed agli altri la cura di difenderla, si era sovraposto a tutti, quale padrone; e più egli si mostrava assoluto, più ancora contentava il gusto della sommissione e del silenzio, che dà fine a tutte le anarchie [3]

III.

Ma benchè sia certo che in Italia l'idea di una solida e savia democrazia nazionale, corrispondente alla storia, non informa ancora un tal corpo organizzato, che si possa politicamente denominare partito, non è però dubbio che essa occupa sparsamente gli animi di non pochi; i quali non sanno prevedere altro scioglimento al nodo che stringe da per tutto la società in Europa, fuorchè il fatto di una democrazia, ordinata e stabilita sopra il fondamento della civiltà cristiana. Di ciò per fermo non sono da riprendere, poichè tutte le apparenze favoriscono questo presagio: e nell'Italia specialmente, messa al sicuro la indipendenza del Papato, che delle condizioni politiche della Penisola è il pernio necessario, non si vede a che cosa (non parliamo dei diritti) una sua ricostituzione con forme sanamente democratiche potrebbe ripugnare.
Tuttavia in queste previsioni e negli argomenti che si adducono per giustificarle, è gran pericolo di passare il segno del vero, dell'equo e del retto. E ne abbiamo la prova in parecchie ragioni alle quali gli apostoli di una democrazia cristiana ricorrono, per propagarne l'idea nel popolo; le quali possono abbagliare le menti poco istrutte, ma non nutrirle di verità, fuori della quale non è se non vanità. Ora noi cattolici, che miriamo al bene sostanziale e non al vano, non temere, ma amare dobbiamo la verità. Perciò nemmeno ci conviene lasciar supporre, che la democrazia per noi accettabile debba poggiare sopra errori giuridici e teologici, fecondi sempre di dolorose conseguenze.
Verbigrazia, abbiamo letto nel libro di uno di tali banditori di democrazia, cristianamente battezzata e cresimata, queste proposizioni: «La vera democrazia altro non è che il regno della giustizia, l'eguaglianza dei diritti, la nullità dei privilegii fittizii e l'esatta conoscenza ed osservanza dei proprii doveri. E se questa e non altra è la chiara definizione della democrazia, chi meglio del Vangelo l'ebbe intesa, promulgata ed imposta a' suoi seguaci?»
Piano a' ma' passi, amico caro! Nessun logico vi menerebbe buoni i due elementi del regno della giustizia e dell'esatta conoscenza ed osservanza dei proprii doveri, introdotti in questa descrizione della democrazia: perocchè ancora nelle altre forme di reggimento o di socialità, come, per esempio, nella monarchica o nella oligarchica, che sono forme naturalmente buone, può e deve esservi questo doppio elemento, senza del quale sarebbero intrinsecamente inique: il che è falsissimo.
Volendo adunque dare una definizione dialettica della democrazia, si deve prendere il genere prossimo della cosa, che è qui l'ordinamento del vivere sociale, retto e mantenuto da suprema autorità, e la differenza ultima, ossia la specificante, che, nel caso nostro, è l'eguaglianza dei diritti politici e civili di ogni membro della società: la quale eguaglianza poi rimuove ogni privilegio, non solo fittizio, ma anche reale, secondochè dalla stessa parola di democrazia viene accennato; significando essa Governo del popolo; cioè un popolo che si regge da sè, tolti i riguardi alla nascita, al censo e ad altri titoli accessorii.

IV.

Considerata la democrazia sotto questo rispetto, che è il vero, si cade in gravissimo abbaglio, asserendo che il Vangelo l'abbia promulgata ed imposta a' suoi seguaci. Il Vangelo non è un codice politico, direttamente ordinato al maggior bene umano di questa vita, ma è un codice religioso e morale, direttamente ordinato alla eterna e soprannaturale salute delle anime. Nè il Vangelo per sè raccomanda più la forma politica e sociale della democrazia, che quella della monarchia: ma raccomanda che i suoi seguaci, sotto qualunque foggia di Governo si trovino essere, facciano regnare la giustizia ed esattamente conoscano ed osservino i loro proprii doveri.
Affinchè poi meglio si capisca il sofisma predetto, si distingua parte da parte. Che il Vangelo promulghi ed imponga il regno della giustizia soprannaturale ed anche naturale, e l'adempimento dei doveri di ciascun uomo, è vero, verissimo: ma che promulghi ed imponga l'eguaglianza dei diritti e la nullità dei privilegii politici e civili, è falso falsissimo.
È verissima la prima cosa, giacchè senza giustizia, quantunque naturale, e senza osservanza dei doveri, non può darsi quell'ordine morale, che è voluto da Dio e posto da lui a necessaria condizione della stessa salute. Se non che un ordine così fatto si può verificare e si verifica in qualunque forma di politica società il cristiano viva. È poi falsissima la seconda cosa, imperocchè di diritti e di privilegii politici Cristo Signor Nostro non si è mai impacciato; e noi sfidiamo chi si sia a citare una sola parola del suo Vangelo, che di questi tratti, o a questi alluda. Anzi nè pure di diritti privati si volle mescolare: onde a colui che lo pregava di intromettersi nella divisione della eredità col suo fratello, rispose: Homo, quis me constituit iudicem aut divisorem super vos? O uomo, chi ha costituito me giudice o arbitro tra voi [4]?
L'unica regola di santa politica che Gesù Cristo abbia promulgata ed imposta, è che si deve rendere a Dio quel che è di Dio, ed a Cesare quel che è di Cesare: vale a dire, che, prima di tutto e sopra tutto, si deve riverire il supremo diritto che ha Dio, come creatore e signore dell'uomo e dell'umana società, ed eseguirne tutti i precetti; poi, per riguardo a Dio stesso, che comanda l'ordine nell'umano consorzio e da cui ogni ordinata podestà discende, riverire i diritti che ha la politica autorità, cioè Cesare; ossia poi Cesare il capo di una monarchia, ossia un corpo morale reggente una democrazia. Fuori di questa regola, altra nel Vangelo non si ritrova.

V.

«Ma, seguita ad insistere il predicatore di democrazia cattolica, non vogliamo persuaderci, che, essendo stato Cristo il primo democratico del mondo, il vero fondatore della democrazia, combattendo le dottrine di lui, che n'è il naturale custode, distruggiamo in luogo di edificare? O con me, egli ci ripete coll'esempio e colle parole, e il vostro trionfo è sicuro; o senza me, e morirete nel nascere. Ma a consolarci, in tanta perplessità di cose, giova riflettere che l'eguaglianza dei diritti, cioè la vera democrazia, altro non essendo che la giustizia, ed avendo la giustizia in sè la potenza irresistibile del vero, il regno della democrazia vera dovrà essere invincibile e finirà col trionfare.» Adunque, o cattolici, se ne conchiude, aggruppatevi, ammassatevi, componete un esercito e pigliate d'assalto quanti campi trincerati si oppongono al conquisto di sì divina democrazia.
Il male però si è, che può proprio dirsi, tanti essere gli spropositi, quanti i periodi della poetica parenesi. Si lascino i comunisti, i socialisti, i frammassoni, camuffati da credenti, dare, pe' loro perfidi fini, al Dio Redentore questo titolo di primo democratico del mondo e di vero fondatore della democrazia. Un cattolico non abuserà mai del linguaggio sino a questo punto, nè si farà lecito di trattare il Cristo-Dio, con termini di sì triviale ambiguità.
Politicamente e socialmente parlando, il qualificare Gesù Cristo di primo democratico e di fondatore della democrazia, è, come abbiam veduto, una menzogna, la quale, applicata, benchè innocentemente, a sì divino soggetto, pute di bestemmia. Non pure nulla è nel sublime Vangelo di lui, che dia presa a questa menzogna, ma tutto concorre a fare che si ripudii. Di mondana politica, lo ridiciamo, il Figliuolo di Dio umanato non volle mai immischiarsi. Egli non venne in terra pe' miseri interessi di questa; ma veni, predicava egli di sè, acciocchè gli uomini vitam habeant, et abundantius habeant [5]. Tutto, ne' suoi esempii e ne' suoi insegnamenti, mirava alla vita eterna.
Del rimanente egli nacque povero sì, giacchè volle pigliare per sè le pene comuni al maggior numero degli uomini, che sono i poveri, e santificare in sè stesso la povertà; ma tuttavia nacque reale Principe della stirpe di David e con diritti al trono, ch'egli si guardò dal far valere giammai, ma pure aveva notissimi e legittimi. Egli osservò tutte le leggi ed usanze: non solamente le proprie della nazione giudaica, ma ancora quelle imposte dai Romani, conquistatori della Giudea ed usurpatori del pubblico dominio; tanto che egli fece un solenne miracolo, per pagare con Pietro a Cesare il tributo. Coi fatti adunque e colle parole egli visse soggetto ai poteri costituiti; nè mai si giunse a provare, che egli avesse divulgate dottrine all'autorità o della Sinagoga, o di Cesare opposte. Ed ognuno sa, che, al tribunale di Pilato, si presentarono bensì dalla truculenta Sinagoga le accuse di ciò contro lui; ma non vi si poterono sostenere: così che Pilato le disprezzò, e da queste vere calunnie egli scoperse che propter invidiam era egli deferito al suo giudizio e gridato a morte.

VI.

In un senso unicamente potrebbe, per qualche modo, non disdire a Gesù Cristo la denominazione di primo democratico e fondatore della democrazia; ed è che egli ha compensata l'ineguaglianza naturale delle condizioni umane, coll'eguaglianza di una stessa fede per tutti, di una stessa figliuolanza adottiva di Dio e di una stessa vita avvenire.
Sotto il rispetto, non più politico ed umano, ma celeste e della grazia, il Redentore ha veramente fondata una santissima democrazia, nella quale tutti indistintamente gli uomini sono chiamati all'eredità del medesimo Padre; tutti egualmente son costituiti fratelli del medesimo Verbo fatt'uomo; tutti, senza divario, ricomperati col medesimo prezzo del sangue divino e della vita di lui; tutti partecipi dei medesimi sacramenti; tutti membri della medesima Chiesa, sottomessi al reggimento di un medesimo Pastore. Ma che entra questo rispetto in quello della terrena politica, ed in quello particolarmente della forma democratica del Governo civile?
Dato ciò, cade da sè il fallace presupposto, che Gesù Cristo sia naturale custode di questa forma di Governo; e che, a proposito di questa forma, egli abbia detto; — Chi non è con me, qui non est mecum, è contro di me, contra me est [6]; e cade e ruina l'altro presupposto, più che fallace, che l'eguaglianza dei diritti sia la giustizia, predestinata a trionfare nel mondo ed a regnarvi.
L'eguaglianza dei diritti civili e politici, s'intende, sarà giustizia, dov'è giustamente stabilita, senza offesa di altrui diritti preesistenti: ma sarà ingiustizia, dove colla forza, o colla frode, o coll'iniquità si voglia introdurre, a danno dei diritti altrui. In ogni caso poi, potrà essere ed anche sarà parte della giustizia, non mai la giustizia per antonomasia, la quale si stende a ben più altre cose, che alle meramente politiche e civili.
Senza che dove sta scritto, che questa piena giustizia debba propriamente trionfare nella vita di qua? Nel Vangelo, no davvero: chè in esso ai fervidi seguaci della essenziale Giustizia e Santità, che è Gesù Cristo, sono invece predette persecuzioni, maledizioni, uccisioni, in somma trattamenti simili a quelli che Cristo, mortale nella terra, ha ricevuti dal mondo.
Lo abbiamo avvertito. Il soverchio zelo di esaltare una democrazia, che possa liberare i popoli cristiani dalle oligarchie settarie e dai pericoli del socialismo, tira facilmente, chi non istia in guardia dai voli della fantasia non rattenuta da chiari principii, fuori della verità, e lo fa trabalzare in errori, che guidano poi al disordine medesimo, cui si pensa di rimediare. Ed altri non meno madornali, che corrono per la bocca di molti, ne abbiamo a notare. Ma, per non dilungarci soverchio, lo faremo in un prossimo articolo.


NOTE:

[1] Num. del 18 giugno 1895.
[2] Num. del 22 giugno 1895.
[3] Études sur le second Empire, Paris, Calmann Levy, 1895.
[4] S. Luc. XII, 13-14.
[5] S. Giov. X, 10.
[6] S. Mat. XII, 30.