mercoledì 18 dicembre 2013

R.P. Salvatore M. Brandi d.C.d.G.: Leone XIII e la Questione Biblica. (IV)

 
 
La Civiltà Cattolica anno XLV, serie XV, vol. X (fasc. 1055, 22 maggio 1894) Roma 1894 pag. 543-556.

R.P. Salvatore M. Brandi d.C.d.G.

LEONE XIII E LA QUESTIONE BIBLICA

UN ALTRO SAGGIO DEL DIPLOMATICO IPERCRITICO

VIII.

Nel nostro articolo sul Diplomatico ipercritico e la Bibbia [1], vedemmo con quanta facilità l'illustre avversario, copiando i suoi «fatti concreti» e «le conclusioni inconcusse della storia» dal Voltaire e dal Wellhausen, si argomentasse di aver dimostrato contro l'insegnamento della Chiesa, che nelle Scritture sacre s'incontrano innumerevoli contraddizioni ed errori. Il facile metodo da lui seguito, come dimostrammo ne' casi già da noi esaminati, fu quello di mutilare il sacro testo, omettendo sempre quelle parole o quei membri ed incisi che ne spiegavano il vero senso, e sostituendovi, con accomodante scambietto, quanto era necessario perchè la contraddizione apparisse veramente «palpabile».
Al saggio datone nei precedenti paragrafi IV, V e VI, aggiungiamone ora un altro, il quale per la sua gravità non sarà meno decisivo del primo. Richiami adunque il lettore alla sua memoria la «contraddizione palpabile» che, come riferimmo al paragrafo VII, l'ipercritico del periodico inglese scoprì [2] ne' capi XVI e XVII del 1° libro dei Re. Essa riguarda la conoscenza che, secondo la Scrittura, Saulle avrebbe e non avrebbe allo stesso tempo avuto di Davidde. Che Saulle conoscesse in qualche modo chi fosse Davidde, quando questi tolse l'ardua impresa di combattere il superbo Filisteo, è fuor d'ogni dubbio; e le parole scritturali citate dall'Anonimo lo provano evidentemente. Come dunque, domanda egli, può ciò conciliarsi colla stessa Scrittura, secondo la quale, quello stesso giorno quando fu finito il duello, Saulle non conosceva affatto chi fosse Davidde?
Se il nostro ipercritico prima di fare questa domanda si fosse ricordato della soluzione del bisticcio americano intorno a' maialetti del signor Miller, avrebbe risparmiato a sè la mortificazione di apparire un falsario, ed a noi la cura di dimostrarlo tale. Alla domanda; «Per qual ragione i maialetti del Miller sono grassi?» si risponde in America interrogando: «Sono essi grassi?» Il che significa che, prima di domandare la spiegazione di un fatto, è necessario accertarne l'esistenza.

IX.

Ora il fatto stesso, su cui l'Anonimo fonda la sua difficoltà, è stato da lui falsato. La Scrittura, nè al capo XVII da lui citato, nè altrove, asserisce che Saulle non conoscesse affatto chi fosse Davidde. La sola cosa che dal predetto capo può inferirsi è che Saulle, quando scorse Davidde che andava contro il Filisteo, ignorava a qual famiglia egli appartenesse. Ecco il sacro testo: «Ora in quel punto in cui Saulle aveva veduto Davidde che andava contro il Filisteo, aveva detto ad Abner, capitano dell'esercito: Abner, di qual famiglia è egli questo giovanetto? E Abner gli disse: Per la vita tua, o re, io nol so. E il re disse: informati di chi sia figliuolo questo giovanetto [3]». Dove sta dunque la contraddizione? Ripugna forse che si conosca chi sia un tale, senza che si conosca, allo stesso tempo, qual sia la sua famiglia? E Saulle aveva allora una specialissima ragione che non aveva avuta mai dianzi, per voler conoscere, non in generale o vagamente, ma in modo tutto particolare, la famiglia di Davidde; perocchè a chi era vincitore di Goliath aveva egli a dare in isposa la sua propria figliuola, e doveva inoltre liberarne la famiglia da ogni tributo: «Chiunque lo uccida, il re lo farà grandemente ricco, e gli darà la propria sua figliuola, ed esenterà in Israele la casa del padre suo dai tributi [4]
Tale è la soluzione della difficoltà, indicata fin da' primi secoli della Chiesa da S. Efrem, da S. Girolamo e da altri [5]. Nè essa è la sola, come potrà vedere il lettore, ove mai il desiderasse, consultando l'eccellente commentario de' due primi libri dei Re, recentemente pubblicato dal De Hummelauer [6].
Se non che l'Anonimo ipercritico voleva ad ogni costo che i suoi lettori inglesi scorgessero nei luoghi da lui citati, una palpabile contraddizione: quindi, presto fatto; egli fa dire alla Scrittura ciò che essa non ha detto, vale a dire che, lo stesso giorno, Saulle e Davidde si conoscevano molto bene [7], e Saulle non conosceva affatto chi fosse Davidde [8].
Ed ora venga pure a ripeterci la sua domanda intorno a quello che penserebbero i nostri teologi dommatici dell'intelletto di un uomo, il quale non vedesse o negasse la contraddizione palpabile, nei testi da lui corrotti, ed in quali termini si esprimerebbero i nostri casuisti intorno alla sua morale. La risposta è pronta: i nostri teologi dommatici e casuisti penserebbero e si esprimerebbero nel dato caso, con minor severità di quello che farebbero se si trattasse di un «intelligente» ipercritico, il quale, allo scopo di screditare la Scrittura e l'insegnamento della Chiesa, falsasse il sacro testo.

X.

Un altro caso di simile pervertimento delle sacre Scritture è quello citato dall'Anonimo ipercritico alla pagina 588 della Contemporary Review. Esso riguarda l'enumerazione che Davidde fece del suo popolo[9], a ciò mosso, secondo il libro dei Re [10], da Dio e, secondo il libro dei Paralipomeni [11], da Satana. Infatti nel libro dei Re si legge: «Si accese di bel nuovo il furor del Signore contro Israele, ed Egli mosse Davidde in loro danno a dire: Va ed enumera Israele e Giuda [12],» e nei Paralipomeni si afferma: «Satan si levò su contro Israele ed incitò Davidde a fare il censo d'Israele.» Ora, così argomenta l'Anonimo: Se Dio non si identifica con Satana, e se lo stesso effetto non può attribuirsi all'uno ed all'altro, è pur necessario ammettere che o l'autore del libro dei Re o quello dei Paralipomeni o tutti e due abbiano errato; quod erat demonstrandum.
Eppure nulla è dimostrato! E ciò per l'ovvia e semplicissima ragione che nessuno de' due scrittori ispirati ha attribuito quella mozione esclusivamente o a Dio o a Satana, come a causa movente unica ed immediata. È poi chiaro che, essendo questo e non altro il caso, manca alla dimostrazione ogni valido fondamento. La sana e vera filosofia insegna che il moto può e deve attribuirsi all'uno come all'altro, se l'uno, per esempio, muove insieme con l'altro, ovvero mediante l'altro, di cui si serve come di suo stromento. Si legga la limpida esposizione del sacro testo data da Cornelio a Lapide: «Furor Domini commovit Davidem, non per se suggerendo ei et dicendo: Vade et numera populum (sic enim incitasset eum ad peccatum, quod facere nequit) sed permittendo diabolo ad id parato, et anhelanti, ut Davidem ad superbam hanc populi numerationem incitaret. Deus ergo indirecte, diabolus vero directe excitavit Davidem ad hanc numerationem, uti expresse dicitur I. Paral XXI. I. Consurrexit, inquit, Satan contra Israel et concitavit David ut numeraret Israel [13]
Ciò posto, la sapienza della seguente osservazione dell'illustre ipercritico può lasciarsi senza ulteriore commento. «Fin tanto che gli scrittori umani, dic'egli [14], erano responsabili per la forma della Parola rivelata, potevamo capire quella qualsiasi libertà nelle espressioni che deriva dalle peculiari idiosincrasie di ciascuno. Ma appena può concepirsi come Dio, scrivendo per l'edificazione del genere umano, confonda sè stesso col Diavolo»!

XI.

Se egli scrivendo contro l'Enciclica non si fosse proposto altro scopo da quello infuori di discreditare tutta la scuola moderna della ipercritica biblica, bisognerebbe confessare che vi è riuscito a meraviglia.
Eccone un'altra luminosa prova. Nella sua opinione, l'ispirato libro de' Re asserisce che il profeta Elia ha lasciato questo mondo prima della morte di Josaphat, e perciò prima che il suo figliuolo Joram potesse divenire re di Giuda; e nondimeno il libro de' Paralipomeni ci assicura che il profeta Elia scrisse una lettera piena di severi rimproveri precisamente a questo Joram, figliuolo di Josaphat e re di Giuda! «Il solo modo, osserva ironicamente l'Anonimo [15], di conciliare queste due incompatibili asserzioni è quello di credere che il Profeta avesse redatta la sua lettera là su nella sua residenza extramondana; ma a questo miracolo nè l'uno nè l'altro sacro scrittore sembra avere pensato neppur per sogno.»
E con ragione, diciam noi, non essendovi alcuna necessità di un miracolo per ispiegare il semplicissimo fatto narrato nei testi surriferiti. Come dunque si spiega che Elia avesse scritto una lettera, quando aveva già lasciato questo mondo? Anche qui il «bisticcio di Miller» avrebbe potuto salvare il nostro avversario dal cadere in un grossolano ed umiliante errore. È egli vero che «Elia avesse lasciato questo mondo prima che Josaphat morisse, e perciò prima che Joram suo figliuolo potesse divenire re di Giuda? Dalla soluzione di questa questione dipende, senza fallo, la soluzione della difficoltà.
Ora 1°) è assolutamente falso che il libro IV dei Re ciò asserisca nel luogo citato dall'Anonimo (cap. 3). Come l'abbiamo letto e riletto noi, così quel capo potrà essere letto e riletto colla stessa conclusione da chicchessia. Aggiungiamo che in nessun altro luogo delle sacre Scritture del vecchio o del nuovo Testamento si trova una siffatta asserzione nè esplicita nè implicita. È vero che il sacro testo parla dell'ascensione di Joram al trono in un capo seguente a quello in cui si narra il rapimento di Elia; ma nessun critico o ipercritico ha mai seriamente preteso che l'ordine cronologico debba sempre rispondere all'ordine stesso in cui i fatti furono scritti o narrati. Nè le parole della Volgata (III. 11.) «Et hic Eliseus filius [S]aphat qui fundebat aquam super manus Eliae» [«Havvi Eliseo figliuolo di Saphath, il quale dava l'acqua alle mani d'Elia», cioè il servo del re Josaphat afferma (genericamente) che Eliseo era al servizio di Elia. N.d.R.] dimostrano che Elia avesse già a quel tempo lasciato questo mondo; poichè, come ben a proposito osservano il Keil e l'abbate Clair, il verbo ebraico יצק iatsak potrebbe essere un imperfetto sincronistico, di cui vi ha altri esempii nella Bibbia, ovvero significare che Eliseo era forse da qualche tempo separato da Elia; ovvero anche essere quella frase una frase parentetica dello scrittore dei Paralipomeni e non della persona parlante in quella circostanza [16].
Fondandosi dunque la difficoltà dell'Ipercritico inglese sopra una sua pura e schietta invenzione, il già detto potrebbe bastare alla nostra risposta. Vogliamo però aggiungere 2°) che, nell'opinione di varii dotti critici antichi e moderni, Elia era ancora in questo mondo, quando Joram era Re di Giuda, e però poteva benissimo scrivergli una lettera ed anche, se l'avesse voluto, consegnargliela in persona. Così insegnano, per esempio, Lord Arthur C. Harvey e George Grove nel Dictionary of the Bible del Dr. W. Smith. Il primo scrive: «Il regno di Joram fu reso illustre da due eminenti profeti che vissero in esso, Elia ed Eliseo. Elia sembra esser vissuto sino al sesto anno del regno di Joram [17].» Ed il Grove dichiara che «Joram cominciò a regnare mentre viveva suo padre Josaphat, come è detto nel II (IV) libro dei Re al capo VIII, 16. Conformemente poi a ciò che è ricordato nello stesso libro al capo I, 17, e che precede immediatamente la relazione degli ultimi atti compiuti da Elia su questa terra, Joram era attualmente sul trono di Giuda, quando Elia ebbe il colloquio con Ahaziah; e sebbene questo sia modificato da altre sentenze in altri luoghi, pure non è invalidato, e la conchiusione, resta, per così dire, inevitabile che Joram ascese il trono di Giuda alcuni anni prima della morte di suo padre [18]. Nelle note a questo testo lo Smith osserva che «Flavio Giuseppe dice che la lettera fu spedita a Joram, quando Elia si trovava ancora sulla terra», e cita in conferma di questa sentenza l'autorità di Lightfoot [19]. Lo stesso è ammesso come probabile nelle Note alla Bibbia del Vence [20], dal Keil [21] e dall'abbate Clair nel suo Commentario: «A la rigueur, così questi, Elie pouvait être encore sur la terre pendant le règne de Joram de Juda, et par conséquent, il ne s'en suivait pas que l'écrit en question eût été composé après coup et soit postérieur aux événements [22]
Nel resto, quand'anche si volesse ammettere con altri esegeti che la lettera di Elia fosse ricevuta da Joram dopo il rapimento del Profeta, sapendosi che la credenza de' Giudei e de' Cristiani [23] tiene che Elia, quantunque rapito, sia tuttora in vita, può ben rispondersi alla difficoltà o supponendo con Menochio [24], che la lettera in questione fosse scritta da Elia prima di esser rapito e data ad Eliseo perchè a suo tempo la consegnasse a Joram, ovvero dicendo con Cornelio a Lapide [25] che la lettera fosse scritta da Elia dal luogo ove egli ora si trova con Enoch, e che «Sicut in Transfiguratione Christi, Elias cum Mose apparuit Petro, Iacobo et Ioanni, sic et idem apparuit alicui viro, eique litteras a se scriptas ad Joram perferendas dedit.»
In tutto ciò non v'è nulla di incongruo o di impossibile, quindi anche in questa ipotesi resterebbe sufficientemente sciolta la difficoltà dell'illustre ipercritico della Contemporary Review.

XII.

Un po' più seria è la difficoltà che egli propone alla pagina 586 intorno a ciò che, nel libro di Tobia, è riferito di Salmanasar e Sennacherib. Anche questa è un'anticaglia, degna, non meno delle precedenti, di fare bella mostra di sè nel Museo ipercritico del periodico inglese. Ecco com'essa è presentata dal nostro Anonimo, copiandola al solito da' tedeschi Jahn, De Wette-Schrader ed altri [26]. «Il libro ispirato di Tobia (I, 18), categoricamente afferma che Sennacherib fu figlio di Salmanasar, e l'istoria, quale essa è insegnata anche nelle nostre scuole ed università cattoliche, dimostra facilmente che tale asserzione è falsa. Ora se la storia dice il vero, come noi tutti senza esitare ammettiamo, ed il libro ispirato di Tobia anch'esso dice il vero, e non contiene nessun errore storico, come l'Enciclica dichiara esser noi obbligati a credere, che cosa diverrà della nostra ragione, la quale deve trovar posto per queste due contraddittorie proposizioni e riconoscerle come egualmente vere?» Poscia fa sfoggio della sua erudizione, ripetendo quello che leggesi in tutti i libri recenti di assiriologia biblica e che la Civiltà Cattolica difese fin dall'anno 1878, e poscia di nuovo nel 1891 [27], che cioè Sennacherib fu figlio di Sargon successore di Salmanasar.
Nè ammettendo questo, si ammette un errore storico nel testo autentico di Tobia; si ammette piuttosto un errore di versione o di copista, il quale, come rettamente osserva il Cornely, o per abbaglio o per negligenza o pel prurito di correggere, sostituì un nome più conosciuto ad un altro a lui meno noto. «Quae merito asseri elucet ex nominum diversitate in omnibus textibus. Ipsius Tobiae senioris nomen tribus vel quatuor diversis modis redditur; Raguelis uxor in Itala et Vulgata vocatur Anna, in aliis textibus Edna; in Vulgata nostra (3, 7), sine ullo dubio legendum est Ecbatana pro Rages. Ita etiam pro Salmanasaris nomine, quod in plerisque textibus legimus, cum graecis recensionibus restituendum censemus Enemesar.»
Prima dunque di asserire che vi sia un errore storico nel testo autentico della Scrittura, è necessario che l'Anonimo provi che nessun errore sia incorso nella versione di cui egli si serve. Senza di questo, come già notammo nell'articolo precedente (pag. 420), la difficoltà non avrebbe neppur l'ombra di un solido fondamento. Tanto più che da tutti si concede che, non esclusa la Volgata latina, possono nelle varie versioni e codici della Bibbia essere incorsi alcuni errori di copista o interprete nei nomi, nelle date ecc.
Nè basterebbe aver provato la fedeltà della versione e che perciò nel testo autentico di Tobia, quale esso uscì dalla penna dell'Agiografo, si leggeva in realtà Salmanasar o Enemesar. Poichè resterebbe ancora a dimostrarsi con ogni certezza: 1°) che il Salmanasar, di cui parla l'autore ispirato del libro di Tobia, sia precisamente Salmanasar IV [28], essendo questi e non altri colui che si concede essere stato predecessore di Sargon, e perciò da lui affatto diverso, e 2°) che il nome ivi usato di Salmanasar o meglio di Enemesar (così è scritto nei Settanta e nella Sinaitica) non possa essere, come fu già altra volta da noi difeso [29], un'altra forma del nome Sargon, o, il che vale il medesimo, Sarru-ginum o Ginum-Sarru [30]. Hoc opus, hic labor est.

XIII.

Si accinga pertanto l'illustre ipercritico della Contemporary Review a questo arduo lavoro, e gli sia di sprone il convincimento che, riuscendo nella sua impresa, non solo avrà, per la prima volta forse in vita sua, dato alla luce un suo lavoro veramente originale, ma avrà altresì reso un immenso servigio a quanti furono, sono e saranno i detrattori e nemici delle Scritture sacre.
A facilitargli questo lavoro non vogliamo privarlo di una parte almeno del frutto delle nostre ricerche, dalle quali egli intenderà altresì con quanta ragione chiamammo la sua difficoltà una vera e genuina anticaglia. Il Vigouroux [31] riferisce, per esempio, che «non pochi dotti (savants) come O. Strauss, MM. Brandis, Marc von Niebuhr, Keil, Riehm, Sayce, Haigh, Neteler, Massaroli, giudicando che era impossibile ricusare la testimonianza biblica, si sono ricusati di ammettere che vi fosse una distinzione fra Salmanasar e Sargon». Il Prof. Giorgio Rawlinson [32] ripete lo stesso, aggiungendo che «Grotius, Lowth e Keil identificarono Sargon con Sennacherib, mentre Perigonius, Kalinski e Michaelis lo credettero essere Esarhaddon.» Queste opinioni furono confutate dalla Civiltà Cattolica negli articoli sopra citati, nei quali si assegna a Sargon il posto che gli spetta nella lista dei re assirii, e che gli fu dato dal Rosenmüller, dal Gesenius, dal Maspero e da altri, cioè tra Salmanasar IV o V e Sennacherib [33].
Ma, ripiglia l'Anonimo ipercritico [34], resta sempre vero che l'ignoranza, in cui erano gli scrittori ispirati, ha fatto che si attribuisse falsamente l'assalto che fu dato a Samaria da Sargon nell'anno 722 a. C. a Salmanasar il quale, a quel tempo, era già morto e compreso da muffa nel suo sepolcro.
Neppure questa difficoltà era sfuggita alla Civiltà Cattolica e l'Anonimo la troverà proposta, pienamente discussa e sciolta nel quaderno 730 del 20 novembre 1880. Al luogo citato rimandiamo anche i nostri lettori, notando qui solamente 1°) che Salmanasar, siccome consta dal Canone dei Limmu, regnò soli cinque anni, cioè dal 727 al 722 a. C. [35]; non può dunque, senza una certa arditezza, dirsi coll'Anonimo, che, quando nel 722 fu presa Samaria, egli era «mouldering in the grave, compreso da muffa nel suo sepolcro.» 2°) L'assedio fu posto a Samaria correndo l'anno 724, e durò 3 anni; quindi l'assedio fu posto durante il regno (727-722) di Salmanasar e perciò da lui. 3°) Il testo ebraico, col quale concorda il Targum caldaico, attribuisce a Salmanasar non già la presa di Samaria, ma il porvi l'assedio: «Ascendit Salmanasar rex Assyriorum in Samariam et oppugnavit eam. Et (Assyrii) ceperunt eam.» Il subito cangiar che si fa di frase dal singolare al plurale e coll'introdurre in essa all'improviso un nuovo soggetto, gli Assyrii, nominativo sottinteso di ceperunt, gittando da parte il soggetto precedente di ascendit et oppugnavit, cioè Salmanasar, viene a dire poco meno che in espressi termini, non essere stato Salmanasar quegli che prese la città. Quindi, senza l'ombra di contraddizione può attribuirsi, se si vuole, a Sargon la presa della città, rimanendo però sempre fuor di dubbio essere stato posto il celebre assedio a Samaria non già da lui, ma dal suo predecessore Salmanasar [36].
Da queste ed altre cose che i nostri lettori troveranno nel suddetto Quaderno, in cui exprofesso si tratta questa questione, essi saranno pienamente convinti che la difficoltà dell'Anonimo rivela tale una ignoranza del soggetto in questione da eccitare se non la nausea, certamente un sentimento di compassione per coloro che si lasciano guidare, sotto il mentito nome di scienza, da siffatti ipercritici.
L'osservazione è un po' dura pel nostro illustre avversario, lo confessiamo: ma perchè volersi far credere grande scienziato, ed intelligente ipercritico, e poi in nome della scienza con raggiri e con garbugli voler far apparire mendace la parola stessa di Dio?

XIV.

È scritto: Quos Iupiter vult perdere dementat. Queste parole ci son venute in mente, leggendo ciò che l'Anonimo ha scritto contro l'ispirato libro dei Numeri [37], il quale, secondo lui, al capo III 43, asserisce che nell'esercito israelita di circa 600,000 maschi adulti, i primogeniti fra essi ascendevano precisamente a 22,273. «Ora, soggiunge egli, questo non è il fatto nè potè essere il fatto. Poichè si sa bene, che in media v'è un primogenito per ogni quattro maschi, cosicchè ve ne dovettero essere, più o meno, un 150,000 in un esercito di 600,000. In altre parole, mentre la media è in realtà un primogenito su quattro maschi, lo scrittore ispirato, o piuttosto Dio stesso la riduce ad un primogenito su più di quaranta maschi
Prescindendo dalle varie ovvie osservazioni che potrebbero farsi sulla falsa base del suo calcolo; sulle condizioni e l'età dei 600,000 mila maschi, i quali sarebbero stati soldati; sul numero dei primogeniti che intendevasi numerare e di quelli che erano morti, quando fu fatto il censimento; sulla accuratezza della media da lui fissata o sul numero de' figli che potrebbe duplicarsi e triplicarsi, se si supponesse che in alcune famiglie vi fosse stata più di una madre; sulla incertezza delle cifre numeriche che si trovano nelle nostre versioni ecc. ecc.; prescindendo da tutto questo, notiamo solamente come Dio, nella sua provvidenza, volendo confondere questo detrattore della sua parola, abbia permesso che egli cadesse in un vergognoso errore di semplicissimo calcolo, precisamente ove egli si beffa dello scrittore ispirato e di Dio stesso per aver ridotto la media ad un primogenito su più di quaranta, coll'asserire che vi fossero soli 22,273 primogeniti in un esercito di 600,000. Si tratta qui di una semplicissima divisione, ed un ragazzo delle nostre scuole elementari potrebbe insegnare al dotto ipercritico inglese che 600,000 diviso per 22,273 non dà più di quaranta, ma solamente un po' meno di ventisette (26, 9...). Se non che forse l'ipercritica del nostro Anonimo, come è superiore alla parola di Dio, così si crede superiore altresì alle elementari regole dell'aritmetica. Ad ogni modo, come già vedemmo e, piacendo a Dio, vedremo ancor più chiaramente in altri prossimi quaderni, se il nostro illustre avversario pecca nella difesa della sua tesi contro l'insegnamento dell'Enciclica di Leone XIII, ciò non è di certo per eccesso di esattezza o di scrupolosità nell'uso che egli fa delle scienze vuoi sacre vuoi profane.
[CONTINUA]
N.B.: questo lavoro fu pubblicato anche a parte col titolo: La questione Biblica e l'Enciclica Providentissimus Deus,  Roma 1894.
R.P. Salvatore M. Brandi d.C.d.G.
Leone XIII e la questione Biblica.
Fascicolo Data: Serie Volume
I — Leone XIII e la questione Biblica § 1-6. 1048 6 febbraio 1894 XV IX
II — Leone XIII e la questione Biblica §7-14. 1050 5 marzo 1894 XV IX
III — Un diplomatico ipercritico e la Bibbia §1-7 1054 9 maggio 1894 XV X
IV — Un altro saggio del diplomatico ipercritico § 8-14 1055 22 maggio 1894 XV X
V — La scoperta di "Eufrasio" e la questione Biblica 1056 6 giugno 1894 XV X
VI — Dei pretesi errori scientifici della Bibbia § 1-9 1058 11 luglio 1894XV XI
VII — Dei pretesi errori scientifici della Bibbia §10-16 1065 24 ottobre 1894 XV XII

NOTE:

[1] Vedi il Quad. 1054, pp. 417-432.
[2] Scoprì, s'intende a modo suo, copiandola, al solito, da Voltaire, (La Bible Expliquée nota 48) e dal tedesco ipercritico Wellhausen (In Bleek Einleitung. Ed. 4, p. 206 sqq.).
[3] «Eo autem tempore, quo viderat Saul David egredientem contra Philistaeum, ait ad Abner principem militiae: De qua stirpe descendit hic adolescens, Abner? Dixitque Abner: Vivit anima tua, rex, si novi. Et ait rex: Interroga tu, cuius filius sit iste puer.» Regum I, XVII, 55, 56.
[4] «Virum qui percusserit eum, ditabit rex divitiis magnis, et filiam suam dabit ei, et domum patris eius faciet absque tributo in Israel.» Ibid. 25.
[5] Vedi Cornely. Introd. Specialis I, pag. 265. Edit. Parisiis, 1887; Du Clot, La Bibbia difesa, vol. 2, p. 32. Edit. Torino, 1854.
[6] In libros Samuelis seu I. et II. Regum, pp. 183-185. Edit. Parisiis, 1886.
[7] «The two were very well acquainted with each other» p. 585.
[8] Yet when Saul saw David... he had not the faintest idea who he was» ibid.
[9] Anche qui, sotto la maschera dell'intelligente cattolico, non è difficile scoprire l'umile discepolo del Voltaire. Questi così scrive sul citato testo del libro dei Re: «La Vulgate dit expressément que la fureur de Dieu redoublée inspira David, et le porta, par un ordre positif, à faire ce dénombrement, que Dieu punit ensuite par le fléau le plus destructif» (La Bible expliquée. Les Rois, note 84, pag. 1191. Ed. Paris, 1817).
[10] II Regum XXIV, I.
[11] I Paral. XXI, I.
[12] Tale è la traduzione letterale del testo inglese citato dall'Anonimo cattolico; testo da lui preso dalla versione protestante detta di King James. Nel presente caso tale versione riusciva più comoda, poichè, mentre nella Volgata e nella versione inglese cattolica si ritiene pe' due incisi lo stesso soggetto, il furor del Signore, nella protestante da lui usata il soggetto si cambia, nel secondo inciso, in Egli, cioè nel Signore stesso.
[13] Comm. in librum II. Regum, cap. XXIV. pag. 365. Edit. Neapoli, 1854. Il Cornely nella sua opera Introduct. in libros historicos V. T. rettamente osserva: «Sicut Deus Satanae permittit, ut Iobum tentet, ita furor Domini permittit Satanae, ut Davidem ad populum numerandum seducat. Nulla igitur est differentia inter II Reg. et I Paral., nisi quod iunior scriptor instrumentum nominavit quo usus est Deus vel furor Domini, et clarius eamdem ideam expressit quam obscurius indicaverat auctor libri Samuel.» pag. 343, edit. Parisiis, 1887.
[14] Pag. 589. «As long as the human writers were responsible for the form of the revealed Word, we could understand a certain freedom of expression traceable to individual idiosyncrasies. But it is hardly conceivable that God, when writing for the edification of mankind, should have confounded Himself with the Evil One
[15] Pag. 586.
[16] Keil, Biblischer Commentar., Vol. V, pag. 297. Ed. Leipzig, 1870; Clair, La Sainte Bible. — Les Paralipomènes, pag. 319. Ed. Paris, 1880.
[17] A Dictionary of the Bible. Vol. I, p. 948. Ed. London, 1863.|
[18] Ibid. pag. 530.
[19] «Josephus (Ant. IX, 5, §. 2) says that the letter was sent while Elijah was still on earth. See Lightfoot Chronicle etc. Jehoram
[20] On ne sait pas l'époque de l'enlèvement d'Elie; et il pouvait bien n’être pas encore enlevé lorsqu'il écrivit cette lettre à Joram. Note sur II. Par. XXI. 12.|
[21] L. cit. p. 297.
[22] L. cit. p. 319.
[23] Vedi Calmet, Dictionnaire de la Bible, ove si citano le autorità di Giustino Martire, di Epifanio e di altri. Vol. 2. col. 263. Ed. Migne, 1845.
[24] Commentarii totius Sacrae Scripturae (in Paral. XXI. 12). Tom. I, p. 227 Ed. Venetiis, 1722.
[25] Commentaria in Sacram Scripturam (in locum). Tom. 2, pag. 574. Ed. Neapoli, 1854.
[26] Vedi Cornely, Introd. Specialis. Vol. I, pagg. 384, 385. Ed. Parigi, 1857.
[27] L'Impero di Babilonia e di Ninive. Quaderni 664-821, e La Cronologia biblico-assira sui fatti dei due Tobia. Quaderni 985, 987.
[28] Così l'Anonimo; altri lo dicono Salmanasar V. Vedi Maspero, Histoire ancienne des peuples de l'Orient. Pag. 420. 4me Édition, Paris, 1886.
[29] Quad. 985, pag. 53.
[30] Il Bickell (Innsb. Zeitschrift, 1878, p. 220 seg.) fa osservare che il nome Sargon nelle iscrizioni è Sarru-kinu; ma il k nell'ebraico passa in g: abbiamo quindi Sarru-ginu e con terminazione di nome indeterminato abbiamo Sarru-ginum. Scambiato poi il posto ai nomi componenti, si ha Ginum-Sarru, e mutato il g nell'aspirata ע (ain) risulta עinum-sarru. Considerate finalmente le sole consonanti, si ha עNuM-SaRRu, lo stesso che eNeMeSaRR. Si vegga pure Cornely, Historica et Critica Introductio in U. T. libros sacros Vol. II, tom. I, p. 384-385.
[31] La Bible et les découvertes modernes. Vol. IV, pag. 142, 143. Ed. Paris, 1885.
[32] Nello Smith's Dictionary of the Bible. «Sargon» Vol. III, p. 1142.
[33] Kimki afferma che Sennacherib aveva otto differenti nomi, e l'Oppert osserva che «le nom de Sargon faisait le désespoir des interprètes de la Bible et des chronologistes.» Inscription des Sargonides, negli Annales de philosophie chrétienne, t. LXV, 1862, p. 684, citato dal Vigouroux, ibid.
[34] Pag. 586.
[35] «M. Schrader, scrive il Vigouroux, (l. c. p. l47) l'a établi avec beaucoup de clarté et de précision. Sargon und Salmanassar dans les Theologische Studien und Kritiken, 1870, p. 535.»
[36] Su questo punto si consultino eziandio il Rawlinson, il Maspero ed il Vigouroux ai luoghi sopra citati.
[37] Pag. 590.