La Civiltà Cattolica anno XLV, serie XV, vol. XII (fasc. 1065, 24 ott. 1894) Roma 1894 pag. 278-289.
R.P. Salvatore M. Brandi d.C.d.G.
LEONE XIII E LA QUESTIONE BIBLICA
DEI PRETESI ERRORI SCIENTIFICI DELLA BIBBIA
X.
Per vedere la deformità de' mostri basta, se sono coperti, spogliarli, e per conoscere la vanità delle accuse che si muovono contro l'inerranza della Bibbia basta soltanto strapparne i veli, come crediamo di aver fatto ne' precedenti quaderni [1], con un po' d'esame logico ed imparziale, determinando con ogni accuratezza ciò che insegna la Bibbia e ciò che deve dimostrare la scienza. A maggior conferma pertanto di quanto abbiamo fin qui discusso e provato contro i detrattori delle sacre Lettere, chiuderemo la nostra trattazione della «Questione Biblica» con una breve critica di altre due difficoltà che certi moderni scienziati reputano insolubili, e dalle quali confortati si adergono superbamente contro l'infallibile verità della Parola di Dio.La prima di siffatte difficoltà riguarda il tempo trascorso dalla creazione del primo uomo fino a noi. Mentre la Scrittura, dicono gli avversarii, insegna che l'uomo fu creato un seimila od ottomila anni fa, la scienza dimostra che la stirpe umana rimonta a centinaia di migliaia di anni o di secoli. Nell'esame di questa difficoltà è mestieri discorrere con accurata distinzione. Ed anzitutto non sono da confondersi quei fatti che possono addursi rispetto alla cosmogonia, ossia all'origine del mondo, con quelli che spettano alla antropogenia, ossia all'origine dell'uomo. Le due questioni sono interamente distinte e dipendono per la loro soluzione da elementi in tutto, od in parte almeno, diversi. Il primo uomo fu da Dio creato nel sesto giorno mosaico; se dunque quei giorni, come già indicammo [2], non designano necessariamente uno spazio determinato di ventiquattro ore, ma possono significare una serie più o meno lunga di anni od anche di secoli, si par chiaro che l'antichità del mondo rispetto a quella dell'uomo, sarà di tanti anni o secoli maggiore, quanti sarebbero gli anni o secoli rappresentati da' giorni mosaici.
XI.
Ciò posto, restringendo la questione alla sola antichità dell'uomo, ammettiamo pure per poco l'opinione che, stando alle ispirate Scritture, dalla creazione di Adamo fino a' nostri giorni non sieno corsi, tutt'al più che ottomila anni. A dimostrare falsa cotesta opinione ed affermare categoricamente che egli è d'uopo ammettere un numero d'anni di gran lunga maggiore, è necessario addurre fatti certi, e logicamente spiegarli in maniera che appaia evidentemente ritrovarsi, per esempio, ossa umane o reliquie dell'arte dell'uomo, le quali risalgano indubitatamente ad un tempo assai più remoto degli otto mila anni, che ora supponiamo asserirsi dalla Scrittura sacra. È vero che alcuni così detti scienziati, con una sicumera che fa ridere i più profondi e sinceri trattatori di geologia, affermano che i residui dell'uomo o le reliquie dell'arte sua salgono più in su di centinaia di migliaia di anni, per non dir di secoli; ma altra cosa è l'affermare, altra il dimostrare. E che ciò non sia dimostrato è schiettamente confessato dagli stessi scienziati [3].Senonchè l'anzidetta opinione degli ottomila anni può essa considerarsi come dottrina certamente insegnata dalla Bibbia o definita dalla Chiesa? Rispondiamo che no; poichè è fuor d'ogni dubbio che la Chiesa nulla ha definito in questo proposito; nè ha data la sanzione a quella o a questa interpretazione della cronologia umana che si ha nella Bibbia. E tanto ciò è vero che, sebbene tra la Volgata e la versione de' Settanta corra una differenza notevolissima, cioè di quasi due mila anni, tuttavia nel Martirologio romano si segue questa versione e non la lezione della Volgata. Quindi l'Eminentissimo Cardinale Mazzella, nel suo trattato De Deo Creante, dopo di aver esposto le diverse cronologie che si fondano sulla Bibbia, così scrive: «1) Chronologia generis humani, prout fundamentum habet in Scripturis et sensu Ecclesiae traditionali, etsi intra quosdam limites contineatur, non est omnino definita. 2) Licet quamlibet ex datis computationibus sequi; siquidem Ecclesia, quae nihil hac de re definivit, omnes tolerat [4].» E l'erudito P. Brucker aggiunge: «Nous n'avons aucune assurance de posséder les nombres primitifs des généalogies patriarcales. Aussi l'Église... n'a-t-elle jamais imposé ni l'un, ni l'autre à notre foi; elle a toujours laissé ces docteurs et les fidèles entièrement libres de préférer soit l’hébreu, soit le grec, soit même le samaritain, comme aussi de penser que les trois sont trop éloignés du texte primitif pour exiger une créance absolue [5].»
XII.
Perchè poi si vegga quanto siamo lontani dal far passare come dottrina certamente ispirata o decisa dommaticamente dalla Chiesa quella che non è tale, aggiungeremo una gravissima riflessione. Nella Bibbia si trova notata la discendenza de' patriarchi, indicandosi l'età di ciascuno. L'anello di congiungimento tra un patriarca e l'altro è espresso dalla parola genuit. Se questa parola genuit richiede che il generato, che s'indica, sia immediatamente congiunto col generante, in tal caso avremmo nella stessa Bibbia determinato il tempo che corre da Adamo a Gesù Cristo; che se invece la parola genuit non richiede che il generato, che s'indica, segua immediatamente il generante, in questa ipotesi tra l'uno e l'altro potrebbe, in certi casi, supporsi una lacuna, non sappiamo quanto lunga, da riempirsi con generanti e generati che dalla Bibbia non vengono punto nominati. E posto ciò, il tempo trascorso da Adamo a Cristo potrebbe essere assai più lungo di quello che si computa dalla successione de' patriarchi espressamente nominati nella Bibbia.Ora che questa supposizione non sia illegittima, lo insegna il Patrizi [6], alla cui sentenza, tra gli scrittori nostri contemporanei, pienamente sottoscrivono il Vigouroux [7], il Brucker [8], lo Zahm [9], ed altri.
Parlando il Patrizi della genealogia di Gesù Cristo, secondo la narrazione che ne fa S. Matteo, mostra che questo non si deve incolpare perchè saltò di netto alcuni anelli della catena genealogica, e così ragiona: «Nè ci reca maggior difficoltà il verbo genuit qui adoperato. Conciosiachè nessuno può negare che la forza e la significazione delle parole deriva dall'uso, quem penes arbitrium est et ius et norma loquendi. Ma quanto si estenda l'uso di questa parola, in un determinato linguaggio, sembra che si possa conoscere dall'uso de' nomi patris et filii, poichè la nozione del verbo gigno è il fondamento di quella relazione che passa tra padre e figlio. Ora presso gli Ebrei v'era costume di dire figli i posteri, avvegnachè rimotissimi, e padri i maggiori. E perchè non daremo alla parola genuit quell'ampia significazione che hanno i nomi di padre e di figlio? E mentre dicesi che Dio ci ha tutti creati dal nulla, quantunque non abbia tratto dal nulla il nostro corpo, ma sì la materia ond'esso è composto, perchè non si potrà dire che gli avi, i proavi, gli atavi hanno generato il nipote, il pronipote ecc., avendo essi generato quello da cui questi trassero successivamente la origine? Ed è pur tale l'uso ond'è adoperato tal verbo nella Genesi, dove, dopo essersi noverati, non solo i figliuoli di Lia, ma ancora i nipoti, si termina con questa clausula: Hi filii Liae quos genuit in Mesopotamia.» E rispetto alla genealogia dei Patriarchi al capo XI del Genesi si dice: Porro Arfaxad vixit triginta quinque annis et genuit Sale. Qui, non solo abbiamo il verbo genuit, ma eziandio indicato l'anno della generazione. Eppure, secondo l'Evangelo di S. Luca [10], Sale è nipote di Arfaxad, da cui prima ebbe origine Caina.
Noi non vogliamo dare, con questa ed altre simili spiegazioni, licenza a qualunque siasi interpretazione arbitraria della Bibbia, in ciò che si attiene alla cronologia delle umane generazioni. Ci basta qui solo aver osservato che non è dalla Chiesa condannata una interpretazione che servirebbe ad allungare la prefata cronologia, e a troncar d'un colpo, se giammai con fondamento vero si opponessero, quelle difficoltà che certi moderni scienziati reputano insolubili.
Vogliamo, però, che si osservi, che nel ricercare e determinare, in qualche modo, il tempo trascorso dalla creazione del primo uomo sino a noi, bisogna procedere sempre con grande senno e squisita prudenza, e ragionare sopra saldi principii e sopra fatti, la cui natura ed esistenza sono certamente dimostrati. La scienza, come fu detto nel precedente nostro articolo [11], non può giammai essere contraria alla rivelazione a noi da Dio fatta, perchè quella è figlia del retto uso della ragione che discorre secondo il lume ricevuto dallo stesso Dio. Non è scienza però quella che scambia le ipotesi con le tesi, nè possono aversi in conto di pronunziati della scienza opinioni tra loro discordi, che variano a' nostri giorni quasi con la volubilità della moda.
XIII.
Nella biblica narrazione del Diluvio i detrattori delle sacre Scritture credono trovare un altro argomento contro la loro inerranza. Gli errori però, su' quali essi maggiormente insistono, non hanno altro fondamento di quello infuori sul quale si fondano le altre loro accuse, le opinioni, cioè, più o meno probabili di certi scienziati od esegeti, opinioni cui essi danno una fermezza scientifica o teologica che quelle di fatto non hanno.Che le scoperte moderne [12] tutt'altro che opporsi al fatto del Diluvio, formalmente espresso nella Bibbia, lo confermino anzi, non solo indirettamente, ma anche direttamente, è attestato da' più illustri e dotti scrittori che possa vantare la nostra età. Il signor Lenormant [13], esaminando i monumenti dell'antichità, ha scritto: «La tradition du déluge est la tradition universelle par excellence parmi toutes celles qui ont trait à l'histoire de l'humanité primitive.» Lo stesso ripete il Reinach [14]: «Les traditions relatives à un ou plusieurs déluges sont fort répandues et présentent entre elles des analogies de détails remarquables.»
Il Bossuet, nel suo famoso «Discorso sulla storia Universale», aveva già notato che siffatta tradizione se trouve par toute la terre. Noi l'incontriamo infatti presso i Caldei, i Fenici, i Sirii, gli Armeni e presso i popoli più disparati, dalla Cina e dalle Indie fino al Messico e al Perù, dalle isole del mare del Sud fino al paese di Galles e alla Lapponia [15]. Queste tradizioni porgono, al dir del Cultrera, una doppia testimonianza al racconto mosaico. In primo luogo la loro esistenza ed il loro accordo sopra i punti principali non si può spiegare altrimenti che colla supposizione d'una fonte comune, e questa non può essere altro che la tradizione, la quale i popoli nella loro dispersione hanno portato seco dalla patria comune. Secondariamente, in un raffronto di tutte queste narrazioni con la mosaica, si rende chiaro che questa è la più fedele e la più storica.
Aggiungiamo inoltre che, come la tradizione di tutti i popoli della terra è una conferma storica di quel gran fatto, così lo studio imparziale della crosta tellurica, nell'opinione di non pochi scienziati, ne costituisce una quasi certa dimostrazione a posteriori [16].
Ammesso dunque il fatto, veniamo all'esame ed alla soluzione delle difficoltà scientifiche, che riguardano la inerranza della Bibbia in ciò che essa insegna sull'universalità del Diluvio. Queste suppongono tutte, come cosa certa e da niuno contrastata, che l'insegnamento biblico domandi una universalità assoluta. Ora tale supposizione è del tutto falsa. Gli stessi esegeti cattolici infatti concedono che la questione, se il Diluvio sia stato universale in un senso assoluto o solamente relativo, nel senso cioè delle sole parti della terra abitate dall'uomo ed allora conosciute, sia una questione disputata, una di quelle, in altri termini, alle quali si applica la regola di S. Tommaso: In his quae de necessitate fidei non sunt, licuit Sanctis diversimode opinari, sicut et nobis [17]. Onde il Pfaff [18] ebbe a notare, che «les discussions sur l'histoire du déluge, sont devenues sans objet pour le naturaliste, puisque les théologiens reconnaissent qu'on peut entendre la narration de la Genèse comme signifiant.... une submersion partielle du globe.» Stando così le cose, è evidente che cadono da sè tutte le difficoltà fisiche che i detrattori della Bibbia hanno accumulate contro l'assoluta universalità del Diluvio, e si spiega in qual modo, senza contraddire alla parola di Dio, si possa ritenere che molte specie di animali si sieno conservate fuori dell'Arca, continuando a propagarsi in luoghi molto lungi da quello dove essa posò.
XIV.
Il nostro Pianciani, sebbene attaccatissimo alla lettera del sacro testo e certamente non sospetto di troppo ardimento, pure osserva [19] che «la Chiesa ed i più sani teologi non rigettano le interpretazioni benigne alle frasi generali del racconto biblico del Diluvio, quando esse riposino su dottrine probabili secondo lo stato della scienza», e che «non si è riputato illecito, per ragioni soltanto filosofiche, escludere dall'Arca di Noè parecchie specie d'animali tuttora esistenti..... I testi sono stati intesi a tutto rigore di lettera, finchè non si vedeva forte ragione di abbandonare il senso più ovvio: ciò era assai giusto ed assai bene s'intende senza che sia d'uopo, a spiegare tal consenso, ricorrere ad alcuna tradizione divina od apostolica.»Nel capo VI, v. 12 si legge: Omnis quippe caro corruperat viam suam, nè alcuno sospetta in quell'omnis caro comprendersi i bruti; così nel capo VII, v. 21, quel consumptaque est omnis caro pare che possa senza temerità intendersi in senso non universale alla lettera. È poi importante notare la distinzione che si fa nel capo IX, v. 10, fra gli animali usciti dall'Arca e tutte le bestie della terra; distinzione chiaramente indicata nell'originale, ove leggesi: Ab omnibus (bestiis) egredientibus ex arca ad omnem bestiam terrae.
Ond'è che può ritenersi, col Delitzsch [20], che «la Scrittura non domanda l'universalità del Diluvio che per la terra abitata, non per la terra semplicemente, e per essa nulla rileva l'universalità del Diluvio in sè stesso, ma sibbene l'universalità del giudizio per esso eseguito nell'antico mondo. Che ad eccezione d'una sola famiglia, tutto il genere umano d'allora con tutti gli animali che lo circondavano fu distrutto, questa, e soltanto questa è l'affermazione della Bibbia.»
In tal modo intesero l'universalità del Diluvio il Bellynck, il Niccolai, il Cultrera ed altri. Con questi scrittori si accorda l'Abbé Vigouroux, buon conoscitore e giudice in tali materie; il quale, dopo esposto la medesima sentenza, soggiunge: Elle est généralement admise par ceux qui se sont occupés récemment de l'accord de la Bible avec les sciences naturelles [21].
Alla medesima sentenza si accosta pure il Cetta nel già citato suo libro sopra il Diluvio [22]. Egli esclude l'universalità nel senso più assoluto, ma con estenderla tuttavia, in un certo modo, a tutte le regioni dell'orbe, abitate o inabitate. Non fu, dic'egli, universale «precisamente nel senso che le acque di esso abbiano realmente coperta tutt'intorno la faccia del globo, sino a levarsi al di sopra de' monti più alti; bensì in quest'altro, che di quello sconvolgimento ne siano state affette, di un modo o di un altro, tutte le regioni dell'orbe.»
XV.
Aggiungeremo qui un'altra osservazione che togliamo dal lodato P. Pianciani e che conferma quanto dicemmo in un altro articolo [23], sul modo di parlare usato dagli scrittori ispirati. Le frasi degli scrittori sacri, in materie profane, vanno intese secondo le cognizioni che avevano o potevano avere essi ed i più istruiti tra i loro contemporanei e connazionali. Non si fa poi alcun torto a Noè, o a' suoi figli, o al meraviglioso liberatore d'Israello, supponendo, per esempio, che, al pari de' contemporanei e de' posteri, essi ignorassero l'esistenza dell'America e dell'Australia, e che quindi non conoscessero le specie animali proprie di quelle contrade, supponendoli in somma non più dotti in geografia ed in geologia di quanto poi furono Aristotile, Ipparco, Tolomeo e Plinio.Nè per ragione della ispirazione, sotto il cui influsso Mosè scrisse quel racconto, era necessario che Dio rivelasse a lui tali cose, non essendo ciò richiesto dallo scopo che Dio aveva nel dettare i Libri sacri; scopo, il quale, come già dimostrammo [24], non consisteva nel formale insegnamento della geografia o della zoologia. Ciò posto, Noè ed i suoi figli, narrando il gran fatto, e Mosè scrivendolo, avranno potuto dire, veramente e veracemente, tutta la terra, tutti gli animali, tutti i monti; e queste frasi potranno intendersi di tutta quella superficie del globo, di tutti quegli animali, di tutti quei monti che ad essi erano più o meno noti. Nè crediamo che ad un Angelo favellante a Noè a nome di Dio disdicesse un simile linguaggio, a un dipresso come non disdice ad un filosofo usare il linguaggio del volgo, allorchè col volgo favella.
In breve: oggidì la maggioranza degli esegeti cattolici, esclusa la sentenza dell'Abbé Motais [25], che il Diluvio restrinse alla sola stirpe de' discendenti di Seth e alla regione da essi abitata, ed esclusa anche l'estrema sentenza opposta, della universalità assoluta del Diluvio, inchina ad una via di mezzo, attribuendo al Diluvio una universalità relativa, tale, cioè, che essa comprendesse bensì tutto il genere umano e le terre da esso abitate, ma non già tutto il globo terraqueo e con esso tutti i viventi. Tanto, e non più, sembra richiesto dal testo biblico e dai dati certi della scienza.
XVI.
Non ignoriamo che questa sentenza, nella parte che riguarda l'universalità della distruzione di tutti gli uomini viventi fuori dell'Arca, se ebbe sempre approvatori e seguaci in gran numero e di elevato ingegno, incontrò altresì, anche fra i cattolici, alcuni oppositori gagliardi e valenti; come può vedersi dalle dotte discussioni che pro e contro ne furon fatte, nella Revue des questions scientifiques di Bruxelles [26], dal P. J. Brucker della Compagnia di Gesù, e dal P. C. Robert dell'Oratorio di Rennes. Vi sono, cioè, taluni, i quali stimano potersi, le proposizioni universali della Scrittura riguardanti il genere umano, pigliare in quello stesso senso relativo e limitato, in cui si pigliano quelle, altrettanto universali, che risguardano la terra e gli animali. E così, a parer nostro, sarebbe e dovrebbe essere, se non ostasse, nel caso del genere umano, una ragione teologica che sembra gravissima. La ragione è, che siccome per l'una parte l'Arca di Noè fu, secondo la dottrina di S. Pietro [27] e la concorde e perpetua interpretazione de' Santi Padri, vero tipo della Chiesa di Cristo, in quanto che, come niun uomo potè fuor dell'Arca andar salvo dal Diluvio, così niun uomo può salvarsi fuor della Chiesa; ed essendo, per l'altra parte articolo di fede che fuor della Chiesa non v'è salute eterna per niun mortale, deve dunque dirsi indubitato, che fuor dell'Arca niun mortale salvossi dalla strage diluviana. Altrimenti, fra il tipo e l'antitipo non correrebbe più la rispondenza necessaria, e ciò appunto nel capo essenziale, per cui l'Arca dicesi tipo ossia figura profetica della Chiesa; e potrebbe per contrario sostenersi che, siccome fuor dell'Arca v'ebbero uomini che salvaronsi dal Diluvio, così fuor della Chiesa di Cristo può conseguirsi dagli uomini la salute eterna.Checchè sia del valore di questa ragione, considerata da alcuni come un argomento perentorio, conchiuderemo questa nostra trattazione col richiamare l'attenzione de' lettori all'aureo ammonimento dato dall'Angelo delle scuole, e ricordato nell'Enciclica dal Santo Padre Leone XIII. Esso vale, non solo nella presente questione del Diluvio, ma in altre simili. «Mihi videtur, così S. Tommaso [28], tutius esse, huiusmodi, quae philosophi comuniter senserunt et nostrae fidei non repugnant, nec sic esse asserenda ut dogmata fidei, etsi aliquando sub nomine philosophorum introducantur, nec sic esse neganda tamquam fidei contraria, ne sapientibus huius mundi occasio contemnendi doctrinam fidei praebeatur.» Ed altrove lo stesso Santo Dottore avverte[29]: «In huiusmodi quaestionibus duo sunt observanda. Primo quidem, ut veritas Scripturae inconcusse teneatur. Secundo, cum Scriptura divina multipliciter exponi possit, quod nulli expositioni aliquis ita praecise inhaereat, ut si certa ratione constiterit, hoc esse falsum, quod aliquis sensum Scripturae esse credebat, id nihilominus asserere praesumat, ne Scriptura ex hoc ab infidelibus derideatur, et ne eis via credendi praecludatur.»
R.P. Salvatore M. Brandi d.C.d.G. Leone XIII e la questione Biblica. | Fascicolo | Data: | Serie | Volume |
I — Leone XIII e la questione Biblica § 1-6. | 1048 | 6 febbraio 1894 | XV | IX |
II — Leone XIII e la questione Biblica §7-14. | 1050 | 5 marzo 1894 | XV | IX |
III — Un diplomatico ipercritico e la Bibbia §1-7 | 1054 | 9 maggio 1894 | XV | X |
IV — Un altro saggio del diplomatico ipercritico § 8-14 | 1055 | 22 maggio 1894 | XV | X |
V — La scoperta di "Eufrasio" e la questione Biblica | 1056 | 6 giugno 1894 | XV | X |
VI — Dei pretesi errori scientifici della Bibbia § 1-9 | 1058 | 11 luglio 1894 | XV | XI |
VII — Dei pretesi errori scientifici della Bibbia §10-16 | 1065 | 24 ottobre 1894 | XV | XII |
NOTE:
[1] Vedi il quad. 1058, pp. 148-163.[2] Quad. 1058, p. 162.
[3] Su questo punto si consulti l'egregia e recentissima opera del Rev. prof. J. A. Zahm C. S. C. La Bibbia, la Scienza e la Fede (p. III, cc. 1, 2, 3), la quale, scritta in inglese, fra breve sarà pubblicata in italiano dalla tip. editrice S. Bernardino di Siena per «la Biblioteca del Clero». Si vegga altresì il periodico Les Mondes nel fascicolo del 26 aprile 1877, il Journal of Geology, vol. I. 1893, p. 32, e le dotte Conferenze dell'Adone sulle «Origini dell'uomo secondo i positivisti». Napoli, 1894, Via S. Matteo a Toledo, 21.
[4] Disp. III, Art. 4, n. 672. Anche il Cardinale Gonzalez, nella sua Opera La Biblia y la Ciencia, osserva: «En todo caso, lo que aqui no debe perderse de vista, y lo que en realidad representa el pensamiento cristiano con relación à este problema, es que ni la Biblia ni la Iglesia, enseñan nada concreto y fijo acerca del tiempo transcurrido desde Adam hasta nosotros » Zahm ibid., pag. 313.
[5] Études, quad. del 15 agosto 1894, p. 632.
[6] In Evang. Lib. III, diss. IX, cap. X, par. I.
[7] Revue des questions scientifiques, Ottobre 1886, pp. 372 e segg.
[8] Études, l. c. e La Controverse, marzo e settembre 1886.
[9] «It is to be noted, così il ch. Autore alla pag. 303 dell'opera sopra citata, that... the Evangelist uses the word genuit: Ioram genuit Oziam, although Ozias was the son of Amasias. This proves that the Hebrews, like the Orientals generally, did not always employ this expression in its strict sense; the word is the consecrated term always employed in the genealogical lists, and may signify mediate as well as immediate filiation.»
[10] Cap. III.
[11] Quad. 1058, pp. 119-150.
[12] Fra le scoperte moderne che confermano la verità storica del Diluvio, degna di speciale menzione è quella fatta nel 1872 e 1873 dal signor Giorgio Smith, assiriologo inglese molto riputato. Egli fu che ebbe la fortuna, la pazienza e l'ingegno di trovare, mettere insieme e interpretare un libro intero, il cui originale si fa rimontare ad un'età anteriore a Mosè. Il libro, fra le altre cose, contiene una minuta descrizione del diluvio. Il testo di questa descrizione cuneiforme del diluvio è dato dal Vigouroux nel 1° volume dell'opera sua: La Bible et les découvertes modernes.
[13] Essai de commentaire de Bérose, pag. 275.
[14] Antiquités Nationales, l. c.
[15] Vedi Salomon Reinach, Antiquités Nationales etc., Paris, Firmin-Didot, 1894, p. 29; Lenormant, Les origines de l'histoire, t. I, pp. 382-491; Vigouroux, La Bible et les découvertes modernes 4me éd. t. 1, p. 256-298; Zahm, Bible, Science and Faith, Part. II, cc. 1 e 9; Cetta, Il Diluvio, Torino, tip. Speirani, 1886, cap. 1, pp. 1-11; Pianciani, Cosmogonia naturale comparata col Genesi, Roma 1862; Cultrera, La Bibbia e la Scienza, Palermo, 1882, p. 283. ed altri citati nei luoghi indicati dal Reinach e dal Vigouroux.
[16] Vedi Reusch, La Bibbia e la natura; Carranrais, Études sur les origines; Lambert, Le déluge mosaique; Moigno, Les splendeurs de la Foi, ed altri assai.
[17] Vedi il quad. 1058, pag. 162. Essendo stati nel 1685 denunziati alla sacra Congregazione dell'Indice gli opuscoli d'Isacco Vossio, in cui il dotto critico negava l'universalità assoluta del Diluvio, i Padri richiesero sopra ciò del suo parere il celebre Benedettino Mabillon, allora dimorante in Roma. Ed egli, ragionata con buoni argomenti la cosa, fu d'avviso, non essere tal opinione contraria alla fede e alla morale, nè aver mai la Chiesa definito nulla in tal punto. Annales ordinis S. Benedicti, Paris 1880, Tom. I, pag. 428.
[18] Schoepfungsgeschite, p. 750, citato dal Vigouroux, Manuel biblique, Paris 1880, Tom. I p. 428.
[19] Cosmogonia, p. 544.
[20] Die Genesis, 2ª Ed., 1853, p. 255.
[21] Ibid. l. c.
[22] Se ne vegga la Rivista pubblicata nella Civiltà Cattolica. Serie XIII, Vol. IV, pp. 326, 712 e Vol. V, p. 56.
[23] Quad. 1056, p. 693 e quad. 1058, p. 153.
[24] Quad. 1050, p. 656.
[25] Le Déluge biblique devant la Foi, l'Écriture et la Science, Parigi, 1885. Prima del Motais, altri dotti cattolici, come lo Schoebel, il De Quatrefages, il Cuvier, il D'Omalius d'Halloy, il Lenormant, e il Dott. A. Scholz di Würzburg, difesero o favorirono la medesima sentenza, ma per ragioni principalmente etnografiche.
[26] Quaderni di luglio e di ottobre 1886 e di gennaio, aprile, luglio e ottobre 1887.
[27] «Qui increduli fuerunt aliquando, quando expectabant Dei patientiam in diebus Noe, cum fabricaretur arca: in qua pauci, idest, octo animae salvae factae sunt per aquam. Quod et vos nunc similis formae salvos facit baptisma; non carnis depositio sordium, sed conscientiae bonae interrogatio in Deum per resurrectionem Jesu Christi.» S. Petri, III, 20, 21.
[28] Opusc. X.
[29] Summa Theol., Iª P., q. LXVIII, art. I.