domenica 11 maggio 2014

Sia forte quel popolo che vuole battersi per la Vita e la Verità!

concbimbo

di Danilo Quinto

Con l’annunciata beatificazione di Paolo VI, prevista il prossimo 19 ottobre – che segue le canonizzazioni di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II - si chiude, per così dire, un cerchio. La Chiesa conciliare sembra conquistare tutto il campo e si compie quello che proprio Paolo VI delineò con il discorso di apertura della Seconda Sessione del Concilio Vaticano II, il 29 settembre 1963: «Sappia con certezza il mondo che è visto amorevolmente dalla Chiesa, che nutre per esso una sincera ammirazione ed è mossa dallo schietto proposito non di dominarlo, ma di servirlo, non di disprezzarlo, ma di accrescerne la dignità, non di condannarlo, ma di offrirgli conforto e salvezza. Se alcuna colpa fosse a noi imputabile per tale separazione, noi ne chiediamo a Dio umilmente perdono e domandiamo venia altresì ai Fratelli che si sentissero da noi offesi». Quel mondo al quale ci si rivolgeva viveva una crisi drammatica, senza precedenti. La modernità avanzava e imponeva i suoi dogmi, senza trovare più ostacoli. Non si volle intervenire per proclamare e indicare a quella modernità i principi della Verità e della Libertà. Si scelse consapevolmente di prostrarsi davanti ad essa. Servilmente.
Non è affatto un caso che la chiusura del cerchio sia conseguita durante l’attuale pontificato. Il più moderno, il più aperto, il più comprensivo del mondo che l’intera storia della Chiesa Cattolica abbia conosciuto. Era stata già prefigurata, lo scorso 13 ottobre, nel primo degli articoli che Mario Palmaro, insieme ad Alessandro Gnocchi, dedicò sul Foglio a questo Papa, intitolato Questo Papa non ci piace. Ad un certo punto di quel bellissimo e profetico intervento - che suscitò insieme, clamore e sguaiati attacchi - Palmaro e Gnocchi riportarono un passo dell’intervista del Papa a Civiltà Cattolica. «Il Vaticano II», spiegava il Papa, «è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo. I frutti sono enormi. Basta ricordare la liturgia. Il lavoro della riforma liturgica è stato un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire da una situazione storica concreta. Sì, ci sono linee di ermeneutica di continuità e di discontinuità, tuttavia una cosa è chiara: la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi che è stata propria del Concilio è assolutamente irreversibile». Palmaro e Gnocchi commentavano: «Proprio così, non più il mondo messo in forma alla luce del Vangelo, ma il Vangelo deformato alla luce del mondo, della cultura contemporanea. E chissà quante volte dovrà avvenire, a ogni torno di mutamento culturale, ogni volta mettendo in mora la rilettura precedente: nient’altro che il concilio permanente teorizzato dal gesuita Carlo Maria Martini».
Con la beatificazione di Paolo VI, quel concilio permanente viene ora formalmente teorizzato e diventa prassi della Chiesa. La dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi diventa in maniera inequivocabile la chiave interpretativa dell’azione di questo Papa e il suo relativismo morale e religioso, espresso nelle sue interviste e nei suoi gesti, come l’avevano definito Palmaro e Gnocchi e come egli stesso l’aveva delineato con le risposte date a Eugenio Scalfari - «Santità, esiste una visione del Bene unica? E chi la stabilisce? », chiede Scalfari. «Ciascuno di noi», risponde il Papa, «ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene». «Lei, Santità, l’aveva già scritto nella lettera che mi indirizzò. La coscienza è autonoma, aveva detto, e ciascuno deve obbedire alla propria coscienza. Penso che quello sia uno dei passaggi più coraggiosi detti da un Papa». «E qui lo ripeto. Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo» – rappresenta l’esatto contrario di quello che la Chiesa ha insegnato nella sua storia bimillenaria.
Così, le categorie assolute del Bene e del Male non esistono più. Il singolo individuo le può modellare a seconda della sua concezione di libertà e dell’affermazione dei suoi desideri. È la stessa libertà che si fa desiderio, che adatta la ragione e la fede alle esigenze mondane. Il 5 ottobre 2007, in un intervento di saluto ai membri della Commissione Teologica Internazionale, Benedetto XVI si soffermò sul tema della legge morale naturale. Disse, tra l’altro: «Il Catechismo della Chiesa Cattolica riassume bene il contenuto centrale della dottrina sulla legge naturale, rilevando che essa indica le norme prime ed essenziali che regolano la vita morale. Ha come perno l’aspirazione e la sottomissione a Dio, fonte e giudice di ogni bene, e altresì il senso dell’altro come uguale a se stesso. Nei suoi precetti principali essa è esposta nel Decalogo. Questa legge è chiamata naturale non in rapporto alla natura degli esseri irrazionali, ma perché la ragione che la promulga è propria della natura umana (n. 1955)». Benedetto XVI richiamò le due finalità di questa dottrina: 1. Il contenuto etico della fede cristiana non costituisce un’imposizione dettata dall’esterno alla coscienza dell’uomo, ma una norma che ha il suo fondamento nella stessa natura umana; 2. partendo dalla legge naturale, di per sé accessibile a ogni creatura razionale, si pone con essa la base per entrare in dialogo con tutti gli uomini di buona volontà e, più in generale, con la società civile e secolare. Nell’interrogativo centrale della Caritas in Veritate - «Come ci si potrà stupire dell'indifferenza per le situazioni umane di degrado, se l'indifferenza caratterizza perfino il nostro atteggiamento verso ciò che è umano e ciò che non lo è?» – Benedetto XVI andò ancora oltre e coniugò insieme la questione sociale e quella antropologica. Dando così una risposta a coloro che, in questi anni, hanno parlato della crisi economica in cui versa il mondo occidentale – e l’Europa, in particolare – senza tener conto della crisi di principi, che impedisce di vedere i bisogni delle persone. La mancanza di principi coinvolge la persona e il suo destino, nella sua integrità e distrugge le società.
E’ la stessa chiave di lettura che ci propone Gesù nel Vangelo, in relazione all’uomo e al suo itinerario terreno. Quando Dio ha consentito che potessi coltivare una speranza di salvezza, la prima cosa che ho fatto è stata quella di affidarmi al Vangelo. Tutto, in quelle parole, scritte duemila anni fa, era adeguato a descrivere la mia situazione di peccatore, in cerca di conforto, di perdono e di richiesta di misericordia per la sua anima. Tutto mi spiegava la sorte della mia vita fino ad allora, così come l’avevo vissuta. Tutto era antico, tramandato per secoli, ma insieme moderno, di una modernità che non si stempera alla luce delle lusinghe del mondo, che non seppellisce l’anima dell’uomo. Non la rende ecumenica, per raccogliere e giustificare tutto e il contrario di tutto, ma le restituisce la sua dignità. Come se le parole di Gesù non avessero tempo e fossero state dette e riportate per gli uomini che c’erano prima di Lui e per quelli che sarebbero venuti dopo di Lui. Dall’inizio della mia conversione – per tentare di confermarla ogni giorno che passa – quel testo è divenuta la mia lettura quotidiana, di cui non posso fare a meno.
Il Vangelo attualizzato nell’oggi – rivendicato dal Papa come risultato irreversibile del Concilio – pone la Sposa di Cristo al servizio del mondo. E’ il risultato di un’opera di secolarizzazione durata alcuni secoli, iniziata con il protestantesimo, proseguita con l’Illuminismo e la Rivoluzione Francese e poi con il Modernismo, il Comunismo e le ideologie totalitarie del XX secolo, fino ad arrivare – attraverso l’apporto decisivo di forze massoniche e para-massoniche – agli esiti del Concilio e alla dirompente rivoluzione provocata dal Movimento del ’68. L’obiettivo è quello di spazzare via la Verità rivelata dal Verbo che si è fatto Carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi, di renderla duttile e manipolabile alle esigenze e ai desideri degli uomini, di separare la Fede dalla Ragione, persino di fare a meno di convertire. «Il proselitismo è una solenne sciocchezza», dice il Papa a Scalfari e aggiunge: «Non voglio convertirla». La missione che per secoli è stata propria della Chiesa e dei suoi uomini, sembra non interessare più. A che cosa, d’altronde, si dovrebbero convertire gli esseri umani, se il Vangelo – con le sue realtà innate e immutabili, scritte nell’anima di ogni essere umano – deve essere attualizzato considerando le esigenze dell’oggi? Quali sono, poi, le esigenze dell’oggi?
Sono, si badi, le stesse di duemila anni fa. Derivano dal contenuto più autentico ed esclusivo della fede che discende dalle parole di Gesù. Mons. Luigi Negri, Vescovo di Ferrara-Comacchio, le ha ricordate, in questi giorni, in una lettera rivolta ai suoi fedeli. «Come Vescovo» – ha scritto Negri - «la mia prima inderogabile missione è l’annuncio del Vangelo quale via della libertà, della responsabilità e della salvezza. Nel Vangelo che vi debbo annunciare è contenuta anche una precisa concezione dell’uomo e di tutta la sua realtà, che costituisce il nucleo portante della Dottrina Sociale che la Chiesa ha sempre proclamato e testimoniato. Si tratta dei “principi non negoziabili” che sono il patrimonio di ogni persona, perché inscritti nella coscienza morale di ciascuno, ed in particolare costituiscono il criterio ineludibile per i giudizi e le scelte temporali e sociali del cristiano. Li elenco sinteticamente: la dignità della persona umana, costituita ad immagine e somiglianza di Dio, e quindi irriducibile ad ogni condizionamento sia di carattere personale che sociale; la sacralità della vita dal concepimento alla morte naturale, indisponibile a tutte le strutture ed a tutti i poteri; i diritti e le libertà fondamentali della persona: libertà religiosa, della cultura e dell’educazione; la sacralità della famiglia naturale, fondata sul matrimonio, sulla legittima unione cioè fra un uomo e una donna, responsabilmente aperta alla paternità e alla maternità; la libertà di intrapresa culturale, sociale, e anche economica in funzione del bene della persona e del bene comune; il diritto ad un lavoro dignitoso e giustamente retribuito, come espressione sintetica della persona umana; l’accoglienza ai migranti nel rispetto della dignità della loro persona e delle esigenze del bene comune; lo sviluppo della giustizia e la promozione della pace; il rispetto del Creato».
Questa è l’unica via della libertà, della responsabilità e della salvezza, sulla quale i martiri cristiani del ventunesimo secolo – che seguono le tracce dei martiri dell’inizio dell’era cristiana – forgiano le loro vite, immolandosi a decine di migliaia, ogni anno, per la difesa di quei principi e per conquistare la vita eterna. Sono «il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini» (Mt, 5,13).
Nella Chiesa c’è ancora chi ritiene che i principi non negoziabili espressi dal Vangelo costituiscano il nucleo centrale, le fondamenta, del messaggio di Gesù e non si stanca di ribadirli per il bene del popolo di Dio, perché sa che quei principi tracciano la via della salvezza. Il Papa non ne è convinto e lo dichiara apertamente: «Non possiamo insistere» – dice al direttore di Civiltà Cattolica - «solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione».
C’è una persona che questa posizione, così netta, l’ha compresa perfettamente. E’ uno degli ultimi interlocutori da non convertire del Papa: Marco Pannella. «Oggi» – ha detto Pannella- lo scorso 4 maggio a Radio Radicale - «hanno fatto la Marcia per la Vita. I quarantamila, ecc… Questa a me pare la reazione assolutamente inevitabile delle basi vaticane e clericali di questi ultimi cinquant’anni, che con questo Papa sentono che devono fare i conti con quanto ha esclamato due mesi fa: ‘Basta con le ossessioni su aborto, divorzio e non so cos’altro’». Il leader radicale si è fatto due conti e, analogamente a lui, se li sono fatti tutti coloro che desiderano una Chiesa che dialoghi con il mondo: chi meglio di un Papa che tanto piace a questo mondo può garantire che diventi sempre più ampio il solco tra l’anima dell’uomo e il suo essere nel mondo?
Non siano i silenzi o le vacuità a scoraggiare coloro che combattano per l’affermazione della Verità e della Vita. I soldati di Gesù - proprio ora - in maniera ancora più consapevole, siano più forti e considerino che tutto è nel disegno di Dio, che come scriveva Jacques Bossuet, il grande Vescovo e predicatore del seicento «scrive dritto anche sulle righe storte degli uomini». Ancorino con rigore il loro impegno alla Verità, che deriva direttamente dalle parole di Gesù e dall’esempio coerente delle persone che l’hanno amata, conducendo in maniera coerente e cristallina un grande esercizio di libertà nella loro vita. Mario Palmaro, mi scrisse poco prima di morire: «Sai, Danilo, quello che mi consola? Che da lassù potrò aiutare di più». Che Mario – persona mite e insieme tenace nella difesa indefettibile della Verità - da lassù, aiuti anche il popolo della Marcia per la Vita. Lo fortifichi, per farlo perseverare nella sua missione di evangelizzazione. Lo renda sempre più certo del suo compito di testimonianza attiva del Bene e dei principi espressi nel Vangelo. Gli consenta di ambire ad obiettivi grandi, sia quantitativi sia qualitativi. Lo faccia crescere nella sicurezza che Gesù custodirà la Sua Chiesa, che non è «una fabbrica di impedimento ai sacramenti», come ha detto il Papa qualche giorno fa, ma è la Sua Sposa, che mai deve stancarsi di proclamare i Suoi principi. Da essi, e solo da essi, può e deve nascere il dialogo con il mondo.

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