martedì 6 maggio 2014

Legge naturale e ignoranza invincibile

Legge naturale e ignoranza invincibile
 
 
1. È regola certa che non può darsi ignoranza invincibile in quelle cose che l’uomo deve e può sapere. Quando dunque non sa quel ch’è tenuto a sapere ed all’incontro può vincere l’ignoranza colla sua diligenza (studio superare potest, come parla S. Tomaso, 1, 2, q. 76, a. 2) egli non può essere scusato da colpa. Quali cose poi siam tenuti noi a sapere, le spiega l’Angelico nello stesso luogo: Omnes tenentur scire communiter ea quæ sunt fidei, et universalia juris præcepta; singuli autem quæ ad eorum statum vel officium spectant. Sicché, parlando del dritto naturale, non può darsi ignoranza invincibile nei primi principj della legge, come sono: Deus est colendus: quod tibi non vis, alterî ne feceris etc. Così anche non può darsi nelle conclusioni immediate o sieno prossime a detti principj, quali sono i precetti del decalogo. Neppure può darsi negli obblighi spettanti al proprio stato o proprio officio; poiché chi assume qualche stato, per esempio, ecclesiastico o religioso, o pure chi prende ad esercitar qualche officio, come di giudice, (- 30 -) di medico, di confessore o simile, è obbligato ad istruirsi de’ doveri di quello stato o di quell’officio; e chi l’ignora, lasciando d’istruirsene, o per timore di non esser poi tenuto ad osservarli, o per mera ma volontaria negligenza, la sua ignoranza sarà sempre colpevole, e tutti gli errori che indi commetterà per cagion di tal negligenza saran tutti colpevoli, quantunque egli in commetterli non abbia avvertenza attuale della loro malizia; mentre basta a renderli colpevoli l’avvertenza virtuale o sia (come chiamano altri) interpretativa, ch’egli ha avuta in principio in tralasciar di sapere le proprie obbligazioni, come saggiamente e comunemente sentono Habert [theol. dogm. to. 3 de act. human c. 1 § 3, q. 5], il p. Collet [comp. moral. to. 1, pag. 520, 525], continuatore di Tournely, il p. Antoine [theol. mor. cap. 4 de peccat., qu. 7], ed altri colla scorta di S. Tomaso, secondo quel che di sovra si è osservato e per quel che dice il Santo più specialmente a questo proposito in altro luogo [de consc. q. 17, a. 5, ad 3 et ad 5], dove scrive che non può essere scusato quel giudice, se erra nel giudicare per non saper le leggi che doveva aver imparate.
2. Ho detto comunemente, perché sebbene sembra che molti altri autori, come Silvio, Suarez, Gammacheo, Isamberto ec., (- 31 -) richiedano per ogni peccato l’attuale avvertenza di quello, almeno quando se ne mette la causa, nulladimanco tutti ammettono che basta a far colpevoli gli errori futuri quell’avvertenza che ha l’uomo in principio, allorché assume qualche stato o qualche officio, dell’obbligo d’istruirsi ne’ suoi doveri, e lo trascura: perché allora già prevede almeno in confuso ed all’oscuro gli errori che, senza essere istruito, potrà commettere e non li cura. Se però taluno, dopo essersi abbastanza istruito, errasse forse in qualche cosa particolare appartenente al suo officio o stato, non già per negligenza, ma per mera ignoranza invincibile o invincibile inavvertenza, costui ben sarebbe scusato da ogni colpa, come qui appresso dimostreremo. 
3. È indubitato dunque che così in quanto a’ principj della legge naturale, come in quanto alle loro conclusioni prossime ed alle obbligazioni certe del proprio stato, non può darsi invincibile ignoranza; perché tali cose per lo stesso lume di natura son note a tutti, fuorché a coloro i quali chiudono gli occhi per non vederle. E di queste parla appunto S. Tomaso espressamente in altro luogo, 2, 2, q. 94, a. 6: Ad legem naturalem pertinent primo quidem quædam præcepta communissima quæ sunt omnibus nota; secundario autem quædam secundaria præcepta (- 32 -) magis propria, quæ sunt quasi conclusiones propinquæ principiis; e dice che così le prime come le seconde non possono ignorarsi se non per passione ed ignoranza colpevole; poiché, secondo scrive il p. Suarez, natura ipsa ac conscientia ita pulsat in actibus eorum ut non permittat ea inculpabiliter ignorari.
4. All’incontro è sentimento comune de’ teologi, così probabilisti come antiprobabilisti, che nelle conclusioni mediate ed oscure, o sieno rimote da’ primi principj, ben si dà e dee ammettersi l’ignoranza invincibile. Così insegna il medesimo S. Tomaso [1, 2, q. 76, a. 3] il quale dice che in due modi l’ignoranza può esser volontaria e colpevole: Vel directe, sicut cum aliquis studiose vult nescire, ut liberius peccet; vel indirecte, sicut cum aliquis propter laborem vel propter alias occupationes negligit addiscere id per quod a peccato retraheretur. Talis enim negligentia facit ignorantiam ipsam esse voluntariam et peccatum. Si vero ignorantia sit involuntaria, sive quia est invincibilis, sive quia est ejus quod quis scire non tenetur, talis ignorantia omnino excusat a peccato. Dicendo dunque il Santo: si vero ignorantia sit involuntaria, sive quia est invincibilis, sive quia est ejus, quod quis scire non tenetur, talis ignorantia omnino excusat a peccato, ben dichiara che (- 33 -) l’ignoranza, ancorché sia di cose che siam tenuti a sapere, nel caso ch’ella è invincibile, scusa affatto dal peccato. Lo stesso insegna l’Angelico con termini più individuali in altro luogo [quodl. 8, a. 15] dove scrive: Error autem conscientiæ quandoque habet vim absolvendi sive excusandi, quando scilicet procedit ex ignorantia ejus quod quis scire non potest vel scire non tenetur; et in tali casu, quamvis factum sit de se mortale, tamen, intendens peccare venialiter, peccaret venialiter; e per conseguenza se intendesse di non commetter alcun peccato, niuno ne commetterebbe. Si noti: scire non potest vel scire non tenetur; dunque anche nel caso che taluno è tenuto a sapere il precetto, se non può saperlo, l’ignoranza sua è invincibile e lo scusa dalla colpa che sarebbe in sé stessa; avvertendo saggiamente il p. Giovanni da S. Tomaso che quel potest scire s’intende non già rimotamente, ma prossimamente e speditamente, sicché l’omissione della diligenza dovuta in cercar la verità sia propriamente voluta: Illud axioma - Qui potest et tenetur, et non facit, peccat - intelligi de eo qui potest proxime et expedite, non remote tantum et impedite; quia, ut supra diximus, omissio, ut sit voluntaria, debet procedere ab ipsa voluntate [1, 2, q. 6, disp. 3, diff. 1]. (- 34 -) 
5. S. Antonino similmente insegna che nelle conclusioni rimote ben si dà l’ignoranza invincibile: Et si diceretur hîc esse usuram, et usura est contra decalogum; respondetur: sed hunc contractum esse usurarium non est clarum, cum sapientes contraria sibi invicem in hujusmodi sentiant. Cum autem dicitur ignorantia juris naturalis non excusare, intelligitur de his quæ expresse per se vel reductive sunt circa jus naturale et divinum, ut contra fidem vel præcepta, per evidentes rationes vel determinationem Ecclesiæ vel sententiam communem doctorum, et non de his quæ per multa media et non clare probantur esse contra præcepta et articulos [P. 2, tit. I, cap. 11, § 28].
6. Lo stesso tiene Habert, dicendo: Circa conclusiones juris naturalis, quales sunt prohibitio usuræ, uxorum pluralitas, matrimonii indissolubilitas, etiam interveniente aliqua gravi causa, potest esse ignorantia invincibilis, quia non deducuntur ex primis principiis, nisi longiori discursu [Theol. to. 3 de act. hum. cap. I, § 3 circa fin]. Ed a Gersone, che scrisse: Concors est sententia nullam in iis quæ legis naturalis sunt cadere ignorantiam invincibilem [de vita spirit.], risponde che ciò va detto in quanto a’ primi principj e conclusioni primarie, ma non già in quanto alle conclusioni più rimote. Anzi (- 35 -) soggiunge che talvolta anche le conclusioni primarie in certe circostanze possono invincibilmente ignorarsi, per esempio se taluno si persuade per errore che sia tenuto a mentire per liberare un prossimo dalla morte. 
7. Giovan Battista Du-Hamel scrive lo stesso: Quod autem ex eo jure necessario quidem sed non ita manifeste deducitur, ut forte poligamia et alia hujus generis, invincibiliter ignorari posse probabile videtur, adeo ut nulla vel levi suspicione ea esse prohibita his in mentem venerit. Ac licet ea vitia ex peccatis libere admissis oriantur ac proinde voluntaria videantur, et ea ratione ignorantia sit pœna peccati; hinc tamen non sequitur ea esse voluntaria, cum ex iis peccatis secutura mala prævisa non fuerant [Lib. 2 de act. human., cap. 5 in fin., vers. Ad legem]. 
8. Il p. Lorenzo Berti [de theol. discipl. to. 2, lib. 21, cap. 10], scrive lo stesso, e dice: Verissimam tamen puto sententiam oppositam, et circa consequentias juris naturæ remotissimas censeo ignorantiam invincibilem esse admittendam... Illam tenent omnes fere ægidiani ac thomistæ et Sylvius, l’Herminier aliique communiter; cujus assertionis hæc videtur ratio apertissima quod conclusiones jus naturæ remotiores deducuntur ex principiis longiori implexoque discursu, quem rudes plurimi efformare nequaquam valent. E (- 36 -) ciò lo comprova con S. Tomaso [c. 2, q. 100, a. I], dove dice: Quædam vero sunt quæ subtiliori consideratione indigeant disciplina. Onde conclude il p. Berti che il rozzo, se in ciò non usa negligenza, non dee condannarsi. E neppure, io soggiungo, dee condannarsi il perito, se opera per ignoranza invincibile: poiché non v’è alcun dotto il quale sappia giudicare di tutte le cose oscure appartenenti al jus naturale secondo la verità; mentre la stessa verità, come dice S. Tomaso, non è egualmente nota a tutti: Sed quantum ad proprias conclusiones rationis practicæ, non est eadem veritas seu rectitudo apud omnes, nec est etiam æqualiter nota apud quos est eadem veritas [1, 2, q. 94, a. 2].
9. Lo stesso tiene il p. Gonet nel suo clipeo teologico [tom 3, disp. 1, a. 4, § 1, n. 55] dove, parlando de’ precetti rimoti da’ primi principj, dice: Potest dari de illis ignorantia invincibilis et excusans a peccato. E parlando in altro luogo [tract. de probabil., circa fin.] della stessa sentenza, dice che la contraria è singolare di pochi ed improbabile. Lo stesso tiene il p. Collet, continuatore di Tournely [comp. mor. to. 1, c. 1, a. 1, sect. 2, concl. 4, p. 23] scrivendo: Non datur ignorantia invincibilis juris naturalis quoad prima principia et proximas (- 37 -) eorum conclusiones; datur vero quoad conclusiones magis remotas. Lo stesso tiene il p. Antoine [theol. mor. de peccat., cap. 4, q. 6] e dice: Datur in aliquibus ignorantia invincibilis circa quædam præcepta juris naturalis valde abstrusa et remota a principiis. Est communis sententia: quia cum aliqua præcepta sint valde abstrusa et remota a primis principiis, a quibus sine longo et difficili discursu deduci nequeunt, facile ignorari possunt invincibiliter. E di più riferisce che nell’anno 1685, addì 8 di agosto tra varj articoli in Roma fu dannato il terzo articolo seguente: Nullam admittimus ignorantiam invincibilem juris naturæ in ullo homine dum hic et nunc contra jus naturæ agit. [...]
10. Si comprova poi la nostra sentenza colla propos. 2 di Bajo dannata da Alessandro VIII, che diceva: Tametsi detur ignorantia invincibilis juris naturæ, nec in statu naturæ lapsæ operantem ex ipsa excusat a peccato formali. Dalla condanna di tal proposizione chiaramente s’inferisce che il pontefice in tanto l’ha condannata, in quanto ha supposto per certo che ben può darsi ignoranza invincibile in alcune cose astruse (- 39 -) spettanti alla legge naturale; altrimenti a che condannarla? Lo stesso ricavasi dalla condanna di quell’altra proposizione di Bajo: Infidelitas negativa in iis quibus Christus non est prædicatus peccatum est. Inoltre più chiaramente si conferma dalla proposizione dannata dallo stesso pontefice: Non licet sequi opinionem vel inter probabiles probabilissimam. Se non si desse ignoranza invincibile in niuna cosa circa il jus di natura, come dicono gli avversarj, non sarebbe scusato da colpa neppure chi siegue l’opinione probabilissima, perché anche la probabilissima sta a pericolo di errore, mentr’ella non è fuori, ma è dentro i termini della probabilità. Ma la ragione più certa ed evidente della nostra sentenza è quella che scrive S. Tomaso: Manifestum est quod illa ignorantia quæ causat involuntarium tollit rationem boni et mali moralis [1, 2, q. 19, a. 6]. [... prosegue ...]
 
Tratto da a S. Alfonso Maria de Liguori, Dell’uso moderato dell’opinione probabile, CAPITOLO II. - DIMOSTRASI CHE BEN DASSI L’IGNORANZA INVINCIBILE IN ALCUNE COSE APPARTENENTI ALLA LEGGE NATURALE.
Pubblicazione su Radio Spada a cura di Carlo Di Pietro (clicca qui per leggere altri studi pubblicati) - http://radiospada.org/ -