giovedì 22 maggio 2014

Eroi della Grande Guerra: K.u.k. Infanterie Regiment Feldzeugmeister Georg Freiherr von Waldstätten Nr.97.

IL REGGIMENTO

L’Imperial Regio Reggimento di Fanteria Nr. 97 era formato da soldati di diversa nazionalità, Italiana, Slovena, Croata e altre, provenienti dalle Province meridionali dell’Impero, in particolare da Trieste, dall’Istria e dal Friuli Austriaco, ossia dal Küstenland (Litorale).
Il reggimento fu costituito nel 1883. Questo fu un anno di riforme e innovazioni per l’esercito austro-ungarico: i reggimenti del K.u.K Heer (Imperial Regio Esercito Comune) passarono da 80 a 102 scorporando da alcuni di essi un battaglione e facendo entrare nelle file della Fanteria otto battaglioni di Feldjäger (Cacciatori). Nacque così anche il Reggimento numero 97. I battaglioni che lo costituirono provenivano dalle seguenti formazioni: I.R. 17 Franz Kuhn von Kuhnfeld, I.R. 22 Graf Moritz von Lacy, I.R 79 Graf Joseph Jellacic e dal Battaglione Feldjäger Nr. 33.
Il primo Regimentsinhaber (Comandante onorario, letteralmente Proprietario o Titolare del Reggimento) fu il Re di Serbia Milan I fino al 1892, poi il Feldzeugmeister Freiherr (Barone) Georg von Waldstätten fino al 1918.
Le mostrine, chiamate Parolis, erano cucite sul bavero e servivano ad identificare i reggimenti, interi corpi, Armi o servizi. Il colore delle Parolis del 97° reggimento (Egalisierungfarbe) era il Rosenrot (rosa antico). Poichè nell’esercito imperiale lo stesso colore era destinato a quattro reggimenti, due ungheresi (della parte ungarica dell’Impero) e due tedeschi (della parte austriaca), un primo elemento distintivo era dato dal tipo di pantaloni (aderenti al polpaccio per gli ungarici, diritti per gli austriaci) e il secondo elemento, una volta individuata la “nazionalità” di appartenenza, era dato dal colore dei bottoni. L’I.R. 97° portava i bottoni della divisa da parata bianchi (argentati).
In questo periodo il Capo di Stato Maggiore in carica era Friedrich Beck, già membro dello Stato Maggiore personale dell’Imperatore mentre il Comandante in Capo era l’Arciduca Alberto, vincitore della battaglia di Custoza, cugino dell’Imperatore Francesco Giuseppe.
All’epoca l’Impero austro-ungarico era diviso in due parti, l’Austria e l'Ungheria, dette rispettivamente Cisleithania e Transleithania dal nome del fiume Leitha che le divideva in un tratto di confine comune.
I soldati venivano chiamati alle armi ed arruolati, in base ad un sorteggio, o nell’Esercito comune (K.u.K Heer), reclutato in ambedue le parti del Paese, oppure, per la Cisleithania (l’Austria), nella alla K.K. Landwehr (Esercito Nazionale Austriaco) e per l’altra metà dell’Impero, la Transleithania (l’Ungheria), nel Magyar Kirali Honvédség (Esercito Nazionale Ungarico), per brevità chiamato Honvéd. Tanto il Landwehr che la Honvéd allo scoppio della guerra mondiale erano dotati di reparti tecnici, artiglieria e cavalleria.
I richiamati affluivano nelle fila del Landsturm austriaco e nel Népfölkelök ungarico. Vanno anche ricordati i Freiwillige Schützen (Reparti di Volontari) del Tirolo, della Carinzia, del Voralberg, della Stiria, di Trieste e dell’Istria che ebbero molta importanza nella storia militare della prima guerra mondiale, per lo sviluppo degli avvenimenti sul fronte sud occidentale, quello italo-austriaco.
Al momento della mobilizzazione, nel luglio 1914, i Battaglioni del Reggimento (in totale quattro) erano così suddivisi: il Comando si trovava a Belowar-Bjelovar (Croazia) assieme al primo e al secondo Battaglione. Sempre in Croazia, nella città di Carlstadt-Karlovac era di stanza il quarto battaglione. Il terzo Battaglione si trovava a Trieste, acquartierato nella Große Kaserne (Caserma Grande). La Caserma Grande si trovava nel luogo dove oggi c’è la piazza Oberdan e i palazzi che le sono stati costruiti attorno a partire dagli anni ‘20 del secolo XX.

La Caserma Grande a Trieste
Allo scoppio della guerra, il 97° Reggimento fu inquadrato nella 2.a Armata, III Corpo, 28.ma Divisione di Fanteria, 55.ma Brigata (composta dall’I.R. 87, I.R. 97, FJB-Feldjägerbattallion 20) e inviato in Galizia (Ordini di Battaglia dell’agosto 1914).
L’11 agosto 4.300 uomini del K.u.K. IR 97 partirono dalla Südbahnhof (oggi Stazione Centrale) di Trieste e raggiunsero il 26 agosto la linea del fronte. Qui presero parte alla terribile prima battaglia presso Lemberg-L’vov, a seguito della quale la 3.a Armata fu costretta a ripiegare. Un solo Battagione di Marcia del Reggimento Nr. 97, il decimo Marschbattaillon, partecipò alla seconda battaglia dell’Isonzo nel settore del Monte Sei Busi - Monte San Michele, meritandosi il soprannome di battaglione isontino.

LE LINGUE PARLATE NELL’ESERCITO IMPERIAL-REGIO

Ogni reggimento arruolava il proprio contingente da un unico Distretto di reclutamento (Ergänzungsbezirk), o più raramente da due o tre Circoli limitrofi, in modo che non vi fossero militari di un gran numero di nazionalità diverse, per non creare difficoltà di comprensione.
Le lingue parlate nell’Impero austro-ungarico erano, infatti, almeno dieci: tedesca, magiara, ceca, slovacca, serbo-croata, polacca, rutena, rumena, slovena e italiana.
La lingua di servizio e la lingua di comando era quella tedesca e ogni soldato doveva comprendere tutti i termini usati per impartire gli ordini; per le istruzioni, invece, erano impiegate una o più lingue di reggimento, tra quelle parlate da almeno un quinto della truppa.
Gli Ufficiali assegnati ad un qualsiasi Reggimento, erano tenuti a superare un corso, vicolante per il proseguimento della carriera militare, nella o nelle lingue d’uso (lingue di Reggimento).

FANNULLONI, VIGLIACCHI O VALENTI SOLDATI?

La storia del reggimento 97°, il “demoghèla”, sinonimo ed emblema di disaffezione nei confronti della guerra non è, ovviamente, lo affermiamo in maniera molto ben documentata, come ce l’ha illustrata certa storiografia “ufficiale” (i vincitori, infatti, tendono, da sempre, a denigrare gli sconfitti, sia per motivi psicologici che per motivi politici).
Scrive la storica Marina Rossi nella prefazione del libro di Roberto Todero sul reggimento Nr. 97: "l’inno del Reggimento continua ad alimentare un equivoco: chi ha creato la canzone intendeva dire: battiamocela, scappiamo, o voleva dire diamogliele, picchiamo duro, finchè avremo qualcuno davanti? Aspirazioni nazionali e speranze di palingenesi sociali (rinnovamento e rinascita sociali) alimentarono la solidarietà tra i soldati di nazionalità italiana e slovena del Litorale nel corso della rivolta militare scoppiata a Radkersburg la sera del 23 maggio 1918 tra i riservisti del 97°. Dopo aver saccheggiato i magazzini e aver sfondate le prigioni, i militari sfilarono per le vie della città sventolando bandiere rosse e nazionali. Ovunque si inneggiava al bolscevismo e alla condanna del conflitto.
Ma i combattenti del 97° diedero anche prova di sincero lealismo asburgico e di eccezionale valore sul campo di battaglia; lo indicano le medaglie d’oro e le croci al merito conferite. Lo conferma persino una fonte insospettabile come Silvio Benco, ben noto per la sua spiccata fede irredentista. Commentando la sanguinosa battaglia di Leopoli-L’vov che tra l’agosto e il settembre 1914 disintegrò il 75% degli effettivi del 97°, così ebbe ad esprimersi: “concordarono tutti in una visione di disfatta, di fuga, pur molti apprezzando che il reggimento triestino, prima di cedere, si era tenuto al fuoco con valore di che poi si ebbe conferma nella citazione del 97° all’ordine del giorno... Più tardi, molti si seppero feriti non gravemente, molti prigioneri dei Russi... tuttavia gli intatti erano così pochi e scomposti che quello scheletro di reggimento si dovette andare in Ungheria a giacersi nella terza riserva, aspettando che lo rimpolpassero le reclute di diciannove anni
”.

L’ONORE E IL RISPETTO E LA MEMORIA

Oggi cosa ne è del ricordo dei soldati austro-ungarici del Litorale? Cosa ne è del ricordo del k.u.k. Infanterie Regiment Feldzeugmeister Georg Freiherr von Waldstätten Nr. 97? Quali onoranze ricevono i caduti? Quale spazio e che rispetto viene riservato alla loro Memoria?
A differenza di quanto accade in altre regioni italiane, dove le istituzioni operano attivamente nella ricerca dei manoscritti autobiografici dei soldati austro-ungarici di lingua italiana, facendo riferimento anche a fonti di lingua tedesca, e pubblicando testi e collane estremamente interessanti, nel Friuli Venezia Giulia non si fa nulla. O almeno le istituzioni, qui ancora abbondantemente legate al mito irredentista, nulla fanno. O poco e timidamente. Così a Trieste, quando venne inaugurata la lapide in memoria dei caduti triestini austro-ungarici, fortemente voluta e promossa, anche mediante la raccolta di firme tra la cittadinanza, dall’Associazione Culturale Mitteleuropa, l’amministrazione di allora (maggio 1996) la volle in sola lingua italiana e un po’ nascosta, fuori, ai margini del parco della Rimembranza che celebra i caduti in Africa, Spagna ed in altre sciagurate avventure coloniali italiane.
Più coraggiosamente il Comune di Monfalcone ha collocato nel cimitero, davanti all’ingresso, un monumento dedicato ai cittadini monfalconesi caduti del 97°, con nomi e cognomi.
Anche Staranzano e Gradisca ricordano, in piazza, i caduti imperiali.
Trieste invece, dopo aver già eliminato parte del cimitero militare per far posto ai loculi degli incinerati, nel novembre 2005 ha demolito (demolito!) la parte storica del cimitero, le lapidi e le tombe di cittadini illustri, commercianti, funzionari, ammiragli, feldmarescalli imperiali e regi, senza alcun rispetto per la memoria e la storia della città.
Poche le amministrazioni della Regione Friuli Venezia Giulia che negli ultimi anni hanno dimostrato interesse verso il culto del ricordo di questri nostri caduti: così la colta cittadina di Cormons con il lavoro di Giovanni Battista Panzera, Cormons 1914-1918, Terra per due Patrie, o la nobile e ricca Gradisca con D. Mattiussi, Cittadini di Gradisca, soldati dell’Impero. Albo dei caduti gradiscani in uniforme asburgica nella Grande Guerra e, in tempi più recenti, Diego Mauchigna con Cittadini del Comune di S. Canzian d’Isonzo caduti in uniforme asburgica nella guerra 1914 1918 (ricerca fatta ai fini di un convegno e non pubblicata).

COMPRENDERE

Per tentar di capire qual è la situazione prendiamo in esame una citazione di Franco Cecotti, storico: "Per gli abitanti del Goriziano, di Trieste, dell’Istria e della valle dell’Isonzo la memoria della Grande Guerra non si riflette nella monumentalità di Redipuglia o dei Sacrari di Oslavia e di Caporetto, poichè essi custodiscono le salme di soldati provenienti da tutte le regioni italiane, ma non quelle dei loro parenti che hanno perso la vita in quel conflitto."
Fabio Todero così scrive nel suo libro sull’I.R. Nr. 97: "Va segnalato il fatto che a Trieste la memoria del conflitto è una memoria divisa. La maggioranza dei triestini e degli abitanti del Friuli austriaco richiamati alle armi, infatti, confluirono nelle file dell’esercito austro-ungarico, l’esercito degli sconfitti. Sicchè le voci che, negli anni dopoguerra, narrarono di questa esperienza furono quanto mai rare, soffocate e sistematicamente eliminate dal nazionalismo, dal fascismo e dalle sue mitizzazioni della Grande Guerra, dalla necessità di costruire una Trieste città italianissima (che invece fu cosmopolita), che aveva dato il suo contributo per ricongiungersi alla madrepatria; impossibile, non conveniente o comunque imbarazzante parlare degli uomini che avevano portato l’uniforme asburgica”. Così come si era imposta sul campo, la voce dell’irredentismo (originato nell’ambito della borghesia capitalistica liberal nazionale e nazionalista), si era imposta anche nella memoria dell’evento. Ebbe rilevanza “l’immagine stereotipata, destinata a riprodursi e a moltiplicare per decenni il silenzio su una realtà ben diversa che, se veniva rappresentata era costretta ad assumere i toni della farsa (il Demoghèla del 97°, quelli che scappano) o della tragedia non voluta che aveva coinvolto una città in un ingiustificato lutto."

PRIMA DI CONCLUDERE

Prima di concludere, qui di seguito riportiamo una poesia, tratta dal libro di Todero, scritta da un soldato del k.u.k. I.R. 97° nato nel territorio dell'odierno Comune di Duino-Aurisina, e che aveva combattuto ed era caduto in Galizia. Non conosciamo il suo nome ma ci auguriamo che leggendola, veniate spinti da curiosità per la Storia a rimuovere lo spesso manto dell’oblio che è stato steso sulla vita, i sentimenti, gli ideali di uomini come questo Soldato. Ecco il componimento, a noi giunto senza titolo:
Se un giorno tornerò
voglio che tu mi dia un ciclamino
colto o a Percedol o a Slivia.
S’è di marzo appena o febbraio
una primula pallida tenuta in seno a scaldare.
Se torno nel pieno dell’inverno
il fiore del tuo sorriso.
Ma se non torno, un ricordo
d’amore soltanto e presto dimentica,
senza rimpianto.
CONGEDO

Questo breve scritto vuole essere spunto di riflessione e anche un modo, ancorchè tardivo e minimo, per rendere onore al I.R. 97 e a tutto l’Esercito di antiche tradizioni militari, composto da truppe provenienti da ben undici diverse etnie e nonostante ciò saldo e fedele al giuramento fatto al suo Imperatore. Un esercito che difese fino alla fine, con grande senso del dovere e spirito d’abnegazione, lo Stato più vasto esistente allora in Europa, rimpianto ancor oggi per l’onestà della sua amministrazione pubblica.
Servirà a ricordare i soldati che combatterono nell’ultima guerra dell’Impero austro-ungarico con tenacia fino all’ultimo giorno, anche se ormai avevano perso ogni speranza di vittoria, truppe che cedettero solo quando lo Stato unitario si stava già sgretolando in tanti particolarismi nazionali, che non sentivano più come proprio quell’esercito multietnico.


BIBLIOGRAFIA
- Cecotti Franco, Un esilio che non ha pari, 1914-1918 profughi, internati ed emigrati da Trieste, dall’Isontino e dall’Istria. Libreria Editrice Goriziana, 2001 Gorizia

- Judex M., Uniformen und Abzeichen der Österr.-Ungar. Wehrmacht. Graph. Kunstanstalt Aug. Strasilla, 1904 Troppau.

- Ofelli Siro, Le armi e gli equipaggiamenti dell’Esercito austro-ungarico dal 1914 al 1918 ed. Rossato 2001

- Rossi Marina, Irredenti giuliani al fronte russo - storie di ordinaria diserzione, di lunghe prigionie e di sospirati rimpatri (1914-1920), ed. Del Bianco, 1988 Udine

- Todero Fabio, Le metamorfosi della memoria, la Grande Guerra tra modernità e tradizione. ed. Del Bianco, 2002 Udine

- Todero Roberto, Dalla Galizia all’Isonzo, storia e storie dei soldati triestini nella Grande Guerra. Italiani Sloveni e Croati del k.u.k. I.R. Freiherr von Waldstätten Nr. 97 ed. Gaspari, 2006 Udine