mercoledì 28 maggio 2014

R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio d.C.d.G.: O verità, o cortesia.

La Civiltà Cattolica anno V, serie II, vol. VII, Roma 1854 pag. 465-474.

R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio d.C.d.G.

O VERITÀ, O CORTESIA


R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio
Avremo occasione rivedendo la nuova storia degl'Italiani del Farini, di osservare com'egli risentasi ingiustamente perchè un legato pontificio appellò sacrilego quel demanio Napoleonico, il quale usurpò alla Chiesa il possedimento de' beni suoi particolari, dopochè il governo usurpatore ebbe invaso il dominio politico. Una tal querela del Farini nulla può avere di strano per chiunque conosce la setta de' moderati, a cui quello scrittore appartiene: i quali bramosi di tenersi tutti in quella che essi appellano pace, e che è realmente apatia di totale scetticismo, si adoprano a tutt'uomo a far sì che niuno pronunzi francamente o un errore che dispiaccia a' seguaci della verità, o una verità che a' seguaci dell'errore. «In tal guisa, dicon essi, tutti possono vivere in pace, benchè di dottrine contrarie, e la terra può divenire un Paradiso, la società una Gerusalemme.». Così i moderati, e, secondo eterodossi, sapientemente, non avendo guida a' giudizii certi pe' loro intelletti, poichè rinnegarono l'autorità della Chiesa; nè speranza certa d'una felicità oltramondiale, che debba conquistarsi qui in terra a prezzo di battaglie e di sangue per l'onore di Dio che parlò, e che ha diritto ad imporre fede ed obbedienza.
Ma tutt'altra da questa è l'idea di pace, ossia di tranquillità ed ordine sociale, foggiata nelle menti cattoliche dalle fondamentali idee del cristianesimo. Il cattolico ecco come la discorre: «Pellegrino di un giorno sul cammin della vita io giugnerò ben presto, e meco vi giugnerà ogni uom che vive, a un termine ove ci aspetta, offertoci dalla divina Provvidenza, o un diadema eterno, o una eterna carcere. Afferrar quel diadema, evitar quella carcere, ecco ciò che importa a me e ad ogni uomo che meco vive sulla terra: e se per giungervi, o trarvi i miei prossimi mi sia mestieri o maneggiar la spada o tollerarne le punte, poco m'importa purchè ottenga l'intento. Ora a conseguir questo siccome io debbo lasciare pienissima libertà in quelle dottrine ove Dio si tace, così debbo aderire pienamente allor ch'Egli parla, procacciando per quanto a me si appartiene anche l'adesione altrui: chè questo volle il Redentore, quando protestò non riconoscer per suo chi non l'ode, disconfessare chi nol confessa al cospetto degli uomini, doversi predicare su i tetti ciò, ch'egli disse all'orecchio, spada e non pace aver lui portato sulla terra, separazione tra padre e figlio, tra moglie e marito, tra fratello e fratello. Precetti di tal fatta suonano ben altro che la pace de' moderati: piaccia o non piaccia, la verità annunziata dal Redentore dee continuare ad annunziarsi dalla Chiesa; e la verità insegnata dalla Chiesa dee professarsi senza rossore e senza tema dal vero fedele: e se vi ha cui dispiaccia l'udirla, ed ei si parta, e cerchi altrove chi non creda a un Dio che parlò, o credendoci sia codardo abbastanza da falsare il vero, e spietato da permettere senza opporsi la perdizione di chi corre all'eterna rovina».
Tal è il concetto cattolico intorno al debito di professare la fede: posto il quale ogni società acquista naturalmente l'energia della vita; quell'energia che a Solone parve sì necessaria ne' momenti più paurosi della società, che condannò a morte chiunque ne' tumulti civili non abbracciasse ricisamente un partito. Vedea quel savio legislatore come ogni società vive de' suoi principii positivi; e come per conseguenza quella pace che si pretende coll'abolirli o tacerli in tutto, od in parte, altro non è che il deliquio o il letargo della società la quale giungerà alla morte se non se ne riscuote.
Ma dunque in che consisterà la pace d'una società cristiana? nella piena adesione di tutt'i cittadini a ciò che indubitatamente per oracolo della Chiesa si conosce qual parola di Dio, o con essa parola indubitatamente connesso [1]: e nella modesta riservatezza per cui, salva la fede, ogni sentenza è libera, ogni volontà amante. Questa è vera pace perchè è realmente tranquillità nell'ordine, essendo l'ordine una conformità col vero, e questa conformità essendo sola capace di tranquillare gli uomini. Notatelo bene, lettore gentile: fuor del vero non vi può essere tranquillità (parliamo di vero che possa conoscersi, ossia di vero proporzionato al nostro intelletto), e la ragione è evidente, ripugnando il tranquillarsi di una facoltà in ciò che non è l'oggetto suo proprio e proporzionato. Presentate all'occhio un suono anche dolcissimo di arpa, di flauto, darete voi all'occhio il menomo piacere, la menoma tranquillità? no, perchè i suoni non sono oggetto proprio della vista, la quale andrà tuttavia avidamente cercando un raggio di colore che la consoli. Presentate a questa una luce sfolgorante, la luce diretta del sole, sarà obbietto proprio; ma la quantità è sì sproporzionata che se l'occhio non chiudesi si perderà. Presentategli finalmente colori proporzionati nella quantità, ma non confacenti alla disposizione dell'organo, non rispondenti a quelle proporzioni che producono la magia del colore, l'occhio osserverà senza lesione, ma non riposerà con diletto in quella mistura ingrata di tinte torbide e ripugnanti. Fate la stessa ragione intorno all'intelletto: finchè o nulla egli vede, o contemplando verità superiori alla propria capacità ne resta abbagliato, o contemplando verità proporzionate vi trova innestata contraddizione ed errore, l'intelletto rimane irrequieto ed esitante: irrequieta per conseguenza ed esitante la volontà, rimessa e turbolenta l'operazione, agitata e pur languida la società.
E nella società specialmente quest'agitazione del disordine sarà inevitabile. Un individuo isolato ben può aderire all'errore per qualche tempo tranquillamente, finchè una delle false conseguenze non se gli appresenti a turbarne la quiete. Ma nella società ove sono a migliaia gl'intelletti scrutatori del falso, a migliaia gl'interessi che per la falsità vacillano e pungono, ogni errore riconoscibile dagl'intelletti trova tosto un perspicace che lo smascheri, un interessato che lo combatta.
Fuori dunque del vero proporzionato alla mente la società non può avere nè ordine nè tranquillità: non ordine, perchè l'intelletto è ordinato al vero; e però è disordine un intelletto riposante nel falso: non tranquillità, perchè fuor del vero, ragione, volontà ed interessi stanno in perpetuo contrasto.
Il quale contrasto prima della incarnazione del Verbo non compariva sì fervido e strepitoso sulla terra, perchè molte verità, che oggi sono pubblicamente ed evidentemente accessibili, rimaneano occulte negli arcani acroamatici, nè poteano commuovere la società, la quale appunto perchè impotente ad accertare pienamente quelle verità, riposava non irragionevolmente nell'ignoranza, concedendo la libertà all'errore per l'impotenza di discernerlo dalla verità.
Ma oggi che il cattolico dice: «son certo che Dio parlò, conosco ciò che insegnò, dal professarlo dipende la mia salvezza e la felicità de' miei concittadini»: il parlare è divenuto un dovere, l'apatia del silenzio un delitto.
E pure, confessiamolo candidamente, molti sono oggidì anche fra' cattolici, i quali non solo non comprendono tal dovere, non paventano tal delitto; ma strascinati dal mal vezzo de' moderati, si sforzano di mitigare perpetuamente coi vocaboli quell'orrore, che ogni misfatto ispirerebbe col suo nome non meno, che coll'aspetto suo mostruoso. Costoro sentono ribrezzo nell'appellare sacrilego il demanio francese, giacchè dovremmo dire sacrilego ugualmente quel Ministro Piemontese, che usurpò il Seminario; sacrilego quel canonico, che lo vendè; sacrilego quel magistrato, che ne vietò la rivendicazione. Ora un tal linguaggio sembra a voi conforme alla cortesia? Chi toglie altrui gli averi è un ladro: ma la cortesia moderata non permette di usare un tal vocabolo verso la persona con cui si parla. Niuno dunque oserà dire essere ladro un Ministero che vende i beni della Chiesa, ladro un ricco che li compra. Bestemmia è ciò che offende in Dio l'onore, la verità: cotalchè chiunque pronunzia tal fatta di proposizioni sarà bestemmiatore. Ma se la persona segga sugli scanni degli onorevoli, e derida per esempio la sacra pantofola, o il Sacramento de' nostri altari, dire cotesto deputato un bestemmiatore si riputerà parola da mal creato, se non anche offesa alla società, di cui quel deputato è rappresentante (meglio direbbesi ingiuriatore).
Or ci si permetta d'interrogare: una cortesia, che interdice la schietta verità in materia sì rilevante, è ella cortesia da cattolico? anzi è ella cortesia da uomo ragionevole?
Non crediate, lettore, che vogliamo essere severi da vietare in tal materia ogni morbidezza di vocaboli: l'intento nostro è solo di esaminare la quistione nella schietta sua verità. Or la verità ci presenta ogni fatto umano in mille relazioni diverse, le quali inducono grandissime diversità nelle obbligazioni. L'errore medesimo in primo luogo può pronunziarsi or da chi ignora per meschinità d'intelletto, or da chi perfidia per ostinazione di volontà; l'ignoranza può trovarsi o in chi mai non conobbe il vero, o in chi conosciutolo ne apostatò: l'averlo conosciuto potè essere un atto di puro lume interno noto a Dio solo, o un atto manifestato con pubblica e diuturna professione di fede: il rinnegar questa fede può farsi o in una società di miscredenti che vi applaudono e lo promuovono, o in una società di credenti che ne fremono con pericolo del proprio pervertimento: il vivere in tal società può essere dovere inviolabile o arbitraria elezione; il ragionare in mezzo a tal società può farsi or per cautelare i credenti, ora per guadagnare gli erranti. Tutte queste e tante altre condizioni di simili antinomie possono somministrare ragione di soluzioni diverse, che ci trarrebbero in lunghissima diceria se ad una ad una dovessimo esaminarle. Lasciamo dunque alla discrezione i suoi diritti, e ai dubbiosi il debito di consigliarsi co' sapienti e veramente cattolici; prendendo noi frattanto ad esaminare unicamente il principio universale che da' moderati vorrebbesi accreditare: «il mitigare le formole, quando trattasi di censurare un delitto, è egli dovere universale di social cortesia?»
La cortesia tende ragionevolmente a risparmiare agli altri ogni pena, finchè tale indulgenza non riesca altrui nociva: chè risparmiare tali pene con danno morale o di un uomo o di una società sarebbe la cortesia di un chirurgo ricusante all'infermo il servigio de' suoi ferri, o di un educatore abbandonante il suo allievo a tutti i capricci d'una scapestrata natura. A vedere dunque se sia cortesia quella mitezza nell'esprimere il delitto, dobbiam vedere se rechi danno morale all'individuo o alla società.
Perchè fu dato il linguaggio agli uomini? perchè serva di veicolo a' pensieri. Laonde ogn'uom che parla, dice implicitamente a chi l'ode: «io bramo che il tuo pensiero si modifichi a norma delle mie parole: e per conseguenza se io mitigo l'espressione di un delitto, io desidero che tu non ne concepisca soverchio orrore». Che ve ne pare, lettore? è ella questa formola degna d'un uomo ragionevole?
Ma avvertite che nella società tutto è solidario; conciossiachè quella formola stessa di cui con esso voi io mi valgo, voi la trasmetterete ad un terzo, e il terzo al quarto, al decimo, al centesimo, al millesimo; e così a poco a poco corrispondendo ad ogni nuova ripetizione un pensiero novello, si formerà sul tipo di quella formola la generale opinione della società; quell'opinione che al dir de' moderati è reina del mondo, e che pur troppo se non è reina per diritto, ne è per fatto tiranna. Quando dunque si va gridando essere scortesia l'appellare bestemmiatore chi bestemmia, ladro chi ruba, sacrilego chi viola il sacro, null'altro finalmente si dice se non, essere debito di cortesia il far sì che si perda nella pubblica opinione (almeno in certe congiunture) l'orrore della bestemmia, del furto, del sacrilegio: il che vedete voi quanto sia pernicioso alla società.
— Ma, caro mio, se la società ammettesse la vostra dottrina, sarebbe più possibile il convivere con certa gente? —
E pare a voi che a fine di convivere con certa gente debba l'uomo rinunziare alla verità, autenticare l'errore, cagionare tanto danno a' suoi più cari, quanto è l'alterarne i concetti morali in sentenze di altissimo rilievo, preparando traviamenti e cadute miserevoli? In quanto a noi confessiamo, che, fatte sempre le eccezioni poc'anzi accennate, non veggiamo la gran necessità del convivere con certe persone, vale a dire con chi professa di non credere da cristiano, e forse anche di neppur vivere da uomo. E che il non vedere una tale necessità non sia errore o esagerazione di testa ignorante o superlativa, ce ne fa fede quello zelo con cui in ogni tempo la Chiesa volle separare i suoi figli da eretici e miscredenti. Da quell'apostolo di carità S. Giovanni fino a quel modello di soavità Alfonso de' Liguori, sempre la Chiesa ha continuato a dire: «per pietà delle anime vostre, figli miei, con cotesti eterodossi niuna dimestichezza, non comunità al desco, non coabitazione in casa, non un saluto per la via; nec ave ei dixeritis». Vedete dunque che l'obbiezione recata, lungi dal combattere la nostra dottrina, è anzi una giustificazione di ciò che la Chiesa operò in ogni tempo, e che da' moderati altamente si biasima e si combatte. Il mitigare l'orrore dell'empietà nel linguaggio è, dicea l'obbiezione, necessario per convivere coi miscredenti. Appunto per questo rispondea la Chiesa, non potendo io permettere, che i figli miei perdano, e contribuiscano a far perdere l'orrore del delitto, poichè non potete convivere co' miscredenti senza adoprarne il linguaggio, v'interdico con essi ogni convivenza.
Intendiam benissimo che a costoro un tal linguaggio della Chiesa sappia intollerabilmente dell'ostico, e per questo appunto sisforzano di screditarlo. Ma questa è una nuova ragione per non ammetter la loro domanda. Ne intendete voi, lettor mio, il giusto valore? Per agevolarne l'intelligenza eccovi il loro intento spiegato in lingua volgare. «Per carità, dicono essi, smettete cotesto linguaggio! Se per tutta la società s'incomincia ad usare un vocabolario sì schietto, sarà a noi più possibile il continuare nel nostro vezzo, udendoci dire ad ogni momento che siamo bestemmiatori, ladri, sacrileghi? Cotesti titoli sono nella comune opinione sì vituperosi che noi dovremmo o smettere bestemmia, furto, sacrilegio, o prendere volontariamente il bando da una società che ci mitriasse di tale infamia. Deh! dunque siate con noi benevoli, siate memori della carità che il Vangelo vi comanda, e non ci costringete a portare altrove le nostre bestemmie ed empietà, coll'appellarle di tal nome infamante».
Rifletteteci pure quanto vi piace, e vedrete, lettore, fra' cattolici quella pretensione di così detta cortesia a questo finalmente ridursi, ad ottenere la piena libertà di ogni nequizia irreligiosa, di ogni sfrenatezza politica, di ogni scostumatezza antisociale. Una tal pretensione fra eterodossi è logicamente irrepugnabile, scendendo a fil di logica da' loro principii. E però voi vedete (per recare un esempio di scostumatezza antisociale) i Mormoni in America mettere alle strette il congresso movendo da' principii protestanti, e così incalzandolo ad hominem. «Olà! dicea il deputato dell'Utah: non avete voi per principio esser libero a ciascuno seguir la Bibbia? Or noi nella Bibbia troviamo e divorzio e poligamia, ed ogni maniera di libertà animalesca, fosse pure la stessa poliandria. Qual diritto avete voi dunque di vietarcele? Non ci state a dire, che voi non vi leggete il medesimo: la nostra coscienza dipende dal Vangelo spiegato colla ragion nostra, e non già colla vostra».
Lo vedete, lettore: lo scostumato in faccia al protestante può camminare a fronte alzata; e se il secondo osasse trattarlo di scostumato, il primo potrebbe contraccambiarlo d'irragionevole, di assurdo, di nemico del Vangelo: ed amendue con ugual ragione. Laonde per evitare collisioni sì aspre ed irragionevoli, si ricorre alla cortesia che mitiga, e l'adulterio si trasforma in divorzio, la poligamia in precetto divino, ed ogni libertinaggio in precetto di natura.
Ma fra' cattolici pe' quali il vocabolario è scritto dalla penna infallibile della Chiesa, e il male vien detto male, affin di renderlo abbominevole, il bene bene affinchè ciascuno se ne innamori; una cortesia, che frodi alla Chiesa il suo intendimento, e conceda il giure di cittadinanza ad ogni empietà e sfrenatezza; una tal cortesia, diciamo, non può per general principio introdursi da chiunque comprende la terribile potenza del linguaggio sociale e della pubblica opinione.
La quale opinione abbiam detto poc'anzi tiranna del mondo riguardandola qual essa è sotto il predominio di quella setta, che possiede tutte le arti per infeudarsela e dominarla. Ma se i credenti, i sinceri cattolici fossero o men sori o men timidi, e parlassero sempre francamente l'antico linguaggio della lor fede, che sì che la potenza della rea opinione soccomberebbe sotto l'onnipotente linguaggio di quella Fede  di quel Verbo che vince, anzi ha già vinto il mondo [2]. Certamente chiunque legge da' primi giorni della Chiesa la storia delle sue vicende, trova ben altro nel linguaggio, non pure de' Pontefici e de' Prelati, ma eziandio de' principi, de' ministri, de' giureconsulti cattolici, che il demanio sacrilego, o altre simili voci di vitupero, che fanno oggi accartocciar gli orecchi alla schizzinosa delicatezza di un Dottor moderato. Sappiatene per modo di tornagusto ciò che nel Concilio lionese diceano i principi contro l'empietà di Federico II, e vedrete con qual rubesta schiettezza si attribuisse ad ogni vizio il nome suo proprio! E l'effetto sapete qual era? era di mettere quel medesimo svergognato e temerario apostata nella necessità di giustificarsi alla peggio: e poichè la giustificazione abortiva al cospetto inesorabile de' fatti, l'ultimo risultamento della franchezza nel linguaggio era l'orrore ispirato in tutta la società cristiana contro i delitti del persecutore, e l'impotenza a cui questo si riducea di proseguire più oltre negli scellerati intendimenti.
Non dubitiamo che queste nostre riflessioni ci trarranno addosso una grandine di maledizioni e di contumelie; ed «ecco! grideranno i moderati: la Civiltà Cattolica vuol proprio risuscitare il medio evo in tutta la sua più schifosa ruvidezza!» E gridino pure a lor posta, chè le loro grida non cangeranno la natura delle cose, nè le conseguenze che da esse rampollano: e il vero credente dovrà pur sempre dir seco stesso: «se io non oso appellare il delitto pel suo nome, lo renderò men vituperevole ed esoso: se questo mio linguaggio lo introduco nella società firmerò in essa pel delitto il salvocondotto: e tutti coloro che dalla mia mitezza prenderanno ardimento per proseguire a propagare il delitto a me andranno debitori della loro scelleraggine sulla terra, e della lor perdizione sotterra».

NOTE:

[1] La libertà cattolica non esclude mai la riverenza alla Chiesa; e questa riverenza come esige indubitata adesione a ciò che vien dichiarato di fede, così inclina ad approvare, anche fuori del domma rigoroso, ciò che la Chiesa approva, a vituperare ciò ch'ella vitupera, e molto più ad eseguire tutto che ella comanda.
[2] Haec est victoria, quae vincit mundum, fides nostra. — Confidite: Ego vici mundum. [I Joann. V, 4.: «Questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede.»  Joann. XVI, 33.: «Abbiate fiducia: Io ho vinto il mondo.» N.d.R.]