Joseph De Maistre. |
Ogni nazione, come ogni individuo, ha avuto in sorte una missione che deve assolvere, La Francia esercita sull'Europa un vero e proprio magistero, che sarebbe inutile contestare, di cui essa abusa nel modo più colpevole. In particolare, si trovava al vertice del sistema religioso, e non senza ragione il suo re veniva chiamato cristianissimo: Bossuet, su questo punto, non ha detto nulla di troppo. Ora, poiché essa si e servita della propria influenza per contraddire questa vocazione e demoralizzare l'Europa, non bisogna meravigliarsi che vi sia ricondotta con mezzi terribili.
Da tempo non si era vista una punizione cosi spaventosa, inflitta a un cosi gran numero di colpevoli. Vi sono degli innocenti, senza dubbio, fra quegli sventurati, ma ve ne sono molto meno di quanto si immagini comunemente.
Tutti coloro che si sono adoperati a liberare il popolo dal suo credo religioso; tutti coloro che hanno contrapposto sofismi metafisici alle leggi della proprietà; tutti coloro che hanno detto: Colpite, purché ne risulti per noi un vantaggio; tutti coloro che hanno attentato alle leggi fondamentali dello Stato; tutti coloro che hanno consigliato, approvato, favorito le misure violente impiegate contro il re, ecc.; tutti costoro hanno voluto la rivoluzione, e tutti quelli che l'hanno voluta ne sono stati giustissimamente le vittime, anche secondo le nostre vedute ristrette.
Si piange alla vista di illustri sapienti che cadono sotto la scure di Robespierre. Umanamente, non si potrebbe mai rimpiangerli abbastanza; ma la giustizia divina non porta il minimo rispetto per i geometri o i fisici. Troppi dotti francesi furono tra i principali autori della rivoluzione; troppi dotti francesi l'amarono e la favorirono, finché essa si limitò ad abbattere, come il bastone di Tarquinio, le teste dominanti. Dicevano, come tanti altri: È impossibile che una grande rivoluzione si compia senza arrecare sventure. Ma quando un filosofo si consola di tali sventure in vista dei risultati; quando arriva a dire in cuor suo: Vada per centomila omicidi, purché si sia liberi; se allora la Provvidenza gli risponde: Accetto il tuo ragionamento, ma tu sarai nel conto, dov'è l'ingiustizia? Giudicheremmo forse altrimenti nei nostri tribunali?Sarebbe sgradevole entrare in dettagli; ma sono veramente pochi i francesi, fra quelli che vengono chiamati vittime innocenti della rivoluzione, a cui la coscienza non abbia potuto dire:
Alors. de vos erreurs voyant les tristes fruits,
Reconnaissez les coups que vous avez conduits (1).
Le nostre idee sul bene e sul male, sull'innocente e sul colpevole, sono troppo spesso alterate dai nostri pregiudizi. Dichiariamo colpevoli e infami due uomini che si battono con una lama lunga tre pollici; ma se la lama è di tre piedi, allora il combattimento diventa onorevole. Tacciamo d'infamia colui che ruba un centesimo dalla tasca dell'amico; se gli prende solo la moglie, allora niente di male. Tutti i delitti brillanti, che suppongono uno sviluppo di qualità grandi o piacevoli; tutti quelli soprattutto che sono coronati dal successo, noi li perdoniamo, quando pure non ne facciamo delle virtù; e invece le brillanti qualità che adornano il colpevole Io rendono più odioso agli occhi della giustizia divina, per la quale il crimine più grande è l'abuso dei suoi doni.
Ogni uomo ha alcuni doveri da assolvere, e l'estensione di questi doveri è relativa alla sua posizione sociale e all'ampiezza dei suoi mezzi. La stessa azione è ben lungi dall'essere ugualmente criminale se compiuta da uomini diversi. Per non uscire d'argomento, quel tale atto che, compiuto da un uomo oscuro, arrivato improvvisamente a un potere illimitato, fu solo un errore o un gesto di follia, poteva essere un misfatto se compiuto da un vescovo o da un duca o da un pari.
Insomma, vi sono azioni scusabili, perfino lodevoli secondo le vedute umane, e che sono in fondo infinitamente criminali. Se ci viene detto, ad esempio: Ho abbracciato in buona fede la rivoluzione francese, per puro amore della libertà e della mia patria; ho creduto, in anima e coscienza, che essa avrebbe arrecato la fine degli abusi e la pubblica felicità; noi non abbiamo niente da replicare. Ma l'occhio per il quale tutti i cuori sono diafani vede la fibra colpevole; scopre, in un ridicolo bisticcio, in un piccolo fruscio dell'orgoglio, in una passione bassa o criminale. Il primo mobile di quelle risoluzioni cui si vorrebbe dar lustro agli occhi degli uomini; e per lui la menzogna dell'ipocrisia innestata sul tradimento è un delitto di più. Ma parliamo della nazione in generale.
Uno dei crimini più grandi che si possano commettere è senza dubbio l'attentato contro la sovranità, poiché nessun altro reca con sé più terribili conseguenze. Se la sovranità risiede su una testa, e questa testa cade vittima dell'attentato, il crimine diventa ancora più atroce. Ma se questo sovrano non ha meritato, per alcun misfatto, un tale destino; se anzi sono le sue virtù che gli hanno armato contro la mano dei colpevoli, il crimine allora è senza nome. In questi tratti si riconosce la morte di Luigi XVI; ma quel che e importante notare è che mai un più grande delitto ebbe un maggior numero di complici. La morte di Cario I ne ebbe molti di meno, e pure era possibile fare a lui dei rimproveri che Luigi XVI non meritò affatto. Malgrado ciò, gli furono date prove dell'interesse più tenero e più coraggioso; perfino il boia, che obbediva soltanto, non osò farsi riconoscere. In Francia, Luigi XVI andò alla morte in mezzo a 60.000 uomini armati, che non ebbero un solo colpo di fucile per Santerre (2): neanche una voce si levò in favore dello sventurato monarca, e le province furono mute quanto la capitale. Era rischioso, si diceva. Francesi! se trovate che questa è una buona ragione, non parlate tanto del vostro coraggio, oppure ammettete che lo impiegate assai male.
L'indifferenza dell'esercito non fu meno notevole. Esso servì i boia di Luigi XVI molto meglio di quanto non avesse servito il re, giacché l'aveva tradito. Non si vide, da parte sua, la minima testimonianza di scontento. Insomma, mai un crimine più grande appartenne (certo, con un'infinità di gradazioni) a un più gran numero di colpevoli.
Bisogna fare ancora un'osservazione importante: che ogni attentato commesso contro la sovranità in nome della nazione è sempre più o meno un delitto nazionale; infatti, è sempre più o meno colpa della nazione se un numero qualunque di faziosi ha potuto commettere il crimine in nome suo. Così, tutti i francesi non hanno certamente voluto la morte di Luigi XVI; ma l'immensa maggioranza del popolo ha voluto, per più di due anni, tutte le follie, tutte le ingiustizie, tutti gli attentati che condussero alla catastrofe del 21 gennaio.
Ora, tutti i delitti nazionali contro la sovranità sono puniti senza indugio e in modo terribile; è questa una legge che non ha mai patito eccezione alcuna. Pochi giorni dopo l'esecuzione di Luigi XVI, qualcuno scriveva sul Mercure universel: forse non si sarebbe dovuti arrivare a tanto, ma dato che i nostri legislatori si sono addossati la responsabilità di questo evento, raccogliamoci intorno a loro: spegnarne tutti gli odi, e non se ne discuta più. Benissimo: forse non .si sarebbe dovuto assassinare il re, ma visto che la cosa ormai è fatta, non parliamone più e restiamo tutti buoni amici. Oh demenza! Shakespeare la sapeva un po' più lunga, quando diceva: La vita di ogni individuo è preziosa per sé, ma la vita da cui tante vite dipendono, quella dei sovrani, è preziosa per tutti. Un delitto fa forse sparire la maestà reale? Nel posto che essa occupava, si forma un abisso orrendo, e tutto quel che lo circonda vi si precipita dentro (3). Ogni goccia del sangue di Luigi XVI ne costerà torrenti alla Francia; quattro milioni di francesi, forse, pagheranno con la loro testa il grande delitto nazionale di un'insurrezione antireligiosa e antisociale, coronata da un regicidio.
Dove sono le prime guardie nazionali, i primi soldati, i primi generali, che prestarono giuramento alla nazione? Dove sono i capi, gli idoli di quella prima assemblea cosi colpevole, che l'epiteto di costituente bolla per l'eternità? Dov'è Mirabeau? Dov'è Bailly, con il suo beau jour? Dov'è Thouret, che inventò la parola espropriare? Dov'è Osselin, il relatore della prima legge che proscrisse gli emigrati? Si potrebbero nominare a migliaia gli strumenti attivi della rivoluzione che sono periti di morte violenta.
Qui ancona possiamo ammirare l'ordine nel disordine; è infatti evidente, per poco che ci si rifletta, che i grandi colpevoli della rivoluzione non potevano che cadere sotto i colpi dei loro complici. Se la forza da sola avesse realizzato quel che si chiama la controrivoluzione, e riportato il re sul trono, non ci sarebbe stato alcun mezzo per fare giustizia. La più grande disgrazia che possa capitare ad un uomo mite sarebbe di dover giudicare l'assassino di suo padre, di un suo parente, di un suo amico, o soltanto l’usurpatore dei suoi beni. Ora, è precisamente quello che sarebbe accaduto nel caso di una controrivoluzione, quale la si immaginava; per la natura stessa delle cose, infatti, i giudici supremi sarebbero quasi tutti appartenuti alla classe offesa; e la giustizia, che pure si sarebbe limitata a punire, avrebbe avuto l'aria di vendicarsi. D'altronde, l'autorità legittima mantiene sempre una certa moderazione nel punire i delitti commessi da una moltitudine di complici. Quando manda a morte cinque o sei colpevoli per lo stesso delitto, è una strage: se oltrepassa certi limiti, diventa odiosa. Insomma, i grandi crimini esigono purtroppo grandi supplizi; e in questo genere di cose è facile oltrepassare i limiti, quando si tratta di lesa maestà, e quando l'adulazione si fa carnefice. L'umanità non ha ancora perdonato all'antica legislazione francese lo spaventoso supplizio di Damiens (4).
Che cosa avrebbero dunque fatto i magistrati francesi con tre o quattrocento Damiens, e con tutti i mostri di cui era piena la Francia? La sacra spada della giustizia sarebbe dunque caduta senza sosta come la ghigliottina di Robespierre? Si sarebbero convocati a Parigi tutti i carnefici del regno e tutti i cavalli dell'artiglieria per squartare degli uomini? Si sarebbero fatti disciogliere in enormi caldaie il piombo e la pece, per versarli sulle membra lacerate da tenaglie roventi? E d'altra parte, come classificare i diversi delitti? come graduare i supplizi? e soprattutto, come punire senza leggi? Si sarebbe scelto, direte, qualche grande colpevole, e tutti gli altri avrebbero ottenuto la grazia. È proprio quello che la Provvidenza non voleva. Siccome può tutto ciò che vuole, essa ignora questo tipo di grazia prodotta dall'incapacità di punire. Bisognava che la grande epurazione si compisse, e che gli occhi ne fossero impressionati; bisognava che il metallo francese, liberato dalle sue scorie grezze e impure, giungesse più netto e malleabile nelle mani del re futuro. La Provvidenza, certo, non ha bisogno di punire temporalmente per legittimare le vie che percorre; ma in questa epoca, si mette alla nostra portata, e punisce come un tribunale umano.
Vi sono state nazioni condannate letteralmente a morte, come se fossero individui colpevoli, e noi sappiamo perché (5). Se fosse nei disegni di Dio di rivelarci i suoi piani sulla rivoluzione francese, potremmo leggere il castigo dei francesi come il decreto di un parlamento. — Ma cosa sapremmo di più? Non è forse visibile questo castigo? Non abbiamo visto la Francia disonorata da più di centomila omicidi? L'intero suolo di questo bel regno coperto di patiboli? e questa terra sventurata imbevuta del sangue dei suoi figli grazie ai massacri giudiziari, mentre disumani tiranni spargevano questo sangue fuori dai confini del paese per sostenere una guerra crudele, condotta nel loro proprio interesse? Mai despota più sanguinario si è preso gioco della vita degli uomini con tanta insolenza, e mai popolo passivo si è presentato al macello con maggiore compiacenza. Né il ferro né il fuoco, né il freddo né la fame, e nemmeno le privazioni, le sofferenze di ogni genere, niente del suo supplizio lo disgusta; tutto quel che è votato deve compiere il suo destino; non ci sarà nessuna disobbedienza, fino a che la sentenza non sia eseguita.
Eppure, in questa guerra cosi crudele, cosi disastrosa, quanti aspetti interessanti! e come, volta a volta, dalla tristezza si passa all'ammirazione! Trasferiamoci nell'epoca più terribile della rivoluzione; supponiamo che, sotto il governo dell'infernale comitato (6), l'esercito, per un'improvvisa metamorfosi, divenga d'un tratto realista; supponiamo che esso convochi le sue assemblee primarie, e che nomini liberamente gli uomini più illuminati e più degni, perché traccino la strada da seguire in questa difficile occasione; supponiamo, infine, che uno di questi militari eletti si alzi e dica:
"Coraggiosi e fedeli guerrieri, vi sono circostanze in cui tutta la saggezza umana si riduce alla scelta fra due diversi mali. È duro, senza dubbio, combattere per il comitato di salute pubblica; ma sarebbe ancor più fatale rivolgere le armi contro di lui. Nell'istante in cui l'esercito s'immischierà nella politica, lo Stato sarà dissolto; e i nemici della Francia, profittando di questo momento di dissoluzione, penetreranno in essa e la divideranno.
Non è per il presente che dobbiamo agire, ma per i tempi che verranno: si tratta innanzitutto di mantenere l'integrità della Francia, e possiamo riuscirci solo combattendo per il governo, qualunque esso sia; in questo modo, infatti, la Francia, nonostante le lacerazioni intestine, conserverà la sua forza militare e la sua influenza esterna. A ben vedere, non è per il governo che combattiamo, ma per la Francia e per il futuro re, il quale ci sarà debitore forse di un impero più grande di quello che trovò la rivoluzione. È dunque un dovere per noi vincere la ripugnanza che ci fa esitare. I contemporanei forse biasimeranno la nostra condotta; ma la posterità le renderà giustizia".
L'uomo che cosi dicesse, avrebbe parlato da grande filosofo. Ebbene! questa ipotesi chimerica l'esercito l'ha realizzata senza sapere quel che faceva; e il terrore da un lato, l'immoralità e la stravaganza dall'altro, hanno compiuto proprio ciò che una saggezza consumata e quasi profetica avrebbe dettato.
Si rifletta bene, e si vedrà che, una volta affermatesi il movimento rivoluzionario, la Francia e la monarchia potevano essere salvate solo dal giacobinismo.
Il re non ha mai avuto alleati; ed è cosa abbastanza evidente, perché non vi sia alcuna imprudenza a enunciarla, che la coalizione aveva di mira l'integrità della Francia. Ora, come resistere alla coalizione? Con quale mezzo sovrannaturale sventare le mene dell'Europa congiurata? Solo il genio infernale di Robespierre poteva compiere questo prodigio. Il governo rivoluzionario induriva l'animo dei francesi, temprandolo nel sangue; esasperava lo spirito dei soldati, e raddoppiava le loro forze con una disperazione feroce e un disprezzo della vita pieni di rabbia. L'orrore dei patiboli, spingendo il cittadino alle frontiere, alimentava la forza esterna, mentre annientava contemporaneamente all'interno la benché minima resistenza. Ogni vita, ogni ricchezza, ogni potere era nelle mani dell'autorità rivoluzionaria; e questo mostro di potenza, ebbro di sangue e di successi, fenomeno spaventoso che mai si era visto prima, e che senza dubbio mai si rivedrà, era insieme un castigo orribile per i francesi e il solo modo di salvare la Francia.
Cosa chiedevano i realisti, quando chiedevano una controrivoluzione quale essi la immaginavano, cioè compiuta brutalmente e con la forza? Chiedevano la conquista della Francia; chiedevano dunque la sua divisione, l'annientamento della sua influenza e l'avvilimento del suo re, vale a dire, tre secoli forse di massacri, séguito inevitabile di una simile rottura degli equilibri. Ma i nostri nipoti, che si cureranno assai poco delle nostre sofferenze e che danzeranno sulle nostre tombe, rideranno della nostra attuale ignoranza. Sì consoleranno facilmente degli eccessi cui abbiamo assistito e che avranno conservato l'integrità del regno più bello dopo quello dei cieli (7).
Tutti i mostri che la rivoluzione ha generato, visibilmente, non hanno fatto che lavorare per la monarchia. È grazie ad essi che lo splendore delle vittorie ha imposto l'ammirazione del mondo intero, e circondato il nome francese di una gloria di cui i delitti della rivoluzione non hanno potuto completamente spogliarlo; grazie ad essi, il re salirà di nuovo sul trono con tutto il suo splendore e tutta la sua potenza, forse perfino con una potenza maggiore. E chi sa che, invece di cedere miseramente alcune delle sue province per ottenere il diritto di regnare, sulle altre, non ne restituirà piuttosto qualcuna con la fierezza propria di un potere che concede ciò che può tenere per sé? Di certo, si sono viste cose più improbabili di questa.
L'idea stessa che tutto si compie a vantaggio della monarchia francese mi persuade che nessuna rivoluzione realista è possibile prima della pace; infatti, il ristabilimento della monarchia allenterebbe subito tutte le molle dello Stato. La magia nera, che agisce in questo momento, sparirebbe come la nebbia al sole. La bontà, la clemenza, la giustizia, tutte le virtù miti e tranquille ricomparirebbero d'un tratto, e recherebbero con sé una certa generale dolcezza negli animi, una certa allegria completamente opposta al cupo rigore del potere rivoluzionario. Niente più requisizioni, niente più ruberie mascherate, niente più violenze. I generali, preceduti dal vessillo bianco, chiamerebbero più rivoltosi gli abitanti dei paesi invasi che si difendessero legittimamente? e forse che ingiungerebbero loro di non agitarsi, sotto minaccia di fucilarli come ribelli? Questi orrori, molto utili al re futuro, non potrebbero però essere da lui compiuti: egli avrebbe dunque solo dei mezzi umani. Sarebbe alla pari con i suoi nemici; e cosa accadrebbe in quel momento di sospensione che accompagna necessariamente il passaggio da un governo all'altro? Non ne so niente. Sento bene che le grandi conquiste dei francesi sembrano mettere al riparo l'integrità del regno (credo anzi di vedere qui la ragione di tali conquiste). Tuttavia mi pare sempre più vantaggioso per la Francia e per la monarchia che la pace, e una pace gloriosa per i francesi, sia fatta dalla repubblica; e che al momento in cui il re ritornerà sul trono, una pace profonda tenga lontani da lui ogni sorta di pericoli.
D'altra parte, si vede bene che un cambiamento prematuro, lungi dal guarire il popolo, avrebbe confermato i suoi errori; esso non avrebbe mai perdonato al potere che gli avesse strappato le sue chimere. Siccome era del popolo propriamente detto, ovvero della moltitudine, che i faziosi avevano bisogno per sconvolgere la Francia, è chiaro che, in generale, dovevano risparmiarlo, e che le grandi vessazioni dovevano innanzitutto colpire la classe agiata. Era dunque necessario che il potere usurpatore gravasse a lungo sul popolo per disgustarlo. Aveva visto solo la rivoluzione: bisognava che ne sentisse, che ne assaporasse, per cosi dire, le amare conseguenze. Forse, nel momento in cui scrivo, non è ancora sufficiente.
D'altronde, dovendo la reazione essere uguale all'azione, non affrettatevi, uomini impazienti, e considerate che la lunghezza stessa dei mali vi annuncia una controrivoluzione di cui non avete l'idea. Calmate i vostri risentimenti, soprattutto non lamentatevi dei re, e non chiedete altri miracoli oltre a quelli che vedete. E che! voi pretendete che potenze straniere combattano disinteressatamente per risollevare il trono di Francia, e senza alcuna speranza di indennità? Ma voi volete dunque che l'uomo non sia uomo; voi chiedete l'impossibile. Direte forse che acconsentireste allo smembramento della Francia per riportare l'ordine: ma sapete voi che cos'è l'ordine? È ciò che si vedrà fra dieci anni, forse prima, forse, più tardi. E poi, da chi avete ricevuto il diritto di decidere per il re, per la monarchia francese e per la vostra posterità? Quando ciechi faziosi decretano l'indivisibilità della repubblica, voi dovete vedere solo la Provvidenza che decreta quella del regno.
Gettiamo ora uno sguardo sull'incredibile persecuzione scatenata contro il culto nazionale e i suoi ministri: è una delle facce più interessanti della rivoluzione.
Non si può negare che il sacerdozio in Francia avesse bisogno di essere rigenerato; e quantunque io sia molto lontano dall'adottare le requisitorie volgari sul clero, mi sembra non meno incontestabile che le ricchezze, il lusso e la generale inclinazione degli animi verso il rilassamento avessero fatto declinare questo gran corpo; che fosse spesso possibile trovare sotto la tonaca un cavaliere invece di un apostolo; e che infine, nei tempi che precedettero immediatamente la rivoluzione, il clero fosse decaduto, più o meno come l'esercito, dalla posizione che aveva occupato nell'opinione generale.
Il primo colpo inferto alla Chiesa fu l'invasione delle sue proprietà (8); il secondo fu il giuramento costituzionale (9): e queste due operazioni tiranniche diedero inizio alla rigenerazione. Il giuramento passò i preti al vaglio, se cosi si può dire. Chiunque l'abbia prestato, salvo qualche eccezione di cui è lecito qui non occuparsi, si è visto condurre per gradi nell'abisso del crimine e dell'obbrobrio: nell'opinione comune unanime è la condanna di questi apostati.
I preti fedeli, illustratisi di fronte a questa stessa opinione in virtù di un primo atto di fermezza, si resero ancor più degni grazie al coraggio con cui seppero affrontare le sofferenze e perfino la morte per la difesa della loro fede. Il massacro dei carmelitani (10) è comparabile a quanto di più bello la storia ecclesiastica offre in materia.
La tirannia che li cacciò a migliaia dalla loro patria, contro ogni giustizia e ogni pudore, fu senza dubbio ciò che si può immaginare di più rivoltante; ma anche in questo caso, come in tutti gli altri, i delitti dei tiranni della Francia diventarono gli strumenti della Provvidenza. Probabilmente era necessario che i preti francesi fossero mostrati alle nazioni straniere ; hanno vissuto fra i protestanti, e questo riavvicinamento ha diminuito di molto gli odi e i pregiudizi. La consistente emigrazione del clero, e soprattutto dei vescovi francesi, in Inghilterra, mi sembra un evento del massimo rilievo. Di certo, saranno state pronunciate parole di pace! Di certo, nel corso di questa straordinaria riunione, saranno stati concepiti progetti di riavvicinamento! Quand'anche non si fosse fatto altro insieme che concepire desideri, sarebbe già molto. Se mai i cristiani si riconcilieranno, come tutto li invita a fare, sembra che ['iniziativa debba partire dalla Chiesa d'Inghilterra. Il presbiterianesimo fu un'opera francese, e dunque un'opera esagerata. Noi siamo assai lontani dai seguaci di un culto troppo poco sostanziale: non c'è modo di intendersi. Ma la Chiesa anglicana, che ci tocca con una mano, tocca con l'altra coloro che noi non possiamo toccare; e quantunque, da un certo punto di vista, essa sia esposta ai colpi dei due partiti, e offra lo spettacolo un po' ridicolo di un ribelle che predichi l'obbedienza, tuttavia essa è molto preziosa sotto altri aspetti, e può essere considerata come una di quelle sostanze chimiche capaci di congiungere elementi per loro natura inassociabili.
Dal momento che i beni del clero sono stati dissipati, per lungo tempo nessun motivo spregevole potrà procurargli nuovi aderenti; di modo che tutte le circostanze concorrono a risollevare questo corpo. Vi è ragione di credere, d'altronde, che la contemplazione dell'opera cui esso sembra incaricato, gli darà quel grado di esaltazione che eleva l'uomo al di sopra di se stesso, e lo mette in condizione di produrre grandi cose.
Aggiungete a queste circostanze il fermento degli animi in certe contrade d'Europa, le idee esaltate di alcuni uomini ragguardevoli, e quella specie di inquietudine che si impadronisce delle nature religiose, soprattutto nei paesi protestanti, e le spinge su sentieri straordinari.
Guardate, al tempo stesso, la tempesta scatenata sull'Italia; Roma minacciata insieme a Ginevra dal potere nemico di ogni culto, e la supremazia della religione nazionale abolita in Olanda con un decreto della Convenzione. Se la Provvidenza cancella, lo fa senza dubbio per scrivere di nuovo.
Osservo inoltre che, quando grandi credenze si sono stabilite nel mondo, sono state favorite da grandi conquiste e dalla formazione di grandi sovranità; se ne vede la ragione.
Insomma, che cosa verrà fuori, nell'epoca in cui viviamo, da queste combinazioni straordinarie che hanno tratto in inganno tutta la prudenza umana? SÌ sarebbe tentati di credere, in verità, che la rivoluzione politica sia solo un aspetto secondario del grande piano che si svolge dinanzi a noi con una terribile maestà.
Ho parlato, all'inizio, del magistero che la Francia esercita sul resto dell'Europa. La Provvidenza, che proporziona sempre i mezzi al fine, e che fornisce alle nazioni, come agli individui, gli organi necessari per compiere la loro missione, ha dato precisamente alla nazione francese due strumenti e, per così dire, due braccia, con cui essa agita il mondo; la sua lingua e lo spirito di proselitismo, che forma l'essenza del suo carattere; di modo che essa ha costantemente il bisogno e il potere di influenzare gli uomini.
Il potere, direi quasi il potere regale della lingua francese, è evidente: si può, tutt'al più, far finta di dubitarne. Quanto allo spirito di proselitismo, è noto come il sole; dal mercante di mode fino al filosofo, è l'elemento saliente del carattere nazionale.
Un tale proselitismo passa comunemente per ridicolo, e in realtà merita spesso questo giudizio, soprattutto per le sue forme: nel fondo, tuttavia, si tratta di una funzione.
Ora, e una legge eterna del mondo morale, che ogni funzione produca un dovere. La Chiesa gallicana era una pietra angolare dell'edificio cattolico o, per meglio dire, cristiano; giacché, in senso proprio, vi è un solo edificio. Le chiese nemiche della Chiesa universale non esistono che per mezzo di questa, quantunque forse non lo sospettino neppure, simili a quelle piante parassite, a quegli sterili vischi che vivono solo della sostanza dell'albero che li sostiene, e che essi impoveriscono.
Da ciò deriva che, essendo la reazione fra opposte potenze sempre uguale all'azione, i maggiori sforzi della dea Ragione contro il cristianesimo si siano fatti in Francia: il nemico attaccava la fortezza.
Il clero di Francia, dunque, non deve affatto addormentarsi; ha mille ragioni di credere che è chiamato ad una grande missione; e le stesse congetture che gli lasciano intravedere il motivo delle sue sofferenze, gli permettono anche di sentirsi destinato a un compito fondamentale.
Detto in breve, se non ha luogo in Europa una rivoluzione morale, se lo spirito religioso non viene rafforzato in questa parte del mondo, il legame sociale è dissolto. Nulla si può indovinare, e ci si deve attendere di tutto. Ma se un cambiamento felice è destinato a prodursi su questo punto, allora o non vi è più analogia ne induzione ne arte della congettura, oppure è la Francia che è chiamata a realizzarlo.
Soprattutto questo mi fa pensare che la rivoluzione francese è una grande epoca, e che le sue conseguenze, in tutti i campi si faranno sentire molto al di là del tempo della sua esplosione e dei confini del suo ambito proprio.
Se la si considera dal punto di vista politico, ci si conferma nella stessa opinione. Quanto si sono ingannate sulla Francia le potenze dell'Europa! quanti vani progetti hanno meditato! O voi che vi credete indipendenti perché non avete giudici sulla terra, non dite mai: Questo mi conviene; DISCITE JUSTITIAM MONITI! Quale mano, insieme severa e paterna, schiacciava la Francia con tutti i flagelli immaginabili, e sosteneva l'Impero con mezzi sovrannaturali, rivolgendo gli sforzi dei suoi nemici contro di loro stessi? Che non ci si venga a parlare degli assegnati, (11) della forza del numero, ecc., giacché la possibilità degli assegnati e della forza dei numero è precisamente fuori della natura. D'altronde, non è certo ne per la cartamoneta ne per il vantaggio del numero che i venti sospingono i vascelli dei francesi e respingono quelli dei loro nemici; che l'inverno prepara per loro ponti di ghiaccio nel momento in cui ne hanno bisogno; che i sovrani che li infastidiscono muoiono a tempo opportuno; che essi invadono l'Italia senza cannoni, e che alcune falangi, considerate le più coraggiose del mondo, gettano le armi a parità di numero, e passano sotto il giogo.
Leggete le belle riflessioni del signor Dumas(12) sull'attuale guerra; saprete perfettamente perché, ma niente affatto come, essa abbia assunto il carattere che vediamo. Bisogna sempre risalire al comitato di salute pubblica, che fu un miracolo, e il cui spirito ancora vince le battaglie.
Insomma, il castigo dei francesi esce da tutte le regole ordinarie, così come ne esce anche la protezione accordata alla Francia; ma questi due prodigi riuniti si moltiplicano l'uno con l'altro, e offrono uno degli spettacoli più strabilianti che l'occhio umano abbia mai contemplato.
A misura che gli eventi si svilupperanno, si vedranno altre ragioni e più mirabili connessioni, Io, d'altronde, non vedo che una parte di ciò che una vista più penetrante potrebbe scoprire fin da ora.
L'orribile spargimento di sangue umano, provocato da questo grande sommovimento, è un mezzo terribile; tuttavia è tanto un mezzo quanto una punizione, e può dar luogo a interessanti riflessioni.
NOTE:
1 "Allora, contemplando le tristi conseguenze dei vostri errori, riconoscerete i colpi che voi stessi avete inferto": Maistre cita, con qualche modifica, da Racine, Ifigenia, V, 2, 1611-1612
2 Era il comandante della Guardia nazionale parigina al momento dell'esecuzione di Luigi XVI.
3 Amleto, atto III, scena 8 [n.d.a. Maistre cita a memoria e liberamente. In realtà si tratta della Scena 3].
4 Avertere omnes a tanta foeditate spectaculi oculos. Prìmum ultimumque illud supplicium apud Romanos exempli parum memoris legum humanarum fuit ["Tutti distolsero lo sguardo da si orrendo spettacolo. Fu quello il primo e l'ultimo supplizio, a Roma, col quale si diede esempio di scarso rispetto delle leggi d'umanità" Tit. Liv. I, 28, De suppl. Mcttii [n.d.a.].
5 Levit. XVIII, 24 e sg.; XX, 23 - Deuter. XVIII, 9 e sg. - I Reg. XV, 26 - II Reg. XVII, 7 e sg.; XXI, 2 - Erodoto, libro II, 46 e la nota di Larcher su questo passo [n.d.a.].
6 Il Comitato di salute pubblica, istituito il 6 aprile 1793.
7 Grozio, De jure belli ac pacis; Epist, ad Ludovicum XIII [n.d.a].
8 La nazionalizzazione dei beni del clero, votata il 16 aprile 1790 dalla Costituente.
9 II giuramento di fedeltà alla nazione, alla costituzione e al re fu votato il 27 novembre 1790, in seguito alla promulgazione della Costituzione civile del clero (12 luglio).
10 2-6 settembre 1792.
11 Gli assegnati erano in origine una sorta di buoni del Tesoro, garantiti dalle proprietà ecclesiastiche requisite e messe in vendita. Le necessità finanziarie indussero in seguito l'Assemblea costituente a trasformarli in biglietti di banca, autorizzando una serie di emissioni che superavano ampiamente il valore dei beni espropriati.
12 Mathieu Dumas era aiutante di campo di Lafayette quando scoppiò la rivoluzione. Dopo il 10 agosto 1792 si rifugiò in Svizzera e rientrò a Parigi dopo il 9 termidoro. Il libro cui Maistre fa riferimento è Des résultats de la dernière campagne (1797).