mercoledì 2 aprile 2014

Progresso o collasso?

titolo progresso o collasso
di E. B. 1
 
                                                                                                                                                                                           
 
niente regole
 
 
«"Dalla scala della natura l'uomo risale fino alla conoscenza di sé stesso e del suo Creatore". A causa di una loro inclinazione naturale, gli uomini sono continuamente alla ricerca dell'evidenza della verità e della certezza, e non possono saziarsi o accontentarsi se non si sono avvicinati ad essa fino all'ultimo grado delle loro forze. Ora, ci sono dei gradi nella certezza e nella prova che fanno sì che alcune prove siano più forti e altre più deboli, alcune certezze più grandi e altre più piccole. L'autorità della prova e la forza della certezza procedono dalla forza e dall'autorità dei testimoni e delle testimonianze dai quali dipende la verità: e tanto più i testimoni sono veritieri, evidenti e indubitabili, tanto più ci sarà certezza in ciò che testimoniano. E se le loro testimonianze, per la loro evidenza, non possano essere messe in dubbio, tutto ciò che verificheranno sarà certissimo, evidentissimo e manifesto».
- Raymond de Sebon, Théologie naturelle, Parigi 1581 2.
 
l Premessa
 
sessantottoQuesto articolo, scritto sette anni dopo la rivoluzione del Sessantotto, raccoglie le prime reazioni di diversi intellettuali e politici francesi che all'indomani del grande cambiamento iniziarono a denunciare con forza la deriva nichilista in cui stava sprofondando la società. Le speranze illusorie accese dal rivolgimento sessantottino iniziavano a lasciare il posto alla realtà di tragiche conseguenze pratiche che scossero gli animi anche di personalità laiche o agnostiche come quelle interpellate. Slogan come «la fantasia al potere», ripetuti ad nauseam dai fautori della rivolta contro l'establishment politico e religioso, non erano che il frutto di una perniciosa utopia che di lì a poco avrebbe mostrato il suo volto più autentico: quello di una società sempre più mostruosa finalmente affrancata dalle pesanti catene di una cultura oppressiva fatta di divieti (i tabù), imposti da leggi umane e divine ormai desuete. A norme inviolabili universalmente riconosciute e al di sopra di tutti sono state preferite nuove regole più «democratiche» che non sono nient'altro che l'espressione del capriccio umano. Privato di qualsiasi norma superiore che travalichi le singole opinioni umane, l'uomo «liberato», in preda ai proprî istinti più bassi, sta rapidamente regredendo verso forme di comportamento sempre più bestiali. Oltre ciò, l'individualismo più sfrenato e il conseguente relativismo morale hanno via via resa impossibile ogni forma di consorzio umano. In mancanza di regole comuni e di un linguaggio condivisibile, l'individuo non riesce più a vivere e a comunicare con il suo prossimo. Malgrado tutte le prospettive più rosee annunciate dai guru della controcultura, senza un fine ultimo più elevato da conseguire che non sia l'appagamento immediato dei proprî sensi, l'uomo «emancipato» da qualsiasi trascendenza cade spesso nel malessere, nel mal di vivere, nel fango, nella disperazione e... si suicida. Dopo aver fatto tabula rasa della società preesistente, gli edificatori della nuova umanità (quella del Sol dell'Avvenire) non sono riusciti a mettere in piedi nulla che non cada miseramente nel volgere di breve tempo. La creazione di un nuovo tipo umano, vagheggiato dalle Logge massoniche e dalle élite dell'Alta Finanza, è e resterà una chimera irrealizzabile. La realtà è ben diversa e non è da reinventare. Come scrive Sant'Ignazio di Loyola (1491-1556) nei suoi Esercizi Spirituali, «l'uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore, e, mediante questo, salvare la propria anima» (Principio e fondamento). Tutto il resto è solo un inganno.
 
                                                 Paolo Baroni
 
l Grida d'allarme
 
- In un articolo apparso sulla rivista Nouvelles Littéraires, del 30 luglio-5 agosto 1973, il pittore astrattista Georges Mathieu (1921-2012) lanciò un grido di rivolta e di battaglia. Egli constatava il cedimento di una società di cui contestava sia «i comportamenti borghesi» e «il capitalismo imbecille», che i ritardati «delle mitologie marxiste, leniniste o marcusiane, gli adepti della sinistra che pranza fuori città e che è ancora più borghese e più snob dell'altra borghesia». Si stupiva «delle grandi devastazioni causate dall'apparizione brutale di tecnologie favolose, dotate di poteri sconosciuti, quali le tecniche di diffusione del pensiero e dell'immagine». Si meravigliava del fatto «che la licenza sessuale, l'aggressività sadica, la violenza gratuita, la brutalità grossolana, rimosse e nascoste per secoli, ma risvegliate come d'incanto, abbiano improvvisamente diritto di cittadinanza». Si stupiva «che dietro il pretesto della libertà di espressione, si lascia carta bianca ad una mafia del libro, del teatro e del film che colpisce il lettore e lo spettatore sotto la cintola, non per promuovere una qualsiasi ideologia che sfrutterebbe il valore sovversivo della pornografia, della volgarità e del crimine contro i pregiudizi e i tabù di classe, ma per arricchirsi sordidamente a spese dell'avvilimento delle coscienze degli adulti e dei bambini». Si stupiva del fatto «che lo Stato democratico, che per principio deve proteggere i cittadini contro le aggressioni che riguardano i loro beni, i loro corpi, il loro spirito e la loro anima, permette che si possa impunemente incendiare, rubare, assassinare, rovinare, avvilire e degradare». Ed egli ricusava in anticipo i falsi-veleni, insufficienti ai suoi occhi per bloccare quelle che definiva «le forze demoniache del sesso e del sangue».
 
- Nel novembre 1974, il noto politico Jacques Chirac, alle Assemblee Nazionali dell'Union des Démocrates pour la République, fece alcune riflessioni molto simili: «Da alcuni anni a questa parte, e singolarmente dopo gli avvenimenti di maggio del 1968, tutti i valori morali, individuali o collettivi, rispettati fino ad allora dalla grande maggioranza dei francesi, sono stati rimessi in causa. Tutti i valori religiosi o civici sono stati screditati. La nostra società è sottoposta ad una corrosione sistematica che tende a negare l'esistenza stessa dei principî su cui poggia ogni vita collettiva».
 
- Con toni non diversi si espresse l'economista André Piettre (1906-1994), dell'Institut: «Crisi morale, si dice. Non è sufficiente. È di crisi della morale che bisogna parlare, una fatto infinitamente più grave. Perché parlare di crisi morale o di crisi dei costumi significa giudicare secondo una regola fissa: equivale a rapportarsi ad una norma ideale, ad una scala stabile di valori. Ma cosa accade se la regola vacilla, se la scala di valori si svaluta, se il sale diventa insipido? Tale oggi è il nostro problema» 3.
 
- Nel suo libro La révolution introuvable («La rivoluzione introvabile»; Fayard), il filosofo e sociologo Raymond Aron (1905-1983), parlando degli avvenimenti di maggio del 1968 e dei problemi della società francese constata: «Questa civiltà, fatta di credenze trascendenti, sembra trascinata in una folle avventura verso una maggiore conoscenza e un maggiore potere senza un fine ultimo, senza discipline di saggezza [...]. La società dei consumi, o se si preferisce, la società produttivistica, non fornisce in quanto tale ragioni di vivere. La penuria o la miseria; niente di più. Questi mali non possono essere guariti dai computer, dalla partecipazione alle assemblee universitarie, o dal sindacato [...]. Contro la perdita del senso di finalità, la partecipazione non potrà fare meglio dell'espansione».
 
georges mathieujacques chiracraymond aron
Georges MathieuJacques ChiracRaymond Aron
 
- Nella sua opera L'échec des futurologues («L'insuccesso dei futurologi»), l'economista Jean Fourastié (1907-1990) parla degli stessi problemi posti all'uomo di oggi scrivendo: «Questi enormi problemi sono nati dal fantastico potere tecnico di un'umanità senza virtù, senza morale e senza fine ultimo».
 
- Facendogli eco, constatava lo scrittore Louis Pauwels (1920-1997): «Dopo molto tempo la Storia presenta delle crepe. Ci si interroga sugli scopi della civiltà. Li si distingue a mala pena. Ciò che si intravede [...] è che sono completamente privi di nobiltà e non bastano a riempire il cuore. Quel che appare è un vuoto di finalità».
 
- Gli stessi avvenimenti (quelli di maggio del 1968), ispirarono a Jean-Marie Domenach (1922-1997), direttore del rivista Esprit, alcune riflessioni molto simili: «Un materialismo è incapace di negarne un altro. Marcuse contesta i bisogni artificiali della società dell'abbondanza in nome dei bisogni reali. Ma come definire tali bisogni senza un riferimento ai valori, a ciò che trascende il bisogno? Non si risponde veramente alla società dei consumi opponendogli la soddisfazione anarchica dei bisogni o lo sviluppo di tutte le facoltà umane; bisogna contrapporgli un'etica della responsabilità e della scelta, che implichi un'idea dell'uomo orientato verso fini che superano la sua esistenza immediata. La società "unidimensionale": siamo d'accordo che bisogna contestarla, ma ne se non uscirà che ristabilendo l'altra dimensione, quella della trascendenza».
 
jean fourastiélouis pauwelsjean-marie domenach
Jean FourastiéLouis PauwelsJean-M. Domenach
 
 
Tutte queste affermazioni contengono una litania di parole e di espressioni: «regole», «norme», «valori», «finalità», «fini ultimi», «credenze trascendenti», «ragione di vivere». Si può continuare:
 
- Lo scrittore Eugène Ionesco (1909-1994) ha affermato: «Quando l'uomo non si preoccupa del problema dei fini ultimi (degli scopi finali), quando gli importa solamente il destino di una nazione politica, dell'economia, e i grandi problemi metafisici non lo fanno più soffrire, allora l'umanità viene degradata, diventa bestiale» 4.
 
- James de Coquet (1898-1988), giornalista: «Si avverte il disagio, il malessere della civiltà [...]. Dove ci sta portando questa società sedicente incivilita? [...]. L'atomo è stato disintegrato e siamo andati sulla Luna, e tuttavia non c'è stato un vero progresso [...]. La prova migliore è che la società dei consumi non risponde alle nostre aspirazioni più profonde, ed è per questa ragione che moltissimi giovani le girano le spalle» 5.
 
- Nel 1973, lo scrittore Maurice Druon (1918-2009) rivolse all'Assemblea Nazionale queste parole: «Appare evidente che i mali e le disgrazie che affliggono la modernità derivano da una crisi e da un'eclisse dei valori supremi. Questi valori non sono da inventare, né da far spuntare da chissà quali frantumazioni. Non è devastando la mietitura che si favorisce il seme. I valori supremi sono i valori permanenti. Non converrebbe riconoscerli e ispirarsi ad essi per le nuove creazioni»?
 
- Così Pierre de Calan (1911-1993), industriale, nel suo ultimo libro Les jours qui viennent («I giorni futuri»): «Come potremo ricostruire una civiltà se non riapprendiamo immediatamente ciò che siamo e ciò che ci conviene? Occorre una filosofia; abbiamo bisogno di finalità».
 
eugène ionescomaurice druonpierre de calan
Eugène IonescoMaurice DruonPierre de Calan
 
- Georges Pompidou (1911-1974), primo ministro e presidente francese, nel suo libro postumo Le nœud gordien («Il nodo gordiano»; Plon): «La ricerca della felicità materiale per tutti in una società dell'abbondanza non basta [...]. La comodità di vita generalizzata comporta un tipo di disperazione, e in ogni caso di insoddisfazione. Probabilmente, sta in questo sconforto il ruolo reale giocato dal mondo moderno. Il materialismo della società non soddisfa le aspirazioni dell'uomo e non dà un senso sufficiente alla vita».
 
- Jean Cau (1925-1993), agnostico, ex segretario particolare del filosofo esistenzialista Jean-Paul Sartre (1905-1980): «Alla luce delle più fantasiose menzogne, stiamo assistendo al crollo di un mondo [...]. Una società si svuota dei suoi miti, delle sue fedi, delle sue tradizioni, del suo passato, delle sue certezze e dei suoi valori. Essa contempla quel fenomeno colossale che è la fine del cristianesimo e si interroga balbettando sull'impossibilità di vivere la libertà dell'uomo se questa è disgiunta da ogni trascendenza. Fino a poco tempo fa, la società possedeva i suoi "tutori dell'ordine" - in senso etimologico - spontanei. C'era il padre, ad esempio, il capo dai meriti acquisiti e riconosciuti. L'ordine non veniva imposto, ma vissuto e consentito, e traeva la sua legittimità da una trascendenza. Oggi le cose vanno diversamente e, come si dice, non c'è più nulla di sacro [...]. Svuotata della sua sacralità, privata di ogni trascendenza, la morale si vede condannata a non essere nient'altro, sul piano sociale, che la pratica dell'ordine» 5.
 
- Il Generale André Beaufre (1902-1975): «Da quando l'umanità esiste non si è elevata che grazie agli esempi degli eroi e dei Santi, i soli che sanno sfidare la morte e trascendere la vita» 6.
 
- Mikhail Nikolaevich Bocharnikov, primo segretario del Partito Comunista del distretto di Sverdlov, a Mosca: «La preoccupazione per la salute politica, spirituale e morale delle giovani generazioni assume ai nostri giorni un'intensità tutta particolare. Noi comunisti, principali educatori della gioventù, dobbiamo ricordarci che il "vuoto spirituale" non esiste; come ha detto il poeta Vasilii Fédorov in modo pittoresco, i cuori che non abbiamo riempito, verranno presto riempiti dal nostro nemico» 7.
 
 
- E infine André Malraux (1901-1976), scrittore e politico, nella prefazione scritta per il libro di Pierre Bockel (1914-1995) L'enfant du rire: «È possibile che un credente veda soprattutto nella trascendenza il mezzo più potente per la comunione. È certo che per un agnostico (parla di sé; N.d.T.), la domanda più importante del nostro tempo sia la seguente: può esistere una comunione senza trascendenza, e se non può esistere, su cosa potrà fondare l'uomo i suoi valori supremi? Su quale trascendenza non rivelata può fondare la propria comunione? Sento di nuovo il mormorio che sentivo poc'anzi: cosa serve andare sulla Luna se poi ci si suicida»?
 
georges pompidoujean cauandré malraux
Georges PompidouJean CauAndré Malraux
 
Cosa si può dire in definitiva? Georges Mathieu, Georges Pompidou, Pierre de Calan, Maurice Druon, James de Coquet, Jean Cau, Raymond Aron, Jean-Marie Domenach, Louis Pauwels a André Malraux concordano tutti nel riconoscere che al di là di una crisi morale, del malessere che regna nelle Università, nell'esercito, ecc..., viviamo una crisi di società, una crisi di civiltà, e che il vero problema è di sapere come rispondere alle domande essenziali che l'uomo non può evitare di porsi: chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Qual'è il mio fine? Interrogativi che l'essere umano si pone anche a riguardo della vita e della società: a che cosa serve la società? Come può fondarsi una comunione tra gli uomini, una vita sociale possibile? E tutti, anche se da posizioni diverse se non opposte, rispondono che occorre ristabilire i valori supremi, permanenti, le norme di riferimento, le regole, un assoluto, una trascendenza, qualcosa che si imponga a tutti e che domini tutto, che fondi un ordine tale in cui ciascuno si riconosca e si sottometta.
 
l Fallimento dei valori non trascendenti
 
Ciò che uomini così diversi e di idee così disparate hanno constatato è cosa dimostrata dall'esperienza e dalla Storia. Da sempre, gli uomini hanno manifestato il bisogno di qualcosa di universale che si imponga a tutti per fondare un ordine sociale e politico, per dare un senso alla loro vita. Senza risalire al diluvio, che cosa non si è fatto in questi ultimi due o tre secoli per trovare un soluzione soddisfacente a questo problema? Si è cercato disperatamente di proporre concetti diversi o astrazioni più o meno ornate di maiuscole: la Nazione, la Legge, la Morale, la Virtù, la Società, la Patria, l'Umanità, la Classe e la Razza. Fino a questa disarmante proposta della «necessità di un mito». É stato detto di tutto; è stato proposto di tutto. Tutto è stato provato. E nulla è risultato soddisfacente. Un pizzico di buon senso e un po' di logica basta a dimostrare l'inconsistenza di questi «assoluti» che non trascendono nulla. Pensiamo, ad esempio, al concetto di Natura. Può un qualsiasi obbligo morale fondarsi sull'idea di Natura? No, non può essere che l'uomo senta il bisogno di renderle conto. Al massimo, la Natura non è che una raccolta di consigli. «Se vuoi questo, fà quella cosa. Se desideri che quella cosa si realizzi, agisci così». Essa consiglia, suggerisce, ma non comanda. E se non voglio fare quella cosa? E se non voglio che tale cosa succeda? Chi mi costringerà? Chi potrà farmene un obbligo? Chi mi proverà che ho torto  se risponderò: grazie per il consiglio, ma preferisco agire diversamente? Se sono io stesso il mio fine, chi può obbligarmi senza commettere un'ingiustizia ad agire diversamente?
 
surrogati della trascendenza
I surrogati della trascendenza: il proletariato, la razza, la patria e la legge...
 
I verdetti della Natura non costituiscono un obbligo e ciascuno resta libero di aggirare le sue leggi se ne accetta il rischio. «Non bere alcol che ti fà male al fegato»!... Molti compiangono chi beve solo acqua! «L'alcolismo rovina la Razza»!... «Cercherò di non avere figli», rispondono in tanti. «L'alcol uccide lentamente»!... «Non ho fretta. E poi, bisogna morire di questo o di quest'altro», ecc... Il termine «Legge» (con la «L» maiuscola) libertà 68con cui certe persone vorrebbero correggere ciò che c'è di troppo bonario nel concetto di Natura, non ottiene risultati migliori. Perché la Legge ha solo l'autorità di colui che l'ha sancita. È solamente una parola se non è che l'espressione della volontà di qualcuno. Altrimenti, ciò che è appena stato detto della Natura può essere vero anche per la Legge: la suprema virtù consisterà nel prendersi gioco della Legge e aggirarla senza danno... E finalmente a fare ciò che si fà oggi, adattando la Legge ai costumi e a fare del fatto la norma del Diritto. E perché mai, ad esempio, ciò che si fà per l'aborto, non si non si potrebbe fare per il furto o per l'omicidio? Anche la Morale e la Virtù non possono essere presentate come un fine. Sono solamente dei mezzi e forse rischiano di essere solamente degli ideali rispettabili, ma non si vede chi o casa potrebbe imporli alle coscienze. Se non mi sento attratto dalla Virtù, chi mi dimostrerà che devo essere comunque virtuoso? La stessa vale per la Società, per la Patria, per la Nazione, per l'Umanità, ecc... Esse non potrebbero essere per l'uomo né uno scopo, né una fonte di obbligo nel grado più elevato. Ciò significherebbe considerare l'uomo come una parte di un tutto che comprenderebbe la Società, la Nazione, ecc..., e al quale sarebbe subordinato. Se l'uomo è solamente una «parte» di questo tutto, è logico che sia totalmente sottomesso, ordinato e all'occorrenza sacrificato per questo tutto. L'uomo si ribella contro un simile totalitarismo di cui vediamo bene gli effetti. E la sua situazione è drammatica (come del resto constatava il pittore Georges Mathieu). L'uomo si trova di fronte ad una tragica alternativa: o la rivolta contro la società o il suo assorbimento da parte di quest'ultima. O la rivolta nichilista dell'anarchia, la protesta dell'individuo contro ciò che può essere solamente una tirannide sociale; o l'annientamento volontario e quasi mistico dell'individuo in un totalitarismo socializzante di cui il marxismo-leninisme offre il supremo esempio... E la Nazione? Se tutte le nazioni sono assolute, cosa ne risulterà non solo sul piano individuale, ma su quello delle nazioni? E dunque di coloro che le dirigono? Senza un ordine trascendente, universale, assoluto e di uguale valore per tutti, diventanazionalismi impossibile incontrarsi e mettersi d'accordo, e non c'è altro mezzo per fare valere i proprî diritti e difendere i proprî interessi che il ricorso alla violenza. La storia degli ultimi due secoli illustra tragicamente questa verità. L'era dei nazionalismi è stata l'era delle guerre infernali, delle guerre mondiali, dei guerre totali. Una volta liberate dal «giogo» dei tiranni, le nazioni non avrebbero più avuto alcuna ragione per combattersi. Ciascuna avrebbe dovuto ritenersi soddisfatta dal momento che un territorio e uno Stato gli sarebbero stati accordati. Al contrario, per affrettare l'avvento di questa era di fratellanza e di pace, e per agevolare la liberazione dei popoli, si fece le guerre: guerre della Rivoluzione, guerre dell'Impero, guerre del Secondo Impero, guerra franco-tedesca del 1870, guerra del 1914 e guerra del 1939-1945..., il che non impedisce che il culto del nazionalismo sia ancora così diffuso e che produca gli stessi risultati. E si potrebbe dire altrettanto della Classe e della Razza. In nome di che cosa quella classe o quella razza potrebbe imporsi come norma e valore supremo? la nozione di «razza tedesca» può al al limite imporsi ai tedeschi, ma non ai vicini della Germania. Dunque, l'esaltazione della razza non può condurre che al disprezzo degli altri e alla volontà di dominarli. La vittoria del Proletariato e la sua salvezza non possono imporsi che mediante sanguinose rivoluzioni con decine di milioni di vittime, per mezzo dei GULag o degli ospedali psichiatrici.
 
l Le false promesse dello scientismo
 
E la Scienza? Ascoltiamo le sue confortanti assicurazioni per bocca del razionalista Ernest Renan (1823-1892): «Per tutte le vie, arriveremo a proclamare il diritto secondo cui la ragione deve riformare la società mediante la scienza razionale e la conoscenza teorica di ciò che è. Non è dunque un'esagerazione affermare che lo scienza racchiude l'avvenire dell'umanità, che essa sola può parlarle del suo destino e può insegnarle il mezzo per raggiungere il suo fine». E ancora: «La scienza è una religione, solo la scienza costruirà i simboli, solo la scienza può risolvere gli eterni problemi dell'uomo la cui la sua natura esige imperiosamente la soluzione» 8. Nel XIX secolo, numerosi storici, poeti e romanzieri non hanno fatto che parafrasare il credo di Renan. È il caso di Victor Hugo (1802-1885) («L'umanità sarà trasfigurata dalla Scienza e dall'amore»), di Flaubert, di Zola e di Comte. Che cosa ne è stato? La Scienza e il Progresso hanno risposto a questa attesa, quasi messianica, di certi uomini del XIX secolo? In realtà, è oggi una verità ovvia ricordare la minaccia che lo sviluppo delle scienze fatto pesare sull'umanità, e l'incapacità della Scienza di rispondere alle domande fondamentali che l'uomo si pone. Due uomini di sceinza come Alexis Carrel (1873-1944) e Jean Rostand (1894-1977) esprimono la loro angoscia e guardano con spavento al momento «in cui la tecnica osa prendersela con l'essere pensante» 9. Il professor Jean Hamburger (1909-1992), che è miscredente come Rostand, arriva a sospettare dell'intelligenza umana, «questa mostruosa appendice di cui l'uomo è fiero», a causa della sua incapacità di sfruttare a favore dell'uomo gli incredibili progressi della medicina, della sua «incapacità politica e morale di concepire delle soluzioni», e del suo potere di mettere «in pericolo l'intera specie».
 
alexis carreljean rostandjean hamburger
Alexis CarrelJean RostandJean Hamburger
 
Per Jean Rostand, gli uomini di scienza non possono rispondere in quanto tali ai problemi dell'uomo perché questi problemi sono «di ordine puramente morale, e ciò significa che non compete ai soli uomini di scienza sentenziare» 10. Lasciamo la conclusione ad Alexis Carrel: «La Chiesa cattolica, nella sua profonda conoscenza della psicologia umana, ha posto le attività morali ben al di sopra delle intellettuali. Gli individui che onora più di tutti gli altri, non sono né condottieri di popoli, né scienziati, filosofi. Sono i santi» 11.
 
l La saggezza degli antichi
 
In definitiva, possiamo dunque porci una domanda: se tutti questi assoluti che abbiamo considerato sono dei falsi assoluti, dei surrogati che non si impongono universalmente, dove trovare questa trascendenza che tutti gli interpellati ci dicono essere indispensabile? Che ci sia un ordine superiore alla volontà fluttuante degli uomini risalta dalle riflessioni di alcuni filosofi dell'antichità:
  • Cicerone (106-43 a.C.): «Esiste una legge vera, è la retta ragione, conforme alla natura, diffusa in tutti gli esseri, sempre d'accordo con sé stessa, non soggetta a perire, che ci chiama imperiosamente ad adempiere alla nostra funzione, che ci vieta la frode e che ci distoglie dal compierla [...]. A questa legge non è permesso alcun emendamento, non è lecito abrogarla né in parte o nella sua totalità. Né il Senato, né il popolo non possono dispensarci dall'ubbidirle [...]. Questa legge non sarà diversa né ad Atene, né a Roma, né oggi, né domani. Questa unica ed unica legge, eterna e immutabile, reggerà tutte le nazioni in ogni tempo: perché allora ci sarà per insegnarla e prescriverla a tutti un Dio unico, cui appartiene la concezione, la deliberazione e la messa in vigore di questa legge» 12.
  • Aristotele (384-322 a.C.): «Dio, nulla è più certo, è il conservatore di ogni cosa e l'autore di tutto ciò che si realizza in questo mondo».
  • Questa idea di un ordine, di una legge non scritta, trascendente i tempi e i luoghi, che si impone a tutti i mortali, è anche quella che Sofocle (496-406 a.C.) mette sulla bocca di Antigone, il quale esprime in maniera simile a San Pietro: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini» (At 5, 29).
  • La convinzione che la società ha bisogno di un fondamento, di una legge, e che questo fondamento non può essere che religioso, la si ritrova in Platone (428-348 a.C.): «Chi distrugge la religione, strappa le fondamenta di ogni società umana».
  • Non diversamente diceva Plutarco (46-125 d.C.): «Sarebbe più facile costruire una città per aria con la sabbia che costruire una società che non crede nella Divinità».
ciceronearistotelesofocle
CiceroneAristoteleSofocle
 
In queste affermazioni troviamo delle risposte alle constatazioni degli uomini d'oggi (Mathieu, Ionesco, ecc...) sullo scivolamento verso la bestialità. Eccone altre più recenti:
  • David Hume (1711-1776): «Cercate un popolo senza religione. Se lo trovate, siate certi che non differirà molto dalle bestie selvagge».
  • È una constatazione simile a quella che faceva l'anarchico Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865) quando scriveva che trovava «sorprendente che in fondo alla nostra politica troviamo sempre la teologia».
Eccoci giunti al cuore del problema:
 
- O Dio esiste, ed è su Lui che tutto si fonda;
- O Dio non esiste, e allora, come dice Fjodor Dostojevskij (1821-1881) nel romanzo I fratelli Karamazov, «tutto è permesso», e infatti l'uomo torna alla barbarie e alla bestialità.
 
david humepierre-joseph proudhonfjodor dostojevskij
David HumePierre-J. ProudhonFjodor Dostojevskij

 
Note
 
1 Traduzione dell'articolo originale francese «Peut-il_exister une communion sans trascendence»? («Può esistere una comunione senza trascendenza»), a cura di Paolo Baroni. Articolo apparso sulla rivista Permanences, nº 120, maggio 1975.
2 Raymond de Sebon era un medico, filosofo e teologo catalano. La sua opera venne tradotta da Michel de Montaigne (1533-1592), che fece della frase riportata la sua professione di fede.
3 Cfr. Revue des Deux Mondes, 1971.
4 Cfr. E. Ionesco, Présent passé et passé présent («Presente passato e passato presente»), Mercure de France, 1968, pag. 64.
5 Cfr. Le Figaro, del 31 gennaio 1972.
5 Cfr. Paris-Match, del 26 maggio 1973.
6 Cfr. Le Figaro, del 15 agosto 1968.
7 Cfr. Cultura sovietica, del 30 luglio 1974.
8 Cfr. E. Renan, L'avenir de la science» («L'avvenire della scienza»), 1890.
9 Cfr. J. Rostand, Peut-on modifier l'homme? («Si può modificare l'uomo»?) 1953.
10 Cfr. J. Rostand, La biologie et l'avenir humain («La biologia e l'avvenire umano»), 1950.
11 Cfr. A. Carrel, L'homme, cet inconnu («L'uomo, questo sconosciuto»), pag. 186.

12 Cfr. Cicerone, De Republica, III, 22.