domenica 27 aprile 2014

San Tommaso, sant’Alfonso, la Chiesa: l’infallibilità nella canonizzazione

San Tommaso, sant’Alfonso, la Chiesa: l’infallibilità nella canonizzazione
 
 
Dice sant’Alfonso Maria de Liguori, Dottore della Chiesa, «Del gran mezzo della preghiera» (parte I, capo I, della necessità della preghiera): «[…] dice sant’Agostino[1], che coloro che, in questa vita avranno più soccorso quelle sante Anime [del Purgatorio, NdR], nell’altra, stando nel Purgatorio, farà Dio che siano più soccorsi dagli altri. Si avverta qui in quanto alla pratica, essere un gran suffragio per le Anime Purganti il sentir la Messa per esse, ed in quella raccomandarle a Dio per i meriti della Passione di Gesù Cristo, dicendo così: Eterno Padre, io v’offerisco questo Sacrificio del Corpo e Sangue di Gesù Cristo, con tutti i dolori ch’Egli patì nella sua vita e morte; e per li meriti della sua Passione vi raccomando l’Anime del Purgatorio, e specialmente ecc. Ed è atto di molta carità raccomandare nello stesso tempo anche l’Anime di tutti gli Agonizzanti. Questo che poi si è detto in quanto all’Anime Purganti, circa il punto se elle possano o no pregare per noi, e se pertanto a noi giovi o no il raccomandarci alle loro orazioni, non corre certamente a rispetto de’ Santi; poiché in quanto ai Santi non può dubitarsi esser utilissimo il ricorrere alla loro intercessione, parlando de’ Santi già canonizzati dalla Chiesa, che già godono la vista di Dio. Nel che il credere fallibile la Chiesa, non può scusarsi da colpa o d’eresia, come vogliono san Bonaventura, il Bellarmino[2], ed altri, o almeno prossima all’eresia, come tengono il Suarez, l’Azorio, il Gotti ecc. (- 27 -) poiché il Sommo Pontefice nel canonizzare i Santi principalmente, come insegna l’Angelico[3], è guidato dall’istinto infallibile dello Spirito Santo».
Dice sant’Alfonso Maria de Liguori, Dottore della Chiesa, in «Istruzione e pratica pei confessori» (Capo V, Punto I, della bestemmia): «In quanto poi alla venerazione dovuta a’ corpi, perché le loro anime godono Dio; rispondiamo, che la ragione di san Tommaso non può correre che per li soli santi dichiarati dalla chiesa, de’ quali solamente parla l’angelico; poiché san Tommaso dalla ragione, che le anime de’ santi godono Dio, prende a dimostrare, che debbonsi adorare anche i loro corpi. Per intendere dunque il sentimento del santo Dottore, e la verità, dobbiamo distinguere due sorta di cognizioni, per cui sappiamo o crediamo, che l’anima d’una persona goda Dio, una umana, l’altra sovrumana e divina, per la dichiarazione della Chiesa. Ora è certo, che quel rispetto dovuto a’ corpi de’ santi, di cui parla san Tommaso, non può correre, che solamente per que’ corpi, delle cui anime abbiamo cognizione rivelata, comunicataci dalla Chiesa, la quale eleva il rispetto che loro si dee dall’ordine umano all’ordine sovrumano. Ond’è, che non basta a noi il tener per salvo un defunto, anche con certezza morale, per dovere o poter venerare il suo corpo con culto sagro; ma bisogna, che la Chiesa ci assicuri autenticamente con certezza a lei comunicata per lume divino, che l’anima di quel corpo già gode Dio. Udiamo come parla san Tommaso[4]. All’opposizione che premette di non potersi venerare i santi, perché non può aversi vera certezza della loro salvazione, il santo Dottore[5] risponde così: Dicendum, quod pontifex, cuius est sanctos canonizare, potest certificari de statu alicuius per inquisitionem vitae, et attestationem miraculorum; et praecipue (si noti) per instinctum Spiritus sancti, qui omnia scrutatur profunda Dei. E soggiunge[6]: Providentia Dei praeservat Ecclesiam, ne in talibus per fallibile testimonium hominum fallatur. Sicché per qualunque certezza morale, ma umana e naturale, noi non dobbiamo né possiamo tener per sacri i corpi de’ fedeli defunti, né dar loro culto sacro, se non quando la Chiesa li canonizza; poiché allora la Chiesa con quella notizia sovrannaturale che ha per istinto dello Spirito santo, secondo dice l’Angelico, trasferisce la venerazione (- 104 -) verso quel corpo dall’ordine umano all’ordine sovrumano e divino. Lo stesso apparisce espresso ne’ decreti di Papa Urbano VIII, appartenenti al culto de’ servi di Dio, non anche canonizzati, o beatificati[7]; ne’ quali specialmente si ordinò, che nello scrivere le vite o fatti di tali servi di Dio, si premettesse la seguente protesta dell’autore: Profiteor me haud alio sensu, quidquid in hoc libro refero, accipere, aut accipi ab ullo velle, quam quo ea solent quae humana dumtaxat auctoritate, non autem divina catholicae romanae Ecclesiae, aut sanctae sedis apostolicae, nituntur[8]. Si notino le parole, Quae humana auctoritate, non divina Ecclesiae, etc. Sicché le cose de’ servi di Dio non hanno altra fede e venerazione, che umana, ma quando la Chiesa li dichiara santi, allora la venerazione passa da umana ad esser divina, per ragione della divina autorità della Chiesa. Ond’è che per dare ad un defunto un culto sacro, ch’è sovrumano, è necessario, che s’abbia un principio ed una cognizione sovrumana della santità dell’oggetto per mezzo del lume divino comunicato alla Chiesa. E perciò quando i santi son dichiarati dalla Chiesa, diventano sacre non solamente le loro ossa, ma anche le vesti, le lettere, e l’altre cose da loro usate; e sarebbe irriverenza grave e sacrilegio il servirsene per uso temporale senza un’assoluta necessità: il che all’incontro certamente non è vietato circa le vesti de’ morti non canonizzati, per qualunque certezza morale che avessimo della loro salvezza».
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Esempio pratico. Il Liguori, detto il “Dottore utilissimo”, è un Dottore della Chiesa, la cui dottrina  “è immune da qualsiasi censura teologica”, come da dichiarazioni di Papa Gregorio XVI e di Papa Pio IX[9]. Inoltre il Santo “ha illuminato questioni oscure e spiegato questioni dubbiose, spianando tra le avviluppate opinioni o più lassiste o più rigide dei teologi una via sicura, su cui le guide dei fedeli potessero avanzare senza inciampo”[10]. Magistero (in Denzinger) di Papa Gregorio XVI circa «l’autorità di Alfonso de’ Liguori»: Parte 1 - «Resp. S. Paenitentiariae ad archiep. Vesuntion» - «Risposta della Sacra Penitenzieria all’arcivescovo di Besançon», 5 luglio 1831: «[...] Quando alla seconda risposta, si deve notare che il giudizio della Santa Sede circa la dottrina di un beatificando avviene in vista della beatificazione. A questo fine è sufficiente che la dottrina sia immune da qualsiasi censura teologica – sit immunis a quacumque theologica censura»[11]. Questo è il caso di Alfonso de’ Liguori». Vedasi il decreto della Sacra Congregazione dei Riti del 18 maggio circa l’esame delle sue opere, come pure la bolla di canonizzazione «Sanctitas et doctrina»[12] del 26 maggio 1839 e il decreto «Inter eos qui» del 23 marzo 1871, che gli conferisce il titolo di Dottore della Chiesa[13]: «Obscura insuper dilucidavit dubiaque declaravit, cum inter implexas theologorum sive laxiores sive rigidiores sententias tutam straverit viam, per quam Christifidelium moderatores inoffenso pede incedere possent». Lo scritto[14] prosegue con la disquisizione circa gli insegnamenti morali di Sant’Alfonso ed emerge chiaramente che «Il confessore [...] legge le opere del beato dottore per conoscere accuratamente la sua dottrina [...] ritiene di comportarsi in modo sicuro per il fatto stesso che la dottrina, che non contiene nulla degno di censura, egli possa prudentemente giudicare che è sana, sicura, per nulla contraria alla santità evangelica». Il confessore domanda alla Santa Sede se può «essere molestato [...] se segue tutte le opinioni del beato Alfonso de’ Liguori?». La risposta al confessore, confermata dal Papa il 22 Luglio 1831, è: «No, tenendo conto del pensiero della Santa Sede circa l’approvazione degli scritti dei Servi di Dio per il conseguimento della canonizzazione»[15].
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San Tommaso d’Aquino spiega esaustivamente l’implicata infallibilità nella canonizzazione: «Una cosa può essere considerata possibile considerata in se stessa, mentre riferita a qualcosa di estrinseco risulta impossibile. Dico dunque che è possibile che il giudizio di coloro che presiedono alla Chiesa possa sbagliare in qualsiasi cosa, se si guarda soltanto alla loro persona. Se però si considera la divina provvidenza che dirige la sua Chiesa con lo Spirito Santo affinché non sbagli, come egli stesso promise[16] che lo Spirito che sarebbe giunto avrebbe insegnato tutta la verità, cioè riguardo alle cose necessarie alla salvezza, è certo che è impossibile che il giudizio della Chiesa universale sbagli nelle cose che appartengono alla fede; per cui bisogna stare più alla sentenza del Papa, al quale compete di determinare riguardo alla fede, che proponesse nel suo giudizio, che non all’opinione di qualsivoglia uomo sapiente nella Scrittura, poiché si legge che Caifa, sebbene di nessun valore, tuttavia in quanto pontefice profetizzò anche senza saperlo[17]. Nelle altre sentenze invece, che riguardano fatti particolari, come quando si tratta di possessioni o di crimini o di cose del genere, è possibile che il giudizio della Chiesa sbagli a motivo di falsi testimoni. Ora, la canonizzazione dei santi è intermedia fra queste due cose: poiché tuttavia l’onore che prestiamo ai santi è una certa professione di fede, mediante la quale crediamo la gloria dei santi, bisogna piamente credere che nemmeno in queste cose il giudizio della Chiesa possa sbagliare. RISPOSTA ALLE DIFFICOLTÀ: 1. Il Pontefice, a cui compete canonizzare i santi, può certificarsi sullo stato di qualcuno mediante l’esame della vita e l’attestazione dei miracoli, e soprattutto mediante l’istinto dello Spirito Santo, che “scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio”[18]. 2. La divina provvidenza assiste la Chiesa affinché in tali cose non si inganni a motivo della testimonianza fallibile degli uomini».[19]
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 La «Canonizatio» è riconosciuta: «[Canonizatio est] ultimum et definitivum iudicium, quo summus Pontifex declarat aliquem in coelum receptum atque ab omnibus colendum esse; co lendum nempe hoc saltem sensu, quod omnes fideles teneantur eum habere sanctum et cultu publico dignum. Differt a beatificatione, quae non est sententia definitva sed provvisoria, per quam cultus permittitur tantum aut saltem non universaliter praecipitur».[20]
Così Papa Benedetto XIV nel «De Servorum Dei beatificatione et de Beatorum canonizatione»: «Si non haereticum, temerarium tamen, scandalum toti Ecclesiæ afferentem, in Sanctos iniuriosum, faventem haereticis negantibus auctoritatem Ecclesiae in Canonizatione Sanctorum, sapientem haeresim, utpote viam sternentem infidelibus ad irridendum Fideles, assertorem erroneæ propositionis et gravissimis poenis obnoxium dicemus esse qui auderet asserere, Pontificem in hac aut illa Canonizatione errasse... et de fide non esse, Papam esse infallibilem in Canonizatione Sanctorum [...]».[21]
Brevi anticipazioni tratte da «Apologia del Papato» in uscita per i tipi di EffediEffe.
Pubblicazione a cura di Carlo Di Pietro (clicca qui per leggere altri studi pubblicati)
Note:
[1]  Ps.-s. Agost., Sermo 44, ad Fratres in eremo: «Ora ergo pro defunctis, ut dum fuerint in aeterna vita, pro te orare non negligant»; PL 40, 1320; «Festinemus ergo, fratres, pro defunctis exorare, ut et ipsi festinent nos ad se vocare»; ibid., 1321. Sull' autore deiSermones ad fratres in eremo, cfr. J. P. BONNES, Un des plus grands prédicateurs du XII siècle, Geoffroy du Loroux dit Geoffroy Babion, in «Revue Bénédictine», 56 (1945-1946), 175-179; DEKKERS, Clavis, n. 377.
[2] S. BONAVENTURA; BELLARMINO, Opera, ed. cit., II, Controv. IV, De Ecclesia triumphante, lib. I, c. IX, 356-357, con gli autori ivi cit., s. Tommaso, Driedo, s. Antonino, Gaetano, M. Cano ecc. SUAREZ, Opera, ed. cit., XII, De fide, Disp. V, Sect. VIII, n. 8, 163 ss. Azor, Instit. mor.,Lugduni 1616, II, Lib. V, c. VI, q. V, 522 ss. GOTTI, op. cit., q. VI, dub. III, 116 ss.
[3] S. Thom. in 4. Sent. Dist. 15. q. 4. a. I. Solut. ad q. 3.
[4] Quodlib. 9. a. 16.
[5] Ad 1.
[6] Ad 2.
[7] 1. V. ap. Bened. XIV. de canon. lib. 2. c. 11.
[8] Theologia moralis Editio nova cura D. Receveur, S. Alphonse de Liguori, p. 19
[9] Denzinger, EDB, pp. 974; cfr. Benedetto XIV, De Servorum Dei beatificatione, II, 28, § 2; Decreto della Sacra Congregazione dei Riti del 18 maggio 1803 circa l’esame delle sue opere; Risposta della Santa Penitenzieria all’arcivescovo di Besançon, 5 luglio 1831; Risposta al “confessore dubbioso”, confermata dal Papa il 22 Luglio 1831; Bolla di canonizzazione Sanctitas et doctrina del 26 maggio 1839 (Gregorio XVI, Acta, a cura di A.M. Bernasconi 2, 305a-309b); Decreto Inter eos qui del 23 marzo 1871, che gli conferisce il titolo di «dottore della chiesa» (Pio IX, Acta, 1/V, 296-298); ecc ...
[10] Denzinger, EDB, pp. 975
[11] Cfr. Benedetto XIV, De Servorum Dei beatificatione, II, 28, § 2
[12] Gregorio XVI, Acta, a cura di A.M. Bernasconi 2, 305a-309b
[13] Pio IX, Acta, 1/V, 296-298
[14] http://radiospada.org/2013/06/da-santalfonso-maria-de-liguori-al-vescovo-di-roma-francesco/
[15] Cfr. Denz., EDB, pp. 974 e 975
[16] Gv 16,10
[17] Gv 11,51
[18] 1 Cor 2,10
[19] Cf. Se tutti i santi che sono stati canonizzati dalla Chiesa siano nella gloria, o alcuni di essi siano nell’inferno, «Quodlibetal Questions», VIII, a. 1; Cf. «Quodlibet …», IX, a. 16.
[20] Cf. «Tractatus De Ecclesia Christi», G. Van Noort, p. 107; «De Ecclesia», C. Pesch, p. 388; Cf. «L’oggetto del Magistero definitivo della Chiesa alla luce del …», Davide Salvatori, Tesi gregoriana, Serie Diritto canonico N° 51, Ed. Pontificia Università Gregoriana, Roma, 2001, p. 196.
[21] Liber I, c. 45, n° 28; Cf. «De Servorum Dei beatificatione et de Beatorum canonizatione», Prato,  vol. I, p. 336, 1839 - 1842; Cf. «L’oggetto del Magistero definitivo della Chiesa alla luce del …», Davide Salvatori, Tesi gregoriana, Serie Diritto canonico N° 51, Ed. Pontificia Università Gregoriana, Roma, 2001, p. 196, nota 84.
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