lunedì 15 settembre 2014

R.P. Matteo Liberatore d.C.d.G. LA CONCILIAZIONE

La Civiltà Cattolica anno XXVII, serie IX, vol. IX (fasc. 613, 21 dic. 1875), Firenze 1876 pag. 5-20.


R.P. Matteo Liberatore d.C.d.G.

LA CONCILIAZIONE

I.

Nella rivista, da noi fatta nel passato quaderno, del libro del ch. Bocci promettemmo di trattare separatamente il punto della Conciliazione, di cui egli si fa promotore; ed eccoci ad attener la promessa.
In alcuni cattolici italiani, non solo laici ma ancora ecclesiastici, e di animo retto e zelanti, qual certamente è il nostro Bocci, si è in questi ultimi tempi manifestato un certo desiderio di pace nella feroce lotta che sta sostenendo la Chiesa. I motivi di un tal desiderio par che siano due, secondo che può cavarsi dal libro del citato Autore; vale a dire la stanchezza che suol provenir dalla lotta, e l'amore del bene e della salute della patria, affetto proprio d'ogni animo bennato.
Quanto al primo motivo egli dice: «La lotta stanca tutti, anche il diavolo, che perciò lasciava in pace qualche volta sant'Antonio [1].» Certamente la lotta non è cosa amabile per sè medesima; ma quanto allo stancar tutti non sempre è vero. Nel caso presente veggiamo che essa non istanca i nemici della Chiesa. Ne siano prova il Bismark, i Calvinisti della Svizzera, e i nostri Onorevoli di Montecitorio. Che se il diavolo si stancava talvolta con sant'Antonio, vuol dire che costoro sono peggiori del diavolo; se pur non sembri più credibile che il diavolo desse tregua al santo eremita, non per effetto di stanchezza, ma per isperanza di poterlo poscia meglio affrontare alla sprovveduta. E probabilmente a quest'esempio si sarà ispirato il Bismark nell'aver omesso di proporre nuove leggi contro la Chiesa nella presente sessione del Parlamento tedesco.
Or se la lotta non istanca i nemici della Chiesa, perchè dovrebbe stancare i suoi difensori? È forse più potente l'istigazione satanica, che la grazia divina? Per fermo la lotta non istancò i primi fedeli; i quali per ben tre secoli pugnarono costanti, e vinsero. Anche oggidì i cattolici generalmente stan mostrando di non essere degeneri dai loro padri. Il clero e il laicato di Germania e di Svizzera, benchè da gran pezza oppugnati ed oppressi, combattono virilmente, nè dànno segno veruno di stanchezza. Anche in Italia, la Dio mercè, cominciando dall'invitto Pontefice e venendo giù pei Vescovi, pel Clero, pei Religiosi fino all'ultimo de' laici, li vediamo generalmente pieni di lena e di coraggio sostener l'impeto de' nemici. La stanchezza dunque non è che di pochi, o deboli o diffidenti, o più amanti dell'ozio domestico, che della fatica del campo. Ma questi, per certo, non costituiscono una ragion sufficiente per dover desiderare la pace. Guai per un esercito, se la spossatezza o l'animo dappoco o la diffidenza di alcuni soldati dovesse dar norma alle operazioni della guerra.
Giustamente dunque il Bocci, dopo aver accennata così di sbieco questa ragione della stanchezza, la lascia in disparte, e si appiglia all'altra del bene dei nostri concittadini e della patria; i quali e la quale dalla continuazione di sì fatale discordia non possono ritrarre che sventure e ruine. «Io invoco la pace, egli dice, non per me, che nulla pavento; non pei figli, che non mi grava tal peso; non per la mia religione, la quale più pura, più bella, più splendida apparisce nelle persecuzioni, e che, avvezza ai trionfi, numera tante gloriose vittorie, quante ha patito guerre, e persecuzioni sofferte. Ma invoco la pace per amor dei fratelli, per amore della umanità... Altri con cuore efferato alimenti le cittadine discordie, provochi gli odii fraterni, invochi la guerra e l'esterminio.
Io vo gridando pace, pace, pace...
«Troppo lungamente omai fummo divisi: diamoci a vicenda la mano, ed illuminiamoci alla verità e alla religione, e a queste sorgenti di felicità guidiamo i popoli che hanno sete della giustizia [2]
Questi sentimenti sono nobili; questa ragione è lodevole. Diciamo anzi che essa è necessitante; perchè lo stare in discordia colla Chiesa è separarsi da Dio, e tutti quelli che si separano da Dio, periranno. Omnes, qui se elongant a te, peribunt; recedentes a te in terra scribentur [3][Ps. LXXII, 27: «qui elongant se a te peribunt — coloro che da te si allontanano periranno.» Jer. XVII, 13: «recedentes a te, in terra scribentur — coloro che si allontanano da te, saranno scritti nella terra.» Mons. Antonio Martini spiega:«Saranno scritti nella terra: cioè nella polvere; maniera di proverbio simile a quello de' latini, che dicevano, scritte nell'acqua le promesse vane e fallaci.»N.d.R.] E, senza ciò, la pace è lo stato normale d'ogni umana società; e, se si vuole talvolta la guerra, non può volersi altrimenti, che come via per giungere alla pace. In ciò siamo d'accordo. Ma la pace che si desidera convien che sia pace vera; giacchè ci ha anche una pace falsa. Dixerunt pax, et non erat pax [4][Jer VI, 14: «Et curabant contritionem filiae populi mei cum ignominia, dicentes: Pax, pax! et non erat pax. — E curavano le piaghe della figlia del popol mio con burlarsi di lei, dicendo: Pace, pace; e pace non era.» Mons. Antonio Martini spiega: «E curavano le piaghe ec. Quando il mio popolo cominciava a rientrare in se, a temer le minacce del Signore, ed avea il cuore piagato per l'apprensione del castigo, costoro, i profeti e sacerdoti procuravan subito di saldare la piaga, ma con burlarsi del popolo, promettendogli pace, felicità, pace e felicità, che non è, e mai non sarà.» N.B.: per un paio di refusi le citazioni alle note 3 e 4 sono errate. N.d.R.] Ora qual è il mezzo che si propone, per giungere a questa pace vera? La Conciliazione.

II.

Prima di esaminare in che dovrebbe consistere cotesta conciliazione, ci piace cercare con chi dovrebbe ella farsi. Poichè parliamo dell'Italia, a noi pare che in essa si potrebbero distinguere tre generazioni di persone. In primo luogo, i cattolici sinceri che aderiscono alla Chiesa con tutta l'anima e non si scostano un capello dai suoi insegnamenti. In secondo luogo i banderai del liberalismo italiano, gli autori o fautori della presente rivoluzione, che stanno al potere e reggono presentemente le sorti della Penisola. In terzo luogo la turba degl'illusi, che aderiscono a questi secondi, credendo così di fare il bene della patria, e si scostano dalla Chiesa, perchè la reputano avversa all'incivilimento e alle aspirazioni della società moderna.
Or quanto ai primi, che grazie a Dio, son la maggior parte degl'Italiani, ognun vede non esserci bisogno di conciliazione. La conciliazione suppone discordia; e qui discordia non è, anzi non è stata mai. Essi riconoscono la Chiesa, come loro madre e maestra; come quella, che è stabilita da Dio affin di guidarli per le vie della verità e della giustizia; e sanno che non altrimenti, che conformandosi alle massime di lei, possono conseguire felicità in questa vita e nell'altra. Con costoro la conciliazione è bella e fatta; giacchè ci è stata sempre e ci sarà, finchè essi, come è da sperare, si conservano quali sono.
Quanto ai secondi la conciliazione è del tutto impossibile. La ragione si è perchè cotesti caporioni del liberalismo, cotesti autori della rivoluzione italiana, vogliono nel loro matto furore niente meno che lo sterminio del Cattolicismo; e in tanto abbatterono il poter temporale della Santa Sede, in quanto sperarono di aprirsi così la via ad abbattere il suo potere spirituale. Ciò è confessato e dimostrato dal Bocci in molti luoghi della sua opera. Per saggio basti citare il seguente. «Niuno, egli dice, oserebbe oggimai sostenere che l'abolizione del dominio temporale non fosse per molti, anzi pei più astuti e potenti rivoluzionarii, un mezzo e un primo passo per devenire possibilmente all'abolizione del Papato e della Gerarchia della Chiesa Cattolica [5]. Così la intese il Rénan; così la intesero e la intendono i protestanti d'Inghilterra, dice il Dottore P. Newman; così la intendono i luterani di Germania, coi quali rallegravasi ultimamente alla Corte di Berlino il pietoso e fervente luterano Re di Svezia, per lo zelo spiegato da quel Governo nell'opprimere i cattolici a favore dei protestanti; e così la intendono i giacobini italiani, quando affermano che l'interesse dell'Italia nella quistione religiosa è quello stesso della Germania. La nostra rivoluzione non è soltanto italiana, è mondiale; ed è l'opera della oggidì potentissima setta massonica. Che cosa voglia questa setta non è più un mistero per nessuno. Se la rivoluzione italiana fosse stata unicamente faccenda nostra e soltanto politica, perchè tanto interesse e tanta parte vi presero ed ora più che mai vi prendono i rivoluzionarii e i frati muratori di tutto il mondo, i nemici del Cattolicismo e del Cristianesimo? D'altra parte sarebbesi potuto fare l'unità italiana lasciando Roma colle suo adiacenze indipendente. Perchè la repubblica di san Marino è indipendente, non è forse una e potente l'Italia? Amburgo, Brema e Lubecca in Germania sono indipendenti, nè per questo è meno potente e minacciosa l'unità tedesca. [6]»
L'Autore dice benissimo: la rivoluzione, italiana nell'apparenza è stata politica, ma nella sostanza è religiosa, ed è opera della setta massonica, la quale nel suo manifesto ha dichiarato di volere l'abbattimento del trono e dell'altare, e d'ogni autorità, qualunque sia il suo nome [7]. Ora con gente siffatta qual conciliazione è possibile? Credereste di potervi conciliare con chi dichiara di volervi spento ad ogni costo? L'unica conciliazione, che potreste ottenerne, sarebbe quella di farvi morire lentamente, e di veleno piuttosto che di ferro. E a questa conciliazione la setta volentieri forse diverrebbe verso la Chiesa. Ma qual pro?
Cotesti uomini appartengono alla generazione di quellì, di cui disse Cristo: Vos ex patre diabolo estis, et desideria patris vestri vultis perficere [8][Ioann. VIII, 44: «Voi avete per padre il Diavolo, e volete soddisfare a' desideri del padre vostro» N.d.R.] Essi furono descritti dall'Apostolo san Giuda Taddeo là dove parlando di certi uomini rivoluzionarii, nemici dell'autorità, dice appunto così: «Costoro bestemmiano tutto quello che non capiscono; e, come muti animali, di tutte quelle cose, che naturalmente conoscono, abusano per loro depravazione. Guai a loro, perchè han tenuto la strada di Caino, e ingannati, come Balaam, per mercede si sono precipitali, e son periti nella contraddizione di Core. Questi sono vitupero nelle loro agape, ponendosi insieme a mensa senza rispetto, ingrassando sè stessi, nuvoli senz'acqua, trasportati qua e là dai venti, alberi d'autunno, infruttiferi, morti due volte, da essere sradicati. Flutti del mare infierito, che spumano le proprie turpitudini, stelle erranti, per le quali tenebrosa caligine è riserbata in eterno... Mormoratori, queruli, che vivono secondo i loro appetiti, e la loro bocca sputa superbia, ammiratori di certe persone per interesse [9].» Si paragoni questo ritratto colle persone, di cui parliamo, e si vegga se non è perfetto. Or qual conciliazione volete voi con costoro? Conciliarsi con essi è il medesimo che conciliarsi con Satana, di cui partecipano l'odio contro Dio e la Chiesa. Con questi non è possibile che la guerra; e poichè si sono ora impadroniti della cosa pubblica, converrà soffrirne il giogo, finchè a Dio non piaccia di disperderli, donec transeat iniquitas; [Ps. LVI, 1: «sino a tanto che passi l'iniquità» N.d.R.] e intanto conviene adoperarsi, per quanto è possibile, a rintuzzarne gli assalti.
Resta la terza classe di persone, quella cioè che dicemmo degli illusi; i quali aderiscono alla rivoluzione e si scostano dalla Chiesa, non tanto per malizia, quanto per ignoranza. Ingannati dalle lustre di libertà e di grandezza nazionale, dai discorsi del Parlamento, dalla lettura dei giornali, ed alcuni di loro anche adescati dal guadagno, si sono imbevuti di principii liberaleschi, senza conoscerne la falsità e la malvagità. Sforniti di studii serii, e talvolta incapaci anche di attendervi per mancanza di tempo o d'ingegno, giudicano delle cose colla testa altrui. Ed almeno s'imbattessero in buone teste, capaci d'illuminarli! Niente affatto. Essi non trattano, se non con uomini della stessa loro pasta; o, ciò che è peggio, con rivoluzionarii di professione, cui ammirano come patriotti ed ascoltano come maestri. Quindi non respirando che un'aria infetta, contraggono, quasi senz'avvedersene, il malore; s'ingombrano l'animo di errori contro la Chiesa e di pregiudizii contro il Clero; e, abbandonando ogni pratica di pietà religiosa, logorano a poco a poco tutta la forza della loro vita morale. Questa classe di persone, che è abbastanza numerosa, perchè appartiene a quella categoria, di cui dice la Scrittura:Stultorum infinitus est numerus[Eccl. I, 15: «degli stolti il numero è infinito» N.d.R.] forma la vera forza del liberalismo, ed è come strumento nelle sue mani. Essa manda al Parlamento quella schiuma di scredenti ed incivili, che si odono del continuo schiamazzare non meno villanamente che sacrilegamente contro le più sante cose e le persone più venerande. Essa dà opera e concorre distesamente a divulgare nel popolo le massime liberalesche. Essa alimenta e sostiene la rivoluzione; la quale altrimenti ridotta ai soli suoi antesignani in breve finirebbe di tisichezza.
Or questa è l'unica classe, cui potrebbe riguardare la conciliazione; giacchè la prima, quella dei sinceri cattolici, non ne ha bisogno; la seconda ne ha bisogno, ma non ne è capace. Questa terza ne ha bisogno e ne è capace; perchè è capace di resipiscenza. Essa, come dicemmo, pecca più per ignoranza che per malizia. Essa è alienata dalla Chiesa, non perchè odia la Chiesa, come tale; ma perchè la crede condannatrice di principii, che reputa veri e salutari. Si separa dal Clero, non perchè l'abborrisca come Clero, ma perchè lo crede avverso a ciò che ama come prezioso acquisto della civiltà e del progresso. Con questi adunque solamente potrebbe cercarsi la conciliazione, di cui facciamoci ora a considerare la natura e l'efficacia.

III.

Il vocabolo conciliazione, secondo che è inteso comunemente, sembra importare l'idea d'una specie di temperamento tra parti estreme, un certo giusto mezzo, a cui si riducano i contendenti, smettendo ciascuno ciò che vi ha di esorbitante nelle sue pretensioni. Così intesa la conciliazione tra i principii della Chiesa e quelli di qualsivoglia altra ragione, individuale o sociale che sia, è un assurdo; perchè i principii della Chiesa sono eterni ed immutabili, nè ad essi può farsi addizione o sottrazione di sorta alcuna. La dottrina della Chiesa o consiste nei dommi da Dio rivelati, o nello svolgimento infallibile che essa ne ha fatto sotto l'assistenza divina. Nell'un caso e nell'altro cotesta dottrina è indubbiamente ed assolutamente vera; e la verità non ha gradi, molto meno eccedenze da risecare. La verità è posta in indivisibile: essa consiste semplicemente in affermare ciò che è, o in negare ciò che non è. Come ripugna in lei l'aumento, così ripugna lo scemamento. Le sole massime umane sono mutabili, e capaci di eccesso o di difetto; perchè mutabile è la ragione dell'uomo e soggetta a traviamenti. Attribuire la possibilità di conciliazione in questo senso alla Chiesa, suona altrettanto che negare la sua origine divina e la promessa di Dio a non permettere giammai che ella cada in errore.
Quindi giustamente il Bocci si affretta a chiarire che la conciliazione, da lui propugnata, non è intesa in questo senso, ma sì in quest'altro che nelle massime professate dal secolo, si rimuova la parte erronea e si ritenga quella solamente che per avventura sia conforme agl'insegnamenti della Chiesa. Ma se è così, quelle massime non saranno più quel che sono, ma saranno una cosa del tutto diversa. Esse cesseranno di essere i principii nuovi della società moderna, e torneranno ad essere i principii antichi della Chiesa cattolica.
Il Bocci per mostrare la facilità della conciliazione dice: «Che cosa mai pretende il secolo nostro? Vuole la civile uguaglianza, la libertà politica e la libertà religiosa. Questi voleri della moderna società sono eglino assolutamente inconciliabili col cristianesimo cattolico? No, mille volte no. E non è il Vangelo che ha rivelato agli uomini esser eglino tutti uguali davanti a Dio? Or bene: dall'uguaglianza davanti a Dio all'uguaglianza dinanzi agli uomini o alla legge qual differenza vi sarà mai? La libertà civile! E non fu Gesù Cristo che venne a ricuperare a tutti la libertà, e che annunziò al mondo per bocca di san Paolo che d'allora in poi non sarebbevi più nè Ebreo, nè Gentile, nè Greco, nè Scita, nè schiavo, nè libero, ma che tutti sarebbero fratelli nel regno della libertà de' figliuoli di Dio? Quanto allalibertà religiosa, non è ella divenuta oggimai una necessità, dacchè il cristianesimo si è fatalmente disgregato in tante e così diverse confessioni? [10]»
Ma Dio buono! È il senso della Chiesa quello, in cui queste massime sono oggi professate dal secolo? O il senso è talmente diverso, che da verità le ha trasformate in menzogna?
Il Vangelo ha rivelato che tutti siamo uguali davanti a Dio. In che modo? In quanto tutti siamo figliuoli ed immagini viventi di Dio; tutti partecipi della medesima redenzione; tutti ordinati alla medesima eredità del cielo. Ma insieme con questa essenziale uguaglianza, anche dinanzi a Dio abbiamo accidentali disuguaglianze. Non tutti presentiamo a lui gli stessi meriti: Stella differt a stella in claritate [11][I Cor. XV, 41: «V'ha differenza tra stella e stella nella chiarezza» N.d.R.] Non tutti partecipiamo gli stessi carismi: Unusquisque proprium donum habet a Deo; unus quidem sic, alius vero sic [12][I Cor. VII, 7: «Ciascuno ha da Dio il suo dono: uno in un modo, uno in un altro.» N.d.R.] Non tutti siamo chiamati agli stessi ufficii: Numquid omnes apostoli? numquid omnes prophetae? numquid omnes doctores? [13] [I Cor. XII, 29: «Forse tutti Apostoli? Forse tutti profeti? Forse tutti dottori?» N.d.R.] Che più? siam tutti eguali; e nondimeno Iddio accoglie in cielo il giusto, e manda il peccatore ostinato all'inferno. È questa l'eguaglianza che si propone a modello nel civile consorzio il nostro secolo, sotto l'influenza del Giacobinismo? Intende esso per tale eguaglianza il rispetto ai diritti e alla personalità di ciascuno? la soggezione di tutti alle medesime leggi? Ovvero intende l'abolizione più o men comunistica d'ogni disparità nelle condizioni sociali?
Il Vangelo ci liberò dalla servitù del peccato, dalla soggezione, dell'uomo all'uomo; ma nondimeno prescrisse l'obbedienza alle legittime autorità non solum propter iram, ma ancora propter conscientiam.[Rom. XIII, 5: «non sol per tema dell'ira (cioè del castigo) ma anche per risguardo alla coscienza.» N.d.R.] Non impose nessuna forma di reggimento politico, e quindi lasciò che, secondo le diverse condizioni di tempi, di luoghi, di diritti, fosse presso ciascun popolo stabilita quella che più gli convenisse. Perciò la Chiesa ammette e benedice qualsivoglia forma di Governo; purchè sia legittimamente introdotta, e giustamente adoperata. È questa la libertà politica del giure liberalesco? O non è piuttosto la sovranità assoluta ed inalienabile del così detto popolo; il diritto alla rivolta, la supremazia dello Stato a fronte della Chiesa?
L'Autore dice: la libertà religiosa è divenuta oggimai una necessità; per le scissure prodottesi nel Cristianesimo. Dove sussiste veramente una siffatta necessità, la Chiesa è stata sempre ed è tollerante e benigna. Ma dove una tale necessità è fittizia, essa tradirebbe la cura dell'ovile commessole da Cristo se, quanto è da sè, non impedisse che si aprano liberamente le porte ai lupi divoratori. La Chiesa in questo proposito segue l'insegnamento che le diede Cristo in quella parabola della zizzania; e sarà bene richiamarla alla memoria. «Il regno de' cieli, ossia la Chiesa, diss'egli, è simile ad un Padre di famiglia, il quale seminò di buon grano il suo campo. Dormendo i custodi, venne un suo nemico e vi soprasseminò la zizzania. Essendo questa apparsa in mezzo al cresciuto frumento, i servi del Padre di famiglia andarono a lui e gli dissero: Non hai tu piantato ottimo grano nel campo? Donde dunque cotesto loglio? È opera del mio nemico, rispose il Padrone. Ed essi a lui: Or vuoi tu che andiamo a sterparlo? No, replicò egli; perchè insieme col loglio sterpereste forse anche il frumento. Lasciate che crescano entrambi sino alla messe; e allora dirò ai mietitori: raccogliete la zizzania e legatela in fasci per gittarla nel fuoco; ammassate poi il frumento per conservarlo ne' miei granai [14]
Pel buon grano son significati i fedeli; per la zizania i cattivi cristiani, gli eretici, i settatori di perversa dottrina. Per negligenza di coloro, che avrebbero dovuto vegliare, l'anzidetta zizania vien dal nemico introdotta nel campo della Chiesa. E dov'ella è già cresciuta, frammista al grano, esige la prudenza che si tolleri. Ma ciò non perchè cotesta libertà di vegetazione, concessa alla zizzania, sia cosa buona per sè stessa e buon metodo di coltivazione de' campi; ma perchè è consigliata come minor male, per evitarne un maggiore: Ne forte colligentes zizania, eradicetis simul cum eis et triticum. [«perchè insieme col loglio sterpereste forse anche il frumento.» N.d.R.] E però sarebbe somma stoltezza il permettere che l'inimicus homo venga a diffondere la, zizzania in quella parte del campo, che per ventura ne fosse rimasa immune. Certamente se i custodi invece di dormire avessero vegliato e così avessero avvertito il tentativo dell'uomo nemico, sarebbe stato lor dovere l'impedirnelo. E se nel tempo che quegli cercava di entrare nel campo, fossero andati a dinunziarlo al padrone, questi per fermo non avrebbe detto loro: lasciatelo fare, ma avrebbe imposto di cacciarnelo, anche, se non si fosse potuto altrimenti, a colpi di vanga.
Ora il secolo intende così la libertà religiosa, ossia de'culti? No; esso la intende nel senso riprovato dal Pontefice Pio IX, cioè come un diritto assoluto dell'uomo, come un principio di sapiente e civile governo, sicchè debba introdursi anche dove la nazione è generalmente cattolica; come appunto si vuol fare in Ispagna e si è praticamente fatto in Italia, con turpe violazione della stessa legge fondamentale del Regno.
Di che evidentemente conseguita essere assai pericolosa l'idea di conciliazione per via di accettamento di alcuni principii della società moderna, ossia di quella parte di essa che costituisce la società rivoluzionaria. I predetti principii nella mente di cotesti seguaci della rivoluzione sono sostanzialmente viziati. Per raddrizzarli, converrebbe ridurli ad un senso tutto diverso dall'ammesso da loro. E però il dire che si accettano da essi, se non è una burla (cosa disdicevole in affare sì serio), è un'implicita promessa che si manterranno in parte almeno nel senso reo, a cui sono stati volti. Il che alla Chiesa, fedele sostenitrice e banditrice della verità, ripugna tanto, quanto ripugna che il sole stringa mai amistà colle tenebre. L'idea dunque di conciliazione, alla men trista, contiene un equivoco pernicioso. Or se ci fu mai tempo, in questo massimamente è duopo schivar gli equivoci con somma cura. Noi potremmo agevolmente dimostrare che l'equivoco appunto è stato quello, che ha condotto la società al presente soqquadro.

IV.

Un altro pericolo vuol essere additato, racchiuso nell'idea di conciliazione; ed è che essa facilmente servirebbe a darci non dei ravveduti, ma degl'ipocriti. Facciamo di chiarire questo nostro pensiero.
Ci è accaduto talvolta che rimproverando ad alcuni liberali la loro defezione dal Cattolicismo pel contraddire che facevano alla Chiesa ed al Papa; essi ci risposero: Voi ci rimproverate a torto; noi siam cattolici al par di voi; noi ammettiamo tutti gl'insegnamenti della Chiesa e del Papa, quando (ben inteso) li troviamo ragionevoli e giusti.
Ognun vede l'illusione di costoro. A questa stregua anche il Turco potrebbe dirsi cattolico. Di fatto, se voi dite al Sultano: ammettete voi ciò che vi sembra ragionevole e giusto nell'insegnamento della Chiesa cattolica e del Papa? Senza dubbio egli vi risponderà di sì: giacchè solo un matto potrebbe dire di non voler ammettere ciò che scorge ragionevole e giusto nell'insegnamento di chicchessia. Ma il vero cattolico non può procedere così. Il vero cattolico deve riconoscere la Chiesa, e quindi il Papa, capo di lei e maestro, come depositarii infallibili della verità. Quindi, senza restrizione alcuna al proprio vedere o non vedere, deve tenere fermissimamente che è vero e santo tutto ciò che la Chiesa ed il Papa gli propongono da credere e da operare, persuaso che Iddio non permetterà giammai che l'una o l'altro cada in errore. La Chiesa è detta dall'Apostolo colonna e sostegno della verità: Columna et firmamentum veritatis [15]. Or questa colonna della verità è fondata sul Papa. Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam [16]; e ognuno intende che non può l'edifizio star fermo, se il fondamento vacilla.
Stando fermo il cattolico in questa credenza, potrà poi, se gli aggrada, contemplare e ragionare ciò che la Chiesa e il Papa gli insegnano; e dove sia fornito d'ingegno, e proceda con retto discorso, troverà senza fallo che quell'insegnamento è conforme a verità e giustizia. Imperocchè, tranne i misteri, i quali come superiori alla ragione umana, non possono da noi dimostrarsi, ma solo si accettano per la rivelazione divina; tutto il resto, che nel Cattolicismo si propone a credere ed operare, può rigorosamente dimostrarsi a filo di logica. Ma siffatta dimostrazione dov'essere semplice conseguenza dello studio di chi già crede, senza bisogno di essa; non deve nè può essere condizione, per parte nostra, dell'accettazione o rifiuto di ciò che ci viene insegnato. Altrimenti la regola del credere per noi non sarebbe più l'autorità della Chiesa, come si ricerca ad esser cattolico; ma sarebbe il giudizio proprio, l'esame, come avviene nell'eretico, il quale è così nominato dal greco αἵρεσις (scelta), appunto perchè colla propria ragione sceglie il da credere o da non credere.
Ora i convertiti per conciliazione sarebbero in qualche modo simili a costoro. Essi sarebbero dei cattolici, i quali in tanto si riamicano colla Chiesa, in quanto la Chiesa dichiara di ammettere quei principii politici, a cui essi, indipendentemente da lei, aderiscono; e questa è per loro condizione sine qua non. Dunque anch'essi fanno uso di scelta, dell'haeresis; e però non riconoscono la Chiesa comecolonna della verità, e come assolutamente infallibile. Essi vengono a patti colla Chiesa, rispetto al suo insegnamento; ed al trar dei conti per loro il criterio del vero non è l'infallibile autorità della Chiesa, ma l'infallibile giudizio della propria ragione. Un tal metodo non produce cattolici veri, ma cattolici simulati; vale a dire cattolici non cattolici; cattolici nel nome, non cattolici nella sostanza.
La Chiesa non saprebbe che farsi di questa gente; la quale non le sarebbe che un ingombro e un pericolo. Non le sarebbe che un ingombro; perchè priva delle disposizioni necessarie a conseguire il fine, a cui la Chiesa dirige i fedeli, cioè l'eterna salute. Non conviene ingannarsi: chi ha l'animo così disposto, che non vuol credere ed obbedire alla Chiesa, se non quando la Chiesa ammetta alcuni principii, da lui vagheggiati, o consenta ad alcune sue predilette aspirazioni; è fuor della strada che mena a salvazione. Nè gli giova tampoco il prendere il nome e l'apparenza di cattolico. Di cattolico è forza prendere la realtà; e questa realtà consiste nell'adesione pura e semplice agl'insegnamenti della Chiesa, e nell'obbedienza piena e totale all'autorità di lei. Sarebbe poi cotesta gente per la Chiesa un pericolo; perchè la mescolanza dei falsi cattolici coi veri potrebbe a poco a poco pervertire la sincerità di questi secondi.

V.

Riassumiamo. La pace tra la Chiesa e lo Stato è certamente cosa buona e desiderabile. Il Sillabocondanna quella proposizione: Ecclesia a Statu, Statusque ab Ecclesia seiungendus es[17][Prop. LV: «È da separarsi la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa.» N.d.R.] Se è riprovata la separazione, a più forte ragione la discordia.
Ma lo stabilire, come mezzo per procurare tal pace, la conciliazione, è cosa pessima. Essa sembra parimente riprovata dal Sillabo in quell'altra proposizione: Romanus Pontifex potest ac debet cum progressu, cum liberalismo et cum recenti civilitate sese reconciliare et componere [18][Prop. LXXX: «Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e colla moderna civiltà.» N.d.R.]
Ciò che hanno di vero e di giusto i principii della società moderna, è stato sempre tenuto ed è tenuto dalla Chiesa, e dalla Chiesa i popoli lo hanno imparato, Perciò, rispetto a questa parte, la Chiesa non ha nulla da prendere dalla società moderna. Per contrario, la società moderna avrebbe da prendere dalla Chiesa la sincera intelligenza della parte vera e giusta degli anzidetti principii, affin di ripurgarli dalla parte falsa ed ingiusta, che essa società moderna vi ha aggiunto.
La società moderna avendo alla parte buona dei principii, somministratile dalla Chiesa, aggiunta una parte falsa, o travolta la prima a senso falso, ne ha formato un mostruoso corpo di dottrina essenzialmente perversa, ed a questa ha dato il nome di suoi principii. Onde il consigliare alla Chiesa di accettare dalla società moderna, o dalla rivoluzione che voglia dirsi, alcuni de' suoi principii, vale altrettanto che consigliarla a fare un turpe impastamento della verità coll'errore. Che se il consiglio si restringe alla sola parte vera e al solo senso vero degli anzidetti principii; quanto a questa ed a questo la Chiesa già li possiede; e fingere di accettarli dalla società moderna, è slealtà indegna della Chiesa.
Oltre che a qual fine cotesta finzione? Per rappaciarsi, si dice, colla società moderna. Ma nella società moderna si debbono distinguere tre classi d'uomini. I sinceri cattolici; e questi non hanno bisogno di rappaciarsi, giacchè non si ribellarono mai alla Chiesa. I giacobini, i massoni, i banderai del liberalismo; e questi, checchè si faccia, non si rappaceranno mai colla Chiesa, di cui han giurato l'esterminio. Gl'illusi, i quali non per malizia ma per errore seguono le massime liberalesche; e per questi quella specie di finzione, colla quale si dica di accettare i principii della società moderna, intendendone solo la parte buona, è sommamente pericolosa. Essa facilmente, in virtù dell'equivoco, produrrebbe la persuasione di potersi esser cattolici, ritenendo nella loro interezza i principii della moderna rivoluzione. Così non servirebbe ad altro che a formare il cattolicismo liberale, quo nulla deterior pestis, secondo la frase della sacra Congregazione del Concilio. Di più confermerebbe in essi una pessima disposizione di animo, quella cioè di venire a patti colla Chiesa, e non volere aderire al Cattolicismo, se non in quanto il Cattolicismo dichiari di abbracciare i principii da lor professati. Una tal disposizione costituisce l'uomo fuori della via che conduce all'eterna salute. Come a Dio, così alla Chiesa deve aderirsi puramente e semplicemente, senza restrizione veruna. Altrimenti, sotto nome di cattolico, si sarà eretico ed infedele; giacchè l'eresia, specie d'infedeltà, consiste appunto nello scegliere tra le verità, di cui la Chiesa ha il deposito, quelle sole che ci garbeggiano; il che importa che si abbia per regola della nostra credenza non l'autorità della Chiesà, ma la propria ragione.
Di qui seguita che il solo vero mezzo di convertire costoro si è d'illuminarli sopra gli errori della dottrina che abbracciarono, ed invitarli e confortarli a lasciarsi guidare con piena docilità e confidenza dalla Chiesa, sola maestra indefettibile del vero, e non correre colla mente e col cuore dietro le perniciose lusinghe e i mortiferi traviamenti d'un falso progresso.
Siate, cristiani, a muovervi più gravi,
Non siate come penna ad ogni vento,
Nè crediate che ogni acqua vi lavi.
Avete il vecchio e 'l nuovo Testamento,
E il Pastor della Chiesa, che vi guida;
Questo vi basti a vostro salvamento.
Se mala cupidigia altro vi grida,
Uomini siate e non pecore matte,
Sicchè il Giudeo tra voi di voi non rida.
Non fate come agnel che lascia il latte
Della sua madre, e semplice e lascivo
Seco medesmo a suo piacer combatte [19].
Queste parole dell'Alighieri tornano opportunissime pel caso presente. Ma più che le parole di Dante debbono valere a disingannare ogni animo retto, le parole del maestro della verità, di colui al quale è stata commessa da Cristo la cura di pascere i suoi agnelli, vale a dire i credenti in lui. Or questo maestro della verità nel Breve indirizzato ultimamente al Congresso cattolico di Firenze, a proposito appunto della conciliazione, scrive così: «State in guardia che non s'inframmettano tra voi i falsi fratelli; vale a dire coloro, che imbevuti di torte opinioni, o non considerando, oppure non conoscendo l'intima natura, attitudine e malignità de' presenti sconvolgimenti, e riputandosi saggi, stimano potersi conciliare principii tra sè cozzanti, e tra i più accaniti odiatori della Religione ed i seguaci di essa potersi restituire la concordia, mediante questo o quel patto politico; come se fosse dato risanare una profonda piaga delle viscere, applicando sulla cute un lieve fomento. Essi, che van gridando pace per ogni dove, non conobbero la via della pace; la quale consiste nella sola quiete dell'ordine vero e perfetto; mentre si dànno a credere di provvedere alla pace, spargono dissensioni tra i fratelli, dissolvono la vigorìa dell'unità, ai nemici inespugnabile, e la causa di costoro, senza avvedersene, con tutta l'efficacia favoriscono. Respingete pertanto lungi da voi le funestissime insidie del Cattolicismo liberale, che o renderebbero inutili il vostro zelo e le vostre fatiche, o ne scemerebbero il vigore e le renderebbero sterili. Attenetevi saldi alla professione, fatta nel passato Congresso; dacchè sapete che il proposito vostro è perfettamente conforme al giudizio di questa Santa Sede, e che tutti coloro, i quali dal suo insegnamento si dilungano, fidandosi nel proprio senno, si disviano dalla verità.»
Gl'insegnamenti, qui dati dal Pontefice, possono epilogarsi nei capi seguenti.
I. L'idea di conciliazione procede in alcuni da torte opinioni, in altri da mancanza di cognizione profonda della natura maligna della presente rivoluzione, in altri da un certo spirito di superbia, per cui si credono più saggi del Papa.
II. La conciliazione è impossibile, perchè non possono comporsi tra loro principii cozzanti, e perchè non è sperabile, in virtù di nessun patto politico, la concordia con coloro, che ci sono nemici non per motivo di politica, ma per motivo di religione, alla cui distruzione han diretto e dirigono tutti i loro consigli e conati.
III. La pace consiste nella tranquillità dell'ordine. Onde per conseguire la pace, bisogna adoperarsi allo stabilimento dell'ordine, nelle idee, negli affetti, nelle istituzioni sociali.
IV. L'andar gridando: conciliazione, non serve ad altro che a confondere le menti e dividere gli animi de' fedeli; e così favorire i nemici della Chiesa, i quali altrimenti nella unità de' cattolici troverebbero un ostacolo insuperabile ai loro assalti.
V. L'unica via par fuggire ogni danno ed uscir vittoriosi dalla lotta, si è di tenersi fermi al giudizio della Santa Sede, e non dilungarsi in nessuna cosa dall'indirizzo e dagl'insegnamenti di lei.
Dopo una parola sì autorevole, ogni nostra giunta sarebbe superflua.

NOTE:

[1] Pag. 34.
[2] Pag. 54.
[3] Ps. LXXII, 19.
[4] Ps. XIII, 3.
[5] Qui ne apporta l'espressa confessione fatta in Parlamento dal Deputato Taiani.
[6] Pag. 139.
[7] Monde massonique, giornale di Parigi, ottobre 1866.
[8] Ioann. VIII, 44.
[9] Hi autem quaecumque quidem ignorant blasphemant; quaecunque autem naturaliter, tanquam muta animalia, norunt, in his corrumpuntur. Vae illis, quia in via Cain abierunt, et errore Balaam mercede effusi sunt, et in contradictione Core perierunt. Hi sunt, in epulis suis maculae, convivantes sine timore, semetipsos pascentes, nubes sine aqua, quae a ventis circumferentur arbores autumnales, infructuosae, bis mortuae, eradicatae. Fluctus feri maris, despumantes suas confusiones, sidera errantia, quibus procella tenebrarum serrata est in aeternum... Hi sunt murmuratores, querulosi, secundum desideria sua ambulantes, et os eorum loquitur superba, mirantes personas, quaestus causa. Epist. Cathol. sancti Iudae Apostoli.
[10] Pag. 3l.
[11] 1a ad Cor. XV, 41.
[12] 1a ad Cor. VII, 7.
[13] 1a ad Cor. XII, 29.
[14] Simile factum est regnum caelorum homini qui seminavit bonum semen in agro suo. Cum autem dormirent homines, venit inimicus eius, et superseminavit zizania in medio tritici et abiit. Cum autem crevisset herba et fructum fecisset, apparuerunt et zizania. Accedentes autem servi patris familias, dixerunt ei: Domine, nonne bonum semen seminasti in agro tuo? Unde ergo habet zizania? Et ait illis: Inimicus homo hoc fecit. Servi autem dixerunt ei: Vis, imus el colligimus ea? Et ait non; ne forte colligentes zizania, eradicetis simul cum eis et triticum; sinite utraque crescere usque ad messem. El tempore messis dicam messoribus: colligite primum zizania et alligate ea in fasciculos ad comburendum, triticum autem congregate in horreum meum. Matth. XIII, 24-30.
[15] 1a ad Tim. III, 13.
[16] Matth. XVI, 18.
[17] Num. LV.
[18] Num. LXXX.
[19] Paradiso, canto V.