sabato 13 settembre 2014

NEOCONSERVATORISMO, CONSERVATORISMO, CATTOLICESIMO: UN'IMPOSSIBILE ALLEANZA (SECONDA PARTE)

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di Luigi Copertino

I neocons sono favorevoli al dominio americano sull’Occidente e sul mondo. In tal senso essi ritengono dunque pericoloso per l’egemonia americana ogni forma di globalismo politico ed anche questo ha contribuito a dar credito ad essi negli ambienti della destra tradizionale cattolica. Ma, in realtà, essi non rifiutano il globalismo di per sé ma soltanto nella sua forma egualitaria e democratico-umanitaria, della quale però fanno propria tutta la folle retorica missionaria ed interventista. Se la tradizione conservatrice puritana americana ha da sempre privilegiato l’isolazionismo (gli “eletti da Dio” devono evitare ogni contatto con il resto del mondo infestato da falsi protestanti e dogmatici papisti), l’unilateralismo neocon in politica estera rappresenta il rovescio missionario dell’isolazionismo originario (gli “eletti” non devono contaminarsi con l’iniquità dei non eletti e tuttavia hanno però il diritto/dovere di esportare la loro “purezza” in tutto il mondo: da tale ascendente religioso deriva la convinzione tutta americana, e non solo neoconservatrice, del diritto/dovere statunitense di esportazione, anche armata, della “libertà” che un conservatore intelligente come Sergio Romano non ha esitato a definire un “delirio giacobino”).
La scelta neoconservatrice è, pertanto, favorevole ad un globalismo imperiale e decisionista ad egemonia americana. Questa leadership mondiale americana, per i neocon, è essenzialmente legata alla sopravvivenza ed al rinvigorimento delle radici puritane intrise di protestantesimo a base veterotestamentaria ossia in una lettura della Bibbia senza prospettiva cristocentrica nel rifiuto della mediazione ecclesiale che però finisce per sostituire alla Chiesa la Nazione Americana come “Nuova Sion”, “Città di Luce sulla collina”, della quale si proclama il missionario “destino manifesto”. I neocon sono ossessionati dal biblismo sociale ed intendono riaffermare la versione autoritaria e conservatrice di questo biblismo.
Essi fanno propria la parola d’ordine del ritorno ai “fondamentali” lanciata agli inizi del XX secolo dall’ala fondamentalista del protestantesimo americano. Il protestantesimo in genere e quello fondamentalista in particolare sono, in sostanza, un ritorno all’interpretazione sinedritica, dura e legalistica della Legge veterotestamentaria. Una interpretazione che, chiudendosi in un arido letteralismo, si è privata della Luce d’Amore soprannaturale di Cristo. In questa prospettiva fondamentalista, i neocon avversano la “crisi dell’autorità”, causata dal permissivismo morale, che scuote il mondo occidentale e gli stessi Stati Uniti, esito splendido e compiuto della civiltà occidentale. Per far fronte a questa crisi è necessario, sostengono i neoconservatori, che sia ripristinato il prestigio delle élite dirigenti statunitensi, finanziarie, religiose, politiche e militari, e che la società occidentale sia riformata secondo le ricette del liberalismo conservatore ossia intangibilità sacrale della proprietà privata, individualismo mercantile, etica puritana del lavoro, contrattualismo sociale, durezza penale (l’“occhio per occhio” veterotestamentario) ed autoritarismo morale. Huntington, l’inventore dello “scontro di civiltà”, è un elogiatore dei valori “wasp” come valori fondanti dell’identità americana e per estensione di tutto l’occidente.
La responsabilità del declino morale è addebitata dai neocon esclusivamente alla cultura liberal. Essi ritengono che, invece, le strutture sociali mercantili del liberismo svolgano bene il loro ruolo e che siano proprio tali strutture ad essere minacciate dal relativismo etico propugnato dalla sinistra. I neocon negano l’evidente sussistenza di un profondo legame tra relativismo etico e strutture sociali mercantili perché per essi la lotta al relativismo etico è funzionale alla preservazione ed al rilancio globale del liberismo. L’illusione, tipicamente neoconservatrice, di un “mercato libero -ossia senza limitazioni etiche e sociali- non consumista” è la riproposizione a destra dell’utopia marxista del “consumismo collettivo -ossia della ricchezza diffusa- senza mercato”. Infatti, senza l’incentivo all’edonismo soggettivista illimitato quelle stesse strutture di mercato, a partire dal XVI-XVIII secolo pensate ed organizzate secondo i dogmi ideologici del liberismo, non reggerebbero neanche un mese.
I neocons, insomma, assolvono il liberismo da qualsiasi sospetto di corresponsabilità nella decadenza morale e nella dissoluzione nichilista dell’Occidente. Nel momento stesso in cui invocano il rigorismo etico, tipico del puritanesimo americano, per forza di cose, date le radici teologiche soggettiviste del liberismo, sono portati a ritenere assolutamente illimitata la libertà di mercato senza però poter evitare che nella prassi essa trasmodi inevitabilmente nel più assoluto nomadismo sociale. I neocon, con perfetta coerenza da un punto di vista puritano, sono rigoristi sul piano etico e libertari su quello economico: ma l’esito di questo cocktail di fariseismo morale e di liberismo economico è la dissimulazione puritana dell’immoralità generale secondo la lezione mandevilliana sui “vizi privati” e le “pubbliche virtù”. I neoconservatori criticano, giustamente, il solipsismo dell’individuo-sovrano, dotato di tutti i diritti e di nessun dovere, deresponsabilizzato dal permissivismo più radicale, senza obblighi sociali, e tuttavia negano che questo solipsismo sia già tutto presente nella concezione lockiana della proprietà privata come diritto assoluto ed intangibile che non comporta alcun obbligo sociale: una concezione della proprietà priva di quella funzione sociale ad essa da sempre attribuita dal Cattolicesimo. Essi fanno un’analisi corretta del permissivismo morale di cui soffre l’Occidente e che si manifesta soprattutto nel rifiuto delle forme di vita tradizionali (famiglia e comunità nazionale) e nel rifiuto cataro della fecondità dell’amore coniugale per la generazione della prole e per la perpetuazione della nazione e del genere umano. Ciò che i neoconservatori però non vogliono ammettere è che questo permissivismo non è il nemico della società liberale occidentale.
Questo permissivismo è il coerente, forse inaspettato per i liberali “etici”, esito della società mercantilista, quella del “primato della libertà economica”, creata dal liberalismo. A quest’ultimo, infatti, ed alla sua traduzione economica, ossia al liberismo, va imputata tutta la responsabilità di aver liberato energie solipsiste e soggettiviste che non si riesce più a controllare, né sul piano etico (vedi le lobbies gay, abortiste, clonazioniste, etc.) né sul piano socio-economico (vedi i poteri finanziari globali dell’economia virtuale). Del resto è innegabile che la deriva antropologica verso esiti nichilisti, inaugurata dal ’68, abbia trovato nel sistema mass-mediale, pubblico e privato, il canale giusto per raggiungere le masse popolari destinandole ad una progressiva “secolarizzazione” sia sul piano religioso che su quello politico. Vi è nel pensiero neoconservatore uno strumentale uso luciferino delle, o di alcune, verità etiche a supporto del globalismo finanziario e mercantile, ossia di ciò che Pio XI già nel 1931 definiva, per condannarlo, “imperialismo internazionale del denaro” (enciclica Quadragesimo Anno).
In tal senso il pensiero neoconservatore non può che avvitarsi inesorabilmente in una spirale di eterogenesi dei fini perché nel momento stesso in cui invoca, a sostegno dell’egemonia mondiale dei capitali virtuali ed immateriali, la restaurazione dei “valori tradizionali”, esso finisce per collaborare alla distruzione nichilista dei rapporti sociali, familiari, nazionali e di lavoro, e in fondo dello stesso mercato: il quale per essere uno strumento benefico per l’uomo non può mai essere immune da interventi correttivi e controlli sociali della mano pubblica. Dichiarandosi favorevoli all’individualismo, i neoconservatori non possono render conto del fatto che proprio dall’individualismo sono nati quel soggettivismo di massa e quel permissivismo bohèmienne e decadente, che essi combattono e che costituiscono la miseria culturale della sinistra post-totalitaria, libertaria, romantica ed ecopacifista.
Il neoconservatorismo rifiuta il relativismo etico ma, nei fatti, accetta il relativismo sociale; la sinistra libertaria rifiuta il relativismo sociale ma, essendo anch’essa espressione del soggettivismo nichilista, è incapace di contrastare le radici stesse di tale relativismo ossia l’individualismo ed il relativismo etico. Neoconservatorismo e sinistra post-moderna sono del tutto complementari.  

[continua...]