Novembre è tradizionalmente il mese dedicato alle care anime che ancora giacciono tra le fiamme purificatrici del Purgatorio. Vi è più che mai la necessità di diffondere la devozione del Purgatorio e di pregare e suffragare (tramite le indulgenze, le sante Messe e le opere pie) le anime che sono lì detenute (possono esserci anche i nostri parenti e amici che sono già morti), affinché possano presto raggiungere la gioia eterna del Paradiso. Inoltre, in barba a ciarlatani ed occultisti (si veda l'imperante moda di Halloween), educatori e famiglie dovrebbero mobilitarsi contro questa diseducazione del buon gusto, contro questa profanazione del mistero della morte e della vita dopo la morte, avendo il coraggio di andare controcorrente, rammentando, soprattutto ai più giovani, il grande principio cristiano della comunione dei Santi, vale a dire del rapporto e della solidarietà di tutti i fedeli in grazia di Dio, viventi o defunti che siano, al fine di considerare la morte come evento umano, naturale, di cui non si debba aver paura. Le tradizioni di memoria e di raccoglimento attorno al ricordo dei nostri cari che non sono più di questo mondo ravviverà così nei nostri cuori il pensiero di coloro che ci hanno aperto il cammino e trasmesso un patrimonio di virtù cristiane. In tal modo, potremo ridire ciò che il giovane Tobia diceva alla sua sposa: "Siamo figli di Santi!" (Tob. 8,5).
***Ecco alcuni passaggi dello splendido poema I vers de la mort, del frate cistercense Hélinand di Froidmont, composto tra il 1194 e il 1197.
Morte, con un solo colpo tu abbatti
tanto il re nella sua torre
che il povero sotto il suo tetto:
tu di continuo vai errando, senza riposo,
per incitare a suo tempo ciascuno
a pagare a Dio quanto gli spetta.
Morte, tu tieni rinserrata l'anima
finché essa non abbia pagato quanto deve,
senza scampo alcuno e senza sconto.
Per questo è folle chi fa debiti sulla sua anima,
perché essa non ha pegni da dare in garanzia
dal momento che giunge nuda alla prova.
Morte, hai ben stretto d'assedio il mondo,
all'intorno da ogni parte:
su tutti innalzi il tuo stendardo,
e non trovi alcuno che ti risponda,
né per forza, né per facondia,
tanto è spaventevole il tuo aspetto.
In tal guisa tu ci assalti:
da presso, scagli macigni con la petriera,
da lungi, minacci con la fionda.
Tu poni in fondo ciò che sta innanzi
perché per prima appresti la bara
che ci si aspettava solo più tardi.
Morte, dolce ai buoni, ai malvagi amara,
con gli uni è prodiga, con gli altri avara,
caccia alcuni, ed altri sfugge.
Sovente fa in primo luogo cenno al giovane
e prende il figlio prima del padre,
e coglie il fiore innanzi al frutto,
e colpisce il corpo prima che esso si sostenga,
e toglie l'anima prima che essa si sdebiti,
e la ferisce prima che sia preparata.
La morte va come ladro di notte,
e colui che è assopito nei piaceri,
subitamente lo convoca per raderlo a suo modo.
Morte, che a chiare lettere è scritta
nel volto vecchio e ripugnante,
ben si cela ai giovinetti,
e maggiormente si diverte vicino a coloro
che per orgoglio le dicono "vattene!".
In quegli eleganti damerini
che incedono fra cani e uccelli
e fanno onore ai buoni bocconi
e sono più ardenti d'una leccarda.
Con questi la morte gioca di coltello,
e fa loro indossare dei mantelli tali
che per essi a mezzogiorno annotta.
Morte, tutti siamo in attesa
che tu ci richieda la tua rendita,
ben forte ci hai legato i pugni:
tu prendi nella sua giovinezza
colui che, a vent'otto o a trenta,
crede di essere nel suo tempo migliore.
Allorchè più si orna e più si abbiglia,
repentinamente lo pungi col tuo aculeo,
che avvelena più di una tarantola.
Per questo è giusto che ciascuno ti tema,
perché da colui che è sottomesso ai piaceri del mondo
l'anima si separa con grande dolore.
Morte, in un'anima santa ed eletta,
comunque sia la carne che la riveste, magra o pingue,
non ha che un effimero potere:
appena essa è uscita dal mondo, la dichiara libera.
Per questo è saggio chi ora soddisfa i propri debiti,
finché ha la possibilità di farlo;
perché in un'anima priva di fede,
che lasci vivere il proprio corpo senza leggi,
la morte perpetuamente dimora...
Che vale beltà, che vale ricchezza,
che vale onore e che vale grandezza,
dal momento che morte a suo capriccio
fa pioggia o secco su di noi,
dal momento che tutto essa ha in suo potere,
ciò che si pregia e ciò che si disprezza?
Chi ha deposto la paura della morte
è quello che la morte maggiormente incita,
ed è verso di lui che essa si dirige in primo luogo.
un corpo ben nutrito, una carne delicata,
si fanno camicia di vermi e di fuoco.
Chi più insegue il piacere, maggiormente si ferisce.
Morte prova, non ne dubito affatto,
che altrettanto valgono poco e molto
di ogni cosa che si disseca e muore
morte mostra che tutto è nulla,
e quanto inghiotte ghiottoneria,
e quanto lussuria brama.
Morte fa sì che il sant'uomo non pecchi,
poiché non lo attira cosa alcuna
che ella possa giungere a colpire...
Morte è la rete che tutto imprigiona
morte è la mano che tutto arranca
e in suo possesso resta tutto ciò che afferra.
Morte a tutti prepara un oscuro mantello
e una coperta di semplice terra.
Morte a tutti presta uguale servizio,
morte porta alla luce ogni segreto,
morte rende libero schiavo,
morte asservisce pontefice e re,
morte dà a ciascuno ciò che merita,
morte rende al povero quant'egli perde
morte strappa al ricco quant'egli ghermisce.
Morte rende a ciascuno il suo diritto
morte dà a tutti appropriata misura,
morte pesa tutto con giusto peso,
morte vendica ognuno dell'ingiustizia subita.
Morte getta l'orgoglio a marcire,
morte fa fallire la guerra ai sovrani,
morte fa osservare leggi e decreti,
morte fa abbandonare profitto ed usura,
morte rende la bella vita aspra,
morte alla zuppa e ai legumi
dà il sapore del cibo gustoso
nei chiostri ove si teme la lussuria.
Morte rappacifica i litiganti,
morte acquieta i gaudenti,
morte pone termine ad ogni contesa,
morte mette in croce ogni falso crociato,
morte fa giustizia a tutti gli ingannati
morte compone equamente ogni lite,
morte separa rosa da spina,
paglia da grano, crusca da farina,
i vini schietti da quelli adulterati,
morte vede attraverso ogni tenda e cortina,
morte sola sa e indovina
come ciascuno vada esattamente valutato.
Morte è uno svergognato chi non ti teme,
e più svergognato ancora chi altro non paventa
se non che la vita gli venga meno:
dovrà senza fallo terminare.
E poco la terrà chi più la tiene stretta:
ciò che l'uomo allunga, la morte tronca...
Ah, Dio! Perché a tal punto si brama
l'avvelenata gioia carnale,
che tanto corrompe la nostra natura,
e che ha così breve durata?
Dopo, a tal prezzo si paga!
Com'è malvagio quello stimolo
che fa acquistare all'anima, ad usura,
un'amarezza che in eterno dura
per un piacere che subito svanisce.
Vattene vizio! Fuggi lussuria!
Di un cibo tanto caro, non ho desiderio:
maggiormente amo la mia zuppa ed i miei legumi.
Testo a cura di Piergiorgio Seveso e Marco Massignan (http://radiospada.org/).