Papa Pio XII. |
Quando le accuse si fondano su documenti, è possibile discutere l'interpretazione dei testi, verificare se essi sono stati fraintesi, recepiti acriticamente, mutilati o selezionati in un certo senso.
Quando invece una leggenda viene costruita con elementi disparati e con un lavoro di immaginazione, la discussione non ha senso. L'unica cosa possibile è opporre al mito la realtà storica provata da documenti incontestabili. A tal fine sin dal 1964 il Papa Paolo VI, che, come Sostituto della Segreteria di Stato, era stato uno dei più stretti collaboratori di Pio XII, autorizzò la pubblicazione dei documenti della Santa Sede relativi alla seconda guerra mondiale.
L'impostazione di "Actes et Documents"
L'archivio della Segreteria di Stato conserva infatti i dossier nei quali è possibile seguire spesso di giorno in giorno, a volte di ora in ora, l'attività del Papa e dei suoi uffici. Vi si trovano i messaggi e i discorsi di Pio XII, le lettere scambiate tra il Papa e le autorità civili ed ecclesiastiche, note della Segreteria di Stato, note di servizio dei subalterni ai superiori per comunicare informazioni e proposte e, inoltre, note private (in particolare quelle di Mons. Tardini, che aveva l'abitudine, felicissima per gli storici, di riflettere penna alla mano), la corrispondenza della Segreteria di Stato con i rappresentanti esterni della Santa Sede (Nunzi, Internunzi e Delegati apostolici) e le note diplomatiche scambiate tra la Segreteria di Stato e gli ambasciatori o i ministri accreditati presso la Santa Sede. Questi documenti sono, per lo più, spediti con il nome e la firma del Segretario di Stato o del Segretario della prima Sezione della stessa Segreteria: ciò non toglie che essi traducano le intenzioni del Papa.
Partendo da tali documenti sarebbe stato possibile scrivere un'opera che descrivesse quali erano stati l'atteggiamento e la politica del Papa durante la seconda guerra mondiale. Oppure si sarebbe potuto comporre un libro bianco, per dimostrare l'infondatezza delle accuse contro Pio XII. Tanto più che, essendo l'addebito principale quello del silenzio, era facile, partendo dai documenti, porre in luce l'azione della Santa Sede in favore delle vittime della guerra e, in particolare, delle vittime delle persecuzioni razziali. Sembrò più conveniente intraprendere una pubblicazione completa dei documenti relativi alla guerra.
Esistevano già diverse collane di documenti diplomatici, di cui molti volumi riguardavano la seconda guerra mondiale: Documenti diplomatici italiani, Documents on British Foreign Policy: 1919-1939, Foreign Relations of the United States, Diplomatic Papers, Akten zur deutschen auswärtigen Politik 1918-1945. Di fronte a tali collane, e su tali modelli, era utile permettere agli storici di studiare sui documenti il ruolo e l'attività della Santa Sede durante la guerra. In questa prospettiva fu iniziata la pubblicazione della collana degli Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale (2).
La difficoltà risiedeva nel fatto che per questo periodo gli archivi - sia quello del Vaticano sia quelli degli altri Stati - erano chiusi al pubblico e anche agli storici. L'interesse particolare rivolto agli avvenimenti della seconda guerra mondiale, il desiderio di farne la storia partendo dai documenti, e non soltanto da racconti o testimonianze più o meno indiretti, avevano indotto gli Stati coinvolti nel conflitto a pubblicare i documenti ancora inaccessibili al pubblico. Le persone di fiducia incaricate di un tale compito sono soggette ad alcune regole: non pubblicare documenti che chiamino in causa persone ancora in vita o che, rivelati, ostacolerebbero negoziati in atto. In base a tali criteri furono pubblicati i volumi relativi agli anni Quaranta dei Foreign Relations of the United States, e gli stessi criteri furono seguiti nella pubblicazione dei documenti della Santa Sede.
Il compito di pubblicare i documenti della Santa Sede relativi alla guerra venne affidato dalla Segreteria di Stato a tre padri gesuiti: Angelo Martini, redattore di questa rivista, che aveva già avuto accesso agli archivi riservati del Vaticano, Burkhart Schneider e lo scrivente, entrambi docenti nella Facoltà di Storia della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana. Il lavoro ebbe inizio sin dai primi giorni del gennaio 1965, in un ufficio vicino al deposito dell'archivio dell'allora Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari e Prima Sezione della Segreteria di Stato; là erano normalmente custoditi i documenti relativi alla guerra.
In quelle condizioni il lavoro comportava facilitazioni e difficoltà particolari. La difficoltà era che, trattandosi di un archivio non aperto al pubblico, non esistevano inventari sistematici finalizzati alla ricerca; i documenti non erano classificati né in ordine strettamente cronologico, né in ordine strettamente geografico; quelli di carattere politico, quindi relativi alla guerra, si trovavano talora insieme a documenti di carattere religioso, canonico o anche personale, rinchiusi in scatole abbastanza maneggevoli, ma talvolta dal contenuto molto disparato. Informazioni relative alla Gran Bretagna potevano trovarsi in dossiers sulla Francia, se l'informazione era stata inviata tramite il Nunzio in Francia, e naturalmente interventi in favore di ostaggi belgi nelle scatole del Nunzio a Berlino. Era necessario quindi esaminare ogni scatola e scorrerne tutto il contenuto per identificare i documenti relativi alla guerra. La ricerca era tuttavia resa più semplice grazie a una vecchia regola della Segreteria di Stato in vigore dal tempo di Urbano VIII, la quale prescriveva ai Nunzi di trattare un solo argomento per lettera.
Di fronte a tali difficoltà, avevamo notevoli facilitazioni.
Lavorando in un ufficio della Segreteria di Stato e su commissione, non eravamo soggetti ai vincoli dei ricercatori ammessi nelle sale di consultazione dei depositi pubblici; uno di noi prendeva direttamente dagli scaffali del deposito le scatole di documenti. Altra considerevole facilitazione era che si trattava di documenti per lo più dattiloscritti e rimasti allo stato di documenti separati (i manoscritti da dattiloscrivere per la tipografia costituirono un'eccezione); cosicché, non appena riconosciuto un documento come relativo alla guerra, bastava estrarlo, fotocopiarlo e consegnare in tipografia la fotocopia correlata delle note, come esige un lavoro scientifico.
Benché nell'inverno del 1965 il lavoro procedesse abbastanza rapidamente, pensammo di chiedere l'aiuto del p. Robert Leiber, che si era ritirato nel Collegio Germanico, dopo essere stato per oltre 30 anni segretario privato di Pacelli, prima Nunzio, poi Segretario di Stato e infine Papa Pio XII. Egli aveva seguito molto da vicino gli affari della Germania e fu lui a rivelarci l'esistenza delle minute delle lettere di Pio XII ai vescovi tedeschi; esse furono materia del secondo volume della collana e sono i documenti che meglio rivelano il pensiero del Papa.
I singoli volumi
Il primo volume, che ricopre i primi 17 mesi del pontificato (marzo 1939-luglio 1940) e che rivela gli sforzi di Pio XII per scongiurare la guerra, uscì nel dicembre 1965 ottenendo in genere buona accoglienza. Nel corso del 1966, mentre il p. Schneider preparava attivamente il volume delle lettere ai vescovi tedeschi, il p. Robert A. Graham, un gesuita americano della rivista America, il quale aveva già pubblicato un'opera sulla diplomazia della Santa Sede (Vatican Diplomacy), chiese informazioni sul periodo che costituiva l'oggetto del nostro lavoro. Come risposta egli fu invitato e aggregato al nostro gruppo, tanto più che già avevamo preso conoscenza dei contatti sempre più frequenti di Pio XII con Roosevelt e dei documenti in lingua inglese, nei quali ci imbattevamo piuttosto di frequente. Egli lavorò immediatamente alla preparazione del terzo volume, dedicato alla Polonia e concepito sul modello del secondo, concernente i rapporti della Santa Sede con gli episcopati. Ma gli scambi epistolari diretti con gli altri episcopati si rivelarono molto meno intensi, sicché il volume 2° e il 3° (in due tomi) rimasero gli unici nel loro genere. Così decidemmo di dividere i documenti in due sezioni: una, che continuava il primo volume, per le questioni di carattere prevalentemente diplomatico, contraddistinte dal loro titolo Le Saint-Siège et la guerre en Europe, Le Saint-Siège et la guerre mondiale: furono i volumi 4°, 5°, 7° e 11°, mentre i voll. 6°, 8°, 9° e 10°, intitolati Le Saint-Siège et les victimes de la guerre riuniscono in ordine cronologico i documenti relativi agli sforzi della Santa Sede per soccorrere tutti quelli che la guerra faceva soffrire nel corpo o nello spirito, prigionieri separati dalla famiglia ed esiliati lontano dai loro cari, popolazioni sottoposte alle devastazioni della guerra, vittime di persecuzioni razziali.
Il lavoro durò oltre 15 anni; il gruppo si divise i compiti secondo i volumi progettati e secondo il tempo che ognuno aveva a disposizione. E p. Leiber, il cui aiuto ci era stato così prezioso, ci venne tolto dalla morte il 18 febbraio 1967. E p. Schneider, pur continuando a insegnare Storia moderna alla Gregoriana, dopo aver pubblicato le lettere ai vescovi tedeschi, si era dedicato alla sezione delle vittime della guerra e preparò, con il concorso del p. Graham, i voll. 6°, 8° e 9°, terminati a Natale del 1975; ma nell'estate dello stesso anno era stato colpito dalla malattia di cui sarebbe morto nel maggio seguente. E p. Martini, che a tempo pieno si era dedicato a questo lavoro e aveva in qualche modo lavorato a tutti i volumi, non ebbe la soddisfazione di vedere l'opera interamente compiuta: poté soltanto, all'inizio dell'estate del 1981, vedere le bozze dell'ultimo volume, prima di lasciarci a sua volta. Il vol. 11° (ultimo della collana) uscì verso la fine del 1981, sotto la responsabilità del p. Graham e mia.
Benché fosse il più anziano tra noi, il p. Graham aveva dunque potuto lavorare sino al compimento dell'opera e anche proseguire, in quei 15 anni, ricerche e pubblicazioni complementari, uscite per lo più come articoli su La Civiltà Cattolica, e che costituiscono anche una fonte di informazioni, che gli storici della seconda guerra mondiale potranno consultare con profitto. Egli lasciò Roma il 24 luglio 1996 per fare ritorno nella natia California, dove chiuse i suoi giorni l'11 febbraio 1997.
Sin dall'inizio del 1982 avevo da parte mia ripreso le mie ricerche sul XVII secolo francese e sulla diplomazia vaticana. Ma vedendo che, dopo 15 anni, i nostri volumi rimanevano sconosciuti anche a molti storici, dedicai gli anni 1996-97 a riprenderne l'essenziale e le conclusioni in un volume di modeste dimensioni, ma denso per quanto possibile (3). Una consultazione serena di tale documentazione fa apparire nella sua realtà concreta l'atteggiamento e la condotta del Papa Pio XII durante il confitto mondiale e, di conseguenza, l'infondatezza delle accuse rivolte contro la sua memoria. I documenti pongono in evidenza come gli sforzi della sua diplomazia per evitare la guerra, per dissuadere la Germania dall'aggredire la Polonia, per convincere l'Italia di Mussolini a dissociarsi da Hitler siano stati al limite delle sue possibilità. Non si trova nessuna traccia della pretesa parzialità filotedesca che egli avrebbe assorbito nel periodo trascorso nella nunziatura in Germania. I suoi sforzi, associati a quelli di Roosevelt, per mantenere l'Italia fuori dal conflitto, i telegrammi di solidarietà del 10 maggio 1940 ai Sovrani di Belgio, Olanda e Lussemburgo dopo l'invasione della Wehrmacht, i suoi consigli coraggiosi a Mussolini e al re Vittorio Emanuele III per suggerire una pace separata non vanno certamente in tale direzione.
Sarebbe illusorio pensare che con le alabarde della guardia svizzera, o anche con una minaccia di scomunica, egli avrebbe fermato i carri armati della Wehrmacht.
Ma l'accusa spesso ripresa è di essere rimasto silenzioso di fronte alle persecuzioni razziali contro gli ebrei sino alle loro estreme conseguenze e di aver lasciato così libero corso alla barbarie nazista. Ora i documenti manifestano gli sforzi tenaci e continui del Papa per opporsi alle deportazioni, sull'esito delle quali il sospetto cresceva sempre più. Il silenzio apparente nascondeva un'azione segreta attraverso le nunziature e gli episcopati per evitare, o perlomeno limitare, le deportazioni, le violenze, le persecuzioni. Le ragioni di tale discrezione sono chiaramente spiegate dallo stesso Papa in diversi discorsi, nelle lettere agli episcopati tedeschi, o nelle delibere della Segreteria di Stato: le dichiarazioni pubbliche non sarebbero servite a nulla, non avrebbero fatto che aggravare la sorte delle vittime e moltiplicarne il numero.
Accuse ricorrenti
Nell'intento di offuscare tali evidenze, i detrattori di Pio XII hanno messo in dubbio la serietà della nostra pubblicazione. Molto singolare al riguardo è un articolo apparso su un quotidiano parigino della sera il 3 dicembre 1997:, "Quei quattro gesuiti hanno prodotto [!] negli Actes et Documents testi che hanno scagionato Pio XII dalle omissioni di cui egli è accusato [...]. Ma quegli Actes et Documents sono lontani dall'essere completi". Si voleva dare a intendere che avevamo tralasciato documenti scomodi per la memoria di Pio XII e per la Santa Sede.
In primo luogo, non si vede bene come l'omissione di alcuni documenti aiuterebbe a scagionare Pio XII dalle omissioni che gli vengono rinfacciate. D'altra parte, dire con tono perentorio che la nostra pubblicazione non sia completa equivale a fare un'affermazione che non si può provare: a tal fine bisognerebbe confrontare la nostra pubblicazione con il fondo di archivio e mostrare i documenti presenti nel fondo e mancanti nella nostra pubblicazione. Benché il fondo di archivio corrispondente sia ancora inaccessibile al pubblico, alcuni si sono spinti sino a pretendere di fornire prove di tali lacune degli Actes et Documents. Facendo questo, essi hanno dimostrato la loro scarsa visione circa l'esplorazione di fondi di archivio, di alcuni dei quali reclamano l'apertura.
Riprendendo l'identica affermazione di un quotidiano romano dell'11 settembre 1997, il citato articolo del 3 dicembre menziona come assente nella nostra pubblicazione la corrispondenza di Pio XII con Hitler. Osserviamo anzitutto che la lettera con la quale il Papa notificò la propria elezione al Capo di Stato del Reich è l'ultimo documento pubblicato nel secondo volume degli Actes et Documents. Per il resto, se non abbiamo pubblicato la corrispondenza di Pio XII con Hitler, è perché essa esiste unicamente nella fantasia del giornalista. Costui invoca i contatti di Pacelli, Nunzio in Germania, con Hitler, ma avrebbe dovuto verificare le date: Hitler giunge al potere nel 1933 e quindi avrebbe avuto occasione di incontrare il Nunzio apostolico soltanto da quella data. Ma Mons. Pacelli era rientrato a Roma nel dicembre 1929, e Pio XI lo aveva creato Cardinale il 16 dicembre e Segretario di Stato il 16 gennaio 1930. E soprattutto, se quella corrispondenza fosse esistita, le lettere del Papa sarebbero conservate negli archivi tedeschi e ve ne sarebbe normalmente traccia negli archivi del Ministero degli Esteri del Reich. Le lettere di Hitler sarebbero finite in Vaticano, ma se ne troverebbe menzione nelle istruzioni agli ambasciatori di Germania, Bergen e poi Weizsäcker, incaricati di consegnarle, e nei dispacci di quei diplomatici, che rendono conto di averle rimesse al Papa o al Segretario di Stato. Nessuna traccia di tutto ciò. In mancanza di tali riferimenti, si deve dire che la serietà della nostra pubblicazione è stata messa in dubbio senza l'ombra di una prova.
Queste osservazioni circa la presunta corrispondenza tra il Papa e il Führer valgono per gli altri documenti reali. Spessissimo i documenti del Vaticano sono attestati da altri archivi, ad esempio le note scambiate con gli ambasciatori. Si può pensare che molti telegrammi del Vaticano siano stati intercettati e decifrati dai servizi di informazione delle potenze belligeranti, e che se ne trovino copia nei loro archivi, e quindi, se avessimo tentato di nascondere alcuni documenti, sarebbe possibile conoscerne l'esistenza e avere allora un fondamento per mettere in dubbio la serietà del nostro lavoro.
Lo stesso articolo del quotidiano parigino, dopo avere immaginato relazioni tra Hitler e il nunzio Pacelli, ricorda un articolo del Sunday Telegraph del luglio 1997, che accusa la Santa Sede di avere utilizzato l'oro nazista per aiutare criminali di guerra a fuggire verso l'America Latina, soprattutto il croato Ante Pavelic: "Alcuni studi accreditano tale tesi (!)". È ammirevole la disinvoltura con cui i giornalisti possono accontentarsi di documentare le proprie affermazioni. Ne saranno gelosi gli storici, che spesso faticano ore per verificare i loro riferimenti. Si capisce che un giornalista si fidi di un collega soprattutto quando il titolo inglese del giornale gli dà un'apparenza di rispettabilità.
Ma ci sono ancora due affermazioni che meritano di essere esaminate separatamente, e cioè l'arrivo nelle casse del Vaticano dell'oro nazista, o più esattamente l'oro degli ebrei sottratto dai nazisti, e il suo uso per facilitare la fuga di criminali di guerra nazisti verso l'America Latina.
Alcuni quotidiani americani, infatti, avevano prodotto un documento del Dipartimento del Tesoro con il quale lo stesso Dipartimento era informato che il Vaticano avrebbe ricevuto attraverso la Croazia oro nazista di provenienza ebraica. Il "documento del Dipartimento del Tesoro" può fare impressione; ma occorre leggere ciò che si trova sotto il titolo e allora si scopre che si tratta di una nota proveniente dalla "comunicazione di un informatore romano degno di fede". Chi prendesse per oro colato simili affermazioni dovrebbe leggere quanto ha scritto il p. Graham sulle prodezze dell'informatore Scattolini, che viveva delle informazioni tratte dalla sua fantasia, che egli passava a tutte le ambasciate, compresa quella degli USA, la quale le trasmetteva fedelmente al Dipartimento di Stato (4). Nelle nostre ricerche nell'archivio della Segreteria di Stato, non abbiamo trovato menzione del supposto arrivo nelle casse del Vaticano dell'oro sottratto agli ebrei. Spetta ovviamente a chi sostiene tali asserzioni fornire le prove documentate, ad esempio una ricevuta, che non sarebbe rimasta negli archivi del Vaticano, come le lettere di Pio XII a Hitler. Vi è invece riportato il sollecito intervento di Pio XII, quando le comunità ebraiche di Roma furono oggetto di un ricatto da parte delle SS, che esigevano da loro 50 kg di oro; allora il Gran Rabbino si rivolse al Papa per chiedergli i 15 kg mancanti, e Pio XII diede immediatamente ordine ai suoi uffici di fare il necessario (5).
Recenti verifiche non hanno trovato di più.
La notizia poi relativa alla fuga di criminali nazisti verso l'America Latina che sarebbero stati aiutati dal Vaticano non è una novità. Non possiamo ovviamente escludere l'ingenuità di un ecclesiastico romano che si serva della propria posizione per facilitare la fuga di un nazista. Le simpatie del vescovo Hudal, rettore della chiesa nazionale tedesca, per il Grande Reich, sono note; ma da qui a immaginare che il Vaticano organizzasse su vasta scala la fuga di nazisti verso l'America Latina, significa comunque attribuire agli ecclesiastici romani una carità eroica. A Roma erano noti i piani nazisti concernenti la Chiesa e la Santa Sede. Pio XII vi ha accennato nell'allocuzione concistoriale del 2 giugno 1945, ricordando come la persecuzione del regime contro la Chiesa si fosse ancora aggravata con la guerra, "quando i suoi seguaci si lusingavano ancora, appena riportata la vittoria militare, di farla finita per sempre con la Chiesa" (6). Tuttavia gli autori, cui si rifà il nostro giornalista, hanno un'idea piuttosto elevata del perdono delle ingiurie praticato nell'ambiente del Papa per immaginare una quantità di nazisti accolti in Vaticano e di là condotti in Argentina, protetti dalla dittatura di Perón, e di lì in Brasile, Cile, Paraguay, per salvare ciò che poteva essere salvato del Terzo Reich: un "Quarto Reich" sarebbe nato nelle pampas.
Si tratta di notizie nelle quali è difficile distinguere tra storia e finzione. Agli appassionati di romanzi possiamo consigliare la lettura di Ladislao Farago A la recherche de Martin Bormann et des rescapés nazis d'Amérigue du sud (in inglese Aftermath. Martin Bormann and the fourth Reich). Con il titolo inglese "Il Quarto Reich" è detto tutto. L'Autore ci conduce da Roma e dal Vaticano in Argentina, Paraguay, Cile, sulla pista del Reichsleiter e degli altri capi nazisti in fuga. Con la precisione di un'Agatha Christie, descrive la posizione esatta di ogni personaggio al momento del crimine, indica il numero delle camere d'albergo occupate dai nazisti in fuga o dai cacciatori di nazisti, lanciati sulle loro tracce, fa vedere la Volkswagen verde che li trasporta.
Si rimane colpiti dalla modestia dell'Autore che presenta il proprio libro come "un'inchiesta alla francese, studio serio, ma senza pretesa di pura erudizione" (!).
Conclusione
Il lettore penserà bene che l'archivio del Vaticano non racchiuda nulla di tutto ciò, anche in quello che ci sarebbe di reale. Se il vescovo Hudal ha fatto fuggire qualche pezzo grosso nazista, non sarà certamente andato a chiedere il permesso al Papa. E se a cose fatte glielo avesse confidato, non ne sapremmo di più.
Tra le cose che l'archivio non rivelerà mai, occorre ricordare i colloqui intercorsi tra il Papa e i suoi visitatori, salvo che con gli ambasciatori che ne hanno riferito ai loro Governi o con un De Gaulle che ne parla nelle sue Memorie.
Ciò non significa che, quando gli storici seri desiderano verificare personalmente l'archivio da cui sono stati presi i documenti pubblicati, il loro desiderio non sia legittimo e lodevole: anche dopo una pubblicazione per quanto possibile accurata, la consultazione degli archivi e il contatto diretto con i documenti giovano alla comprensione storica. Altro è mettere in dubbio la serietà della nostra ricerca, altro è chiedersi se nulla ci sia sfuggito. Non abbiamo deliberatamente tralasciato nessun documento significativo, perché ci sarebbe sembrato nuocere all'immagine del Papa e alla reputazione della Santa Sede. Ma in un'impresa del genere chi lavora è il primo a domandarsi se non abbia dimenticato nulla. Senza il p. Leiber, l'esistenza delle minute delle lettere di Pio XII ai vescovi tedeschi ci sarebbe sfuggita e la collana sarebbe stata privata dei testi forse più preziosi per comprendere il pensiero del Papa (7). Tuttavia
quell'intero blocco non contraddice in nulla ciò che ci dicono le note e le corrispondenze diplomatiche. In queste lettere scorgiamo meglio la preoccupazione di Pio XII di ricorrere all'insegnamento dei vescovi per mettere i cattolici tedeschi in guardia contro le lusinghe perverse del nazionalsocialismo, più pericolose che mai in tempo di guerra. Tale corrispondenza pubblicata nel secondo volume degli Actes et Documents conferma dunque l'opposizione tenace della Chiesa al nazionalsocialismo; ma già si conoscevano le prime messe in guardia dei vescovi tedeschi, come Faulhaber e von Galen, di molti religiosi e di sacerdoti e, infine, l'enciclica Mit brennender Sorge, letta in tutte le Chiese della Germania la domenica delle Palme del 1937 a dispetto della Gestapo.
Non possiamo dunque considerare che come pura e semplice menzogna l'affermazione che la Chiesa abbia sostenuto il nazismo, come ha scritto un quotidiano milanese del 6 gennaio 1998. Inoltre i testi pubblicati nel quinto volume degli Actes et Documents smentiscono in maniera perentoria l'idea che la Santa Sede avrebbe sostenuto il Terzo Reich per timore della Russia sovietica. Quando Roosevelt chiese il concorso del Vaticano per vincere l'opposizione di cattolici americani al suo disegno di estendere alla Russia in guerra contro il Reich l'appoggio già concesso alla Gran Bretagna, egli fu ascoltato. La Segreteria di Stato incaricò il Delegato apostolico a Washington di affidare a un vescovo americano il compito di spiegare che l'enciclica Divini Redemptoris - che ingiungeva ai cattolici di rifiutare la mano tesa dai partiti comunisti - non si applicava alla situazione presente e non vietava agli USA di andare in aiuto allo sforzo bellico della Russia sovietica contro il Terzo Reich. Sono, queste, conclusioni inoppugnabili.
Perciò, senza voler scoraggiare i ricercatori futuri, dubito molto che l'apertura dell'archivio vaticano del periodo bellico modificherà la nostra conoscenza di tale periodo. In quell'archivio, come abbiamo spiegato prima, i documenti diplomatici e amministrativi stanno insieme a documenti di carattere strettamente personale; e ciò esige una proroga
maggiore che negli archivi dei Ministeri degli Affari Esteri degli Stati. Chi, senza attendere, desidera approfondire la storia di quel periodo di sconvolgimenti può già lavorare con frutto negli archivi del Foreign Office, del Quai d'Orsay, del Département d'Etat e degli altri Stati che avevano rappresentanti presso la Santa Sede. I dispacci del ministro inglese Osborne fanno rivivere, meglio delle note del Segretario di Stato vaticano, la situazione della Santa Sede, accerchiata nella Roma fascista, poi caduta sotto il controllo dell'esercito e della polizia tedesca (8).
E dedicandosi a tali ricerche, senza reclamare un'apertura prematura dell'archivio del Vaticano, che essi mostreranno di ricercare proprio la verità.
[Questo articolo è apparso in apertura del numero 3546 - 21 marzo 1998 - de "La Civiltà Cattolica"].
Note(1) In Oss. Rom., 9 ottobre 1958.
(2) Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, édités par P. Blet - A. Martini - R. A. Graham [dal 3° vol.] - B. Schneider, Città del Vaticano, Libr. Ed. Vaticana, 11 vol. in 12 tomi [due tomi per il 3° vol.], 1965-1981.
(3) Cfr P. Blet, Pie XII et la seconde guerre mondiale d'après les archives du Vatican, Paris, Perrin 1997.
(4) Cfr. R. A. Graham, "Il vaticanista falsario. L'incredibile successo di Virgilio Scattolini", in Civ. Catt. 1973 III 467-478.
(5) Cfr. Actes et Documents, vol. 9, cit., 491 e 494.
(6) Pio XII, "Allocuzione concistoriale" (2 giugno 1945), in AAS 37 (1945) 159-168.
(7) Così quando abbiamo preparato il primo volume, ci era rimasto sconosciuto il redattore dell'appello di Pio XII per la pace del 24 agosto 1939, opportunamente corretto e approvato dal Papa. Solamente ricerche ulteriori ci hanno permesso di scoprire che il redattore era stato Mons. Montini (cfr B. Schneider, "Der Friedensappel Papst Pius' XII vom 24 August 1939" in Archivum Historiae Pontificiae 6 [1968] 415424), anche se è difficile attribuire ai due autori le singole parti.
(8) Cfr. O. Chadwick, Britain and the Vatican during the Second World War, Cambridge, 1986.
Tratto da L'OSSERVATORE ROMANO, 27 marzo 1998