L’opera di Francesco Mario Agnoli esce all’inizio del secondo centenario delle insorgenze contro-rivoluzionarie e anti-napoleoniche in Italia, o, come ormai è in uso dire, dell’Insorgenza tout court, al singolare e con l’iniziale maiuscola, in analogia — e con implicito intento di acquisire pari dignità storiografica —, per esempio, con Resistenza. Circa duecento anno or sono, infatti, insurrezioni popolari scoppiano un po’ dovunque in Europa, in coincidenza con la Rivoluzione francese e con la sua graduale diffusione attraverso l’instaurazione del dominio napoleonico.
In Italia — incluse le isole fino a Malta, ma con l’eccezione della Sicilia, mai occupata dai francesi — le insorgenze si manifestano con particolare ampiezza e intensità — seconde in questo forse solo alla Spagna — e attraversano tutto il periodo del cosiddetto Triennio Giacobino (1796-1799) e del dominio napoleonico, fino al 1814. In innumerevoli episodi — che vedono una grande mobilitazione di massa — il popolo si solleva contro gli occupanti francesi, molto più forti militarmente, e contro i giacobini italiani, spesso inquadrati in milizie che operano sotto la direzione di comandi francesi, dando vita talvolta a una vera e propria guerra guerreggiata — come nel caso degli insorgenti toscani — o, più spesso, a un’incessante guerra per bande, una guerriglia; un termine, guerrilla,
che nascerà in Spagna pochi anni più tardi, nel 1808-1813, proprio per designare l’insurrezione cattolica anti-napoleonica.
La propaganda rivoluzionaria finirà poi per far risaltare solo quest’ultima modalità — più ambigua e tendenzialmente più difficile da distinguere dal banditismo vero e proprio —, facendo dimenticare l’altra.
Nell’impossibilità di rendere conto dei singoli episodi — dalle Pasque Veronesi del 1797 all’insorgenza trentino-tirolese del 1809-10 —, ciascuno dei quali ha caratteristiche peculiari, si possono però notare le numerose analogie fra di essi, che permettono d’identificare un fenomeno, se non univoco, unitario. Anzitutto si può rilevare la costante presenza della motivazione religiosa e di un deciso atteggiamento legittimista, mentre stupefacente e significativo è — per menzionare solo un aspetto — il fatto che, nonostante la frammentazione geografica e politica del territorio e mezzi di comunicazione primitivi, le rivolte presentino un carattere di simultaneità e di coralità straordinario: esse scoppiano per lo più in maniera irriflessa e con grande immediatezza, ogni volta, si potrebbe dire, che si profila all’orizzonte una giacca bleu o si erige un "albero della libertà". Un altro dato comune è che queste rivolte, per lo più, non trovano una classe dirigente né nel clero né nell’aristocrazia.
Le insorgenze contro-rivoluzionarie in Italia sono state "chiuse", oserei dire, d’autorità, cioè senza che venisse aperto un serio dibattito sia storiografico che sul piano della cultura nazionale. Mentre il cittadino italiano è stato — di volta in volta e con accento diverso al succedersi dei regimi — subissato di nozioni e di stimoli relativi ai due avvenimenti ritenuti "fondanti" la nazione italiana — il Risorgimento e la Resistenza antifascista —, non si è insegnato nulla sul comportamento degli italiani d’Antico Regime in occasione dello scontro fra la Rivoluzione francese e la cultura tradizionale del popolo italiano. Anche la cultura cattolica — in particolare quella "ufficiale", ossia quella come tale riconosciuta dall’
establishment —, forse per l’imbarazzo di dover menzionare una realtà che mette in radicale discussione la prospettiva di supina accettazione della modernità propria dei cattolici-democratici, ha emarginato questi episodi, i cui attori sono soggetti profondamente cristiani nella pratica religiosa e nei riferimenti culturali e perché soprattutto religiosi ne sono i moventi e le cause, tanto immediate quanto remote. Viceversa, le insorgenze sono un fatto che non si può sottovalutare anche perché, sotto il profilo storico-sociologico, costituiscono forse la prima eloquente modalità di espressione, in Italia, del confronto-conflitto fra società tradizionale e sacrale e modernità politica dopo il progressivo venire meno della Cristianità, conflitto non più solo limitato al piano culturale, ma vissuto drammaticamente nei fatti. Eppure, non vi è storia del movimento cattolico che affronti nel suo primo capitolo il tema delle insurrezioni contro-rivoluzionarie.Un’eccezione nel panorama delineato è costituita proprio dagli studi di Francesco Mario Agnoli. Lo storico bolognese, magistrato, già membro del Consiglio Superiore della Magistratura, ha iniziato a studiare le insorgenze fin dagli albori della ripresa d’interesse per il movimento contro-rivoluzionario pre-risorgimentale, che si registra nel mondo della storiografia intorno ai primi anni 1970, soprattutto con gli studi di Jacques Godechot, dopo il silenzio ottocentesco — non casuale — sui moti popolari e la loro riscoperta in chiave nazionalistica, operata negli anni 1930 da storici liberal-nazionali come Niccolò Rodolìco e Giacomo Lumbroso.
Gli interventi di Francesco Mario Agnoli con libri e con articoli — da specialista ma, contemporaneamente, da uomo di cultura dichiaratamente cattolico e militante — non sono da allora mancate. Per limitarsi ai libri, ricordo
Andreas Hofer, eroe cristiano (Res, Milano 1979), Rivoluzione, scristianizzazione, insorgenze (Krinon, Caltanissetta 1991), La conquista del Sud e il generale spagnolo José Borges (Di Giovanni, Milano 1994), nonché il romanzo Gli Insorgenti (Reverdito, Trento 1988; 2 a ed. riveduta, Il Cerchio, Rimini 1993). La
Guida introduttiva alle insorgenze contro-rivoluzionarie in Italia durante il dominio napoleonico (1796-1815) s’inserisce in questo continuum ormai pluriennale di contributi significativi e ne costituisce sotto un certo aspetto il frutto maturo, se è vero che, quando un ricercatore produce il "manuale" della propria materia di studio, è arrivato al culmine della propria ricerca. La guida si prefigge di fornire un primo orientamento storico, ma non puramente storico, al fenomeno delle insorgenze italiane.
A tal fine, nella prima delle quattro parti che lo compongono —
Il quadro storico (pp. 33-38) —, Francesco Mario Agnoli affronta le premesse storiche dei fatti — cioè le tappe della conquista dell’Italia da parte degli eserciti repubblicani francesi —, mentre nella successiva, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (pp. 39-45), tenta l’inquadramento del conflitto sotto il profilo sociologico — lo scontro fra modernità e società tradizionale e sacrale — ma, soprattutto, metafisico e teologico.Prosegue poi — nella terza parte,
I protagonisti (pp. 47-71) — tracciando i profili degli attori di questa pagina storica, che individua nei giacobini italiani, cioè nella minoranza rivoluzionaria che si pone immediatamente al servizio dell’occupante francese, nel clero, l’autentica élite delle classi popolari, nella "massa" cristiana, ossia nel popolo armato organizzato, e, infine, nei "capimassa", cioè nei leader che il popolo si dà. Dalla rassegna emergono figure notevoli, pur se ancora poco conosciute, come il barbet — l’insorgente piemontese — Antonio Francesco Richier, detto Contin, Bernardino Del Ponte di Vigo Lomaso nelle Valli Giudicarie, il milanese Branda Lucioni, l’enigmatico lombardo Giuseppe Lahoz e — perché no? — il colonnello borbonico Michele Pezza di Itri, meglio conosciuto come Fra’ Diavolo. L’opera termina — è la quarta parte,
Sconfitte e silenzi (pp. 73-91) — con un bilancio della storiografia in materia di insorgenze e con considerazioni, purtroppo amare, sulla collocazione delle insorgenze nella cultura nazionale "ufficiale" e sul ruolo di quest’ultima nell’educazione del cittadino.Il volumetto è aperto da un’introduzione di Marco Invernizzi (pp. 7-12), presidente dell’ISIN, l’Istituto per la Storia delle Insorgenze, che cerca di collocare il dibattito storico sulle insorgenze nel più ampio dibattito culturale e politico sulle modalità con cui è stato costruito lo Stato unitario "moderno" in Italia, al fine di effettuarne una valutazione critica serena e di evidenziarne anche i "nodi", mentre il tema è particolarmente vivo — si pensi solo al dibattito sul federalismo — e la riforma degli istituti fondamentali dello Stato nazionale sembra all’orizzonte.
Completano l’opera un accurato
Quadro cronologico dell’invasione franco-giacobina e del dominio napoleonico in Italia (1792-1815) (pp. 13-31) e nutriti Orientamenti bibliografici (pp. 93-125), corredati di puntuali valutazioni critiche. Si può dunque concludere che la guida, offrendo quanto meno la mappa del vero e proprio "magazzino" culturale nel quale le insorgenze sono state confinate, è di estrema utilità per aiutare a disseppellire un enorme "deposito" di
gesta italiche, una "pietra d’inciampo" di cui si è cercato di cancellare ogni vestigia, una pagina di storia nazionale che è stata espunta dai manuali, perdendo così un essenziale riferimento al fine di ricostruire e, quindi, di valutare correttamente e serenamente il processo di formazione dell’Italia moderna, soprattutto i suoi nodi ancora irrisolti, in questo modo rendendo — fra l’altro — difficoltosa la ricostruzione di un nuovo modello costituzionale, verso il quale tutte le forze politiche sembrano voler tendere e del quale fanno elemento prioritario nei propri programmi.
Oscar Sanguinetti