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La soia minaccia l'Amazzonia

La produzione di semi di soia, che suscita le ire degli ambientalisti per via della rapida diffusione delle varietà transgeniche, è oggetto di un'altra critica: un aumento della pressione sulla foresta amazzonica del Brasile.
2 novembre 2004 - Mario Osava
Amazzonia La produzione di semi di soia, che suscita le ire degli ambientalisti per via della rapida diffusione delle varietà transgeniche, è oggetto di un'altra critica: un aumento della pressione sulla foresta amazzonica del Brasile.
Sebbene i campi di soia non rimpiazzino direttamente le aree di foresta dell'Amazzonia, la loro diffusione nelle aree circostanti provoca un aumento dei prezzi della terra, spingendo altre pratiche agricole meno profittevoli, come l'allevamento, nelle foreste, spiega Roberto Smeraldi, coordinatore della Ong Friends of the Earth-Brasile.
Inoltre, la soia -- oggigiorno la principale fonte di esportazioni del Brasile -- sta avanzando grazie anche alla creazione di infrastrutture di trasporto, che contribuisce ulteriormente alla deforestazione migliorando l'accesso alla vasta regione amazzonica.
Ogni anno l'Amazzonica perde circa 25 mila metri quadri di foresta. Le colture di soia sono state introdotte nelle negli anni '60 nelle pampas meridionali del Brasile, dove il clima più simile a quello della Cina, da dove proviene la soia.
La produzione di soia ha cominciato poi a espandersi verso nord, e l'agenzia brasiliana per la ricerca agricola, EMBRAPA, ha sviluppato delle varietà più adatte ai climi tropicali. EMBRAPA, una rete di 40 centri di ricerca specializzati, ha svolto un ruolo chiave nello sviluppo agricolo del paese negli ultimi trent'anni.
La Ong denuncia l'espansione delle coltivazioni di soia nell'area di transizione fra il cosiddetto Cerrado - un ecosistema a savana - e l'Amazzonia, dove la deforestazione sta avendo un impatto negativo sul clima e la biodiversità dei due biomi.
In alcuni punti dell'Amazzonia, come la regione Santarém, nella parte occidentale dello stato settentrionale del Pará, c'è stata una "crescita esplosiva" delle colture di soai, dice Ane Alencar, una ricercatrice dell'Amazonian Environmental Research Institute.
Alcune aree di Santarém, circondata da foreste secondarie, sono state disboscate circa tre scoli fa, vicino un porto adibito all'esportazione di soia, ed è una "sacca di siccità", con una topografia ideale per le colture agricole su scala indusrtiale, sostiene la Alencar.
L'area coltivata è ancora relativamente piccola -- circa 30 mila ettari lo scorso anno -- ma è probabile che quest'anno aumenti di altre 20 mila ettari, "avanzando dentro la foresta tropicale... e ancora non sappiamo che impatto le monoculture di soia avranno sull'ecosistema", continua Ane Alencar.
Friends of the Earth ha individuato altre otto zone di espansione delle colture all'interno dell'Amazzonia o lungo i suoi confini, per di più nelle zone di savana, ma che minacciano la foresta tropicale.
L'esportazione di soia ha fatto aumentare il valore della terra lungo l'autostrada fra Cuiabá, capitale del Mato Grosso, e Santarém, incentivando l'appropriazione illegale di terre pubbliche. Le foreste vengono rase al suolo per dimostrare la proprietà, mentre i residenti di vecchia data vengono costretti ad andarsene.
Ma Homero Pereira, presidente della Federazione agricola dello stato centro-occidentale di Mato Grosso, nega che la produzione di soia sia dannosa.
Aggiunge inoltre che i coltivatori di soia sono "i migliori aziendalisti" e mettono "in pratica la conservazione", perché le colture crescono in aree precedentemente disboscate o adibite a pastorizia, la cui qualità viene migliorata fissando il nitrogeno alla terra, che viene così fertilizzata.
Quasi tutti gli agricoltori di soia praticano "la piantagione diretta", senza arare la terra, una tecnica sviluppata in Brasile per ridurre l'erosione del terreno e mantenere l'umidità della terra. La soia "non è una monocultura" perché viene alternata a cotone, granturco e rice, dice Pereira.
Lo stato del Mato Grosso, che è ricoperto da foresta amazzonica nella parte settentrionale, è oggi il principale produttore di soia del Brasile. Quest'anno il raccolto è arrivato a 15 milioni di tonnellate, il 30 per cento del totale nazionale. Dieci anni fa se ne producevano solo 5 milioni di tonnellate.
A partire dagli anni '80, la coltivazione di soia si è allargata rapidamente nel Cerrado, la savana di alberi di piccole dimensioni che copre un'ampia area del Brasile centrale, e alcune "isole" di terra dell'Amazzonia.
A causa del terreno acido e relativamente poco fertile, è stato necessario più tempo per trasformarlo in una regione agricola prospera.
Oggi è un'area molto ambita, perché grazie ai fertilizzanti il profilo produttivo è migliorato. Un altro dei vantaggi del Cerrado è un "periodo delle piogge ben definito" e un assetto geografico che facilita l'automazione agricola, ha detto a Tierramérica Paulo Roberto Galerani, un esperto di colture di soia della EMBRAPA.
L'ecosistema del Cerrado e il suo clima favorevole permettono agli agricoltori del Mato Grosso di raccogliere "fra 3100 e 3200 chili di soia per ettaro", una produttività che eccede la media nazionale di 2500 chili per ettaro, ha detto il presidente della Federazione agricola Pereira.
Le coltivazioni di soia si estendono attualmente su 5 milioni di ettari, un'area che potrebbe raddoppiare "semplicemente recuperando le terre adibite a pastorizia e ormai degradate"; in tal modo, non sarebbe necessario avanzare dentro l'Amazzonia, dove "la soia non cresce" a causa del terreno debole e dell'eccesso di umidità, ha detto.
Geraldo Eugenio de França, sovrintendente della ricerca e sviluppo di EMBRAPA, ha detto che il paese potrebbe usare razionalmente 60 milioni di ettari di aree degradate, raddoppiando così le aree coltivate del Brasile.
Sarebbe possibile in tal modo raddoppiare la produzione di cibo, fibre e altri prodotti agricoli senza distruggere le foreste dell'Amazzonia, ha sostenuto.
EMBRAPA è "il braccio dello sviluppo sostenibile", ha aggiunto, e rifiuta decisamente "sia il business agricolo incontrollato sia l'ambientalismo radicale".