martedì 26 novembre 2013

La Repubblica Romana del 1849 : oscuro preludio dell'ora presente - parte 1°-.

                                                                          Introduzione.


Repubblica Romana - Mappa
Ci è stato insegnato che nel 1849 la popolazione romana "oppressa dal millenario giogo pontificio" risorge a nuova gloria sotto la guida di un triumvirato (Mazzini, Saffi, Armellini) che le "ridona la libertà". Quello che è certo è che gli uomini che hanno "liberato" la città eterna erano tutti, o quasi, rigorosamente stranieri e praticamente tutti settari. Il fatto è strano. Come si fa a ritenere che il genovese, settario e satanista Mazzini, il nizzardo e criminale Garibaldi, il genovese e sovversivo ministro della guerra Avezzana, il friulano  e fuoriuscito Dell’Ongaro direttore del giornale ufficiale Monitore Romano, il napoletano esiliato Saliceti redattore della Costituzione (l’elenco è lungo) e tutti i rivoluzionari e settari che da ogni dove calarono a Roma, potevano  occuparsi della città eterna con diritto legittimo e con più lungimiranza e buon governo del Papa e per il bene del popolo romano? Per rispondere a questa e ad altre domande è necessario narrare i fatti così come furono realmente...dal principio...




                                                                      L'inizio della fine.




I moti rivoluzionar-settari-costituzionali del 1848. 



La rivolta di Palermo del 12 gennaio 1848
in una stampa risorgimentalista d'epoca.


Le vicende che portarono alla proclamazione della nefasta Repubblica Romana ebbero inizio dai piani settari che , durante il congresso massonico del 1847 che decise e pianificò lo scoppio delle insurrezioni verificatesi l'anno seguente,  nel gennaio 1848 diedero l'imput  rivoluzionario che scoppiò con l'insurrezione di Palermo contro il legittimo governo dei Borbone il 12 dello stesso mese. Seguì un glope dei liberali a Napoli, il 27 gennaio, che portò alla decisione , due giorni dopo, di Ferdinando II di concedere una  Costituzione liberal-moderata, promulgata l'11 febbraio. Lo stesso 11 febbraio Leopoldo II di Toscana, cugino e alleato  dell'imperatore e Re del Lombardo-Veneto Ferdinando I d'Austria, concesse anch'egli la Costituzione, nella generale approvazione dei liberali del Granducato. Entrambe le decisioni vennero accolte malamente dal popolo che sospettava l'inganno dei "signori".
Dopodiché gli eventi si susseguirono incalzanti: il 22-24 febbraio la rivoluzione settaria a Parigi si trasformò nell'instaurazione della Seconda Repubblica Francese di Luigi Napoleone; il 4 marzo "il tentenna" Carlo Alberto concesse  lo Statuto Albertino; il 14 marzo Pio IX, volendo dare una possibilità ai liberali moderati e con l'aiuto del ministro Pellegrino Rossi,  concesse lo statuto; il 13 marzo ci fu un'insurrezione settaria a Vienna che portò il  Metternich alle dimissioni; il 17 marzo una  manifestazione borghese a Venezia impose al governatore la liberazione dei detenuti politici, fra cui il settario Daniele Manin; infine il 18 marzo iniziarono le "cinque giornate di Milano".



Le speranze e le illusioni di inizio 48.


Pio IX benedisce i "combattenti per l'Indipendenza Italiana"
(litografia risorgimentalista del 1850)


La notizia delle "cinque giornate di Milano" causò un vero e proprio sconvolgimento politico nell'intera penisola italiana: il 21 marzo Leopoldo II di Toscana, spinto dalle serpi liberali che lo circondavano, dichiarò guerra all'Impero d'Austria ed inviò il piccolo esercito al comando del generale Cesare De Laugier verso il Quadrilatero, mentre due giorni dopo l'ambizioso Carlo Alberto passò il Ticino e si mise in marcia verso Milano profittando dell'assenza di truppe Imperial-Regie.

Il 24 marzo Pio IX permise la partenza da Roma per Ferrara di un Corpo d'Operazione al comando del generale, e pessimo elemento,  Giovanni Durando. Si trattava di un ben completo corpo di spedizione, in assetto da campagna, per un totale di 7 500 soldati e più di 3 000 volontari; seguiti, due giorni dopo, da un corpo di volontari, la Legione dei Volontari Pontifici, formato da uomini, circa 7 000, provenienti dai territori Pontifici,  affidato al generale Andrea Ferrari. Una forza tutt'altro che trascurabile, se si considera che l'esercito di Carlo Alberto ne contava circa 30 000 (un numero spropositato per le dimensioni del suo Stato). E ad essi andavano aggiunti i 7 000 toscani e, quando fossero giunti, i 16 000 napoletani. Le buone aspettative di quell'inizio di 48 , che spinsero anche parte del popolo a partecipare alle operazioni come volontari , era destinato ben presto ad infrangersi con la trista realtà.


L'illusione si fa concreta: Pio IX si ravvede.




Papa Pio IX.



Nel frattempo Pio IX, accortosi e avvisato del mutare nefasto della marea da coloro che più li stavano vicino,  cominciò  a prendere le distanze dai fanatici  entusiasmi patriottici dei mesi precedenti. Con l'Allocuzione al concistoro del 29 aprile 1848 condannò la guerra all'Austria:
« ai nostri soldati mandati al confine pontificio raccomandammo soltanto di difendere l'integrità e la sicurezza dello Stato della Chiesa. Ma se a quel punto alcuni desideravano che noi assieme con altri popoli e principi d'Italia prendessimo parte alla guerra contro gli Austriaci... ciò è lontano dalle Nostre intenzioni e consigli. »





Concludeva invitando i popoli d'Italia a
« restare attaccati fermamente ai loro principi, di cui sperimentarono già la benevolenza e non si lascino mai staccare dalla debita osservanza verso di loro. »





Egli si trovava, infatti, nella situazione di aver concesso fiducia alla cricca liberale  , che si dimostrò , come auspicabile, ingannatrice e menzoniera,  e nel contempo si trovava a combattere una grande potenza cattolica:
« abbiamo saputo altresì che alcuni nemici della religione cattolica hanno colto da ciò occasione per infiammare gli animi dei tedeschi alla vendetta e staccarli dalla Santa Sede … I popoli tedeschi pertanto non dovrebbero nutrire sdegno verso di Noi se non ci fu possibile frenare l'ardore di quei nostri sudditi che applaudirono agli avvenimenti antiaustriaci dell'Italia settentrionale … altri sovrani europei, che dispongono di eserciti più potenti del nostro non hanno potuto di recente frenare l'agitazione dei loro popoli. »





Pio IX si era perfettamente reso conto di stare combattendo una guerra la cui vittoria avrebbe beneficiato solo il Regno di Sardegna: Pio IX era in linea con tutti i Principi d'Italia per la creazione di una Confederazione Italiana ; l'unico ostacolo a ciò arrivava direttamente dal Regno di Sardegna di Carlo Alberto e dal suo governo liberal-settario.



Il tradimento del Durando.



File:Anonimo - ritratto di Giovanni Durando - litografia - ca. 1850.jpg
Giovanni Durando.


Nel frattempo, le truppe del Durando, che ricordiamo era liberale e vicino alla setta, erano entrate nel territorio Veneto , a Padova e Vicenza, evacuate strategicamente da Costantino d'Aspre sin dallo scoppio delle "cinque giornate", per portarsi  a Verona, Piazzaforte chiave per la difesa del Regno Lombardo-Veneto , ove si era ricongiunto con il Feldmaresciallo Radetzky, che giungeva da Milano.
Informato dell'allocuzione del 29 aprile, l'esercito pontificio si spacco in due subendo delle istigazioni dal Durando affinchè disubbidissero al Papa. Così , una parte di sprovveduti soldati rimase con il Durando seguendo i suoi piani : coprire le città non controllate dal governo legittimo del Veneto, appoggiandosi alla rivoluzionaria  Venezia, governata dal fanatismo del Manin.
Il Durando non venne mai raggiunto dai notevoli rinforzi (circa 16 000 uomini) inviati dal Regno delle Due Sicilie, giunti al Po ed in procinto di entrare in Veneto. Precedentemente al passaggio del fiume, infatti, quel corpo di spedizione venne raggiunto dall'ordine di S.M. Ferdinando II di Borbone di rientrare a Napoli: Ferdinando II si ritrovò in una situazione critica dopo aver dato anch'egli fiducia ai liberali; egli venne tradito da questi e si ritrovò le barricate nella capitale. L'ordine sovrano venne rifiutato  solo dal carbonaro e generale Guglielmo Pepe, uno scarso soldato filo-giacobino, insieme ad una sparuta parte dell'artiglieria ed al genio  con le quali raggiunse Venezia, ove gli venne affidato il comando supremo delle truppe rivoluzionarie. Il Pepe non poté, e non tentò nemmeno in alcun modo, si sostenere  il compagno Durando.

Guglielmo Pepe.


Quando  Radetzky, spostatosi verso occidente in seguito alla battaglia di Goito, rovesciò il fronte e portò l'intero esercito (circa 40 000 uomini) direttamente su Vicenza. Durando venne investito il 10 giugno: in una difesa assai confusa e non molto onorevole i suoi uomini dovettero, infine, capitolare. Secondo i patti, l'esercito di Durando sgombrò Vicenza e Treviso e promise di non combattere gli Imperial-Regi per tre mesi. In cambio, venne loro onorevolmente concesso di evacuare oltre il Po.




Poi venne la serie di scontri passati alla storia come la battaglia di Custoza, il 23-25 luglio. Di lì il tentenna  Carlo Alberto, rimasto solo dopo aver mostrato il suo vero volto,  cominciò una veloce, e disordinata , ritirata verso l'Adda e Milano. Giunto in Milano, e accolto in malo modo dai milanesi che apsiravano ad un rientro del governo legittimo, ordinò al suo esercito, il 4 agosto , al termine della battaglia, di chiedere l'armistizio. I preliminari vennero sottoscritti il 5, il definitivo il 9, a Vigevano. Gli Imperiali non avevano, tuttavia, atteso tanto per entrare nello Stato della Chiesa: dopo una prima incursione, probabilmente con fini di perlustrazione , vennero respinti dai rivoluzionari di Sermide.


File:Carlo Alberto busto.jpg
Carlo Alberto di Savoia-Carignano.


Non appena Carlo Alberto di Savoia-Carignano si mise in marcia per Milano, Radetzky inviò il generale Franz Ludwig Welden e passò il Po verso Ferrara a partire dal 28 luglio (mentre Franz Joachim Liechtenstein marciava su Modena e Parma, per liberarle e ristabilirvi il legittimo governo). Dopo un'avanzata che si segnalò per correttezza Welden prese posizione a  Ferrara e si presentò alle porte di Bologna. Qui, il podestà Cesare Bianchetti cercò un accomodamento, ma avvenne un incidente e Welden  ordinò alle truppe l'ingresso in città. Al che alcuni facinorosi rivoluzionari insorsero e, il 9 agosto, Welden, ingannato dalla confusione sopraggiunta, decise di ripiegare verso il Po.
 Welden, però,  agiva senz'alcuna autorizzazione da parte del governo Pontificio e, anzi, Pio IX aveva protestato energicamente: scrisse di "invasione austriaca" e smentì "altamente ... le parole del signor maresciallo Welden … dichiarando che la condotta del signor Welden stesso è tenuta da Sua Santità come ostile alla Santa Sede ed a Nostro Signore". Anche i liberali bolognesi si comportarono da "fedeli sudditi" di Pio IX e, infatti, ricevettero il plauso del ministro degli interni del governo papale, il conte Fabbri, che in un proclama ai Romani, parlò di "tracotanza dell'insolente straniero", "eroica difesa", "attentato allo Stato della Chiesa".




                                                           Roma sull'orlo dell'abisso.


La crisi investe Roma.



Nel frattempo, a Roma e in altre zone dello Stato della Chiesa, Pio IX aveva cominciato a risentire di una crescente opposizione politica da parte dei liberali, dovuta all'allocuzione del 29 aprile: i liberali erano convinti di aver ingannato il Pontefice unendolo d'inganno alla "causa nazionale" che non era per nulla in linea con i progetti per una Confederazione Italiana ; la traccottanza dei liberali derideva il saggio richiamo alla "desiderata pace e concordia".
Litografia ballagny, fine XIX sec. carlo antonelli.JPG
Cardinale Giacomo Antonelli.


Già nei giorni successivi, a Roma la Guardia Civica, composta da borghesi e comandata da teste calde venute da fuori,  aveva occupato Castel Sant'Angelo e le porte della città. Mentre giungevano al capo di governo, cardinale Giacomo Antonelli, le ridicole rimostranze del liberal settario governo sardo, del rivoluzionario governo toscano, dei rappresentanti di Sicilia (una Sicilia in balia della Rivoluzione), e dei gruppi rivoluzionari di Lombardia e Venezia.
Seguivano le dimissioni di ben sette ministri di convinzione liberale (fra cui Marco Minghetti).  Un proclama papale del 1º maggio, in cui,  il pontefice ribadiva che "Noi siamo alieni dal dichiarare una guerra, ma nel tempo stesso Ci protestiamo incapaci di frenare l'ardore di quella parte di sudditi che sono animati dallo stesso spirito di nazionalità degli altri Italiani". Pio IX invitava saggiamente i sudditi ad essere obbedienti nei confrontoi del loro governo legittimo. Il corpo di spedizione, dopo la diserzione di una parte di esso,  veniva descritto come "figli e sudditi che già si trovano senza nostro volere esposti alle vicende della guerra".
Dopodiché, il 3 maggio Pio IX compiva un  tentativo di raddrizzare la situazione: affidando l'incarico per un nuovo governo al conte Terenzio Mamiani e scrivendo una lettera privata a Ferdinando I d'Austria, contenente l'invito a concedere autonomie  più larghe  al Lombardo-Veneto.
Ferdinando I d'Austria.


Da Ferdinando I , il quale si trovava in una situazione assai critica ,non giunse risposta; Mamiani (dopo aver inaugurato il parlamento romano il 5 giugno), diede a sua volta le dimissioni (12 luglio) per dissenso rispetto alla linea strettamente neutralista del pontefice, esattamente come il predecessore Minghetti.
Il 2 agosto Mamiani venne sostituito da Odoardo Fabbri. Il nuovo governo inviò nelle Legazioni il meschino e subdolo Luigi Carlo Farini, segretario generale al Ministero dell'Interno. Giunto il 2 settembre, Farini si adoperò a suo modo per ripristinare l'ordine pubblico.  Ciò costrinse il ministero alle dimissioni, rassegnate il 16 settembre.









Il Governo del Pellegrino Rossi: tra speranza e cospirazioni.


Pellegrino Rossi.


Pio IX , allora,  sostituì Fabbri con il Conte Pellegrino Rossi, liberal-moderato, già ambasciatore di Luigi Filippo d'Orleans , rimasto a Roma dopo la rivoluzione del febbraio 1848. Rossi si mostrò attento alla pacificazione delle parti , decretando sussidi e pensioni ai feriti e alle vedove di guerra e chiamò a dirigere , e questo fu un grosso errore , il dicastero della Guerra il generale Carlo Zucchi, già generale di Eugenio di Beauharnais e nazionalista risorgimentale, con il risultato di alienargli i favori della Curia e degli ambienti conservatori e anche dei  rivoluzionari .
Quanto all’ordinamento migliore per  l’Italia il pensiero prediletto del Rossi era la Lega, ed a convalidarlo riportiamo un brano delle memorie di Pier Silvestro Leopardi il quale ebbe col Rossi un colloquio precisamente su questo proposito. Ecco come passaronsi le cose:

Pier Silvestro Leopardi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario del governo di Napoli presso Carlo Alberto, giunse in Roma il 22 di agosto, dopo la conclusione dell’armistizio Salasco, ed il 28 si abboccò col Rossi, ed ebbe agio di ammirare la sua alta intelligenza che (com’esso dice) sapeva d’un guardo scandagliare le piaghe non che d’Italia, d’Europa e del mondo, e con una parola indicarne il rimedio. Venuti nel discorso delle cose d’Italia: « La Lega – ei diceva – Enorme fu lo sbaglio dei ministri piemontesi, che non afferrarono subito, e di gran cuore, le proposte della Lega italiana, fatte dal papa e dal re delle due Sicilie. La Lega avrebbe salvato l’Italia. E di presente, la Lega fra il Piemonte, la Toscana e Roma, può sola ricondurre Napoli sulla buona via, e salvarla ancora; senza la Lega, la mediazione anglofrancese non farà frutto alcuno ».

E siccome il pontefice era per la lega, come lo attesta anche il Leopardi che lo vide e gli parlò in proposito, e perché il pontefice stesso ne parlò e la raccomandò, dopo fatta la risposta al discorso del Consiglio dei deputati del 20 luglio passato, così è chiarissimo, e viene spiegato lucidamente come avendo il Santo Padre rinvenuto nel Rossi un ministro di polso, che alla lega mostravasi favorevolissimo (prescindendo ancora da tutti gli altri suoi meriti personali), simpatizzasse cotanto col medesimo e gli affidasse l’assestamento delle cose dello Stato Pontificio.


Antonio Rosmini.


 Rosmini venne in Roma, mandatovi  dal Gioberti , il 15 di agosto, e secondo il Leopardi, consenziente il pontefice, veniva distendendo il seguente progetto:

« Fin da quando i tre governi di Roma, Torino e Firenze formarono la Lega doganale fu loro pensiero di addivenire ad una Lega politica, che fosse come il nucleo cooperatore della nazionalità italiana, e potesse dare all’Italia quell’unità di forza che è necessaria alla difesa interna ed esterna ed allo sviluppo regolare e progressivo della prosperità nazionale. Il quale intento non potendosi ottenere in modo compiuto e permanente, se la indicata Lega non prende la forma di una Confederazione di stati, i tre governi suddetti costanti nel proposito di ridurre a pieno effetto il loro divisamento, e proclamare in faccia all’Italia e all’Europa che esiste fra loro la predetta Confederazione, come altresì per istabilire le prime basi della medesima, deputarono a loro plenipotenziari:
Sua Santità ecc.
S. M. il re di Sardegna, ecc.
S. A. imperiale e reale il gran duca di Toscana, ecc.
I quali scambiati i loro pieni poteri, ecc.
Convennero fra di loro nei seguenti articoli, che riceveranno valore di formale trattato dopo la ratifica delle altre parti contraenti:
Articolo I. Fra gli stati della Chiesa, del re di Sardegna e del gran duca di Toscana è stabilita perfetta Confederazione, colla quale, mediante l’unità di forze e d’azione, sieno guarentiti i territori degli stati medesimi, e sia protetto lo sviluppo progressivo e pacifico delle libertà accordate e della prosperità nazionale.
Articolo II. L’augusto ed immortale pontefice Pio IX, mediatore ed iniziatore della Lega e della Confederazione, ed i suoi successori ne saranno i presidenti perpetui.
Articolo III. Entro lo spazio di un mese dalle ratifiche della presente Convenzione, si raccoglierà in Roma una rappresentanza dei tre stati confederati, ciascuno de’ quali ne invierà tre, e verranno eletti dal potere legislativo, i quali saranno autorizzati a discutere e stabilire la Costituzione federale.
Articolo IV. La Costituzione federale avrà per iscopo di organizzare un potere centrale che dovrà essere esercitato da una Dieta permanente in Roma, i cui uffici principali saranno i seguenti:
1° Dichiarare la guerra e la pace; e tanto pel caso di guerra, quanto in tempo di pace ordinare i contingenti de’ singoli stati necessari tanto all’esterna indipendenza, quanto alla tranquillità interna.
2° Regolare il sistema delle dogane della confederazione, e far l’equo comparto delle relative spese ed entrate fra gli stati.
3° Dirigere e stipulare trattati commerciali e di navigazione con estere nazioni.
4° Vegliare alla concordia e buona intelligenza fra gli stati confederati e proteggere la loro uguaglianza politica; esistendo nel seno della Dieta una perenne mediazione per tutte le controversie che potessero insorgere fra di essi.
5° Provvedere all’uniformità del sistema monetario, de’ pesi e delle misure, della disciplina militare, delle leggi commerciali; e concertarsi cogli stati singoli per arrivare gradatamente alla maggiore uniformità possibile anche rispetto alle altre parti della legislazione politica, civile, penale e di procedura.
6° Ordinare e dirigere, col concorso e di concerto coi singoli stati, le imprese di universale vantaggio della nazione.
Articolo V. Rimarrà libero a tutti gli altri stati italiani di accedere alla presente Confederazione.
Articolo VI. Il presente trattato sarà ratificato dalle alte parti contraenti entro lo spazio di un mese e più presto se sarà possibile ».

Ma in merito al progetto della Lega, che fu lo scopo per cui il Rosmini andò a Roma, dato che il voluto cambiamento di ministero accaduto nel frattempo in Piemonte per la caduta del Gioberti portò cambiamenti nelle idee di quel governo corrotto, il Rosmini sembrava indubitato che dopo un mese d’aspettazione ricevette per risposta che quel ministero "maturamente considerata ogni cosa, non credeva tempo opportuno d’intavolare negoziati per una confederazione italiana", e quindi gl’inviava furbescamente un progetto di semplice lega, ossia di un’alleanza offensiva e difensiva da negoziare col governo romano.
E questo progetto ministeriale non piaciuto affatto al Rosmini, fece sì che egli si scusasse dall’iniziar le trattative e pregasse il ministero di affidare ad altri un simile incarico. Fu allora che il governo del Piemonte mandò a Roma il consigliere De Ferrari, sostituito al Rosmini, e che il Rossi elaborò il suo progetto o schema di lega, che può leggersi nel secondo volume del Farini.

L'Assassionio di Pellegrino Rossi.
Questo tipo di politica Federalista non piaceva ai circoli liberal-settari, a coloro che andavano a organizzare la Rivoluzione , e per ciò il Rossi si ritrovò circondato da nemici. Nonostante le sue buone intenzioni egli , il 15 novembre , alla riapertura del Parlamento, venne accoltellato a morte per mano del figlio del "capopolo" mazziniano Ciceruacchio il quale ricevette l'ordine direttamente dal suo "maestro" (Mazzini).
In serata lo stesso Ciceruacchio, insieme a Carlo Luciano Buonaparte,  inscenò sotto il Palazzo del Quirinale una tumultuosa manifestazione, per chiedere "un ministro democratico, la costituente italiana e la guerra all'Austria". La folla composta da gente proveniente da fuori Roma , prezzolati e sgherri, portò anche un cannone, che puntò contro il palazzo: si venne allo scontro a fuoco con la fedele Guardia Svizzera Pontificia al termine del quale restò ucciso un monsignore addetto ai Sacri Palazzi. Pio IX convocò il corpo diplomatico e affermò: "Accettare le condizioni [della Rivoluzione] sarebbe per me abdicare ed io non ne ho il diritto "; dichiarò davanti al corpo diplomatico che agiva sotto costrizione e che considerava nulle tutte le concessioni che avrebbe fatto. Dopodiché incaricò il democratico Giuseppe Galletti di formare un nuovo governo. La scena si ripeté due giorni più tardi, la sera del 17, quando la stessa folla armata si ripresentò davanti al Quirinale, chiedendo l'allontanamento degli Svizzeri. Ancora una volta Pio IX preavvisò il corpo diplomatico e cerco di mediare alle pressioni dei facinorosi. Il Papa nominò mons. Carlo Emanuele Muzzarelli (un alto prelato di tendenze  liberali) Capo del governo (costituito da 6 ministri). In questa situazione così critica errare era divenuto quasi inevitabile.

Il Papa si mette in salvo a Gaeta e Roma cade vittima della Rivoluzione.



Pio IX si rivolge ai suoi sudditi da Gaeta.
Documento autografato datato
27 novembre 1848.

La sera del 24 novembre, costretto dai nefasti eventi, il Papa si mise in salvo lasciando a malincuore  Roma, vestito come un semplice sacerdote, in carrozza chiusa ed accompagnato da un suo collaboratore segreto. Raggiunse il Conte Spaur, ambasciatore di Baviera e, la sera del 25, era già al sicuro nella fortezza di Gaeta. Pio IX si pose sotto la protezione del grande Ferdinando II . Successivamente richiese l'intervento delle potenze cattoliche per ristabilire l'ordine legittimo e la prosperità nello Stato Pontificio.
Lo scontro delle parti si acuì: da Gaeta il Papa nominò una Commissione governativa cui affidava la gestione temporanea degli affari pubblici, esautorando il governo. A Roma, dove le istituzioni erano in mano al "Circolo popolare", il Consiglio dei deputati confermò i poteri del governo e decise di avviare delle trattative con il Papa. Il 6 dicembre una delegazione di consiglieri partì per Gaeta con l'apparente intenzione di trattare. I consiglieri , ritenuti sospetti e mazziniani, vennero fermati a Portello, sul confine napoletano, dalle Regie truppe dell'esercito delle Due Sicilie . I delegati  ritornarono così  a Roma.
A Roma il 12 dicembre il Consiglio dei deputati nominò, senza alcun diritto legittimo, una “provvisoria e suprema Giunta di Stato” cui erano devoluti tutti i poteri di governo. Da Gaeta il 17 dicembre il Papa emise un motu proprio con cui, sostenendo l'avvenuta “usurpazione dei Sovrani poteri”, dichiarava sacrilega la costituzione della Giunta. Il 20 dicembre la Giunta emise un proclama in cui prometteva la convocazione di una "Costituente romana".




Terenzio Mamiani della Rovere.

Il 23 si dimisero i ministri Mamiani, Lunati e Sereni. Furono sostituiti effettuando un rimpasto di governo. Furono chiamati i liberal-settari Carlo Armellini, cui fu affidato il dicastero dell'Interno, Federico Galeotti, che assunse quello della Giustizia, e Livio Mariani, cui andò quello delle Finanze. Mons. Muzzarelli, oltre alla presidenza del Consiglio e al ministero dell'Istruzione, prese il portafoglio degli Esteri.
Il 26 la Giunta sciolse le due Camere. Il 29 convocò le elezioni per il 21-22 gennaio 1849.
Il pomposo decreto diceva:
Decreto di indizione delle elezioni per l'Assemblea Costituente (29/12/1848)
È convocata in Roma un'Assemblea Nazionale, che con pieni poteri rappresenti lo Stato romano.
L'oggetto della medesima è di prendere tutte quelle deliberazioni che giudicherà opportune per determinare i modi di dare un regolare, compiuto e stabile ordinamento alla cosa pubblica, in conformità dei voti e delle tendenze di tutta o della maggior parte della popolazione.
Sono convocati i comizi per le elezioni del 21 gennaio 1849.
Duecento il numero dei rappresentanti.
Il voto sarà diretto e universale.
Gli elettori tutti i cittadini dello Stato dagli anni ventuno compiuti, che vi risiedono da un anno e non privati dei diritti civili.
Eleggibili tutti i medesimi che abbiano compiuto l'età di 25 anni.
Il 5 di febbraio destinato all'apertura dell'Assemblea.
Il 1º gennaio il Papa emanò un motu proprio con il quale condannò la convocazione dell'Assemblea Costituente e comminò la scomunica sia a coloro che avevano emanato il provvedimento sia a coloro che avessero partecipato alla consultazione elettorale. Le elezioni si svolsero comunque e decretarono la vittoria dei radicali. Legittimisti e moderati, le componenti fedeli  al pontefice, infatti, non si recarono ai seggi e presero nette distanze dal governo rivoluzionario.
Vennero eletti con astuzia  179 individui che si voleva far credere "Rappresentanti del popolo". Per dare un carattere nazionale e nazionalista all'Assemblea, si elessero furiusciti  degli altri Stati italiani fedeli alla Rivoluzione. Tra di essi, il criminale e mercenario Giuseppe Garibaldi, eletto dai settari a Macerata, e il diabolico Giuseppe Mazzini.


Fine Prima Parte...



Fonte:

Wikipedia (immagini).

 Giacinto De Sivo, STORIA DELLE DUE SICILIE DAL 1847 AL 1861, VOLUME SECONDO, Roma, 1864, pp. 92-93.
 Giuseppe Spada, STORIA DELLA RIVOLUZIONE DI ROMA E DELLA RESTAURAZIONE DEL GOVERNO PONTIFICIO DAL 1 GIUGNO 1846 AL 15 LUGLIO 1849, Firenze, 1869, Volume Secondo, pp. 471-477. A partire dalla successiva, le note sono quelle originali dello Spada.
 
Farini Volume II.

Scritto da:

Redazione A.L.T.A.