martedì 23 giugno 2015

LA PROPRIETÀ (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)

Jean-Baptiste Henri Lacordaire



Dio ha dato la terra all'uomo, dice Lacordaire, e con la terra un'attività che la feconda e la rende
obbediente a' suoi bisogni. Questo dono primitivo costituisce, in favore del genere umano, una
doppia proprietà, la proprietà del suolo e la proprietà del lavoro. La questione non è dunque di
sapere se la proprietà debba essere distrutta, poiché essa esiste necessariamente per ciò solo che
l'uomo è un essere attivo, e che nessuno, tranne Iddio, può strappare la terra dalle sue mani. Ma la
questione è di sapere su chi riposa la proprietà, se è un dono fatto a ciascuno di noi, o, al contrario,
un dono indivisibile e sociale, di cui non si potesse pretendere che una parte dei frutti distribuiti
dalla società, secondo certe leggi.
"La tradizione, sanzionata dal Vangelo, consacra la proprietà sotto la sua forma individuale;
secondo la tradizione ed il Vangelo, Dio avrebbe detto all'uomo: "Tu sei il padrone del tuo lavoro,
poiché il tuo lavoro è la tua attività, la tua attività, sei tu stesso. Toglierti il dominio del tuo lavoro,
sarebbe lo stesso che toglierti il dominio della tua attività, cioè il possesso di te stesso, di ciò che ti
fa un essere vivente e libero. Tu sei adunque il signore del tuo lavoro. Tu lo sei anche della terra
nella porzione che il tuo lavoro l'avrà fecondata, poiché il tuo lavoro è niente senza la terra; e la
terra è niente senza il lavoro; l'uno e l'altra si sostengono e si vivificano reciprocamente. Quando tu
adunque avrai mescolato i tuoi sudori alla terra, e l'avrai così fecondata, essa ti apparterrà, poiché
sarà divenuta una parte di te stesso, la prolungazione del tuo proprio corpo; essa sarà stata
impinguata colla tua carne e col tuo sangue, ed è giusto che te ne resti il dominio, affinché ti resti il
dominio sopra te stesso. Io ho, è vero, come creatore, una prima parte, ma Io te l'abbandono, ed
unendo perciò quello che viene da parte mia a quello che viene da parte tua, il tutto è tuo. La tua
proprietà non finirà colla tua vita, tu potrai trasmetterla alla tua discendenza, perché la tua
discendenza è la continuazione di te stesso, perché vi è unità tra il padre ed i figli, e diseredare
questi dalla terra patrimoniale sarebbe diseredarli dai sudori e dalle lagrime del proprio padre. A chi
ritornerebbe allora questa terra del suo dolore e del suo sangue? Ad un altro che non l'avrebbe
lavorata. È più conveniente che tu sopravviva a te stesso e la conservi nella tua posterità"".
Meglio non si può dire. La proprietà, questo diritto il quale fa che una cosa appartenga in proprio a
qualcuno, ad esclusione di ogni altro, riposa dunque, come precedentemente abbiamo stabilito, sul
principio di causalità. Ogni cosa appartiene a chi l'ha fatta, nella proporzione in cui ne è l'autore.
Al principio di causalità i democratici vogliono sostituire quello della eguale od almeno della
conveniente ripartizione. Questo concetto sentimentale non si deduce né dalla legge divina, né dalla
ragione, e dà alla proprietà una base assolutamente falsa. La sua legittimità, come dicemmo, si
deduce unicamente dal diritto che dà il fatto di avere prodotto. Tuttociò che è stato creato col lavoro
o acquistato col merito: beni immateriali, quali i titoli di nobiltà, o le distinzioni regolarmente
ottenute, beni mobili od immobili dei particolari e delle società, società civili o società religiose,
tutto questo è la legittima proprietà di colui che l'ha acquistata regolarmente senza riguardo a ciò
che altri hanno o non hanno.
La proprietà così intesa, non è solamente legittima, ma necessaria.(1) Senza di essa il capitale, dal
quale viene ogni cosa, al quale tutto si attacca nella società e nella vita umana, non potrebbe
formarsi e non esisterebbe.
Papa Leone XIII 

Come dice Leone XIII (Enciclica Rerum novarum "La ragione intrinseca del lavoro, il fine
immediato ch'ebbe di mira il lavoratore, è la conquista ed il possesso d'un bene in proprio e come a
lui appartenente". Se egli non avesse lo stimolo dell'acquisto d'un bene, che sarà suo, mai non si
risolverebbe a lavorare più di quello che richiedono i suoi attuali bisogni, o, se questo avvenisse,
sarebbe per consumare più che non esigono i suoi bisogni. Egli non porrebbe mai le basi d'un
capitale qualunque. "Il capitale - dice B. di Saint-Bonnet - cominciò il giorno in cui gli uomini,
appagati i loro bisogni, ebbero la possibilità e la saggezza di risparmiare. Se la proprietà non fosse
sorta immediatamente, i bisogni avrebbero eternamente consumato i prodotti; questo capitale
prezioso che doveva costituire tutto l'avvenire dell'umanità non sarebbe fondato, e noi saremmo
nello stato selvaggio.
La proprietà, è dunque la culla in cui il capitale deve necessariamente essere ricevuto fin dalla sua
nascita, sotto pena di perire. È altresì il baluardo che lo protegge contro le cupidigie sempre pronte a
divorarlo; cupidigie interne e cupidigie esterne; cupidigie del proprietario, che è tentato a godere,
ma non vuole diminuiscano i suoi beni; cupidigie degli estranei che vorrebbero impadronirsene, ma
che il proprietario, forte del suo diritto, difende. Il padrone nell'antichità, più tardi il feudatario, oggi
il proprietario, sono stati e sono, per l'uso dei diritti che la proprietà conferisce, un ostacolo
necessario alle concupiscenze dell'uomo decaduto. Dico necessario, poiché senza di essi non vi
sarebbe oggi un pollice di capitale sulla terra; e, senza il capitale, non vi sarebbe mai stato civiltà, e
ben presto non vi sarebbero più uomini.
Non solamente la proprietà deve esistere per accogliere fin dalla nascita il capitale, per conservarlo
e difenderlo, ma essa sola può farlo valere pel maggior bene della società.
Se il capitale accumulato dal lavoro dei secoli fosse un bene comune, resterebbe improduttivo,
poiché, chi si darebbe la pena di farlo fruttificare per vedersene rapire i frutti? Laddove, se è un
bene particolare, coloro che ne sono i proprietari, sapendo e vedendo che la ricchezza che hanno fra
le mani, fecondata dal lavoro, produrrà senza tregua a loro vantaggio, a vantaggio dei loro figliuoli,
si guarderanno bene dal lasciarlo ozioso. Sanno pure che se il capitale produce, non produce che in
quanto è messo in azione. E noi vediamo che non è posto in azione se non da chi ha interesse di
farlo, cioè da colui che dal suo impiego può aspettarsi un aumento di beni, il proprietario.
Il popolo s'immagina volontieri che la fortuna dei ricchi sia là in permanenza a loro disposizione
nella loro casa e nella loro cassa; niente di più erroneo, eccezione fatta di qualche avaro. I capitali
non fanno che passare fra le mani del proprietario, degli industriali, dei commercianti. Entrano ed
escono, ritornano e se ne vanno una volta ancora e mille altre volte al lavoro, a sostenerlo colle
azioni. Il denaro circola nella società, come il sangue nel corpo dell'uomo; passa per la cassa, come
il sangue pel cuore, di tempo in tempo ed a poco a poco. Ben tosto è ripreso dalla corrente della
circolazione che lo trasmette di mano in mano. Il danaro dell'industriale se ne va al produttore delle
materie prime, delle quali ha bisogno per la sua industria, e che compera; da questo passa
all'agricoltore, dall'agricoltore al mercante di sementi e di concimi, da tutti ai mercanti di
commestibili, di vestimenti, e di tutti gli oggetti di prima necessità, d'utilità o di lusso.
Nel farlo passare alle mani del vicino, nessuno si è impoverito a meno che non se ne sia sprovvisto
per procurarsi oggetti di consumo o di lusso. Ciascuno in cambio del capitale che ha versato, ha
ricevuto un altro valore eguale, ma che gli riesce più utile, più immediatamente proprio a venir
fecondato col suo lavoro. Questo capitale mobile ha dato mezzi all'agricoltura di ingrassare i suoi
campi, all'industriale di far girare le sue macchine o di procurarne altre atte a dargli migliore e più
rapido lavoro, al commerciante di procurarsi nuove mercanzie dalle quali percepirà nuovo
beneficio. In questa corrente la ricchezza ha dato frutti dovunque si è incontrata col lavoro; la
ricchezza particolare s'è accresciuta ed il capitale sociale s'è altrettanto sviluppato. La comparazione
colla circolazione del sangue nel corpo umano è perfettamente esatta. Il capitale circola pure per la
conservazione della vita e per lo sviluppo delle membra del corpo sociale.
Se il diritto di proprietà dovesse venir abolito, come vogliono i socialisti, questa circolazione tosto
si arresterebbe, perché nessuno avrebbe interesse di far produrre la ricchezza di cui si trovasse in
possesso. Ognuno si affretterebbe a goderla, a divorarla anziché impiegarla a profitto altrui. Il
capitale diverrebbe perciò una causa di corruzione invece d'essere un elemento di vita e di
prosperità.
B. di Saint-Bonnet


B. di Saint-Bonnet per farlo capire s'è servito d'un magnifico paragone.
"Una piccola sorgente - dic'egli - spunta dalla terra. Questo filo d'acqua è assorbito da tre o quattro
metri di suolo che lo circondano. Scaviamo un bacino per riceverlo e ben presto l'acqua raccolta se
ne va ad inaffiare una superficie di otto o dieci mila metri. L'acqua continua a riempire il serbatoio;
l'operazione si ripete senza tregua. Suppongasi che il prato circostante richieda la distruzione del
bacino che conteneva le sue acque, e tre o quattro metri di pantano sotto i giunchi sostituiranno la
fecondità dell'ettaro".
Così avverrà se il socialismo di Stato continua a manomettere con imposte e diritti di successione il
bacino della proprietà privata. Piuttosto che vedersi portar via il suo capitale, si vorrà goderlo. O
sarà inghiottito nel lusso, o diventerà stagnante - ciò che già si fa e tende a farsi sempre più; - esso
ovunque si trovi non produrrà che corruzione; corruzione dell'anima e corruzione del corpo che
prepara la decomposizione d'una società, la quale impiegherà per avvelenarsi, quello stesso che
deve servire per svilupparne la vita.
Al contrario, là dove la proprietà è assicurata, essa agisce e stimola il lavoro; il lavoro,
estendendosi, diffonde sempre più lontano il salario, e fa così vivere un maggior numero di
famiglie. Si vede quanto è giusto il paragone di Saint-Bonnet.

Ultima osservazione.
Se è vero che il capitale non arricchisce che quando è messo a prodotto, non è men vero che il
valore dell'uomo che lo possiede e che l'impiega, il suo valor morale sopratutto, è la cifra posta alla
prima colonna. Il valore intellettuale e morale del proprietario moltiplica al 10, al 100 la potenza del
capitale impiegato. Come altresì, la popolazione operaia, secondo lo stato della sua moralità, serve
di moltiplicatore o di divisore alla somma di capitale impiegato nel paese.
Da qualunque lato noi riguardiamo la questione sociale, arriviamo sempre a questa conclusione le
tante volte ripetuta da Leone XIII nelle sue Encicliche, che, cioè, la questione sociale è anzitutto
questione morale.

Note: 

(1) La proprietà è così necessaria all'essere vivente che s'impone in certa qual misura anche negli
animali.
"Non havvi esistenza possibile - dice Lamennais - senza il possesso di certe cose indispensabili al
mantenimento della vita fisica, possesso identico a quello del corpo stesso, il quale non sussiste che
assimilandosi e rendendosi proprie queste cose che son fuori di lui. L'uomo in ciò non differisce in
niun modo dagli altri esseri organici; egli è soggetto come loro alla stessa legge universale.
"Di più, il bisogno di queste cose essendo permanente, e queste cose medesime non essendo sempre
alla portata di quelli che non possono farne senza, diviene in questo caso necessario di estendere il
possesso oltre i limiti in cui lo restringerebbero le semplici necessità del momento: in altri termini,
la stessa ragione che fa che il possesso sia indispensabile, esige sovente l'accumulazione di cose
possedute.
"La perpetuità delle specie può esigere inoltre che il possesso accumulato si trasmetta; il che
scorgesi altresì presso molte specie d'animalii". È chiaro, inoltre, che il possesso non è utile e non
raggiunge il suo scopo che è la conservazione degli esseri, se non mediante l'appropriazione delle
cose possedute dagli individui, ed ogni vero possesso è individuale.
"Così legge di possessione, legge di accumulazione, legge di trasmissione, legge di appropriazione,
sono tante leggi naturali comuni a tutti gli esseri organici viventi. Ciò ch'esse offrono di variabile
secondo le specie, spetta alle diverse modificazioni che ricevono, in ciascuna di esse, le leggi
generali della vita. L'ape ed altri insetti accumulano, come molti rosicanti, senza di che non
potrebbero sussistere. La trasmissione si stabilisce da sé presso gli animali che vivono in famiglia.
Avviene, fra parecchi di quelli che si riuniscono a stormi, una vera appropriazione del suolo. I
ruminanti, allo stato selvaggio, hanno le loro possessioni, ch'essi non permettono ad altre tribù
d'invadere. Benché solitari, gli uccelli cacciatori si attribuiscono del pari un territorio determinato,
la cui estensione è regolata dai loro bisogni e non tollerano che lo si usurpi. Non havvi creatura che
non abbia una dimora, un ricovero, e, sulla nuda roccia dove viene a riscaldare le sue membra
intirizzite, la foca ha il suo posto il sole che niun altro le contesta.
"Neppure vi ha differenza alcuna, riguardo a queste leggi, tra l'uomo e gli animali; ma salite
dall'essere fisico all'essere intelligente, e tosto ne nasce una immensa. Il diritto si unisce al fatto; la
necessità diventa la giustizia; il possesso, la proprietà. (Du Passé et de l'Avenir du Peuple).