Riportiamo la traduzione in due parti (opera di Matteo Luini e Roberto Marcante), di uno splendido sermone che Padre Frederick William Faber (28 giugno 1814 – 26 settembre 1863), sacerdote oratoriano inglese, pronunciò nella Chiesa dell’Oratorio di Londra, in occasione della Solenne Esposizione del Santissimo Sacramento per le intenzioni del Papa, il primo giorno dell’Anno 1860.
Il nuovo anno inizia con una festa di Gesù; e la festa commemora il primo spargimento del Suo Sangue. E’ una sorta di tipizzazione di tutta la vita cristiana. Cristo vive in noi e noi viviamo di nuovo la Sua vita. La vita del redento è così intrecciata con quella del Redentore che noi non siamo capaci di comprenderla senza di Lui. Egli è coinvolto in tutto ciò che facciamo, in tutto ciò che siamo, in tutto ciò che soffriamo. Non abbiamo un dolore o una gioia che non sia nostro quanto Suo. Sono Suoi perché sono nostri. E’ il fine, la forza, il significato di tutta la vita santa. Fa Sue tutte le cose, anche quelle che sembrano appartenere meno ai Suoi interessi. La Sua giurisdizione è allo stesso tempo universale e minuta. E’ parte del Suo amore che i nostri piccoli interessi siano grandi per Lui. Il Vecchio Anno finisce con la Sua nascita, come se dovesse togliere tutta la tristezza dal grembo del tempo tramite un così dolce ammonimento d’eternità. Il Nuovo Anno inizia col Suo dolore, come se dovesse calmare la spensieratezza della gioia e temperare ogni impetuosità d’azione. E’ l’esatta descrizione della nostra vita che Gesù è ovunque e in qualsiasi cosa. Quando invecchiamo, la Sua attrazione assorbe le nostre vite più potentemente e più esclusivamente. Dato che Egli era il pensiero principale di Dio per tutta l’eternità, anche il Suo pensiero in noi deve dominare ogni altro pensiero. Viviamo solo per adorarlo. Siamo stati predestinati solo perché Egli era predestinato prima. E’ il primo nato di tutte le creature. Siamo stati fatti a Sua immagine e per il Suo bene. Ognuno di noi ha qualche lavoro da compiere per Lui, qualche ufficio speciale da adempiere nella Sua corte, qualche vocazione peculiare dalla quale Egli trarrà qualche gloria speciale. Questo è il nostro significato. Siamo nulla senza di Lui. Ma per Lui noi siamo sia cari, sia importanti. Fa molto di noi; ed è il nostro sapere, come la nostra felicità, di rendere Lui tutto per noi.
E’ vero che Gesù non è solamente la nostra vita. E’ vero anche che la Sua vita è la nostra vita; e questo è vero in infiniti modi, dall’augusta realtà del Santissimo Sacramento fino all’influenza che uno qualunque dei misteri del Signore esercita sulla nostra preghiera e sulla nostra personalità. In tutta la creazione di Dio, a parte gli angeli, non c’è nulla di così meraviglioso come la vita dell’uomo. Ce ne sono state milioni di tali vite, ciascuna con la sua meraviglia. Ma una Vita è la vita vera di tutte queste vite, una Vita più stupenda di tutte le vite angeliche. E’ la vita del nostro Salvatore Gesù Cristo, Dio e Uomo. Visse per trentatré anni sulla terra. La Sua vita è una serie ininterrotta di misteri. I Sui meriti infiniti e le Sue infinite soddisfazioni sono i tesori che hanno arricchito la povertà del mondo. La Sua vita umana ci ha fornito i mezzi per redimerci, e ci ha anche fornito, in tutti i suoi esempi, il percorso di tutta la santità umana. Le nostre vite devono essere modellate sulla Sua. L’amore di Gesù e la somiglianza con Gesù: queste due cose costituiscono l’intera santità. Tutta la storia reale del mondo, tutta quella che ci deve preoccupare per la salvezza, è contenuta nei quattro Vangeli, nel racconto dei trentatré anni. Ma questa è solo parte della verità. La vita di Nostro Signore non è un semplice esempio esterno. E’ un potere, una grazia, un’efficacia, la cui energia immortale è trasmessa ai secoli più lontani, sia nell’operato dei Sacramenti, che nelle grazie della contemplazione. In altre parole, i trentatré anni non sono finiti, e non lo saranno mai. Andranno avanti nella Chiesa fino alla fine dei tempi.
Ma non dobbiamo attardarci ora, sebbene ne siamo tentati, sulle dolci verità e consolazioni inspiegabili che ci fornisce questo fatto. Per noi è sufficiente sapere che tutta la santità consista nel vivere i nostri anni per Gesù trovando nella Sua vita il modello e il potere nascosto che ci permette di conformarci a quel modello. La Chiesa ci insegna questo durante l’anno ecclesiastico. Non solo ha delle feste separate per celebrare i vari misteri del Signore, ma si sforza di farci vivere i trentatré anni della vita di Nostro Signore di nuovo in ciascuno dei nostri anni. Attraversiamo i dodici bellissimi anni della sua Infanzia nelle settimane fra Natale e Quaresima. La Quaresima ci tiene con Lui nel deserto, e ci purifica per la versione dettagliata della Sua Passione, che la Settimana Santa ci mostra così prepotentemente. Il tempo di Pasqua è la Sua vita da Risorto, e la festa dell’Ascensione è incompleta senza quella del Santo Sacramento, il trionfale giorno santo del Santissimo Sacramento. Da lì fino all’Avvento ci nutriamo per mesi con i Sermoni, le parabole e gli avvenimenti del Suo Ministero di tre anni. Nel frattempo, sotto questa vita annuale di Cristo giace la vita annuale di Maria, che è anche una vita di Gesù. La sua Immacolata Concezione è quasi mescolata con la sua Maternità. Celebriamo la sua Purificazione, ma un po’ prima celebriamo la tentazione di Nostro Signore nel deserto. La commemorazione dei suoi Dolori sta vicino alla commemorazione della Sua Passione. L’Assunzione sta alle feste di Maria come l’ascensione a quelle di Gesù. In tutta quest’organizzazione percepiamo il costante e forte richiamo della Chiesa al fatto che la vita di Gesù è la nostra vita, l’esempio della nostra vita, e anche la sua energia soprannaturale. Tutto è riassunto in questa semplice ma inesaustibile verità, che i cristiani sono Cristo.
E’ dunque una forma comune del nostro amore verso il nostro carissimo Signore lo sperare che, con la nostra conoscenza e la nostra fede attuali, siamo stati con Lui durante i Suoi trentatré anni sulla terra. Pensiamo a quanto amorevolmente avremmo dovuto servirLo. Immaginiamo mille casi nei quali il nostro amore si sarebbe espresso in atti di reverenza e di adorazione. I nostri pensieri si abbandonano sulle continue riparazioni che avremmo dovuto fare al Suo onore, come avremmo dovuto intuire i Suoi desideri meglio di coloro che Lo attorniavano, come le nostre assiduità si sarebbero avvicinate all’entusiastica devozione degli Apostoli, e come, come l’angelo confortante sul Getsemani, avremmo dovuto per sempre alleviare le sofferenze della Sua vita col nostro amore. Desiderare queste cose fa parte del nostro spirito cristiano. Ma ecco che arriviamo in vista della grande meraviglia della vita cristiana. Questo non è un semplice desiderio, un sogno romantico, un irreale strumento dell’amore. I trentatré anni non sono finiti. Gesù è ancora con noi. Qua e là, come nell’antica Giudea, reali ministri personali a Gesù sono le azioni con le quali ci santifichiamo. Devono essere allo stesso tempo l’accensione e la soddisfazione del nostro amore. Per questo fine Egli è tornato a noi sotto forma del Santissimo Sacramento. Abita in mezzo a noi nella timida magnificenza del tabernacolo. Mostra i margini dei Suoi bianchi vestiti ai nostri occhi. Si mette nelle nostre mani. Affida il suo essere indifeso a noi. Si appoggia sulla nostra lingua e scende nei nostri cuori in tutte le sorpassanti realtà del potente Sacramento. E’ più accessibile a noi adesso che nei Suoi trentatré anni. Dà a ciascuno di noi più tempo e più attenzione. Possiamo averLo totalmente per noi. Possiamo goderLo con più comodo e più in privato. Di conseguenza il Santissimo Sacramento è il centro della nostra vita. Possiamo difficilmente comprendere come si può vivere senza di esso, o lontani da esso. Carissimo Signore. Come sapeva bene la maniera con la quale dovevamo tendere ad amarlo, e quanto incredibilmente ha soddisfatto questo desiderio!
E’ il fine del Santissimo Sacramento rendere Gesù presente per noi, e miracolosamente moltiplicare la Sua presenza. I Sacramenti, come li chiama la teologia, sono le azioni di Cristo. Il Santissimo sacramento è Cristo stesso vivente. Così vengono continuati sulla terra i trentatré anni, e continuati in migliaia di posti allo stesso tempo, in modo che milioni di anime vengano attratte nella loro sfera, e che vivano vite soprannaturali grazie al calore ed alla luce con la quale la perenne vita umana del Salvatore li circonda. Come potrebbe il cielo interferire più palesemente mostrando che l’amore personale di Gesù è l’essenza della religione, e che la presenza di Gesù era la necessità della sua vita e del suo potere?
A volte delle grandi grazie appaiono fantastiche quando le paragoniamo con altre minori; ma più spesso le minori appaiono specialmente stupende quando le paragoniamo con quelle più grandi. In altre parole, la misericordia di Dio colpisce di più nelle piccole cose, in particolare quando le piccole cose sembrano la ripetizione e la superfluità di quelle grandi. Gesù ha soddisfatto il Suo immenso amore, e ha dato al nostro amore spazio per diventare immenso, nel tornare a noi nella Sua natura umana attraverso il Santissimo Sacramento. Non si può immaginare una più incredibile continuazione dei suoi trentatré anni. In realtà nessuna intelligenza creata ne avrebbe potuta immaginare una così incredibile. Ma il Suo amore copre tutta la creazione; ed Egli ha sentito che questa invisibile permanenza con noi non fosse abbastanza. Tutte le attenzioni al Santissimo Sacramento devono per necessità essere di adorazione; e il potere umano di effettiva adorazione è intermittente. I nostri poveri cuori vorrebbero sempre adorare il Santissimo Sacramento, ma lo sforzo sarebbe eccessivo. Inoltre il nostro servizio al Santissimo Sacramento rappresenta o le grandi azioni di omaggi pubblici, nelle quali tutti i fedeli si ritrovano solennemente per unirvisi, e che sono pertanto poche ed accadono alla distanza temporale che gli uffici della vita richiede, o rappresenta le nostre intime, nascoste vite di comunione con Dio. I nostri dolori segreti sono sussurrati alla porta del Tabernacolo. Portiamo lì le nostre gioie per essere benedette, raffinate e per essere messe al sicuro. Là ci lamentiamo delle tentazioni. Là, con timida intrusione, osiamo portare le familiarità dell’amore, sicuri che solo l’orecchio indulgente del Signore le sentirà. Là senza vergogna discutiamo con lui, come Giobbe dei tempi andati, e, anche mentre tremiamo davanti alla Sua Maestà, ci facciamo coraggio e Lo assaltiamo con la petulanza delle nostre preghiere che credono solo a metà. Ma il nostro amore ha bisogno di altro oltre a questo. La nostra vita è una vita di materia, sensi, e cose sensibili. Nel Santissimo Sacramento Gesù è invisibile. Di conseguenza noi siamo molto lontani da coloro i quali conversarono col Lui in Giudea. Essi vedevano il loro amore. Conoscevano con la vista il loro amore. Leggevano i cari misteri del Divin Cuore dalle divine espressioni della Sua bellissima Faccia. La luce dei Suoi occhi era per loro un linguaggio. Il suono della Sua voce era una rivelazione per loro. La Sua bellezza esterna era un aiuto al loro amore interno. Il Santissimo Sacramento è migliore in molti modi. Per usare le parole di Nostro Signore, la Sua invisibile presenza era “più conveniente”. Ma il Gesù visibile era in un certo modo più dolce, più caro. Non possiamo evitare di sentire questo, ma dovremmo comunque essere sorpresi di come Gesù ha rimediato per noi a questa perdita, se non fosse che una tale ripetuta esperienza del Suo amore ci ha fatto cessare di sorprenderci di qualunque cosa Egli faccia.
Dovrebbe un’anima conoscere un modo col quale può amare Gesù, e non bruciarsi? Un’anima dovrebbe conoscere un modo per amare Gesù, e poi scoprire che Gesù non ha previsto che essa Lo potesse amare in quel modo? Sapeva che, quando l’amore per Lui avesse preso posto nel nostro cuore e vi avesse acquisito un delizioso dominio, avremmo dovuto desiderare di prenderci cura di Lui con le nostre vite esterne, di darGli infinite prove del nostro affetto, di darGli quelle dimostrazioni di affetto delle quali il cuore può essere così fertile quando vuole. Il Suo infinito sapere è sempre il compagno della Sua infinita compassione. Ha cercato la Sua creazione per trovare un adeguato rappresentate di Se Stesso. Ha cercato la terra col suo infallibile amore per trovare un adeguato monumento sul quale, come sul piedistallo di un trofeo, potesse appendere la Sua insegna, e chiedergli di servirLo. Dev’essere così simile a Lui, che tutti gli uomini dovrebbero riconoscerlo. Deve avere una tale somiglianza, da provocare al meglio amore entusiasta e duraturo. Dev’essere un compendio visibile di tutti i trentatré anni. Come se tutta Betlemme, tutta Nazareth, tutta la Galilea e tutto il Calvario devono essere invisibili nel Santissimo Sacramento, così ora in questa nuova visibile presenza di Gesù tutta Betlemme, tutta Nazareth, tutta la Galilea e tutto il Calvario devono essere chiari e visibili, reali e patetici. O caratteristica scelta di Colui che scelse tutte le cose dall’eternità! Il Creatore scelse il Povero. Quando stava per venire sulla terra, scelse per Sé la povertà, come condizione della Sua vita privata. Ora, mentre ha nascosto la Sua faccia nelle nuvole del cielo, ha scelto i poveri per rappresentarLo, e per continuare per il nostro bene tutte le occasioni di venerazione e opportunità di santità, che appartenevano ai trentatré anni. Per questo la chiesa ha sempre aderito al Povero, come Maria aderì nel freddo, nel buio, nell’umido al bambino di Betlemme. Di conseguenza i generosi slanci verso i Poveri sono infallibili segni del nostro amore interno per Gesù, e che la spiritualità è impedita dall’ingannarsi potendo sempre testare la sua realtà tramite l’abbondanza della sua elemosina. Che rivelazione da parte di Gesù è questa Sua scelta dei poveri! Sentiamo che sappiamo molto di più su di Lui, dato che Ne abbiamo avuto questa nuova rivelazione. Rivela il Suo carattere grazie alla peculiarità della Sua scelta, mentre lasciarsi dietro questo secondo Sé visibile ci manifesta ancora più fortemente che i suoi trentatré anni non termineranno, e che il servizio personale a Lui è l’unica forma della nostra santificazione.
Ci farebbe molto bene rimanere su questa materia, ma dobbiamo continuare. In realtà il nostro carissimo Signore ha fatto molto per soddisfare la nostra fame di amore. Ma ce ne sono molti che non possono servirLo nelle opere di carità corporale; e il più grande numero, di molto, anche delle opere di carità spirituale per i poveri dipende dalle elemosine. Anche i poveri stessi devono avere un secondo sé in Gesù, che possono investire con le sollecitudini del loro amore credente. Inoltre ci sono ancora desideri e amori nei cuori degli uomini, che dovrebbero essere portati alla dignità di amore per Gesù, e che non sono soddisfatti nella devozione ai poveri. Quindi Gesù ha scelto un altro Sé visibile, in modo da coprire tutto il terreno che i cuori umani possono coprire. E’ stata una cara invenzione di amore, simile a quella che ha trasformato il matrimonio in un Sacramento. Ha scelto i Bambini. Ha scelto i piccoli, che riempiono le nostre abitazioni, che giocano nelle nostre strade, che affollano i banchi delle nostre scuole. Prima di tutto ci ha spaventato facendoci diventare reverenti raccontandoci della vendetta dei grandi angeli, che sono incaricati di custodire l’anima dei bambini, e del loro potere di punirci, a causa di quella cattiva Vista di Dio che loro vedono sempre; e poi ci dice che tutti gli atti di gentilezza verso questi deboli piccoli sono atti di gentilezza verso di Sé. Da questa scelta è venuto l’istinto della Sua Chiesa verso gli interessi dei più piccoli. Per le loro anime essa combatte coi governi del mondo, si lascia aperta agli attacchi, mette in pericolo la sua pace, lascia da parte la protezione dei grandi, rifiuta la sanzione della sua obbedienza a leggi inique, sopporta di essere considerata inintelligibilmente fanatica o pretenziosamente falsa, per coloro che non possono credere nella sincerità di un tale zelo puramente soprannaturale. Senza dubbio è stato l’amore del nostro caro Signore nei nostri confronti, che lo ha spinto a fare dei bambini degli altri Sé.
O gloriosa capacità dei cuori umani di amare! Persino tutto ciò non fu abbastanza. Quando serviamo il nostro carissimo Signore nelle persone dei poveri e dei bambini, noi siamo, come fosse, i Suoi superiori. Lo stiamo provvedendo delle nostre sovrabbondanze. Ci viene di fronte in condizioni pietose, e noi siamo pieni di compassione, e corriamo verso la Sua misericordia, e corriamo verso la Sua salvezza, e lo soccorriamo. Davvero un dolce incarico, e un più meraviglioso sollievo per il nostro crescente amore, il quale sta aumentando così tanto da essere un peso per se stesso! Eppure ci sono altri tipi di amore, che noi raggiungiamo quando cresciamo nella grazia, tipi più alti rivelanti grazie più alte, più robusti quanto più adatti alla pienezza della nostra umanità in Cristo. Vogliamo obbedire. Vogliamo ricevere comandi, dare ascolto agli insegnamenti, praticare la sottomissione. Abbiamo nostre proprie volontà, e vogliamo rinunciare ad esse per la volontà di Colui che amiamo. Ci attacchiamo alle nostre opinioni, e abbiamo fissato un prezzo elevato sui nostri giudizi; e desideriamo abbandonarli per Suo amore. Vogliamo conquistare l’autoricerca delle nostre comprensioni, affinché i nostri cuori possano ingrandirsi e noi possiamo essere in grado di amare con più veemenza e più esclusivamente. Nel nostro servizio a Gesù vogliamo immolarci più di quanto i poveri e i bambini possano compensare. Inoltre, noi vogliamo Gesù in tutti i modi. Lo vogliamo come nostro Maestro. Era il nome con cui i Suoi discepoli sulla terra si compiacevano di chiamarLo. In qualche modo riuscivano a dare a questo nome un suono affettuoso, nel Suo caso al di sopra di quello che qualunque altro nome possiede. Ascoltavano i Suoi sermoni sul monte e al piano. Seguivano attentamente le parole che cadevano come perle di grande valore dalle Sue belle labbra. In estasiato silenzio essi alimentavano le proprie anime col Suo insegnamento, che era per loro l’autentico pane della vita eterna. Le Sue parabole penetravano nei loro cuori e ivi diventavano vaste rivelazioni dei misteri di Dio. Non possiamo rinunciare a tutto questo. Egli deve essere anche il nostro Maestro, non in un libro morto, non per sentito dire, ma il nostro davvero vivente Maestro, ai cui piedi possiamo deporre la nostra presunzione, e al suono della Sua voce possiamo smettere d’amare i nostri giudizi e le nostre vanità. Gesù lasciò Maria alla Chiesa nascente, ma anche Pietro. Non era forse per fornire questo ardente desiderio di fervore primitivo, un ardente desiderio che si era nutrito così recentemente della Sua propria cara presenza nella carne? Persino le maestosità della santità apostolica non potevano sopportare che sia Gesù che Maria venissero prelevati in uno stesso momento. Così allo stesso modo ora Egli ci ha lasciato il Papa. Il Sovrano Pontefice è una terza visibile presenza di Gesù tra di noi, di un ordine più elevato, di un significato più profondo, di un’importanza più immediata, di una natura più esigente della Sua presenza nei poveri e nei bambini. Il Papa è il Vicario di Gesù sulla terra, e tra i sovrani del mondo gode di tutti i diritti e poteri supremi della Sacra Umanità di Gesù. Nessuna corona può essere al di sopra della sua corona. Per diritto divino egli non può essere soggetto a nessuno. Qualsiasi sottomissione è una violenza e una persecuzione. Egli è un re per la virtù del suo ufficio; tra tutti i re egli è il più prossimo al Re dei re. Egli è l’ombra visibile proiettata dall’Invisibile Capo della Chiesa nel Santissimo Sacramento. Il suo ufficio è un’istituzione emanante dalla stessa profondità del Sacro Cuore, fuori dal quale abbiamo già visto sorgere il Santissimo Sacramento e l’elevazione dei poveri e dei bambini. E’ una manifestazione dello stesso amore, un’esposizione dello stesso principio. Con quale premura poi, con quale reverenza, con quale estrema fedeltà, non dobbiamo noi corrispondere a una così magnifica grazia, a un così stupefacente amore, quale è questo che il nostro dilettissimo Salvatore ci ha mostrato nella Sua scelta ed istituzione del Suo Vicario in terra! Pietro vive sempre perché i trentatré anni stanno sempre continuando. Le due verità appartengono l’una all’altra. Il Papa è per noi in tutta la nostra condotta ciò che il Santissimo Sacramento è per noi in tutta la nostra adorazione. Il mistero del Suo Vicariato è simile al mistero del Santissimo Sacramento. I due misteri sono intrecciati.
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