martedì 12 luglio 2016

IL DOCUMENTO / Dal Trovatore del 1871: “Così avete ridotto un popolo che non conosceva miseria in nome di una falsa libertà”

 
L’8 maggio 1863 Lord Lennox parlò alla Camera dei Comuni del viaggio che aveva fatto in alcune carceri dell’ex Regno di Napoli, esprimendo le sue forti perplessità per gli esiti della rivoluzione italiana. Particolarmente interessante è questo stralcio in cui il lord riporta le parole di un illustre detenuto, il conte de Christen, valoroso condottiero legittimista:
– Il Conte Christen mi fece segno di andare verso di lui e disse «Milord, io apprezzo le vostre sensibilità. Mi accorgo che sentite pietà di me, ma abbiatela piuttosto per coloro che degradano il nome della libertà coi trattamenti che soffro».
De Christen fu probabilmente facile profeta, poiché in seguito alle brutalità subite in nome della libertà dai liberali, i napoletani “odiarono la libertà”.
C’è stato chi come Luigi Chiurazzi, editore e poeta, che distinse nella sua “Aummaria”, tra la libertà in sé e quella “mo portata” dalle bajonette dell’invasore:
 
Bella è la libertà, cara stemmata,
(La vera, non già chesta mo portata!)
Sta gioia de le gioie è n’armonia
 
Mentre Ferdinando Russo, poeta verista, profondo conoscitore della Napoli più autentica, più volte fa maledire la libertà e la modernità dai suoi personaggi. Evidentemente il poeta riportava ciò che ascoltava dalla viva voce dei popolani dell’ex capitale, come ad esempio in ‘O Luciano d’o Rre:
 
‘A libbertà! Chesta Mmalora nera
ca nce ha arredute senza pelle ‘ncuolle!…
‘A libbertà!.. ‘Sta fàuza puntunera
ca te fa tanta cìcere e nnammuolle!…
Po’ quanno t’ha spugliato, bonasera!
Sempe ‘a varca cammina e ‘a fava volle,
e tu, spurpato comm’a n’uosso ‘e cane,
rummane cu na vranca ‘e mosche mmane!..
 
Anche in questo articolo de Lo Trovatore che riproponiamo, la libertà viene considerata la causa dei mali che affliggevano il vecchio regno delle Due Sicilie. Non deve meravigliare questa forte ostilità verso ciò che noi consideriamo forse il bene più prezioso. Basti pensare ad esempio che il diritto al voto riguardava solo una sparuta minoranza selezionata in base al sesso, al censo e all’istruzione, meno del 5% della popolazione. Gli altri ovviamente avevano il dovere di pagare le esose tasse nazionali e locali per mantenere i privilegi di una casta famelica e spietata. Pochi anni dopo la stesura di questo articolo, comincerà una lunga protesta silenziosa: l’emigrazione “pe terre assaje luntane”. Ma questa è un’altra storia che continua ancora oggi! (Vincenzo d’Amico)

Leggiamo nel Pungolo del dì 8. che gli scrivono da Tarantola, paese in quel di Chieti, ove dice il corrispondende del Pungolo, i poveri operai non ànno altro cibo che erbe, alcune povere donne, salite sulla Majella in cerca di erbe per mangiare, colsero in gran copia di crepis lacera chiamata comunemente cassella, ed ignorando la forza venefica di quella pianta la portarono a manate nel paese, e chi cottala a minestra la mangiò con la famigliuola, chi ne vende ai proprietari per pochi centesimi.
Il sapore grato dell’erba e la miseria non permettendo a quella povera gente di mangiare altro che la minestra, fecero sì che lo avvelenamento si sviluppasse con grande forza. Allorché questo si manifestò coi suoi sintomi dolorosi, si chiese del medico, e i rimedi efficaci salvarono la vita ad oltre 60 persone ma non giunsero a salvare sette donne che avevano mangiato maggior quantità di quell’erba.
Ci sanguina il cuore, ci trema la penna nello scrivere simili fortissime sventure…. Ecco a che avete ridotto, o truffaldini, un popolo che prima non conosceva la miseria, un popolo che cibavasi di pane ed ora è costretto cibarsi d’erbe velenose per attutire gli stimoli della fame. Ecco i frutti della vostra libertà politica, della vostra amministrazione ladra, della vostra iniqua opera settaria. Ecco altre sette vittime che la storia di questi dieci anni registrerà accanto a quelli degli altri 50 mila uccisi, morti nello esilio, nelle carceri, su di un giaciglio suicidati, o fra i dolori della fame… Scellerati!
E venite ancora a parlaci di progresso, di bene pubblico, di sviluppo del sociale benessere? Venite ancora a dirci che il proletario oggi à riconquistato un dritto che prima non aveva? Ma quale dritto? forse quello di divenire un assassino, o morir di fame? Ministro Sella, ecco come si rattrevano quei contribuenti a’ quali voi scortichino famoso, vampiro crudele non desistete di levare l’ultimo pezzo di pelle, succhiare l’ultima goccia di sangue per riempire gli scrigni dei vostri consoci di questa baraonda ladronesca… E che più di peggio poteva fare un’orda di ostrogoti o vandali?
Ah che forse supponete voi, o tristissimi fra tutti i tristi del mondo, che fra i concortimenti delle ultime agonie della morte, mentre il veleno rodeva con indicibile spasimo le vittime di quelle sette vittime, Iddio non vi lanciò la sua maledizione eterna, la quale vi colpirà come fulmine a ciel sereno, frammezzo ai vostri baccani ed alle vostre orgie?
La voce dell’umanità straziata da voi, troverà alfine ascolto presso il trono di Dio. Voi miserabili che tuffate sino al braccio le mani nel sangue dei vostri fratelli; voi Caini, voi crudeli, barbari, efferati tiranni leggendo quelle poche righe che riporta con un cinismo svergognato un giornale della vostra stampa, voi dovreste tremare, voi dovreste sprofondarvi nello abisso, voi dovreste fuggire la luce del sole; voi dovreste implorare i monti che ci schiacciassero. Perfidi, imbecilli! credete forse che l’ora di Dio e del popolo non verrà? Oh verrà essa, si verrà, e sarà tanto più terribile, per quanto più si è fatta aspettare, credetci, la misura è colma, e traboccherà tosto!
 
Da Lo Trovatore del 16 maggio 1871