mercoledì 11 gennaio 2012

MEMORIE PER LA STORIA DEL GIACOBINISMO SCRITTE DALL' ABATE BARRUEL TRADUZIONE DAL FRANCESE. TOMO I. 1802 (Parte 4°)CAPITOLO II.OGGETTO, ESTENSIONE, EPOCA ED ESISTENZA DELLA CONGIURA ANTICRISTIANA.

Affermare l'esistenza di una congiura anticristiana i cui capi, principali promotori ed autori furono Voltaire, d'Alembert, Federico II re di Prussia e Diderot non significa limitarsi semplicemente a dire che ciascuno di loro fosse nemico della religione di Gesù Cristo e che le loro opere tendessero a distruggere il cristianesimo; infatti prima e dopo di loro la religione cristiana aveva sempre avuto dei nemici che avevano tentato di spargere nei loro scritti il veleno dell'incredulità. La Francia ha avuto i suoi Bayle, i suoi Montesquieu; il primo scrisse da sofista, incerto a qual partito appigliarsi, e durante tutta la sua vita spacciò il pro ed il contro con la
medesima facilità, ma non manifestò quell'odio che caratterizza i congiurati e desidera avere dei complici. Montesquieu nelle sue Lettere persiane è solo un giovane che non ha nulla di fisso e stabilito contro gli oggetti della sua fede, e che un giorno avrebbe riparato ai suoi errori dichiarando di aver sempre rispettato la religione, anzi considererà assai presto il Vangelo il più bel dono che Dio abbia fatto agli uomini. (Dizionario degli uomini illustri di Feller, art. Montesquieu.)
L'Inghilterra ha avuto i suoi Hobbes, Collins, Woolstons e molti altri increduli dello stesso tipo, ma ognuno di questi sofisti seguiva il proprio impulso e, checché ne dicano Voltaire e Condorcet, niente ha manifestato un'intesa tra questi scrittori; erano empi ciascuno a modo proprio e senza accordo tra loro; ciascuno combatté il cristianesimo senza altrui consiglio e senza altri complici fuorché se stesso, il che non basta a farne dei congiurati anticristiani.
Una vera cospirazione contro il cristianesimo suppone non solo la volontà di distruggerlo, ma anche un accordo ed alcune intese segrete riguardo ai mezzi per attaccarlo, combatterlo ed annientarlo. Così, quando io denuncio Voltaire, Federico, Diderot e d'Alembert come capi di una cospirazione anticristiana, non voglio limitarmi a provare che i loro scritti siano il prodotto di empi nemici del cristianesimo, ma dico di più, che cioè ciascuno di essi aveva fatto voto di abbattere la religione di Gesù Cristo, che costoro si comunicarono segretamente tra loro questo voto, che combinarono assieme i mezzi per realizzarlo, che non risparmiarono nulla di quanto tutta la loro empia politica era capace di fare per adempierlo, che furono i punti d'appoggio e i
principali moventi degli agenti secondari entrati nel loro complotto, ed infine che per riuscire adoperarono, da veri e propri congiurati, tutta l'intelligenza, tutto l'ardore e tutta la costanza possibile. Ritengo anche di dover trarre le prove principali di questa congiura anticristiana da quelli che possiamo correttamente chiamare gli archivi dei congiurati medesimi, cioè dalla loro corrispondenza intima e per lungo tempo segreta oppure dalle loro confessioni e da varie produzioni dei principali adepti della congiura.
Quando Beaumarchais pubblicò l'edizione completa delle opere di Voltaire con tutta la magnificenza dei caratteri di Baskervillea, già i successi degli adepti li avevano forse persuasi che la gloria del loro capo, anziché essere compromessa dall'idea di un complotto mostruosamente empio, avrebbe invece ricevuto nuovo splendore a causa del fatto che i loro progetti erano ormai pubblici; può essere anche che gli editori di questi archivi non ne avessero compreso l'importanza o pensassero che nei quaranta volumi di lettere, scritte ad ogni tipo di persone e che riguardavano migliaia di soggetti diversi sparsi qua e là ed intrecciati fra loro, non fosse facile afferrare e comparare i fili di una trama ordita nel corso di tanti anni. Qualunque sia stata la loro intenzione e per quanto possano esser stati abili a sopprimere una parte di questa corrispondenza, è certo che non sono riusciti a rendere impossibili tutti i confronti utili a smascherare questo complotto. Un tale lavoro sarebbe stato per me solamente noioso, molesto e rivoltante se non avessi compreso quanto avrebbe potuto essere utile ed interessante constatare l'esistenza dei complotti dei congiurati per mezzo dei loro stessi archivi, e poter annunziare alle nazioni, prove alla mano, con quale abilità e per mezzo di quali persone si cerca di sedurle tentando di rovesciare tutti i loro altari, nessuno escluso, quelli di Lutero, di Calvino, di Zwingli e di ogni setta cristiana proprio come quelli dei cattolici, quelli di Londra, di Ginevra, di Stoccolma, di Pietroburgo esattamente come quelli di Parigi, Vienna, Madrid e Roma, in modo da poter un giorno affermare con le prove più evidenti: Ecco quali crimini tenebrosi ispiravano, per mezzo della congiura contro Dio, le cospirazioni contro i vostri prìncipi, contro i vostri magistrati, contro tutta la società civile che
miravano a rendere universale il flagello della rivoluzione francese! Mi rendo conto che la gravità del compito richiede dimostrazioni notevoli ed evidenti, mi si perdoni perciò se le prove saranno numerose fino all'eccesso.
Tutti i cospiratori hanno ordinariamente il loro gergo segreto; tutti hanno una parola d'ordine, una specie di formula inintelligibile al pubblico ma che, una volta spiegata in modo confidenziale, prima rivela e poi ricorda sempre agli associati l'obiettivo fondamentale della loro cospirazione. La formula scelta da Voltaire per la propria trama gli fu suggerita dal demonio dell'odio, della rabbia e della frenesia e consisteva nelle seguenti due parole: distruggete l'infame; queste parole dette da lui, da d'Alembert, da Federico e da tutti gli adepti
significarono costantemente: distruggete Gesù Cristo, la religione di Gesù Cristo, annichilite ogni religione che adora Gesù Cristo. Il lettore trattenga la sua giusta indignazione ed ascolti le nostre prove.
Quando si lamenta che i seguaci non sono abbastanza uniti nella guerra che fanno all'infame, quando vuole rianimare il loro zelo con la speranza del successo, Voltaire ricorda loro chiaramente il progetto e la speranza che aveva già concepito verso il 1730, allorché il luogotenente di polizia di Parigi gli disse che non sarebbe riuscito a distruggere la religione di Gesù Cristo, ed egli osò rispondere: Lo vedremo. (Lett. 66 a d'Alembert 20 giugno 1760.)
Quando si compiace dei propri successi nella guerra contro l'infame, e dei progressi che va facendo la congiura intorno a lui, si rallegra in particolare che a Ginevra, la città di Calvino, rimangano solo pochi furfanti che credono al Consustanziale. (119 lett. 28 sett. 1763.)

Fausto Socino (1539-1604), nipote di Lelio Socino (1525-1562). Fausto lesse gli scritti dello zio, e sviluppò una teologia fondata sull'autorità suprema della Sacra Scrittura ed il metodo razionalistico di interpretazione della stessa. Mentre i protestanti in generale avevano mantenuto alcune delle dottrine della Chiesa (divinità di Cristo, Trinità, dogma delle due nature di Cristo), Fausto dichiarò che queste dottrine non si potevano fondare sulla Bibbia “ragionevolmente” interpretata, e le rifiutò. Centro della sua dottrina era la dottrina della salvezza che si raggiunge non tramite un processo redentivo oggettivo (morte di N. S. Gesù Cristo) ma mediante uno sforzo conoscitivo e morale: è evidente il sostrato gnostico-umanistico di questa concezione.


Quando vuole esprimere il motivo che, nella guerra contro l'infame, lo rende più tollerante verso i sociniani,a ci dice lui stesso che ciò è perché Giuliano li avrebbe favoriti, in quanto odiano colui che egli odiava e disprezzano colui che disprezzava. ( Lett. a Feder. 8 nov.1773. )
Qual è dunque quest'odio comune ai sociniani e a Giuliano l'Apostata se non il loro odio e disprezzo per la divinità di Gesù Cristo? E chi è quel Consustanziale il cui dominio vorrebbe vedere distrutto attorno a sé se non Gesù Cristo? Chi potrebbe essere infine quell'infame da distruggere per chi come lui aveva già scritto: sono stufo di sentirli ripetere che dodici uomini sono stati sufficienti a fondare il cristianesimo, e mi vien voglia di provar loro che ne basta uno solo a distruggerlo? (Vita di Volt. scritta da Condorcet). Per chi nelle sue tresche contro l'infame non aveva timore di esclamare: “Sarebbe possibile che cinque o sei uomini di merito che fossero d'accordo non riuscissero, dopo l'esempio di dodici facchini che sono riusciti?” (Lett. a d'Alemb. 24 luglio 1760.) Ci si può forse nascondere che, in bocca ad un tal frenetico, questi dodici facchini siano gli
Apostoli, e l'infame sia il loro Maestro? Insisto forse troppo a provare ciò che non ha più bisogno di essere
provato, ma l'evidenza non può essere superflua quando si tratta di una simile accusa.
Tutti gli uomini esaltati da Voltaire per il loro ardore di distruggere l'infame sono proprio coloro che non hanno osservato alcuna decenza né alcun modo nella loro guerra contro il cristianesimo; si tratta di
Diderot, Condorcet, Helvétius, Fréret, Boulanger, Dumarsais ed altri empi di tale specie. Coloro che Voltaire incarica d'Alembert di riunire per distruggere l'infame con maggior efficacia sono proprio gli atei, i
deisti e gli spinozisti (Lett. 37 a d'Alemb. 1770.) E che coalizione è? Contro chi possono riunirsi gli atei, i deisti e gli spinozisti se non contro il Dio del Vangelo? Al contrario coloro contro i quali Voltaire spinge e attizza lo zelo dei congiurati e che vuol vedere trattati col massimo disprezzo sono i santi Padri e gli autori moderni che hanno scritto per dimostrare la verità del cristianesimo e la divinità di Gesù Cristo. “Da ogni parte, scrive agli adepti, la vittoria è nostra, vi assicuro che fra poco vi sarà solo la canaglia sotto le insegne dei nostri nemici, e di questa canaglia non ne vogliamo sapere, né come partigiani, ne come avversari. Noi
siamo un corpo di bravi cavalieri, difensori della verità, e non ammettiamo tra noi se non persone ben educate. Suvvia, bravo Diderot, intrepido d'Alembert, unitevi al mio caro Damilaville, scagliatevi contro i fanatici e i furfanti, accusate Blaise Pascal, disprezzate Houteville e Abadie come se fossero Padri della Chiesa.” (Lett. a Damilaville 1765.)
Ecco dunque cosa significa per Voltaire distruggere l'infame: disfare ciò che fecero gli Apostoli, odiare ciò che odiava Giuliano l'Apostata, combattere Colui che hanno sempre combattuto gli atei, i deisti e gli spinozisti, assalire tutti i santi Padri e chiunque si dichiari per la religione di Gesù Cristo.
Il senso di questa orrenda parola d'ordine non è meno evidente negli scritti di Federico; per lui, come per Voltaire, il cristianesimo, la setta cristiana, la superstizione cristicola e l'infame sono sempre sinonimi, ed il preteso infame non produce che erbe velenose. Le opere migliori contro l'infame sono proprio le produzioni più empie e, nel caso che meritino la sua stima, allora non esita ad affermare che da Celso in poi non si è pubblicato nulla di più graffiante contro il cristianesimo; e secondo questo suo criterio Boulanger, autore
disgraziatamente più noto per la sua empietà che per le sue ritrattazioni, è anche superiore a Celso. (V. lettere del re di Prussia 143, 145, 153, anno 1767 ecc. ecc.)

Jean Baptiste Le Rond d'Alembert (1717- 1783). Figlio illegittimo della marchesa Claudine Guerin de Tencin, fu abbandonato sui gradini d’una chiesa. Nemico del Cristianesimo, matematico ed astronomo curò la sezione “Matematica e scienze” dell’Encyclopedie, di cui fu direttore fino al 1759. Incorse in clamorosi errori sui "calcoli delle probabilità". Nel 1772 fu nominato segretario perpetuo dell'Académie Française.


D'Alembert è più riservato nell'uso di quell'orribile parola d'ordine, ma la prova che la comprende sta nel fatto che risponde sempre nel senso dato all'espressione da Voltaire, ed i mezzi che suggerisce, le opere che approva e cerca di diffondere come più opportune a distruggere l'infame sono proprio quelle che tendono più direttamente a cancellare nella mente del popolo ogni rispetto per la religione; per di più tutte le prove che adduce del suo zelo contro l'infame e dei progressi che fanno i congiurati manifestano sempre il suo ardore
nell'assecondare gli sforzi di Voltaire o il dispiacere di non poter parlare liberamente contro il cristianesimo come Voltaire. Le sue espressioni ed il numero delle sue lettere, che citeremo, non lasceranno più alcun dubbio su questo proposito, come anche quelle di Voltaire e di Federico. (V. lett. di d'Alemb. 100 , 102, 151.)
Anche gli altri adepti non intesero mai diversamente questa parola d'ordine; Condorcet, invece del giuramento di distruggere l'infame, mette chiaramente in bocca a Voltaire il giuramento di distruggere il
cristianesimo, (Vita di Voltaire) e Mercier quello di distruggere Gesù Cristo.
(Lett. di Mercier n. 60, di M. Pelletier.)

Un significativo brano della Vie de Voltaire di Condorcet (Kehl, 1789).

Nell'intenzione dei congiurati l'espressione “distruggere Gesù Cristo e la sua religione” non era troppo energica; l'estensione che davano ai loro complotti non avrebbe dovuto lasciare sulla terra le minime vestigia del Suo culto. Onoravano i cattolici riservando loro un odio maggiore rispetto al resto dei cristiani, ma tutte le chiese di Lutero, di Calvino, quelle dei ginevrini e quelle degli anglicani, tutte quelle infine che nonostante la loro separazione da Roma hanno conservato almeno l'articolo di fede nel Dio del cristianesimo, tutte
erano comprese nella cospirazione proprio come Roma.
Voltaire definiva il Vangelo di Calvino le sciocchezze di Jean Chauvin, (lett a Damil. 18 agosto 1766) e si rallegrava di aver liberato Ginevra da queste sciocchezze scrivendo a d'Alembert che nella città di Calvino (Ginevra) vi erano ormai solo pochi furfanti che credessero al Consustanziale, cioè a Gesù Cristo. Si compiaceva soprattutto di poter annunziare la caduta della chiesa anglicana allorché applaudiva alle verità inglesi, cioè a tutte le empietà di Hume (Lett. al March. d'Argens 28 aprile 1760), oppure quando credeva di
aver il diritto di scrivere che a Londra ci si beffava di Cristo. (Lett. a d'Alemb. 28 sett. 1763.)
I discepoli, che gli tributavano l'omaggio della loro scienza filosofica, scrivevano allo stesso modo: “Io non amo Calvino, era intollerante ed il povero Servet ne è stato la vittima; e per questo a Ginevra non se ne parla più, come se non fosse mai esistito; riguardo a Lutero, quantunque non fosse dotato di molto spirito come si nota dai suoi scritti, non era un persecutore ed amava solo il vino e le donne.”
(Lett. del Langravio a Volt. 9 sett. 1766. )
Si deve anche osservare che i successi dei sofisti congiurati in tutte le chiese protestanti furono per molto tempo motivo di speciale soddisfazione per loro; Voltaire non sapeva nascondere la propria
felicità quando poteva scrivere che l'Inghilterra e la Svizzera rigurgitavano di persone che odiavano e disprezzavano il cristianesimo come Giuliano l'Apostata lo odiava e lo disprezzava (v. lett. al re di Prussia 15 nov. 1773) e che attualmente non vi era neppure un cristiano da Ginevra a Berna; (lett. a d'Alemb. 8 feb.
1776) Federico infine si compiaceva di annunziare a Voltaire che nei nostri paesi protestanti si va più in fretta. (Lett. 143.)
L'estensione data alla cospirazione era dunque tale da non dover lasciare sussistere alcuna chiesa o setta che riconoscesse come vero il Dio del cristianesimo. Lo storico avrebbe potuto ingannarsi nel vedere
gli adepti sollecitare più di una volta il ritorno dei protestanti in Francia; ma perfino quando Voltaire scriveva agli adepti quanto gli sarebbe dispiaciuto se la domanda del ritorno dei calvinisti, fatta dal ministro Choiseul, fosse stata rigettata, perfino allora, per timore che gli adepti pensassero che risparmiasse gli ugonotti più dei cattolici, si
affrettò ad aggiungere che gli ugonotti o calvinisti non erano meno folli dei sorbonisti o cattolici, e che anche loro erano pazzi da legare.
(lett. a Marmontel 2 dicembre 1767) 
 Altre volte egli non vedeva niente di più malinconico e di più feroce degli ugonotti. (Lett. al march. d'Argens de Dirac 2 marzo 1763.)
Tutto il preteso zelo dei congiurati per calvinizzare la Francia era ispirato solamente dalla speranza di andare un giorno più in fretta, e costituiva un primo passo per scristianizzarla. La gradualità della loro azione è palpabile in queste parole di d'Alembert a Voltaire: “Per me, che in questo momento vedo tutto color di rosa, vedo qui stabilirsi la tolleranza, richiamati i protestanti, i preti ammogliati, la confessione abolita e il fanatismo distrutto senza che nessuno se ne accorga.” (4 mag. 1762.) Si capisce che il termine fanatismo in bocca a d'Alembert equivale ad infame nella medesima lettera, e significa Cristo e tutta la sua religione distrutta.
Un'eccezione che Voltaire faceva qualche volta era che avrebbe lasciato a Cristo alcuni adoratori fra la più vile plebaglia; si sarebbe detto che egli fosse poco interessato a tale conquista, mentre scriveva a d'Alembert: “Damilaville dev'essere assai contento, ed anche voi, del disprezzo in cui l'infame (la religione di Cristo) è caduto presso tutte le oneste persone d'Europa; questo è quanto si voleva e quel che era necessario. Non si è mai preteso d'illuminare i calzolai e le serve; questo spetta agli Apostoli”, (2 sett. 1768.) oppure quando scriveva a Diderot: “Qualunque decisione siate per prendere, vi raccomando l'infame, (la religione di Cristo) bisogna distruggerla presso la gente onesta ed abbandonarla alla canaglia per cui è fatta”, (25 sett. 1762.)
oppure infine quando scriveva a Damilaville: “Vi assicuro che tra poco sotto le insegne dei nostri nemici vi sarà solo la canaglia, e di questa canaglia noi non ne vogliamo sapere, né come partigiani né come avversari.” (Anno 1765)
Ma Voltaire, disperando di un più ampio successo, eccettuava pure qualche volta il clero e la gran camera del parlamento. Nel seguito di queste Memorie vedremo che lo zelo dei congiurati estenderà il voto di distruggere Gesù Cristo perfino alla canaglia, e propagherà i lorocomplotti e la loro attività dal palazzo dei re sino alle capanne.

La Reggia di Versailles. Era la residenza dei re di Francia, che la preferivano a Parigi. Costruita su una precedente palazzina, Luigi XIV iniziò i lavori di ammodernamento nel 1661. Il “Re Sole” vi prese residenza stabile nel 1678. Probabilmente la diffidenza dei re nei confronti della capitale era dovuta ai complotti dei calvinisti ugonotti che avevano provocato la guerra civile in Francia dal 1545 al 1652.