domenica 22 gennaio 2012

Le verità sulle vicende "Risorgimentali" nel Regno delle Due Sicilie(1860-1861):(Parte 16°): Lo sbarco di Garibaldi in Calabria, e i tradimenti che si susseguono

 
Voglio ricordare che tale documento e stato scritto da un testimone dei fatti,quindi data la preziosa importanza del testo ne consiglio un attenta lettura.



Garibaldi assicurato da' suoi corrispondenti del Reggino che tutto era preparato per riceverlo, e probabilmente assicurato dal ministero di Napoli, il 6 agosto annunziò
a' Messinesi la sua partenza pel continente calabro, e quel giorno stesso mandò i suoi proclami alla truppa napoletana; la quale sempre più s'indispettiva al sentire quelle cicalate, nelle quali era sistematico il vanto di protezioni straniere, d'indipendenza, e di benessere universale, infine il continuo magnificare le forze e le prodezze garibaldine. Garibaldi era anche sicuro che la squadra napoletana l'avrebbe fatto passare sul continente senza molestarlo, e che sarebbe stato protetto all'occorrenza dalla squadra sarda che trovavasi allora nel Faro comandata dal conte Albini. Egli non ignorava che Cavour avesse dato al Persano il seguente ordine: «Aiuti le mosse del generale Garibaldi con le regie navi (Sarde), ch'ella ha nel Faro.»
Il giorno 9 agosto lo stesso Cavour scriveva a Persano la seguente lettera, dalla quale si rileva quanta nequizia usò quell'uomo fatale per rovesciare il trono di Napoli. Ecco la lettera.
Sig. Ammiraglio. Appunto perché Napoli è un osso duro
sta a lei, che ha buoni denti, masticarlo. Saprò tuttavia tener conto delle immense difficoltà ch'ella deve superare;
e se non riesca dirò che riuscire era impossibile.
Il problema che dobbiamo sciogliere è questo: aiutare la rivoluzione, ma far sì che al cospetto d'Europa appaia come atto spontaneo.
Ciò accadendo, la Francia e l'Inghilterra sono con noi, altrimenti non so cosa faranno «- Infine della lettera dice: «Mi si assicura d'altronde che il Generale (Garibaldi) non troverà ostacolo durante lo sbarco, stante il contegno della marina napoletana.
Persano scrive nel suo Diario: «Siamo sicuri della marina reale (napoletana); fatto di massima importanza, dappoichè isola il Re, e ci rinforza, ove occorra, contro l'Austria,» Difatti Lissa n'è una gran prova!
Nelle acque di Messina il Persano avea mandato tre legni della squadra Sarda, il Governolo comandato dal Marchese d'Aste, il Carlo Alberto comandante cav. della Mantica, il Vittorio Emmanuele comandante il Conte Albini, Capo di quella piccola squadra, il quale avea le solite istruzioni, cioè «stretta neutralità apparente, protezione di fatto occorrendo. »
Il Persano scriveva a Cavour: «La nostra presenza basterà ad impedimento dei legni napoletani perché non agiscano, i quali anche facendolo, non sarebbero che per forma, preparati a togliersi dall'azione al primo inciampo, almeno così è l'accordo con alcuni dei Comandanti.»

Rustow, duce e scrittore garibaldino molto veritiero, nelle sue Rimembranze d'Italia, edizione di Lipsia 1861, enumera tutte le forze di Garibaldi, e le fa montare a trentaseimila uomini in circa prima che passassero il Faro di Messina. In quell'esercito la maggior parte erano stranieri, pochissimi siciliani, dieci in dodici mila tra garibaldini del continente italiano e truppa piemontese vestita in camicia rossa; il resto erano uomini che parlavano tutte le lingue e i dialetti d'Europa, e vi erano pure affricani ed americani.
I duci comandanti di divisioni erano la maggior parte stranieri. Eccoli: Turr, Milbiz, Csudafy, de Flotte, Thorrena, Rustow, Eber, Pogam, Ebherard, e tanti altri stranieri che doveano liberare l'Italia dallo straniero, cioè dal Re di Napoli, e dal Papa!
La flotta garibaldina era composta di legni predati e di quelli comprati col danaro siciliano, e la maggior parte aveano stranieri nomi, e questi erano:
Tukery, Ferret, Annita, Washington Orong, Aberdeen, Franklin, Indipendente, Torino, Duca di Calabria ed Elba,
questi ultimi due predati.
Garibaldi, la sera dell'8 agosto, montato sul vapore Aberdeen
volle godere della partenza della prima spedizione de' suoi militi che doveano invadere la provincia di Reggio. Erano 25 barcacce, con 200 uomini comandati da Rossi, Cattabene, Musolino, e duce in capo Missori. Di quelle 25 barcacce se ne smarrirono alcune e tornarono indietro: sulla Costa Calabra col favor delle tenebre, sbarcarono soli 150 uomini vicino Cannitello, luogo sguernito di truppa. Questi pochi uomini aveano la missione d'impadronirsi di sorpresa di Torrecavallo, e d'introdursi nella provincia di Reggio, sollevare le popolazioni ed attaccare i regi alle spalle. A Cannitello era una compagnia del 1° di linea, e se il Capitano che comandava quella compagnia avesse fatto il suo dovere, sarebbe finita male per quegli argonauti moderni. Quel Capitano invece di attaccare vigorosamente i garibaldini sbarcati e perseguitarli senza restare, si contentò impossessarsi delle barcacce vuote. Alcuni soldati solamente scambiarono con gli invasori parecchie fucilate, fecero cinque prigionieri de' quali uno ferito.
Missori con la sua gente non inseguito affatto, tirò diritto ad Aspromonte percorrendo tre miglia nell'interno, e giunse ad unirsi con alcuni rivoltosi condotti da Plutino, e tutti non era più di trecento.
Missori appena si unì colla gente di Plutino, volea subito tentare un colpo ardito, ma questi vi si oppose, facendogli riflettere che aveano poche forze, e che sarebbe stata imprudenza attirarsi addosso le regie truppe. Que' 300 rivoltosi rimasero quattro giorni occultati ne' boschi. Ma il Missori che era l'avanguardia dell'esercito di Garibaldi, conduceva con sè pochi militi, li avea scelti però tra' giovani i più intelligenti, valorosi, ed impazienti di battersi contro i regi. Quindi si decise di tentare un colpo ardito.
Il generale in Capo Vial che comandava da Monteleone, avea sperperata la brigata del generale Melendez, riducendola un vero cordone sanitario, debole in tutti i punti.
Sull'alba del 13 agosto Missori accompagnato dal capitano de' nazionali del piccolo paese di Bagnara, ruppe il filo elettrico, e tentò un colpo di mano sopra questo paese, ove i regi aveano mezza batteria, e pochissimi soldati. Egli attaccò il posto del telegrafo. La prima fucilata ferì la sentinella, e fu il segno dell'allarme pe' soldati e per gli abitanti, i quali spaventati dell'imminente pericolo che li minacciava, donne e fanciulli cominciarono a gridare e fuggire, arrecando scompiglio e confusione in mezzo a que' pochi soldati.
Per fortuna, e più per previdenza, giungevano da Palmi in quel critico momento quattro compagnie comandate dal tenente colonnello Cedrangolo, le quali furono divise in tre piccole colonne, e quella guidata dal Capo dello Stato maggiore de Torrenteros, si spinse in modo che già stava per accerchiare i nemici.
Missori veduto il pericolo di restar prigioniero con tutta la sua gente, ordinò la ritirata, la quale si ridusse ad una precipitosa fuga verso Solano, maggiormente per le masse condotte da Plutino.
Pur tuttavia il de Torrenteros fece 17 prigionieri, molti garibaldini furono uccisi in quello scompigliato conflitto. Un giovane vestito con eleganza, era un signore ravennese, giaceva a terra ferito: il de Torrenteros corse per soccorrerlo e scansarlo da qualche sinistro, facile a succedere in simili combattimenti; ma quel signore garibaldino, supponendo forse che gli si volesse fare qualche male peggiore, tirò a questi un colpo di pistola quasi a brucia pelo, ma non così al segno. Nondimeno il de Torrenteros lo salvò dallo sdegno de' soldati, lo disarmò, e gli largì tutti i possibili soccorsi. Que' 17 prigionieri guide di Garibaldi furono trattati generosamente, e poi mandati nella Cittadella di Messina. E da questi prigionieri, il Console inglese volle consegnato un certo Eduardo Telling suddito brittannico.
Il generale Melendez non inseguì i fuggiaschi perché avea poca forza, e temeva di essere attaccato alle spalle dalla Guardia Nazionale già in atteggiamento ostile; invece usò un altro mezzo per disfarsi di Missori. Trovandosi quel Generale alloggiato in casa del signor Patania, conosciuto agente di Garibaldi, costrinse questo signore a mandare una persona al Missori per indurlo con minacce a ritornare a Messina. Missori, trovandosi con poca forza, perché i rivoltosi calabresi gettavano le armi per ritornare alle proprie case, ed alcuni venuti da Messina cercavano imbarcarsi a Scilla, aderì all'ingiunzione di Melendez, e scrisse a questo generale, che se ne ritornerebbe subito a Messina, col patto però che non fosse molestato nella sua ritirata.
Dopo poche ore scrisse un'altra lettera al Melendez, e gli dicea, che, avendo ricevuti altri rinforzi da Messina ritirava la sua promessa e che sarebbe pronto a battersi contro le regie truppe. Intanto andava internandosi tra boschi e valli per iscansare l'incontro de' regi.
La seconda lettera di Missori non era affatto menzognera; di fatti quel giorno stesso 13 agosto, erano sbarcati altri garibaldini a Bianco e a Bovalino. Le regie fregate, il Fulminante
e Y Ettore Fieramosca
in crociera nel Faro ove passarono le barcacce cariche di garibaldini, nulla videro, perché nulla vollero vedere.
La notizia del primo sbarco garibaldesco sul lido calabro, suscitò una grandissima indignazione nella gente onesta e devota al Re contro il ministero liberale di Napoli. Pianelli ministro della guerra, forse per salvare le apparenza, spedì in Calabria altri due battaglioni cacciatori, il 1° e il 5° i quali sbarcarono in Bagnara lo stesso giorno 13 agosto. Di questa nuova truppa leggiera coll'aggiunta poi dell'1 1° cacciatori, si formò una altra brigata indipendente dalle altre, ed ebbe l'incarico d'inseguire i garibaldini sui monti. Il comando di questa quinta brigata delle tre Calabrie fu dato al Colonnello Ruiz de Ballestreros il quale non si era condotto male in Catania, ma tra breve vedremo quanto danno facesse alla campagna militare di Calabria.
Giambattista Vial generale in capo di tutte le forze delle tre Calabrie, uomo probo e fedele al Re, si cullava sempre nelle promesse di un ministero fedifrago; ed invece di accorrere sul teatro della guerra, comandava da lontano, e non era ubbidito da tutti i duci suoi dipendenti.
Ruiz ebbe l'ordine d'inseguire e sgominare i garibaldini rifuggiti sopra le montagne e ne' boschi, ma nulla fece. Briganti che restava inoperoso in Reggio, per la sola causa del Re alle sollecitudini di Vial che gli ordinava di agire, rispondea: il paese essere tranquillo, disarmati e domi i ribelli!
I buoni calabresi vedendo che la truppa non agiva o debolmente contro gl'invasori, si presentarono a' duci napoletani ed esposero loro che voleano essi attaccare i garibaldini: voleano però armi e mezzi qualunque si fossero per combatterli. I duci settarii non accolsero quell'offerta de' Calabresi, e la rifiutarono con burbanzose minacce. Il solo generale Melendez telegrafò al Ministro Pianelli, e gli significò l'offerta de' calabresi, per sentirne il parere. Pianelli rispose: «Che temeva più la reazione che i garibaldini,» Ora il sig. generale Pianelli se ne potrebbe fare un vanto di questa risposta data a Melendez. Ma si potea allora vincere con un sì fatto Ministro di guerra? Garibaldi è in fama di gran Generale, di Scassatroni,
di eroe de' due mondi; tutto questo lo sarà, non voglio metterlo in dubbio; anzi, se vi piace, lo chiameremo pure eroe di tre mondi includendo quello della luna. Però, i suoi ammiratori non dovrebbero negare che tutto quello ch'egli operò e compì di maraviglioso nel Regno delle due Sicilie, l'avrebbe operato e compito un uomo qualunque se avesse avuto i mezzi e gli aiuti del nostro eroe: chi sa..! anche io o qualunque di voi, miei benevoli lettori, avremmo operato quella specie di eroiche e miracolose gesta!
Sicuro Garibaldi del Comandante delle armi in Reggio, generale Gallotti, e dell'Intendente Bolani, si decise di passare sul continente calabro ed impossessarsi di quella città. Lasciò a Torre del Faro molte barcacce e molta gente per attirare in quel luogo l'attenzione de' regi, e mosse per Taormina al sud di Messina; alla spiaggia de' Giardini si imbarcò sul Franklin
la sera del 18 agosto, e vi s'imbarcò pure Bixio sul Torino,
conducendo duemila garibaldini distribuiti sopra le due navi a vapore. La notte era oscura e il mare grosso, forte soffiava il vento, e cadea pioggia leggiera, sicchè si tennero per più ore nel canale onde non urtare negli scogli della costa calabra; ma finalmente al primo spuntar dell'alba, abbonacciandosi il mare drizzarono le prue verso Melito ed ivi approdarono sulla spiaggia di Rombolo, presso la Chiesa di Portosalvo, a circa due miglia dall'abitato.
Prima che le due navi garibaldesche approdassero, furono scoperte dall'uffiziale telegrafico di Melito, il quale non diede informazioni alle autorità. Più tardi furono anche scoperte dall'altro uffiziale di Capo d'armi, e questi segnalò subito a Reggio la loro presenza in quei paraggi.
Lo sbarco de' garibaldini sulla spiaggia di Rombolo, fu rapido ma in grande confusione. Bixio fece dare a secco il Torino
per isbarcare al più presto, e il Franklin
si accostò al Torino
per servirsene come di ponte a fare scendere la propria gente.
Garibaldi volle tentare, ma inutilmente, di tirare a galla il Torino
col Franklin,
che poi rimandò a Messina per metterlo in salvo, e chieder soccorso alla marina sarda.
Appena sbarcati gl'invasori, prima cura di Garibaldi fu quella d'impossessarsi del telegrafo, onde impedire che si fosse dato avviso alla truppa del già avvenuto sbarco;
ma Carmelo Massa uffiziale telegrafico di Melito, andò incontro al Dittatore e lo riconobbe qual nuovo padrone.
Egli suggerì a Garibaldi di passare regolarmente i dispacci al Capo d'armi per non dare alcun sospetto, ma costui non volle fidarsi di un nuovo traditore che ancora non conoscea. Però dal Capo d'armi, come ho già detto, s'era dato avviso alle autorità di Reggio, e queste, forse, sapeano anticipatamente tutto quello che dovea accadere la mattina del 19 agosto; onde aspettavano gli avvenimenti senza curarsi d'altro.
I garibaldini accamparono nella pianura di Rombolo, ma privi di tutto, tanto che taluni militi e graduati dovettero requisire le cose di prima necessità presso i naturali di Melito indifferenti affatto per loro.
Le autorità di Reggio con tutto il comodo possibile diedero avviso dell'avvenuto sbarco garibaldesco al Salazar Comandante la squadra napoletana nel Faro; quel giorno si trovavano due soli legni il Fulminante,
e l'avviso Aquila.
Gli altri comandanti de' piroscafi della real marina napoletana adducendo sempre mille scuse non fecero mai il loro dovere. Or diceano che non aveano carbone, perché consumato: ora mancavano di àncore: ora la macchina era guasta: le artiglierie inutilizzate, e con queste ed altre scuse otteneano facilmente di farsi mandare a Napoli, quando aveano le migliori fregate della flotta; restavano dunque in Reggio, come ho già detto, due sole navi sotto il comando di Salazar.
Quando il Salazar seppe che le navi nemiche si avvicinavano alla cosa Calabra, cioè dalla parte di Melito, ch'è l'ultimo paese della penisola italica del Sud, si dispose a partir da Reggio per opporsi allo sbarco garibaldesco. Secondo lo storico de Sivo, il Salazar in luogo di affrettarsi a correre contro il nemico fece passar molto tempo, e volle prima sentirsi la S. Messa. Però il sig. Cesare Morisani abitante di Reggio, accuratissimo e fedele storico de' fatti di Calabria del 1860, dice che Salazar non tardò ad accorrere col Fulminante
e con l'Aquila
sul luogo dello sbarco. Quindi noi benignamente ammetteremo come certa la notizia del sig. Morisani, ed in simili casi potremmo dispensare il Salazar e compagni di sentirsi la S. Messa. Mentre Salazar corre incontro al nemico, cosa facevano Bolani intendente, e il generale Gallotti comandante le armi in Reggio? Invece di mandar truppa sul luogo dello sbarco, o disporsi ad una valida difesa, sorvegliavano con più accuratezza i Borbonici; pensavano ad infrenare le dimostrazioni favorevoli al Re. Erano solamente solerti a reprimere le dimostrazioni contro Garibaldi e punire con energia i così detti reazionarii, come avvenne ne' moti di Cerchiara, ove mandarono la Guardia Nazionale per distruggere e fucilare senza misericordia tutti quelli che aveano gridato: Via Francesco II, morte agl'invasori!
Bolani e Gallotti si baloccavano a perseguitare gli sventurati poliziotti di Messina riparatisi in Reggio, avendo loro scatenato addosso i settari, e quegli infelici per campar la vita corsero in mezzo a' gendarmi: i quali furono puniti dal Gallotti, perché li difesero. Il Bolani mandò a Napoli que' poliziotti con la rea nota di borsaioli. D. Liborio ministro liberale dell'interno approvava, già s'intende, ed encomiava la condotta di Bolani e di Gallotti.
Salazar mentre correva verso la spiaggia di Melito, incontrò il Franklin,
questo alzò bandiera americana, ed egli lo fece passare senza alcuna molestia, sol perché lo vide vuoto di garibaldini. Il medesimo storico de Sivo afferma che sopra il Franklin
si trovasse Garibaldi, il quale andava a Messina per chiedere aiuto alla squadra sarda contro quella napoletana, e per mettere a galla il Torino,
e che poi udito il cannoneggiamento de' legni napoletani indovinò che il Salazar, novello D. Chisciotte era alle prese col Torino,
vuoto di garibaldini, e che fosse sbarcato sulla spiaggia calabra per riunirsi a' suoi. Sembra qui che il chiarissimo storico de Sivo non sia stato bene informato su questo fatto, perché molti scrittori, testimoni oculari, dicono che Garibaldi in quel momento si trovasse nella pianura di Rombolo assieme alla sua gente. È certo però che il Salazar commise il più grande errore, avendo fatto passare liberalmente il Franklin
già conosciuto per legno garibaldesco. Egli, forse, avea la smania di fare la seconda edizione di Marsala, ove i suoi colleghi cannoneggiarono il piroscafo Piemonte
dopo che i garibaldini erano già sbarcati sulla spiaggia. Difatti giunto con i due legni all'una e mezzo p. m. nella riva di Melito, fece prima fuoco contro il Torino
vuoto, poi lo fece abbruciare: in seguito aprì il fuoco contro i garibaldini che stavano accampati nella pianura di Rombolo.
Tutta l'oste garibaldina si sbandò immediatamente e cercò sicuro riparo, non solo per salvarsi dalle cannonate dei regi legni, ma perché temea la truppa che supponeva avesse da sbarcare. Salazar perseguitò a colpi di palla di cannone quegli sbandati, finchè furono a tiro dell'artiglieria, e ne uccise molti. I cadaveri de' garibaldini restarono sulla spiaggia insepolti per più giorni: sessanta feriti furono raccolti e trasportati a Melito, ove la maggior parte moriva. Lo stesso Garibaldi corse gran pericolo: essendosi egli rifugiato nella Casina del sig. Ramirez; appena si affacciò al balcone fu riconosciuto dal Capitano Besio comandante dell'Aquila,
e costui gli diresse parecchie cannonate. Quella casina fu danneggiata, ed una palla si conficcò nel muro laterale al balcone ov'era affacciato il Dittatore. Questi veduto il pericolo, assieme a Bixio e Massa, uffiziale telegrafico, riparò fuori tiro del cannone in una casa campestre del signor Alati; ivi passò la notte, accontentandosi di uova e pane bruno per cena. Quando Salazar fece scendere nelle barchette i marinai per abbruciare il Torino,
si suppose da' garibaldini e da' Calabresi che già cominciasse lo sbarco de' soldati per inseguire i nemici. In effetto si sparse la voce per quelle contrade che la truppa fosse sbarcata e tutti si misero in salvo.
Missori, che facilmente avea sfuggita la brigata di Ruiz, avendo inteso lo sbarco di Garibaldi, corse alla volta di Melito per riunirsi a costui. Egli conducea con sè molti borbonici arrestati, tra gli altri l'arciprete ed alcuni preti del paese di S. Lorenzo: avendo incontrato il sig. Ramirez ed appreso da costui che i regi erano già sbarcati, fuggì in fretta sopra quelle scoscese montagne, ed abbandonò gli arrestati: meno male! La sua gente si sbandò, e que' garibaldini per non essere conosciuti gettavano la camicia rossa.
Quando poi si seppe che la truppa non si era mossa da Reggio, Missori, con alcuni suoi uffiziali, penò non poco a raccogliere i suoi militi. Obbligò con la forza gli
abitanti di que' luoghi a dargli viveri, trasporti, e danaro come anticipo di fondiaria: ma tutti lo fuggivano, e neppure potè sfamare la sua gente.
Lo stato de' garibaldini condotti dal Dittatore era peggiore di quelli condotti da Missori, e quando costui, la mattina seguente, raggiunse il duce supremo della rivoluzione facevano tutti pietà. Erano affamati, pallidi, scoraggiati, perché le popolazioni fuggendoli loro mostravansi ostili. Garibaldi però, sicuro delle promesse di alcuni duci napoletani suoi fedeli alleati, non si mostrò più indeciso, e sbaldanzito come al trivio della Ficuzza in Sicilia, confortò i suoi, e diede loro facili speranze.
Il giorno stesso che sbarcò Garibaldi a Rombolo, il Conte Albini Capo della squadra sarda, spedì da Messina il Carlo Alberto  per tirare a galla il Torino,  e per assicurarsi se gli affari garibaldeschi andassero bene, o abbisognasse aiuto. Della Mantica comandante di quella nave, trovò il Torino  abbruciato, ma seppe con grande sua soddisfazione che gli affari di Garibaldi andavano benino: quindi ritornò a Messina ed assicurò il suo caposquadra dei buoni risultati, e questi proseguì a recitare la commedia della solita neutralità.



(Estratto dal libro di Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta).