martedì 24 gennaio 2012

COME VALUTARE STATISTICAMENTE IL PROGRESSO E LA QUALITÀ DELLA VITA?


[…] Un forte bravo a Roberto Della Rocca ed Andrea Casiere, che, armati dalla passione della ricerca della verità, hanno prodotto un documento che non si presta ad alcuna lettura fuorviante, mistificatoria, in omaggio alla Verità […]. Dunque, il conclamato terzo posto - di cui si legge su tutti i libri ed opuscoli e soprattutto su tutte le reti telematiche filoborbonici e/o, in senso molto più ampio, meridionalistici - vantato dal Regno delle Due Sicilie tra i Paesi più industrializzati è destituito di fondamento. […]
Ciò posto, però, mi preme avanzare una semplice domanda. Se nel momento in cui noi diamo valore obbiettivo all’industrializzazione significa che noi misuriamo la civiltà di un popolo in ragione di questo metro. Mi chiedo ed anche a Voi chiedo: posto che lo Stato X ha, ad esempio, dodici industrie e lo Stato Y ne ha sette, che cosa significa ciò? Che forse lo Stato X è più civile dello Stato Y? […]
Riconoscere supremazia all’industrializzazione piuttosto che a qualche altro indicatore significa consegnarsi (almeno secondo il mio modestissimo punto di vista) armi e bagagli al mito dell’economia, al profitto, significa accettare i diktat di una visione mercatista, di una visione che vuole distruggere il territorio e con esso tutta la
memoria storico-culturale […]. In altre parole significa, secondo me, accettare il mito del progresso, il mito del Settecento degli Illuministi di contro ad una visione ‘altra’ della vita. […]
In virtù del mito del progresso sono venuti fuori tutti quei galantuomini che, provenendo dalla classe bracciantile indossano prima i panni del borghese e successivamente addirittura quelli dell’aristocratico, calpestano diritti, valori, uomini, pur di arrivare sempre più in alto all’insegna esclusivo del proprio guicciardiniano particulare. Don Calogero Sedàra, così come tratteggiato da Giuseppe Tomasi di Lampedusa, è l’idealtypus di questa nuova classe fatta di nuovi ricchi, individui rozzi, avidi, grossolani, che ammassano derrate alimentari e beni culturali, terreni, case ed altri beni materiali, che vogliono solo per sé e per i propri familiari, in una forsennata corsa verso una ricchezza totalitaria. La società così si disgrega, si allontana dal centro, sempre più in preda alla frenesia, al borghesismo, all’edonismo, al mercantilismo, all’utilitarismo, producendo con progressione geometrica i galantuomini che stanno sempre in agguato per attaccare ciò che resta del pubblico.
Ed il popolo, nonostante riesca a riconoscerli, non riesce ad abbatterli, pur quando prende le armi, si dà alla macchia e diventa brigante, in altre parole il popolo diventando brigante non vuole adeguarsi alla normalizzazione dello stato e/o del capitale.
Ogni anno noi meridionali ci sentiamo sminuiti a fronte delle indagini statistiche de Il Sole 24 Ore, perché veniamo relegati sempre agli ultimi posti e l’unica attrattiva è costituita dallo stabilire se all’ultimo posto compare Caserta o Caltanissetta.
Ma consideriamo che tali statistiche tengono conto solo degli aspetti materiali della vita: reddito pro-capite, numeri di abbonamenti telefonici, numero di auto, numero di lavatrici, numero di abbonamenti alle partite di pallone, kmq di strade, numeri di elaboratori elettronici, numeri di posti letto in ospedali pubblici e cliniche private, depositi bancari, risparmi postali, e poi, tanto per non far vedere, numero di biblioteche, numeri di quotidiani venduti (si badi bene: venduti), numero di libri venduti (sempre venduti), numeri di biglietti staccati al teatro, etc., etc.
Ma abbiamo mai pensato di vergare un altro elenco di altri indicatori? Pensiamo, ad esempio, ad indicatori statistici che tengano conto del numero degli anziani che restano nella propria famiglia di provenienza e non sono parcheggiati nelle cosiddette case di riposo, delle mamme che tengono con sé i propri figli (e non solo perché risultano essere disoccupate), del numero di ore di assistenza erogate dai propri familiari verso chi è malato, del numero dei suicidi, del tipo di alimenti che mettiamo a tavola, dei grandi riti religiosi tradizionali (penso ai Battienti di Guardia Sanframondi, ai Gigli di Nola o alla tracciatura del solco a Castel Morrone o a
Sturno, al pellegrinaggio alla Madonna di Viggiano, alla processione delle cente nel Cilento, ai fujenti della Madonna dell’Arco, etc.) che si vivono ancora nei nostri paesi, dell’istituto del matrimonio (in gran parte anche religioso) che si vive come festa comunitaria e non del matrimonio (in gran parte civile) che si vive trans
Tiberim tra quattro gatti con la sposa che non sa e non può avere il vestito bianco, della celebrazione del battesimo e della comunione, dell’evento naturale della morte, visto come partecipazione sentita, soprattutto nei paesi, come grande momento comunitario. Si è mai pensato di stilare una classifica che non tenga conto degli indicatori socio-economici? […]