Nell’anniversario della morte di Monsignor Umberto Benigni, fondatore del Sodalitium pianum, avvenuta il 27 febbraio 1934, riportiamo da Radio Spada un interessante citazione dalla sua “Storia sociale della Chiesa, volume V. La crisi medioevale” pubblicato da Vallecchi editore nel 1933, pp 493.494. Monsignor Benigni, da storiografo cattolico qual era, riteneva che l’ebraismo della diaspora fosse il principio (remoto o prossimo) di qualunque moto realmente sovvertitore ed eversivo nel campo sociale e religioso nella storia dell’Europa cristiana.
In fondo, la soluzione del problema è molto semplice. Il supremo settarismo esoterico, eversore totalitario d’ogni ordine religioso e civile – questa è la quintessenza del satanismo – controlla ogni movimento eversivo e lo integra. E’ un movimento religioso? Vi inserisce quello sociale-civile. E’ tale? Vi inserisce l’eversione religiosa. Questo supremo settarismo è la spora sopravvivente di ogni cancro sociale che appare sul corpo del consorzio umano; diciamo meglio, tale spora rende cancro anche un semplice tumore. Ecco perché tra le altre ragioni san Giovanni apostolo ha dato l’allarme cotanto frainteso o trascurato: “O kosmos olos en to ponero ketai” (il mondo è posato, giace, nel malvagio, cioè nel male efficiente). Sia detto in buona pace di tutti, ché queste pagine sono veramente redatte “sine ira et partium studio”: tutta la prospettazione basilare che qui sopra abbiamo tentato di riassumere esula completamente dalla visuale di tanti egregi uomini, studiosi e reggitori, fissati nella visione stilizzata accademica, libresca, come dicono coll’espressivo vocabolo “livresque” i francesi. Accademici o governanti spirituali e temporali si son lasciati, attraverso i secoli, allucinare da chi voleva togliere il loro sguardo dall’approfondimento della rispettiva situazione, oppure sortirono dalla natura l’occhio della mente insanabilmente miope. Possono essere, gli uni dotti, eruditi, blindati di documenti pubblicati da un corpus all’altro, e gli egregi ed abili gestori delle cose pubbliche: sono queste le loro colonne d’Ercole. Parlate loro di un mondo che sorge dall’altra sponda del loro “Atlantico”; vi risponderanno col sorriso scettico che immortalò i professori di Salamanca ironicamente sorridenti a Colombo. Un giorno al dittatore Kerenski fu mandato a dire che un furibondo oratore, dalla finestra d’una casa di Pietroburgo, eccitava la folla a ribellarsi al ribelle. Chi diamine sarà? Kerenski fu presto tranquillizzato; gli fu riferito che era quello strambo di Lenin, un pazzo bolscevico, a cui nessun uomo equilibrato avrebbe dato retta: ma quel “Kerenski” vive da secoli, ed è sempre lo stesso. Si dette alla pazza gioia dopo il concilio scismatico di Basilea, mandandolo a ripaglia con l’antipapa Felice. Scosse scetticamente le spalle, vedendo un “litigio tra frati” gelosi, nella scenata fatta alle porte dell’università di Vittemberga da quello strambo Lenin fratesco che fu Martin Lutero. Pensò alla corte di Versaglia che la rivoluzione francese fosse una rivolta da dare una qualche seccatura. Questo “Kerenski” millenario è preso dalle allucinazioni restaurazionistiche. Nel Settecento giurò sul ritorno degli Stuart sul trono inglese; nell’Ottocento sulla intronizzazione portoghese di Don Miguel, spagnuola di Don Carlos, francese del conte di Chambord. Quando egli, in quel torno, montò il sonderbund separatista della Svizzera, dormì tranquillo sul guanciale del coraggioso e fedele Metternich (se ci fu uno né coraggioso né probo, fu proprio lui) al cui ordine quell’esercito austriaco il quale aveva visto sconfiggere Napoleone, avrebbe schiacciato le truppe bernesi. Quando lo cacciarono nel 1859, quel “Kerenski” scosse la machiavellica testa, mormorando: è un altro Quarantotto. Quando lo cacciarono del 1917, fece lo stesso scrollo e brontolò: è un altro 1905. Oggi… L’oggi è troppo oggi per continuare la miserevole serie qui; ma essa continua e continuerà là. Difatti a chi scrive queste non liete pagine, hanno parlato faccia a faccia, attraverso gli anni della sua lunga vita, vari “Kerenski”, che qui è inopportuno individuare. […] Tutte egregie persone, spesso ingegnose e colte, ma in fondo più vecchie dei loro vecchi idoli politici e sociali, avevano dimenticato il “totus mundus in maligno positus est” di san Giovanni Evangelista. […] Ecco perché malgrado Ildebrando, Bernardo, Innocenzo III e Simone di Montfort, il grande Medioevo, invecchiato come ogni cosa umana, fu scosso e poi diroccato da grosse e piccole catapulte, manovrate da mani nascoste, da eresie e sette sovvertitrici religiose e civili, finendo indecorosamente, nel crepacuore di Papa Bonifacio, nell’esilio di Avignone, nella tregenda dello scisma con due o tre papi simultanei fra i quali anche santi, come Vincenzo Ferrer, non riuscivano talvolta a discernere l’autentico. Se il crollo del Medioevo fosse stata pura opera interna, cioè dalla pura e semplice decrepitezza di quell’epoca, sarebbe sorta una nuova epoca, sana e forte. Invece, grazie all’opera sistematicamente evoluta di elementi motori, l’eversione sociale continuò, erompendo ad ogni stagione maturata: la riforma primigenia, la riforma del secondo tempo, nettamente democratica e regicida, poi la rivoluzione francese, poi il resto…
(testo raccolto a cura di Piergiorgio Seveso)
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