sabato 7 febbraio 2015

J. Ratzinger: ‘Induismo altissimo e purissimo, marcato dall’idea dell’amore’


J. Ratzinger: ‘Induismo altissimo e purissimo, marcato dall’idea dell’amore’

di CDP Ricciotti.
Nelle “puntate” precedenti (clicca qui per l’elenco completo) abbiamo dimostrato, fra l’altro, che J. Ratzinger asserisce apertamente che il modernismo non va, oggigiorno, più condannato; che bisogna lavorare insieme per l’edificazione di un Nuovo Ordine Mondiale; che le istituzioni islamiche sono lodevoli; che l’attesa messianica ebraica non è vana; etc etc etc…
Abbiamo dimostrato che, secondo J. Ratzinger (esplicitamente), le istituzioni devono essere libere di abbracciare e tutelare un qualsiasi credo e, con i loro errori dottrinali ed etici, devono essere libere di condurre le nazioni affidate ai loro governi.
Questo errore, così pertinace e pernicioso, è già stato condannato a più riprese dalla Chiesa, la quale sostiene che, contro la rivolta e contro l’empietà dei governi, è doveroso: «omnia instaurare in Christo».
Ribadisce san Pio X nella sua «Notre Charge Apostolique»:
«La nostra carica apostolica ci rende doveroso vigilare sulla purezza della fede e sull’integrità della disciplina cattolica, preservare i fedeli dai pericoli dell’errore e del male, soprattutto quando l’errore e il male sono loro presentati con un linguaggio trascinante, che velando l’incertezza delle idee e l’equivocità dell’espressione con l’ardore del sentimento e con l’altisonanza delle parole, può infiammare i cuori per cause seducenti, ma funeste. Tali sono state un tempo le dottrine dei sedicenti filosofi del secolo diciottesimo, quelle della Rivoluzione e del liberalismo, tante volte condannate […] Venerabili Fratelli – bisogna ricordarlo energicamente in questi tempi di anarchia sociale e intellettuale, in cui ciascuno si atteggia a dottore e legislatore -, non si costruirà la città diversamente da come Dio l’ha costruita; non si edificherà la società, se la Chiesa non ne getta le basi e non ne dirige i lavori; no, la civiltà non è più da inventare, né la città nuova da costruire sulle nuvole. Essa è esistita, essa esiste; è la civiltà cristiana, è la civiltà cattolica. Si tratta unicamente d’instaurarla e di restaurarla senza sosta sui suoi fondamenti naturali e divini contro gli attacchi sempre rinascenti della malsana utopia, della rivolta e dell’empietà: “omnia instaurare in Christo”».
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Ratzinger non si limita solamente ad incensare ed incentivare le istituzionigiudaiche e quelle maomettane, ma lo fa anche con le buddiste. In una sua dichiarazione ai Vescovi della Thailandia, in visita ‘ad Limina Apostolorum’, 16 maggio 2008 (clicca qui per la versione inglese, qui per quella italiana), J. Ratzinger, lodando l’opinione dei Vescovi della Thailandia, asserisce: «[…] In realtà , si è prontamente espresso a me il vostro grande rispetto per i monasteri buddisti e la stima che avete per il loro contributo alla vita sociale e culturale del popolo thailandese».
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Nella versione italiana del discorso si legge: «[…] Infatti, mi avete prontamente espresso il vostro grande rispetto per i monasteri buddisti e la stima che nutrite per il contributo che apportano alla vita sociale e culturale del popolo thailandese. Oggi, la coesistenza di differenti comunità religiose si svolge sullo sfondo della globalizzazione. Di recente, ho osservato che le forze della globalizzazione vedono l’umanità sospesa fra due poli. Da una parte c’è la moltitudine di crescenti vincoli sociali e culturali che in generale promuovono un senso di solidarietà globale e di responsabilità condivisa per il bene dell’umanità [chiamiamolo pure ‘irenismo’, NdR.]. Dall’altra, appaiono segni inquietanti di una frammentazione e di un certo individualismo in cui domina il secolarismo, che spinge il trascendente e il senso del sacro ai margini ed eclissa la fonte stessa di armonia e unità nell’universo».
Pertanto: «[…] gli aspetti negativi di questo fenomeno culturale, che causa sgomento e voi e ad altri responsabili religiosi nel vostro Paese, evidenziano l’importanza della cooperazione interreligiosa[o falso ecumenismo, NdR.]. Esortano a uno sforzo concertato per sostenere l’anima spirituale e morale del vostro popoloIn accordo con i buddisti, potete promuovere la comprensione reciproca concernente la trasmissione delle tradizioni alle prossime generazioni, l’articolazione di valori etici che la ragione può discernere, il timore reverenziale per il trascendente, la preghierae la contemplazione. Queste pratiche e disposizioni servono il bene comune della società e alimentano l’essenza di ogni essere umano».
Senza operare il congruo distinguo (quale preghiera???, quale etica???, quale contemplazione???) nell’ambito del trascendente – non evidenziando ciò a cui può portare la vera fede o, diversamente, le “false religioni” – J. Ratzinger parla genericamente di «anima spirituale e morale» del popolo, di «responsabilità condivisa per il bene dell’umanità», di «accordo con i buddisti», di «articolazione di valori etici che la ragione può discernere» (valori riferiti a quale religione???), di importanza della «cooperazione religiosa», al fine di «promuovere la comprensione reciproca concernente la trasmissione delle tradizioni alle prossime generazioni» (quali tradizioni???), di difendere il «timore reverenziale per il trascendente» (di che tipo ??? di idolatria pagana o di cattolicità ???), disposizioni che «servono il bene comune della società».
San Pio X, ribadendo l’esistenza di una sola vera fratellanza con rapporto all’amore cristiano, nella sua «Notre Charge Apostolique», afferma solennemente:
«Lo stesso accade per la nozione di fraternità, di cui stabiliscono la base nell’amore degli interessi comuni, oppure, al di la di tutte le filosofie e di tutte le religioni, nella semplice nozione di umanità, comprendendo così nello stesso amore e in un’eguale tolleranza tutti gli uomini con tutte le loro miserie, tanto intellettuali e morali quanto fisiche e temporali. Orbene, la dottrina cattolica ci insegna che il primo dovere della carità non consiste nella tolleranza delle convinzioni erronee, per quanto sincere esse siano, né nella indifferenza teorica o pratica per l’errore o per il vizio in cui vediamo immersi i nostri fratelli, ma nello zelo per il loro miglioramento intellettuale e morale, non meno che per il loro benessere materiale. Questa stessa dottrina cattolica ci insegna pure che la sorgente dell’amore per il prossimo si trova nell’amore di Dio, padre comune e comune fine di tutta l’umana famiglia, e nell’amore di Gesù Cristo, di cui siamo le membra al punto che consolare un infelice equivale a far bene a Gesù Cristo stesso. Ogni altro amore è illusione o sentimento sterile e passeggero. Certamente, l’esperienza umana sta a provare, nelle società pagane o laiche di tutti i tempi, che in certi momenti la considerazione dei comuni interessi o della naturale somiglianza è di scarsissimo peso di fronte alle passioni e agli affetti disordinati del cuore. No, Venerabili Fratelli, non vi è vera fraternità al di fuori della carità cristiana, che per amore di Dio e del suo Figlio Gesù Cristo, nostro Salvatore, abbraccia tutti gli uomini per confortarli tutti e tutti condurre alla stessa fede e alla stessa felicità celeste. Separando la fraternità della carità cristiana intesa in tal modo, la Democrazia, lungi dall’essere un progresso, costituirebbe un disastroso regresso per la civiltà. Infatti, se si vuol arrivare, e noi lo desideriamo con tutta l’anima nostra, alla maggior quantità di benessere possibile per la società e per ciascuno dei suoi membri, per mezzo della fraternità, oppure, come ancora si dice, per mezzo della solidarietà universale, sono necessarie l’unione degli spiriti nella verità, l’unione delle volontà nella morale, l’unione dei cuori nell’amore di Dio e di suo Figlio, Gesù Cristo. Orbene, questa unione è realizzabile soltanto per mezzo della carità cattolica, la quale solamente, di conseguenza, può condurre i popoli sul cammino del progresso, verso l’ideale della civiltà».
L’esatto contrario di quanto J. Ratzinger sostiene in questa occasione ed in molte altre, così come è stato meticolosamente dimostrato.
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Ancora: J. Ratzinger, nel discorso ai vescovi italiani, pronunciato giovedì 24 maggio 2007, a Roma, in occasione della 57ma Assemblea generale della Cei (clicca qui), conferma la «[…] stima e il rispetto verso le altre religioni e culture, con i semi di verità e di bontà che vi sono presenti e che rappresentano una preparazione al Vangelo […]».
Su che base? Oltre a dimostrare, ancora una volta, di essere un liberale, laddove usa a sproposito le parole «stima» e «rispetto»,  egli fonda la sua credenza sulla depravazione della “missione cattolica” che, a suo dire, non dovrebbe più propendere alla conversione. Ricordiamo a riprova una sua dichiarazione, per esempio quella del 16 gennaio 2006, dove afferma: «la Chiesa non deve preoccuparsi della conversione dei Giudei, perché occorre aspettare il momento stabilito da Dio». Ecco su che base egli fonda questo rapporto di «stima e il rispetto verso le altre religioni e culture». Quale, invece, deve essere la preoccupazione del buon cattolico? Essere caritatevole:  «[…] la carità […] non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità» (ICor. XIII,6).
Secondo J. Ratzinger (ometto i commenti alla teologia vaticanosecondista sui «semi di verità»), la carità si ridurrebbe a questo bieco assistenzialismo filantropico e terzomondista: «[…] la medesima attenzione ai veri bisogni della gente si esprime nel servizio quotidiano alle molte povertà, antiche e nuove, visibili o nascoste; è un servizio nel quale si prodigano tante realtà ecclesiali […]».
Senza missione, senza restaurazione, non può esserci «buona novella». La Chiesa ci dice: «Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo» (Mt.IV,23); «Allora essi partirono e giravano di villaggio in villaggio, annunziando dovunque la buona novella e operando guarigioni» (Lc. IX,6); «Questa è la parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, recando la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è il Signore di tutti» (At. X,36).
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Nel suo libro «Salt of the Earth», 1996, alla pagina 23 si legge «[…] noi possiamo anche vedere che nei cosmi religiosi Indiani (“Induismo” è una denominazione piuttosto fuorviante per una molteplicità di religioni ) ci sono tante diverse forme: quelle altissime e purissime che sono marcate dall’idea dell’amore, ma anche quelle interamente raccapriccianti che includono omicidio rituale […]».
Ratzinger parla di forme «altissime e purissime», «marcate dall’idea dell’amore» nel paganesimo idolatra induista (che, in quanto “falsa religione”, può portare, appunto, anche all’«omicidio rituale», come lo stesso J. Ratzinger ammette). Questa è inversione apologetica, ovverosia, più alcuni Indù praticano forme «alte e pure» di idolatria e maggiormente marcata, secondo lui, sarebbe «l’idea dell’amore». Cosa ci dice, al contrario,  la Chiesa? «[…] dico che i sacrifici dei pagani sono fatti a demòni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni […]» (ICor. X,20).
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Papa Leone XIII nella sua «Ad extremas Orientis oras» ci spiega: «Si presentano al Nostro animo e suscitano in Noi un sentimento di amore quegli immensi spazi delle “Indie”, nei quali, da tanti secoli ormai, si esercita la fatica degli annunciatori dell’evangelo, e fra i primi viene in mente il beato apostolo Tommaso, che a buon diritto è considerato l’autore della prima proclamazione dell’evangelo agli indiani; e così pure Francesco Saverio che, per lungo tempo, si dedico con ardore alla medesima opera gloriosa, riuscendo, grazie alla sua incredibile costanza e carità a convertire centinaia di migliaia di indiani dai miti e dalle superstizioni impure del bramanesimo alla fede della retta religione».
Ed ecco la vera carità: «[…] Ad un’opera così nobile [la conversione] e per di più destinata ad apportare salvezza ad un’infinita moltitudine di uomini, è giusto che gli europei rechino un qualche contributo; soprattutto perché da soli non possiamo far fronte a così grandi spese. È dovere dei cristiani tenere in conto di fratelli tutti gli uomini, ovunque essi vivano, e non ritenere nessuno fuori dal raggio del loro amore; e tanto più in quelle cose che riguardano la salvezza eterna del prossimo […] questa sia la convinzione soprattutto di coloro che ritengono che il miglior frutto del denaro sia la possibilità di servire alla beneficenza » (Ivi.).
Insegna Pio XII nella «Humani Generis»: « Si nota poi un altro pericolo, e tanto più grave, perché si copre maggiormente con l’apparenza della virtù. Molti, deplorando la discordia e la confusione che regna nelle menti umane, mossi da uno zelo imprudente e spinti da uno slancio e da un grande desiderio di rompere i confini con cui sono fra loro divisi i buoni e gli onesti; essi abbracciano perciò una specie di “irenismo” […] alcuni, infuocati da un imprudente “irenismo”, sembrano ritenere un ostacolo al ristabilimento dell’unità fraterna, quanto si fonda sulle leggi e sui principi stessi dati da Cristo e sulle istituzioni da Lui fondate, o quanto costituisce la difesa e il sostegno dell’integrità della fede, crollate le quali, tutto viene sì unificato, ma soltanto nella comune rovina».
Ancora: «[…]  come un tempo vi furono coloro che si domandavano se l’apologetica tradizionale della Chiesa costituisse più un ostacolo che un aiuto per guadagnare le anime a Cristo, cosi oggi non mancano coloro che osano arrivare fino al punto di proporre seriamente la questione, se la teologia e il suo metodo […] non solo debbano essere perfezionate, ma anche completamente riformate […]».
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Pio XII denuncia queste «innovazioni», tali «riforme», questo «irenismo» che porta sì all’«unificazione», ma nella «comune rovina».
In che consiste il vero amore? Non certo in quelle forme «altissime e purissime», «marcate dall’idea dell’amore», di cui va blaterando J. Ratzinger a proposito di idolatria e paganesimo induista, bensì: «[…] in questo consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi» (IGv. 5,3).
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Conclude Pio XII, 22 Agosto 1950 nella «Humani Generis»: «[…] Cerchiamo con ogni sforzo e con passione di concorrere al progresso delle scienze che insegnano; ma si guardino anche dall’oltrepassare i confini da Noi stabiliti per la difesa della fede e della dottrina cattolica. Alle nuove questioni, che la cultura moderna e il progresso hanno fatto diventare di attualità, diano l’apporto delle loro accuratissime ricerche, ma con la conveniente prudenza e cautela; infine, non abbiano a credere, per un falso “irenismo”, che si possa ottenere un felice ritorno nel seno della Chiesa dei dissidenti e degli erranti, se non si insegna a tutti, sinceramente, tutta la verità in vigore nella Chiesa, senza alcuna corruzione e senza alcuna diminuzione […]».
Prosegue … (clicca qui per l’elenco completo dei mini-dossier su J. Ratzinger) …