giovedì 5 maggio 2016

Wilhelm Oberdank: tra falsi storici e propaganda a "tre colori"

 
 
 
 Il cognome di Oberdank fu italianizzato dopo la sua morte. Nei dispacci ufficiali del Governo italiano veniva scritto con la kappa finale, così addirittura nelle medaglie commemorative coniate dai suoi complici, così in tutta la stampa italiana come si vede dalla rassegna del Comandini a foto numero 4.

Il suo nome italianizzato "Oberdan" compare per la prima volta sulla stampa italiana, 8 an...ni dopo la sua morte ed in modo sporadico. Appena alla fine del 1914, la kappa finale scomparirà del tutto.

I traditori irredentisti e loro seguci attuali, nostalgici dell'Italia, affermano che egli si sarebbe italianizzato da solo ed esibiscono come indizio, il suo "testamento". Quel documento è falso come lo è la "sentenza di morte" che circola in tutta Italia, come dimostreremo in seguito e come si può osservare ad occhio nudo alla foto (5).
 
 
 
 
 

 
 
Questa sarebbe la scrittura di Wilhelm Oberdank?

Ridicoli... se usate google immagini non faticherete molto a scoprire che si tratta di uno stile tipografico della famiglia "handwriting", che nel 1800 voleva imitare in qualche modo i caratteri di Guttenberg.

Si notano varie curiosità in questo falso dei falsi, ad esempio il variare dell'inclinazione della scrittura. Ne esiste una versione stampata su sfondo grigio, una stampata su sfondo rosa.
 
 
Versione in rosa, come la Gazzetta dello Sport
 
Versione stampata. Sarebbe veramente curiosa la conversione di Wilhelm Oberdank, figlio di una slovena e di un padre forse veneto e forse sloveno anche lui, adottato da un croato... che odia tanto "gli stranieri".

Più slavo di lui non c'era nessuno eppure voleva "liberare" Trieste anche dalla sua stirpe. Curioso. E' molto curioso anche il fatto che avrebbe scritto il "testamento politico" (lasciamo perdere i font di stampa) certo di morire, prima di compiere l'azione.

Forse una cartomante napoletana pagata da Imbriani, gli aveva predetto il futuro? Era poi repubblicano quando arrivò in Italia? No.
Sentenza di morte originale, in seguito alcune versioni falsificate che ornano muri e bacheche di musei e di scuole di tutta Italia.
 
falso storico.

In tutte le versioni falsificate che pubblichiamo, il testo della condanna non è stato modificato.

Non così per il nome e cognome del condannato che compare nell'impossibile versione italianizzata post mortem e non così per le firme....

Se fossero rimaste le firme originali, i lettori avrebbero potuto accorgersi che le prime due firme sono di due suoi colleghi parigrado, come da legge militare per le corti marziali. e' anche probabile che appartenessero al Reggimento 22 esimo dal quale aveva disertato, ma di questo non vi è certezza.

La giuria delle corti marziali era rappresentata dai vari gradi della gerarchia ma i parigrado votavano sempre per primi, onde evitare che il voto dei superiori potesse influenzarli.

In ultimo, il presidente della corte marziale pronunciava la sentenza ed applicava la pena prevista, informando sempre il condannato dei suoi diritti e dalla possibilità di chiedere la grazia.

La condanna di Wilhelm Oberdank fu pertanto "democratica", decisa da una corte marziale senza alcuna influenza "politica".

Chi conosce la storia dell'Austria e dell'esercito imperiale (K.u.K.) del quale Oberdank era disertore, sa che eventuali influenze politiche erano del tutto escluse.

Solo l'Imperatore avrebbe potuto comunicare con i giudici essendo il capo supremo delle forze armate ma non lo fece e chi conosce la Sua figura storica, esclude che lo avrebbe mai fatto, nonostante la Giustizia militare avesse fornito "un martire" ai terroristi italiani che gli armarono la mano.

Era anche del tutto esclusa la Grazia, se non richiesta dal condannato. I quotidiani di mezza Europa che invocavano la grazia, non avrebbero dovuto rivolgersi al nostro Imperatore che mai violò alcuna legge austriaca; avrebbero fatto meglio a rivolgersi al condannato in modo che la chiedesse.
 
falso storico
 
falso storico.

Qui la falsificazione più evidente è il nome e cognome italianizzato inserito a stampa con un "font" del tutto estraneo al testo e del tutto estraneo alla grafica dell'aquila bicefala che oltretutto, è del Lombardo Veneto e non certo dello Stato austriaco che lo arrestò e lo processò.
E aggiungiamo per i meno attenti, che nel 1882 il Lombardo-Veneto era occupato dal governo italiano da sedici anni. Il buontempone che ha creato il falso si è con molta probabilità avvalso di documenti di epoca austriaca reperiti in un archivio in territorio lombardo-veneto che all'epoca del falso erano ormai parte del Regno d'Italia. Hanno cioè ignorantemente utilizzato la prima aquila che gli è capitata sottomano, senza nemmeno rendersi conto che era quella con sul petto gli stemmi di Lombardia e Veneto, quindi non pertinente nè a Trieste nè a Vienna.
 
Italia: 2 condanne nei processi per le manifestazioni in favore di Oberdank: condannato il capo redattore del foglio "Il ribelle" ed il direttore responsabile dell'Osservatore Cattolico, don Albertorio; multe alle testate per 400 e 1.500 lire.
 
questa è la versione del falso storico della sentenza, appesa in molte copie nei corridoi del liceo "Oberdan" di Trieste. Generazioni e generazioni di studenti, cresciuti nel falso storico.

Generazioni e generazioni di insegnanti che hanno raccontato palle.

Nessuno ha avuto ancora il coraggio di dire: "No, quello è un falso storico!"

Nessuno ha avuto ancora il coraggio di dire che Oberdank era un terrorista e che non si intitolano i licei ai terroristi e stragisti di inermi minorenni.
 
Si invita a documentarsi sul libro di De Marzi: "Oberdank il terrorista" e non sul più famoso testo di Salata, che era degno compare di Oberdank e quasi certamente coinvolto nel complotto.

In realtà sarà proprio il Salata a fare luce sull'identità del criminale che tirò 2 bombe "Orsini" sul corteo di reduci nel Corso, a Trieste, la sera del 4 agosto 1882.

Nella prima edizione del libro di S...alata, egli pubblicò la confessione giuntagli dallo stesso Oberdank che gli descriveva la dinamica:

"Visto il corteo, le bandiere asburgiche e la folla giubilante, preso da furore lanciai la bomba dalla finestra dell'albergo con alta parabola per farla cadere dove la folla era più numerosa."

Ma dopo l'uscita della prima edizione (*) i vertici italianisti cambiarono idea e decisero di tenere segreto il crimine dell'Oberdank. Pertanto, molte copie furono ritirate dalla circolazione e nell'edizione successiva, l'intero capitolo ed il testo della lettera, erano spariti.

Una copia fu ritrovata negli anni '70 da un librario antiquario, che informò gli storici ed anche il ministro Spadolini in visita nel 1979 nella stessa galleria dove aveva sede la libereria. Spadolini pronunciò la storica frase: "Ogni tanto, qualche bomba ci vuole".

(*) La prima data di pubblicazione risale al 1924.
 
Francesco Salata, nato ad Ossero, traditore irredentista. Collaborò con il nemico ai massimi livelli, come aiutante personale di Sonnino dopo il suo espatrio effettuato nel 1914. Fu utilizzato nei primi anni come capo dell'Ufficio Centrale per le Nuove Province.

Si dice che nel 1924 anno di uscita del suo libro, sarebbe andato in urto con il fascismo perchè "irredentista liberale".
 
Questa l'opera. Dentro c'è scritto che Wilhelm Oberdank si sarebbe italianizzato il cognome a 15 anni dopo iscritto alla "scuola di ginnastica", mitico posto dove circolavano clandestinamente i giornali italiani "assolutamente proibiti a Trieste".

Non vale la pena commentare se non per la coincidenza temporale della circolazione delle prime sentenze falsificate. Fu quindi il Salata a trovare... il testo della Sentenza e fu tra lui e qualche funzionario del Ministero della Stampa e Propaganda fascista, che uscirono e furono diffuse le prime copie della stessa.

Quelle che sono affisse ai muri dei corridoi del liceo "Guglielmo Oberdan".

Non si può escludere che tra i motivi dei guai di Salata con il fascismo, ci fosse anche quella pagina rimossa nella prima edizione del suo libro. Il Salata forse non si rendeva pienamente conto di quello che faceva e pur essendo un irredentista provetto e garantito, aveva tentato in tutti i modi di far mantenere l'autonomia al Litorale nonchè le Leggi e Regolamenti austriaci che secondo lui e secondo molti osservatori insospettabili (Giolitti, Gentile, Sonnino, il Duca d'Aosta..) erano molto più avanzati di quelli italiani.

Aveva voluto l'Italia, ora ce l'aveva e pedalava. Peccato che pedalavano anche tutti i nostri poveri nonni.
 
 

"La madre Josepha Maria Oberdank, una cuoca slovena di Gorizia e del soldato veneto Valentino Falcier, arruolato nell'esercito austro-ungarico."

Così scriveva il Salata. Se Oberdank nasceva il 1 febbraio 1858, l'esercito austro ungarico esisteva dal 1867.

Com'era possibile che un soldato "veneto" fosse arruolato nell'esercito KuK, lo sa sapeva solo l'autore istriano. Vedremo poi che nemmeno sulle origini dei padri di sangue e putativo, c'è unanimità di fonti.

A destra della madre "il marito Francesco Ferencich, giovane croato che lavorava al porto e riponeva una solida fiducia nel governo asburgico."
 
Questo scriveva la Lega Nazionale nel 1959. Il Ferencič non era più "soldato austro-ungarico".
 
Non ci sono prove certe o almeno indizi credibili, che Obderdank fosse irredentista prima di disertare e rifugiarsi a Roma. Se disertò per motivi ideologici, essi potevano essere anche il panslavismo o l'anarchia.

In effetti il movimento anarchico tentò di impossessarsi della sua figura ma non c'è niente di "anarchico" che egli abbia mai fatto in vita sua.

Dove ci sono prove certe di irre...dentismo, è a Roma. Certamente perse la borsa di studio all'Università di Roma perchè diede un solo esame al secondo anno cui fu ammesso e poi interruppe gli studi.

Aveva studiato a Vienna per dieci mesi con i soldi del Comune di Trieste che gli aveva concesso una borsa di studio. Aveva fatto la visita di leva in marzo del 78 ed era "Tauglich". Doveva partire in ottobre ma fu chiamato il 5 luglio per l'occupazione della Bosnia decisa dal Congresso di Berlino. Rimase in caserma 10 giorni e poi scappò in Italia con altri due disertori.

Approdò ad Ancona dove si fece mantenere da un certo Salmona, massone ed irredentista e dal repubblicano Barilari, direttore di giornale. Ottennero per lui una borsa di studio dall'Università di Roma e lì lo spedirono disfandosi del pacco.

Dopo l'abbandono degli studi, la leggenda dice che si sarebbe mantenuto dando lezioni private ai rampolli della nobiltà patriottica. Più precisamente, la vulgata tramandata da Salata e da Imbriani dice:

"In generale, la sua permanenza in Italia fu caratterizzata da gravi ristrettezze economiche. Solo per i primi mesi riuscì a contare sul sostegno delle associazioni irredentiste. Pertanto fu costretto a dare lezioni private e a lavorare come traduttore nelle redazioni dei giornali. Qualche sporadico aiuto giunse anche dalla sua famiglia e godette di alcuni sussidi governativi grazie a Onorato Occioni, rettore dell’Università, e a Luigi Cremona, direttore della Scuola d’applicazione.

Solo in seguito riuscì a ottenere un incarico temporaneo e remunerato presso l’istituto di fisica e, a varie riprese, un impiego presso la Compagnia reale delle ferrovie sarde procuratogli dall’ingegnere triestino Beniamino Besso.

Quindi faceva la fame ma non aveva voglia di studiare, mendicava aiuti e si fece mandare degli spiccioli anche dalla famiglia, più "straniera" degli stranieri.

Che sia stato tramite gli strozzini, che sia stato tramite altri loschi metodi, la sua vita in Italia era distrutta dopo 4 anni. Chi gli avesse dato o promesso dei soldi, si sarebbe facilmente conquistato la sua fedeltà.

E' il 1978, la lettera di Salata è stata ritrovata, è tempo di contestazione ed il tempo di scrivere questo libro. D'altra parte, smentire le palle della falsa vita di Wilhelm Oberdank, è facile come bere un bicchiere d'acqua.
 
Estratto dal Registro dei nati della Parrocchia di sant'Antonio Nuovo:

Dionisio Guglielmo Carlo, cattolico, illegittimo, nato il 1° febbraio 1858 alle ore 3 di mattina, nella casa del numero tavolare 1668, battezzato il 7 febbraio dal reverendo don Francesco Resic.

Nome,cognome, condizione del padre: Valentino Falcer, panettiere, che dichiara in presenza di testimoni, di essere il padre....

Nome,cognome, condizione della madre: Josepha Oberdank, cuoca.

Testimonio: Guglielmo Rossi, commerciante.

Padrino: Ignaz Hermann Metzgermeister, macellaio nell'i.r. Esercito austro-ungarico.

Levatrice: Giuseppina Koscir.

Quando il piccolo aveva 4 anni, sua madre sposò Francesco Ferencich di origine croata.

Nel censimento del 1865 all'età di 7 anni scriveva con l'aiuto del padre adottivo nel "foglio di famiglia": Guglielmo Ferencich, figlio di Francesco Ferencich e di Giuseppina Oberdank, nato a Trieste il 1° febbraio 1858.

Ai tempi i nomi di battesimo venivano sempre tradotti nella lingua dei destinatari dei testi. Non è possibile appurare se il padre adottivo si chiamava in realtà Frane o Franz, e se la madre cambiò il nome di battesimo da Josepha in Giuseppina.

Per l'iscrizione alle scuole superiori fu chiesto ad Oberdank il certificato di nascita, scoprendo di essere illegittimo. Sembra che si fosse rivoltato contro il padrigno austriacante per avergli mentito, e non contro il padre naturale che lo aveva abbandonato. Età presunta della scoperta, circa 16 anni (passaggio dal ginnasio al liceo).

Si dice che il padre naturale sarebbe stato veneto (Falcer) ma non ci sono prove.

I cognomi Pfaltz e Pfatzer sono comuni in Austria, ma anche Falcer (la c semplice si legge z sibilante), cognome diffuso nella zona di Maribor.

Si sa che il giovane Oberdank (certamente Wilhelm sotto le armi) disertò in conseguenza dell'occupazione della Bosnia (decisa dalle Nazioni europee Italia compresa).

L'irredentismo fu fondato nel 1875, in tre anni non poteva aver raggiunto il giovane Oberdank, che essendo di origine "slava" seppur linguisticamente assimilato, non aveva frequentato i circoli nazionalisti italiani pre irredentisti, che erano ferocemente antislavi e molto borghesi. O almeno, non ci sono prove che tra i 16 ed i 18 anni lo abbia fatto.

Iscritto al Politecnico di Vienna nel 1877 viene chiamato alle armi nel 1878, il 22° Reggimento triestino partiva per la Bosnia. Diserta, e lo lasciamo mentre espatria e si reca a Roma, dove frequentò l'Università grazie ad una borsa di studio.
 
 
Ritroviamo il soggetto a Roma. Sappiamo che partecipò ad una manifestazione irredentista e che gridò contro l'ambasciata austriaca.

Si sa che incontrò i vertici della società irredenta ed in particolare che, poco prima di intraprendere il viaggo omicida (luglio 1882) si recò a Napoli per incontrare Imbriani, il co-fondatore dell'irredentistmo insieme con il generale Avigliana. Entrambi napo...letani, entrambi massoni.

La vulgata dice che sarebbe andato per comunicare la propria intenzione di immolarsi, ma la vulgata tace su chi gli diede i soldi e lo mise in contatto con gli irredentisti del Friuli.

La logica fa supporre che prima di incontrare Imbriani, il soggetto non avesse alcun piano d'azione e che l'organizzatore dell'attentato fosse lo stesso Imbriani.

Lo scopo era chiaro: provocare una guerra tra Italia ed Austria, sperando nella leggenda che dopo la morte di Franz Josef, l'Impero si sarebbe dissolto. Se non fosse accaduto andava bene lo stesso: solitamente i finanziatori dei guerrafondai non pretendono che si vincano le guerre ma solo di vendere più armi possibile.

E proprio in quegli anni si stava formando il partito nazionalista italiano, al quale non importava nulla di fare la guerra contro la Francia, l'Austria o la Turchia, bastava solo di fare qualche guerra.

Da quale strano rivolo di denaro trasse sostentamento l'irredentismo del 1800, non si è mai saputo. Ma cercando il denaro solitamente si arriva alle banche e tramite queste, ai produttori e commercianti d'armi... chi altri?

Il napoletano Matteo Imbriani, il sospettato numero 1 del complotto e fondatore della "società irredenta" insieme al generale Avigliana, pure lui napoletano.

A Trieste c'è una via molto importante del centro, ad egli dedicata. Cospirò per tutta la vita ma ebbe un insulto durante lo scoprimento di un monumento a Garibaldi. Ne fu paralizzato quasi completamente e morì qualche anno dopo, forse tra atroci tormenti.

Il Grande Oriente d'Italia lo celebra come un proprio eroe. "Insigni" giuristi della Corte Costituzionale ne tessono le lodi per conto della confraternita. Era il capo di un'organizzazione terrorista.
 
4 agosto 1882, l'esplosione di una "bomba Orsini" in Corso, a Trieste.
 
QUOTIDIANO ISTRIA 4 AGO. SEGUONO ALTRI ARTICOLI, IN ALCUNI VIENE DATA LA DATA DEL 2 AGOSTO.

2 agosto 1882

"A Trieste stasera sul Corso, durante una fiaccolata in omaggio all'arciduca Carlo Lodovico, qui venuto per inaugurare l'esposizione agricola e industriale, viene lanciata una bomba Orsini. Si lamentano morti e feriti e si attribuisce l'atto a partiti politici. Si tenta una dimostrazion...e dinanzi al Consolato d'Italia.

Non si conoscono gli autori dell'attentato che si attribuisce all'Irredenta italiana. Oltre all'inaugurazione dell'esposizione nazionale austriaca, si celebrava la festa commemorativa del 5° centenario dell'unione di Trieste all'Austria" (rassegna stampa italiana del Comandini).
 
"Tutti riportavano l'invito che la Società dei Veterani e dei Reduci rivolgeva alla popolazione di partecipare alla fiaccolata che si sarebbe svolta quella sera in omaggio all'Arciduca.

Dopo il tramonto moltissima gente cominciò ad affollare i marciapiedi del centro.

Alcuni spettatori gettavano fiori. Il corteo si avvicinava e quando la Banda Militare del Presidio, svoltò da Via San Spiri...dione per immettersi nel Corso all'altezza dell'Hotel Aquila Nera il fragore degli ottoni si fece assordante.

Una selva di bandiere giallo-nere seguiva la banda e, distanziata di alcuni metri, marciava la schiera dei Veterani impettiti con giubbe adorne di decorazioni.

Un fremito di rabbia colse Guglielmo; affondò la mano in tasca, afferrò una bomba a mano e la scagliò altissima verso le bandiere" (Oberdank il terrorista di Renato de Marzi, idem da un testo inglese)
 
 
"La mattina seguente Guglielmo tornò verso Piazza Grande. Lesse i primi giornali. Tutti i titoli, a grandi caratteri esprimevano esecrazione, sdegno, condanna per l'attentato. Un ragazzo triestino di 16 anni era morto. Si chiamava Angelo Fortis.

Un altro giovane di Castelnuovo del Carso era moribondo. Altre 16 persone erano rimaste ferite e giacevano all'ospedale.

Tutti i giornali condann...avano l'attentato con espressioni di indignazione e di orrore. Persino l'Indipendente lo definiva una folle azione criminale contro cittadini inermi e pacifici" (de Marzi).

"4 agosto 1882

Tutti i giornali di Vienna stampano articoli irritatissimi contro l'attentato di Trieste. Ma quasi tutti fanno notare che gli autori non hanno certamente l'appoggio del Governo italiano, il quale è entrato lealmente e sinceramente nell'alleanza delle Potenze settentrionali e deve essere il primo a riprovare il nefando misfatto.

6 agosto 1882

Molti giornali tedeschi esprimono la convinzione che l'attentato di Trieste sia stato eseguito da un affiliato dell'Irredenta, cioè il partito del così detto degli "italianissimi", Il Fremdenblatt, dopo aver eccitato a combattere gli irredentisti, conclude: "l'Italia, nostra vicina ed amica, non potrà aversene a male, poiché in circostanze simili essa farebbe lo stesso. L'energica azione contro gli italianissimi e l'Irredenta non deve essere interpretata come un'animosità contro l'elemento italiano in generale”.

Tale conclusione sarebbe assolutamente erronea... Anche il regno d'Italia è in lotta contro gli irredentisti, i quali non solo minacciano la sicurezza della propria patria e possono precipitarla in gravi conflitti, ma predicano pure la più rozza ingratitudine verso la dinastia alla quale l'Italia deve la sua unità" (Comandini).
 
 

Una folla inferocita ha preso a sassate le finestre del quotidiano irredentista "l'Indipendente" ed il consolato italiano, con grida di "Viva l'Austria".

I manifestanti hanno sfondato la porta del consolato ma non sono riusciti a salire grazie all'intervento della polizia. Verso sera è stata riportata la calma.

"Eine aufgebrachte Volksmenge warf die Scheiben des Büros der irredentistischen... Zeitschrift „Indipendente“ ein; unter Buhrufen und „Evviva l Austria“ zog sie auch vor das italienische Konsulat der Stadt‚ bewarf das italienische Wappen mit Steinen und versuchte die Tür aufzubrechen. Polizisten wurden zum Eingreifen aufgefordert, unternahmen aber nichts.“ Auch in der Folge unternahmen die Behörden mit voller Absicht nichts, um die allabendlichen, italien und rredentafeindlichen Demonstrationen zu unterdrücken." Klaus Gatterer
 
 Fonte: Vota Franz Josef