martedì 30 agosto 2011

Un testimone racconta: "Così fu sciolta la Brigata Estense", storia di fedeltà e amore per la propria Patria .



                          La bandiera della Brigata Estense

"In esilio con il Duca. La storia esemplare della Brigata Estense" (il Cerchio iniziative editoriali, 2007, Rimini) è un bellissimo testo della storica modenese Elena Bianchini Braglia, una storia di fedeltà e amore verso la propria Patria e verso il proprio legittimo Sovrano. Al centro del racconto le vicende subite dal Ducato di Modena nel travagliato 1859, l'inganno e l'occupazione piemontese, la fuga oltre Po e la sconfitta seguita dall'esilio. Un esilio per il Sovrano, S.A.R. il Duca Francesco V, ma anche, e soprattutto, l'esilio del suo esercito, poco meno di tremila uomini che decisero di resistere alle lusinghe e alle minacce dell'usurpatore sabaudo per restare accanto al proprio Sovrano in attesa della Restaurazione. Particolarmente toccante il racconto del soldato Domenico Panizzi che scrisse, in occasione della morte del Duca (avvenuta a Vienna il 20 novembre 1875), un commovente racconto del congedo della Brigata Estense pubblicato il 16 dicembre dello stesso anno su "Il Genio Cattolico", periodico di Reggio Emilia, dedicando il testo alla Duchessa Aldegonda. Proprio il racconto di Panizzi, contenuto nel libro della dottoressa Bianchini Braglia, vi proponiamo per sottolineare come la cosiddetta unità d'Italia non fu subita e percepita solo al Sud come una aggressione illeggittima.
Sulla tomba di Francesco V° Duca di Modena, di Domenico Panizzi, dedicato a S.A.R. la Duchessa di Modena Aldegonda di Baviera.


                            Il Duca Francesco V° e la Duchessa Aldegonda
 
 
 
"E una storia dolorosa quella che io mi accingo a raccontare, una storia sulla quale i cuori onesti spargeranno una spontanea lagrima; mentre le anime volgari la scorreranno cinicamente sorridendo. E tal sia di esse! Lo so bene che dettando e pubblicando queste pagine squarcerò di nuovo un'acerba ferita non ancora rimar­ginata nel petto di tanti fedeli miei commilitoni: ma so d'altronde che, facendolo, aumento la gloria dell'Augusto Estinto, del quale oggi tutti noi deploriamo l'im­matura perdita; per la qual cosa senza più esitare ritorno col pensiero ad un passato non troppo lontano, ed affido alla carta le meste impressioni ch'esso produce. 

Cartigliano è una piccola terra del Bassanese, nella quale vivono una vita semplice e tranquilla i pochi suoi abitanti. Essa non ha ricordanze storiche, se pur non si voglia tener conto dell'assedio onde Maret, generale del primo Bonaparte, strinse la città di Bassano, distante da Cartigliano circa un trar d'artiglieria, e pel quale quel condottiero si ebbe l'onorifico titolo di Duca di Bassano. La piccola ter­ra però era antico tenimento d'Ezzelino da Romano, immanissimo tiranno, ed oggi ancora possiede un antico palazzo che si vuole sia stato abitato dalla famosa Bianca Capello. In quel fabbricato di forma maestosa, cinto tutto all'intorno da un doppio ordine di colonne, che costituisce un portico alla base ed al primo piano un lunga ed ampia galleria, cui si aggiungono nel mezzo delle due facciate due sporti, soffolti pure da colonne e sormontati da elegante fastigio, in quel palazzo dico, abitava dal 25 marzo 1861 l'Artiglieria Estense, parte di quella singolare Brigata la quale, sorda a certi gridi di dolore ed a certe splendide promesse, preferì di volgere le terga alla ri­voluzione cosmopolita per seguire fedelmente le orme dell'esule suo Sovrano, anzi­ché inchinarsi all'effìmero splendore di passeggera e mal compra grandezza. 

Non è mia intenzione di svolgere qui la storia di quel pugno di fedeli, raro, anzi (diciamolo pure) unico esempio di costanza e di attaccamento al legittimo So­vrano, in un'epoca di famigerate dedizioni e di vergognosi mercati; ma passando sopra ai quattro anni di esilio della Reale Brigata, arresto il mio volo al 24 settem­bre 1863, giorno in cui furono barbaramente spezzati i vincoli di quel nucleo di sol­dati devoti all'onore ed alla sventura. 

Lo scioglimento della Brigata Estense non fu atto che emanasse spontaneo da Sua Maestà l'Imperatore d'Austria, ne' cui dominii italiani la Brigata provviso­riamente risiedeva; sì bene avvenimento desiderato efficacemente dalla Francia bonapartista, provocato ed implorato dal Governo Sardo, e sostenuto con calore dal rivoluzionario parlamento austriaco. Nel quale chi maggiormente si distinse per affocate polemiche ed imperturbabile insistenza, spezzando ai danni di quella povera Brigata una poderosa lancia, fu certamente l'on. Giskra, più tardi glorioso ministro della rivoluzione in Austria, e finalmente non troppo spontaneo dimissio­nario, per le poco fortunate prove sostenute quand'era al sommo del potere. 

Intanto lo Scioglimento della Brigata era stato decretato, e fu il Feld-Maresciallo Cavalier Lodovico Benedek quegli che si ebbe l'incarico, nella sua qualità di comandante l'Armata austriaca in Italia, di annunziare alle fedeli truppe estensi la dolorosa e suprema decisione. 

I giorni, prima di quello destinato per il fatale scioglimento, erano stati rat­tristati da una continua e copiosa pioggia; ma il dì 24 settembre volle distinguersi per una straordinaria splendidezza e gaiezza di sole. Strano contrasto della natura! Quando il cuore dell'uomo è profondamente amareggiato, generalmente il cielo spiega tutta la sfolgorante pompa dei suoi tesori, quasi a ricordarci che se la terra è una valle di lagrime, al di sopra dell'azzurro firmamento v'ha un Eden eterno di fe­licità, al quale dobbiamo sollevarci sulle ali del pensiero e del desio, se pur ne pre­me trovarci agguerriti a sufficienza per combattere le aspre lotte di questo basso e desolato mondo. Lo squillo delle trombe, che suonava l'ultima diana per le truppe Estensi, ci tolse dai nostri giacigli e ci spinse a contemplare l'aurora fatale, che del suo raggio rosato tingeva le sponde verdeggianti del Brenta e le lontane punte dei Colli Euganei. Il misterioso e profondo silenzio del crepuscolo mattutino veniva però interrotto da lontani suoni di trombe misti al severo rullo dei tamburi, i quali formavano così un assieme di mesta e strana melodia che ci riempiva l'animo di tri­stezza e risuonava dolorosamente nell'imo dei nostri cuori. Erano le varie truppe della Brigata che marciavano al funebre convegno di Cartigliano, ove tremila e più uomini, vivi ed animati da fede inconcussa e da slancio indomabile, erano costretti dalla malizia de'tempi ad assistere ai propri funerali! 

In breve ora i varii Corpi di truppe avevano raggiunta la meta, schierandosi silenziosi nel vasto cortile che si stende ad est del palazzo surricordato: ove oltre a queste trovavasi anche picciolissimo numero di spettatori, non escluso ben inteso l'indispensabile corrispondente di gazzetta. Credo fosse un reporter del Times di Londra. 

Intanto arrivava Sua Altezza Reale il Duca a cavallo, e Sua Altezza Reale la Duchessa in carrozza, circondati da un brillante Stato Maggiore austro-estense, alla testa del quale trovavasi l'imperiale e reale Tenente-Maresciallo Pokorny, il Capo della Commissione mista che doveva decidere sulle sorti dei membri sciolti della Reale Brigata. Sua Altezza Reale il Duca passò in rassegna le sue truppe co­mandate da S.E. il generale Agostino Saccozzi, di sempre cara e riverita memoria, e le ispezionò per l'ultima volta con quel suo sguardo militarmente sagace: ma sul suo volto leggevasi l'amara angoscia che gli gravava lo spirito. Oh! Quali pensieri gli si saranno affollati in mente nel contemplare quelle sue truppe dal brillante con­tegno, dall'ammirabile disciplina, ma dal viso contraffatto per profondo dolore? Ah! Certo che quello ch'egli provò ahi 24 settembre 1863 fu uno dei molti supremi dolori che lo trassero immaturo nella tomba! 
 
Dopo la rivista fu celebrata la Messa campale. Nella galleria superiore, e precisamente nello sporto di mezzo prospiciente ad Est, era stato eretto un altare da campo, sul quale il Cappellano Maggiore della Brigata celebrò l'incruento Sacrifi­cio. Momento solenne fu quello! Tutto all'intorno regnava profondo silenzio, ed ognuno di noi raccolto ne'propri tristi pensieri volava coll'anima al passato e con­fondeva in uno la preghiera e le amare ed insieme dolci reminiscenze. Ad un tratto ci riscuote uno squillo acuto di cornetto: è il segnale dell'elevazione. I fantaccini s'inginocchiano, noi a cavallo abbassiamo le punte delle spade, e mentre il Cappel­lano Maggiore solleva in alto l'Ostia consacrata, la banda musicale del Reggimen­to di Fanteria intona la flebile e soave melodia che raffigura la preghiera. Mio Dio, qual sublime e terribile istante! Le note armoniose e gementi invano ricercando tutte le fibre de' nostri cuori palpitanti; e le anime nostre, sollevate a Dio e rattenute in comunicazione colla terra soltanto pel dolce vincolo d'amore al nostro Sovrano, parevano d'un tratto lanciate in una nuova e sconosciuta atmosfera. Noi piangevamo curvi sui nostri cavalli, ed i fantaccini inginocchiati piangevano, il capo sorret­to dalle destre ed il gomito appoggiato al ginocchio. Chi potè conservare il ciglio asciutto in quel solenne momento? Il nostro labbro mormorava una preghiera ar­dente, affettuosa, sincera; e quella prece uscita dal rozzo labbro d'uomini d'arme non sarà certo salita male accetta al cielo. Oh! La messa campale delli 24 settembre 1863 fu una messa unica nel suo genere, la quale lasciò per fermo indelebili tracce nella memoria di chi vi assistette.

La musica intanto iva smorzandosi man mano; a poco a poco sfumava... svaniva in un sospiro che il vento trasportava sulle rapide sue ali, e con esso dileguavansi... tutte le nostre più care speranze! 

Dopo la messa vi fu la solenne distribuzione delle medaglie. L'amatissimo nostro Sovrano e Duce non aveva voluto abbandonarci senza lasciarne un segno del suo affetto, e nel medesimo tempo un distintivo di riconoscimento per i tempi futuri. Aveva quindi fatta coniare una medaglia di bronzo, sull'una parte della qua­le vedevasi l'effigie del Principe e sull'altra leggevasi la ben concepita scritta: Fi-delitati et constantiae in adversis. Prima della distribuzione però fu letto un affettu­oso ordine del giorno, nel quale il sovrano diceva di regalarci quel prezioso ricordo, raccomandandoci di conservarlo gelosamente e caramente. Poi, sceso da cavallo incominciò dal fregiare della medaglia il Generale Comandante la Brigata, quindi una rappresentanza de' varii corpi di truppe, mentre i diversi Capitani erano occupati a distribuire quel distintivo della fedeltà ai rimanenti soldati. 

Io pure ebbi la sorte d'esser fregiato di quell'invidiabile segnacolo di bron­zo, ed oggi che il mio Sovrano non è più, sento che la medaglia si è fatta per me più preziosa e che la conserverò con affetto e venerazione, siccome dolce ricordo di quell'incomparabile Principe; bramoso ch'essa mi segua anche laggiù nell'umile e negletto sepolcro. I cinici rideranno di nuovo a questo mio mesto desiderio: ma io, incurante del loro sorriso, bacio affettuosamente la medaglia ch'or mi sta sotto gli occhi, e rinnovo con maggior forza il mio voto. E chi non può comprendere i senti­menti di un soldato fedele, sogghigni pure a sua posta! 

Distribuite una volta le medaglie, il Sovrano e gli Aiutanti salirono di nuovo a cavallo, e si passò alla lettura dell'ultimo ordine del giorno, col quale Francesco V ci dava il supremo addio: "Nato e cresciuto fra voi, Ci conoscete abbastanza per immaginarvi ciò che proviamo in questa separazione; e nel darvi, se non altro per ora, come facciamo, un Addio a tutti, Ci lusinghiamo che in qualsiasi circostanza non dimenticherete il vostro legittimo Sovrano, che rimarrà sempre affezionato a quelli che non cesseranno di seguire la via dettata dall'onore e dalla coscienza!" 

"Viva Francesco V!" risuonò potente una voce. Era infrazione alla discipli­na militare: ma in quel momento doloroso il soldato era scomparso per dar luogo al figlio, che piangendo si separava dall'amato suo Padre. Di fatto mal repressi sin­ghiozzi uscenti da tremila petti, accorati e laceri dal dolore, interrompevano la lettura di quello storico ordine del giorno, e sul ciglio del vecchio e venerando Gene­rale, come su quello dell'ultimo fuciliere, brillava una lacrima che l'angiolo della pietà avrà certo raccolta nella sua gran coppa d'oro. 
 
Compiuta la lettura, le truppe salirono al cospetto dei Sovrani commossi da quella scena straziante; dopo di che Essi avviaronsi alla volta di Bassano. Ma in quell'estremo momento fu vinto d'improvviso il ritegno della militare disciplina, ed i soldati, rotte le file, si affollarono intorno alla carrozza della regal Duchessa ed appresso al cavallo dell'amato Sovrano, gridando: Evviva ed Addio, soffocati da lagrime oh ben sincere, ben amare! Pochi anni prima anche a Modena avvenne una scena consimile, quando cioè la carrozza di Farini, il quale stava per abbandonare la città, venne fermata, ed il Dittatore obbligato a retrocedere. Ma, mio Dio, qual differenza! Quelli che staccarono i cavalli del dittatore furono Carabinieri e Guar­die della Pubblica Sicurezza travestiti (come ne narra il Curletti, l'organizzatore della popolar commedia), mentre a Cartigliano era una truppa intera che unanime­mente spinta da irresistibile impulso cercava di attraversare la via al Sovrano dal quale veniva a viva forza strappata. 

Il Duca commosso fino alle lagrime si chinava sul nobile suo destriero, salu­tando tutti e con voce interrotta dicendo a più riprese: "Via, lasciatemi, lasciate­mi!". La Duchessa poi dal suo cocchio, non vergognosa di mostrar le lagrime che in larga copia le velavano i begli occhi, ci salutava sventolando il bianco fazzoletto e tenendosi volta a noi finché ci poté scorgere. Ma ben presto lo svolto della via ce la rapì alla vista... e noi muti e sconfortati ritornammo nelle nostre file. Il sacrificio era compiuto! La Brigata Estense non esisteva più! 

A Bassano ebbe luogo la consegna delle bandiere. Il vecchio generale, dal maestoso e simpatico aspetto, afferrò con mano tremante le bandiere, una delle quali trapunta dalle stesse mani della Duchessa Adelgonda, ed avanzatosi verso il Sovrano, con voce commossa e velata dai singhiozzi, gliele consegnò pronuncian­do tenero ed insieme ardente discorso d'occasione. Alle parole del vegliardo le la­grime sgorgavano dal ciglio degli astanti; persino coloro che erano e dovevano es­sere estranei alla funesta cerimonia, si sentirono con meraviglia umidi gli occhi! Il Duca prese in consegna le bandiere già smontate dalle aste, e, collocatele in apposi­ta cassetta, promise di conservarle con gelosa cura. Oggi l'amato Sovrano non è più: ma dall'alto de' Cieli Egli sicuramente le guarda, quelle nobili insegne, le qua­li se non sono ora simbolo del potere, restano però sempre per noi soave ricordo di un affetto sublime, coronato d'immenso sacrificio. 

Colla consegna delle bandiere si chiuse la storia della Brigata Estense: ma la memoria di quella cara famiglia rimarrà indelebile nella mente e nel cuore di quanti ebbero la fortuna di esserne membri, e di tutti coloro che sanno convenientemente valutare la prima virtù del soldato: la fedeltà. 

Davanti allo spettacolo d'una truppa che rimane inconcussamente fedele a fronte di mille incentivi, di mille suggestioni, di mille promesse e da ultimo di mille improperi, intimidimenti e minacce, cedono le ragioni di parte; e gli uomini onesta a qualunque colore appartengano, s'inchinano riverenti ed ammirati. 

Ma l'ammirazione e il rispetto crescono a dismisura per quell'augusto So­vrano, che di sì forte vincolo seppe stringere il fedel nucleo de' suoi combattenti. 

Laonde niuna meraviglia se prima di gettare la penna piego il ginocchio da­vanti alla frese'urna che chiude le ceneri di Francesco V, e chiamando ad alta voce tutti i superstiti miei compagni d'armi, io li invito a spargere una lagrima ed a mor­morare una fervida prece su quella tomba, che racchiude e riassume tutto quanto d: più caro noi avevamo sulla terra".