giovedì 25 agosto 2011

Plebiscito farsa nel Granducato di Toscana


Il Granducato di Toscana ed il plebiscito del 1860
Presento la sintesi di un illuminante articolo di Marco Matteucci pubblicato sull’ultimo numero della rivista “Nobiltà” ed avente come argomento l’occupazione piemontese del Granducato di Toscana. L’articolo prende le mosse dalla fine della guerra tra i franco-piemontesi e l’Impero Austriaco sancita dall’armistizio di Villafranca dell’11 luglio 185...9. Tra le clausole del trattato era prevista la restaurazione del Granducato (il 27 aprile un moto organizzato e finanziato dai piemontesi aveva infatti spinto SAIR Leopoldo II a lasciare lo stato). Per agevolare il ritorno degli Asburgo-Lorena sul trono di Firenze proprio Leopoldo decise di abdicare in favore del figlio, Ferdinando IV, che venne riconosciuto come nuovo sovrano di Toscana dagli altri capi di stato. Durante la seconda metà del 1859 si impose però una situazione di empasse dovuta ai contrasti tra le grandi potenze internazionali circa il futuro della penisola. Mentre Napoleone III aspirava a sostituire la sua influenza politica a quella austriaca mediante la nascita di una federazione a sostanziale egemonia francese, l’Inghilterra avrebbe preferito la creazione di uno stato unitario, proprio per evitare un accrescersi dell’influenza francese in europa e nel mediterraneo. Per superare questa situazione si decise così di ricorrere ai plebisciti, uno strumento che in quel momento accontentava tutti: in questo modo i piemontesi avrebbero potuto giustificare le loro annessioni; i francesi, usciti a mani vuote dal sanguinoso conflitto dei mesi precedenti avrebbero a loro volta, sempre tramite plebiscito, annesso almeno la Savoia e gli inglesi sarebbero rimasti padroni dei mari.

Fin qui tutto chiaro: quello che però a scuola non è stato insegnato sono le modalità con cui sono stati svolti i plebisciti, e che li hanno ridotti, in pratica, ad una drammatica farsa. Pesantissime irregolarità si sono infatti avute sin dalla “campagna elettorale”: il nobile Ricasoli, dittatore pro-tempore e maggior responsabile della svendita dello stato toscano ai piemontesi, vietò ad esempio l’ingresso e la pubblicazione di ogni rivista che potesse spingere l’elettorato verso il rifiuto dell’annessione al Piemonte, mentre la stampa rimanente si adoperò in un incessante propaganda anti-autonomista. Insomma, per dirla con le inquietanti parole di Matteucci, “(Ricasoli) …mise in moto tutta la macchina affinché il risultato di quelle consultazioni non presentasse alcuna sorpresa al Piemonte...” Intimidazioni ai contadini, minacce ai preti erano dunque normali, in quei giorni. Come se non bastasse, i votanti il giorno stabilito per il referendum poterono scegliere tra due opzioni: “Unione alla monarchia costituzionale di Re Vittorio Emanuele II” o un non meglio precisato “Regno separato”. La possibilità di richiedere la restaurazione della famiglia Granducale, che tanto bene aveva governato la Toscana per quasi 130 anni, non era neanche contemplata nelle schede! Inoltre, sembra quasi grottesco raccontarlo, soprattutto se non sgombriamo la mente dai luoghi comuni della retorica risorgimentale, ma il voto non fu segreto ! Nelle urne dalle quali attingere le schede era infatti ben visibile le scritte SI o NO. Da tutto questo capiamo che quando qualche storico parla di brogli e mere pressioni fisiche e psicologiche in relazione al plebiscito toscano usa solo degli eufemismi. Ma la parte peggiore di questo storia italiota deve ancora essere narrata. Grazie al memoriale di un agente di Cavour rinvenuto dallo storico Giuseppe de Lutiis negli archivi del ministero della difesa possiamo capire come il dato sulla percentuale degli astenuti, pari ad oltre un quarto degli aventi diritto, sia del tutto simbolico, e frutto dei più squallidi brogli dei savoiardi e dei loro tirapiedi. La gente che non andò a votare fu molta di più, ma venne considerato come se avessero votato per l’unione al Piemonte. Leggiamo insieme come accadde.

“Noi ci eravamo fatti consegnare i registri delle parrocchie per formare le liste degli elettori, indi preparammo tutti i polizzini. Nel voto dell’annessione un piccolo numero di elettori si presentò a prendervi parte, lande noi, nel momento della chiusura delle urne, vi gettammo i polizzini (naturalmente in senso piemontese) di quelli che s’erano astenuti. E’ superfluo il dire che ne lasciammo in disparte qualche centinaio o migliaio in ragione alla popolazione del collegio. Occorreva salvare le apparenze, almeno in faccia allo straniero. In alcuni collegi l’immissione nelle urne dei polizzini degli astenuti si fece con tanta trascuratezza e si poca attenzione, che lo spoglio dello scrutinio diede un maggiore numero di votanti di quello che lo fossero gli elettori iscritti. In siffatti casi si rimediò al fatto con una rettificazione al processo verbale” Non ci meravigliamo, a questi punti, se il ministro degli esteri inglese, Lord Russel commentò che quelle votazioni “..non hanno alcun valore” Ecco come nacque l’italia…