Nato a Napoli nel 1768, Antonio Capece Minutolo, principe di Canosa, compie severi studi di filosofia al Collegio Nazareno di Roma. Intraprende quindi la carriera forense. Nella sua qualità di esponente primo della Deputazione, esordisce in politica in momenti calamitosi per i Borboni, rifugiatisi in Sicilia, dopo la sconfitta subita ad opera dei francesi. Senza mai venir meno al più schietto lealismo, è tra i più accesi fautori dell'idea organica dello Stato, lontano da ogni servilismo nei confronti del sovrano e da ogni soperchieria nei confronti del popolo.
Per difendere l'autorità legittima, accetta di ricoprire l'ingrata carica di Ministro di Polizia. La sua intransigenza nei confronti di Massoni e Liberali, lo mette in cattiva luce presso gli stessi circoli politici legittimisti. E' costretto a lasciare incarichi di governo a Napoli; compie viaggi in tutta Italia, stringendo rapporti con esponenti della cultura e della politica di parte controrivoluzionaria. E' fra i più attivi divulgatori delle idee reazionarie, e collabora alle più prestigiose pubblicazioni che allora le propugnavano (La Voce dalla Ragione, L'Amico della Gioventù, La Voce della Verità, etc.). Per due volte, l'Austria stronca due suoi tentativi di costituire corpi di volontari armati contro la rivoluzione, nel Ducato di Modena e negli Stati Pontifici (1836). Stabilitosi a Pesaro e allontanatesi definitivamente dalla politica, muore nel 1838.
I passi che seguono, raccolti sotto il titolo — di nostra scelta — Autodifesa di un legittimista "scomodo", sono tratti dalla Epistola, ovvero Riflessioni critiche sulla moderna "Storia del reame di Napoli" del Generale Pietro Colletta (1834).
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IL PRINCIPE DI CANOSA
Autodifesa di un legittimista scomodo
Sono plebeo per genio perché sono cattolico romano per convincimento. Non ho mai corbellato il popolo dandogli ad intendere (come praticano, per ingannarlo, i demagoghi) che esso era il sovrano di diritto; che potea far tutto ciò che gli gradiva, che sarebbe stato ricco ed eguale a' più gran signori dopo la rivoluzione, con tutte quelle altre minchionature ed inganni, che verso il popolo usano i falsi liberali: l'ho per altro amato di cuore; l'ho soccorso quando ho potuto, e con tutti quei mezzi che poteano essere alla mia disposizione.
Egli dice (ha inizio qui una delle feroci tirate con cui il Canosa, nel libro da cui abbiamo tratto queste pagine, intende confutare le accuse calunniose mossegli dal Colletta nella sua Storia del Reame di Napoli, N.d.C.) che venne a me promesso il ministero di polizia nel caso fosse stato Napoli nuovamente del legittimo Re. Dunque ignorava il somaraccio che il Re Ferdinando IV pieno di buon senso, non volea sapere nulla delle novità rivoluzionarie, ed era in quell'epoca nella piena risoluzione di tutto volere restituire ad pristinum? Troppo inoltre conoscendo l'ottimo Ferdinando quale, pel pubblico, molestissimo magistrato era quello della polizia (se non cade in mano di un angelo incarnato) era di lui pensiero in Sicilia non volerlo in Napoli installare, ma fare che le cose rimanessero com'erano prima che da Napoli si partisse, quando comandava il Duca d'Ascoli.
Argomento tortissimo di quanto asserisco è che in Sicilia trovandosi il Re, e correndo tempi pericolosissimi (i francesi in Napoli, gl'inglesi e giacobini in Sicilia e molti tra finti emigrati ancora), non volle ciò non ostante mai decidersi tormentare i sudditi suoi colla pesante, molestissima istituzione della polizia. Lasciò quindi i capitani come si trovavano, ciascuno comandando il dipartimento proprio per quanto quell'antica istituzione sicula fosse alquanto imperfetta.
Ferdinando IV, ripeterò mille volte, pieno di buon senso, era tanto avverso alle rivoluzionarie novità, e tanto ne conoscea l'interno male, ed i pessimi risultamenti per la monarchia legittima (e di fatto tutto era istituito per la repubblica e le monarchie militari rivoluzionarie), che, con saggio avvedimento e con fina politica, fece brugiare per mano del carnefice pagina per pagina, quel codice napoleonico, che in taluni regni legittimi trovasi in pieno vigore, o perché taluni che governano sono ignoranti, ovvero perché, nel servire in apparenza la legittimità, cercano in sostanza servire la rivoluzione. Dunque l'idea di eleggere un ministero di polizia non entrò in capo giammai a Ferdinando IV, quindi potea molto meno prometterlo al Principe di Canosa.
Più io fui sempre, per grazia di Dio, un galantuomo. Le calunnie, il convocio, gli schiamazzi de' falsi liberali contro me non saranno mai capaci di altro che di rendere più gigantesca la mia opinione, non che presso i legittimisti, ma presso gl'indifferenti, ed i veri liberali che mi rendono giustizia abbenché di sentimenti diversi. Se dunque io sono un galantuomo, e se nessuno mi nega qualche talento e perspicacia, può credermi quando dico, che, conoscendo che il ministero di polizia, non essere mestiere di galantuomo non lo avrei desiderato giammai ne' accettato tampoco.
Reduce dalle Spagne lo accettai, ma perché supposi che se non avrei potuto fare il bene, avrei impedito molti mali: fino in fatti da Milano, trovandomi nel teatro della Scala reduce dalla Spagna nel 1815, sentendo leggere certe gazzette, mi avvidi delle trame de' rivoluzionarii, i quali, colla pelle dell'agnello sul dorso, stavano organizzando una nuova rivoluzione che non era conosciuta che dagli uomini di sopraffino intendimento. Da quell'istante in poi me ne confermai sempre più, e lo andava ripetendo al Re tanto che al marchese di Circello. Mi guardava dirlo soltanto a Medici e Tommasi, come mi guarderei leggere un pezzo di Vangelo al Muftì in Marocco, giacché la mia lettura sarebbe inutile per convertirlo, e sicura per farmi impalare.
Per tale ragione dunque soltanto accettai una carica, la quale se sapea disimpegnarla, se ne avvide per tre anni Saliceti, ma mi era assolutamente antipatica, e non per il mio modo di pensare.
Io immaginava poter impedire una nuova rivoluzione nel mio paese che vedeva nascere, e pargoleggiare fra tutti quegli asini liberali, e quindi salvare la patria mia da quel flagello straniero, che puranco prevedeva.
E ci sarei riuscito felicissimamente, se tutti gli strumenti dell'orchestra suonato avessero d'accordo. Come però andare innanzi con Medici e Tommasi, puerilmente invasati di filosofia, d'illuminismo, di novità, che supponevano che per chiudere le piaghe non eravi rimedio più adatto delle cantaridi e butirro d'antimonio!!!
Il Re Ferdinando era ottimo, e il buon senso di lui lo facea essere tutto d'accordo con me. Egli però mi conoscea poco, mentre avea ogni fiducia e tutta l'opinione in que' due defunti scimmioni ricamati.
Non aveva per me che l'ottimo signor marchese di Circello. Ciò che vedeva io, esso pure vedeva; che se quel signore non erasi consumato sopra i libri, aveva però una grande esperienza, ed una pratica di mondo estesa e profonda, si potea dire di lui ciò che di Platone dicea il Dottore Africano: Rem vidit causam nescivit. Come que' medici di buon senso che hanno studiato poco, e veduti molti ammalati, il prognostico di lui era sicuro. Per il maggior vantaggio per la causa della legittimità, il marchese di Circello era conosciuto e ben veduto dal Re N. S. Uniti dunque si potea fare moltissimo (quante volte tali discorsi con quel venerando patrizio si fecero nel 1821!): come tirare innanzi però quando al marchese mancava ciò che si chiama vigore!! Ecco perciò che spesso rimanea solo esposto al fuoco granellato ed alle mine (iacobinico more) de' due RR. PP. della Patria de Medici e Tommasi che avevano preso tutto l'ascendente sopra l'ottimo monarca!
Vedendo io dunque che la rivoluzione progrediva, e che io non avendo forze da impedirla, andava a fare la figura o dell'asino o del traditore (dopo aver tutto rassegnato a S. M. per ben tre volte in iscritto, e molte più a voce non curando essere chiamato fanatico, testa calda, allarmista) non volendo, dicea, farmi rompere il bicchiere nelle mani rinunciai una carica che, ripeto, sapea disimpegnarla, ma mi era antipatica.
Antonio Capece Minutolo, Principe di Canosa