mercoledì 29 aprile 2015

L’iniquo processo a Gesù. Caifa, peggiore di Satana, si privò della dignità di Grande Sacerdote

L’iniquo processo a Gesù. Caifa, peggiore di Satana, si privò della dignità di Grande Sacerdote
di CdP Ricciotti. Fonte: http://radiospada.org/
[…] alcuni autori impugnano pure la circostanza di «Gesù muto», ingiustamente giudicato dal Sommo Sacerdote[1],e questo con il chiaro intento di dimostrare che anche Bergoglio (Francesco I) ed i vescovi a lui uniti [indietro fino al Concilio Vaticano (II)], posseggano oggi l’autorità pur esercitandola, sostengono gli stessi autori, contro la Chiesa[2], al pari del Sommo Sacerdote davanti la cui autorità, usata in modo riprovevole[3], Nostro Signore sembrò restare zitto, quasi confermandola! Commenta, invece, Papa san Leone I detto Magno:
«[…] Tra le voci scomposte e dissonanti, Gesù aveva mirabilmente scelto di tacere. Tuttavia a Caifa Egli rispose con autorità così autentica e previdente da scavare la coscienza degli increduli e rafforzare, con le stesse parole, il cuore dei credenti […]».[4]
Posto che ho ampiamente dimostrato, citando la dottrina definita e vincolante della Chiesa cattolica, che non può esistere piena autorità in un sedente eretico pertinace e notorio, mi permetto, tanto per speculare, di contestare anche l’idea di Caifa che sarebbe stato vero Pontefice pure dopo la scissione di culto da lui proclamata.
Premetto che questo discorso è puramente accessorio e non ha alcuna attinenza col caso ipotetico del Papa che dovesse cadere notoriamente in eresia.
Si presume, altresì, che il lettore medio conosca la differenza fra Chiesa e Sinagoga.
Io credo, per esempio, che l’esegesi di san Girolamo, commentata da san Tommaso nella «Catena Aurea»[5], ci fornisca già una risposta. Inoltre, sebbene in Daniele si parla spesso del «regno dei santi» che, appena fondato, ha il dominio di tutte le genti e per sempre, eppure, spiega mons. Francesco Spadafora:
«I Vangeli riecheggiano questa errata concezione [temporale, come se la arrogavano i Giudei, NdA[6], che porterà i Giudei ad opporsi violentemente al Cristo. Non senza riferimento ad essa, Gesù Nostro Signore scelse per sé l’appellativo messianico di Figliuol de l’uomo, che è proprio di Daniele, per combatterla ed inculcare la vera natura della sua missione[7]. Egli ritorna spesso a Daniele 7,13 ss.[8] intendendo la Chiesa formata e distinta dalla Sinagoga […] e la sua manifestazione gloriosa nella fine del Giudaismo e del Tempio, e in favore della Sua Chiesa perseguitata».[9]
Già il profeta Geremia, perseguitato dai suoi carnefici, si paragona all’«agnello mansueto che viene portato al macello»[10], così come il «giusto mio servo», in Isaia, «maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca»[11].
Questo testo  annunzia il destino di Cristo, come spiega pure Filippo all’eunuco d’Etiopia[12]. Chiaramente gli Evangelisti qui rimandano, quando descrivono il silenzio di Cristo al cospetto del Sinedrio[13] e quando Egli non risponde nulla a Pilato[14].
Il Sommo Sacerdote nell’Antica Alleanza era al vertice della gerarchia dei ministri sacri, le sue vesti erano sacre[15] e custodite gelosamente, ed egli impersonava l’unità del culto.
Che culto impersona Caifa dopo aver consapevolmente[16], con solennità, rigettato e condannato il Figliuolo?
Nel racconto evangelico, Caifa capeggia l’opposizione del sacerdozio giudaico a Gesù. Davanti a Caifa, preside del Sinedrio, Gesù viene presentato dopo l’arresto e, quando Questi si dichiara Messia, il sommo sacerdote si lacera[17]furiosamente le vesti urlando: «Egli ha bestemmiato». Ora, non mi si dica che il culto di Caifa, addirittura dopo che questi solennemente rigetta e condanna il Messia, è lo stesso culto degli Apostoli? Non lo è.
Caifa, difatti, pur essendo consapevole di essere al cospetto del Messia, davanti alla chiara rivendicazione di Gesù, Lo condanna: «Ha bestemmiato» e si straccia le vesti. Si può dire che, agendo in questo modo, egli abbia vacato il Pontificato.
Si può analizzare la vicenda in questo modo: abbiamo da un lato gli Apostoli che credono in Cristo e nelle sue promesse, mentre dall’altro abbiamo Caifa che manifesta, dalla sua Cattedra, la credenza contraria, poi confermata identica nei secoli fino ai giorni nostri dai Giudei del Talmud [che ivaticanosecondisti definiscono arbitrariamente “fratelli maggiori” o “padri nella fede” o “stirpe di Abramo”].
Quindi, se Caifa manifesta solennemente una fede contraria a quella degli Apostoli, come fa ad essere ancora garante del culto, ovvero Sommo Sacerdote? Secondo questo ragionamento, certamente egli vaca il Pontificato, anche in ragione del contenuto di Matteo 16. Commentando il passo, p. Marco M. Sales OP ci dice:
«Cercavano false testimonianze ecc…. Era già stabilito che Gesù doveva morire (Gv 11,50; 18,53), si cercava solo di dare un’apparenza di legalità alla condanna. Non le trovavano ecc… Affine di poter condannare un uomo, la legge (Dt 19,14-15) richiedeva almeno due testimonii che, separatamente interrogati, fossero pienamente d’accordo nelle loro testimonianze. Costui ha detto ecc… Nei primordi del suo pubblico ministero Gesù aveva detto una frase consimile, ma non identica: “Disfate questo tempio, e io in tre giorni lo rimetterò in piedi”. La deposizione dei due testimonii non era quindi esatta quanto alla lettera, e meno ancora quanto al senso, poiché Gesù aveva parlato non del tempio materiale ma del tempio che era il suo corpo. L’accusa però era grave; venendo la bestemmia contro il tempio punita colla morte. Ma nelle parole di Gesù non v’era ombra di bestemmia, poiché promettendo egli di edificare un nuovo tempio, non veniva per nulla a disprezzare il culto di Dio. Ti scongiuro ecc… Caifa non trovando sufficiente l’accusa dei due testimonii, e non avendo potuto ottenere alcuna risposta da Gesù, gli fa una nuova domanda sulla qualità di Messia e di Figlio di Dio, che Egli aveva tante volte a sé rivendicata, costringendolo a rispondere con un giuramento. Ti scongiuro, cioè ti faccio giurare per Dio vivo, che ci dica se tu sei il Messia, e il Figlio di Dio. Queste ultime parole “Figlio di Dio” non sono sinonime di Messia, ma vanno intese nel loro stretto e proprio senso di figlio naturale di Dio. Caifa e i membri del Sinedrio sapevano troppo bene che Gesù aveva affermato di essere Figlio naturale di Dio, e non potevano ingannarsi sul senso delle sue parole.Tu l’hai detto, cioè sì, io sono il Messia e il Figlio di Dio. Con giuramento solenne davanti al più alto consesso della nazione, Gesù afferma la sua divinità, rivendica a sè tutti i diritti e la potestà del Padre, e la qualità suprema di giudice di tutta l’umanità. Fra poco, Egli dice, vedrete il Figliuolo dell’uomo sedere alla destra della virtù di Dio (Sal 109,1), cioè regnare con Dio e far manifesta la sua potenza divina; lo vedrete venire sulle nubi del cielo (Dan 7,13), vale a dire come giudice supremo. Fra poco conosceranno che Egli è Dio, quando saranno stati testimoni della sua risurrezione, della Pentecoste ecc.. e a suo tempo, ma specialmente alla fine del mondo, lo vedranno venire come giudice supremo. Stracciò le sue vesti ecc… Caifa comprese la portata delle parole di Gesù, e in segno di orrore per la presunta bestemmia straccia da 7 a 8 centimetri le sue vesti, come solevano fare gli Ebrei per mostrare il loro dolore. Da presidente del tribunale, egli si fa accusatore, e pronunzia una sentenza senza aver sentito alcun testimonio a discolpa dell’accusato, senza concedere all’accusato il tempo per preparare la sua difesa. È reo di morte. La sentenza è pronunziata. Gesù deve morire perché ha bestemmiato. Allora gli sputarono ecc… Secondo san Marco 15; tra coloro che così maltrattarono Gesù vi erano alcuni membri del Sinedrio, i quali oltre all’essere stati accusatori e giudici vollero ancora essere esecutori della sentenza».[18]
Riporto alcune importanti sentenze di sant’Alfonso Maria del Liguori, detto il Dottore Utilissimo. Egli, commentando il passo, afferma:
«L’iniquo pontefice [Caifa, NdA], non trovando testimonj per condannare l’innocente Signore, cercò dalle di lui stesse parole trovar materia di dichiararlo reo; onde l’interrogò in nome di Dio:Adiuro te per Deum vivum, ut dicas nobis, si tu es Christus Filius Dei. Gesù, udendo scongiurarsi in nome di Dio, dichiarò la verità, e rispose: Ego sum; et videbitis Filium hominis. sedentem a dextris virtutis Dei, et venientem cum nubibus cœli. Caifa in sentir ciò si lacera le vesti e dice: A che servono più testimonj? Avete intesa la bestemmia che ha detta? Tunc princeps sacerdotum scidit vestimenta sua, dicens: Blasphemavit: Quid adhuc egemus testibus? Indi domandò agli altri sacerdoti: Quid vobis videtur? E quelli risposero: Reus est mortis. Ma questa sentenza fu già prima data dall’eterno Padre, quando Gesù offerissi a pagare la pena de’ nostri peccati. Gesù mio, vi ringrazio ed amo. Pubblicata l’iniqua sentenza, tutti in quella notte si affaticano a tormentarlo: chi gli sputa in faccia, chi lo percuote co’ pugni, e chi gli dà più schiaffi, deridendolo come falso profeta: Tunc expuerunt in faciem eius, et colaphis eum caeciderunt; alii autem palmas in faciem eius dederunt, dicentes: Prophetiza nobis, Christe, quis est qui te percussit? E, come soggiunge san Marco, gli coprono il sacro volto con un panno rozzo, e così poi a vicenda lo percuotono. Ah Gesù mio, quante ingiurie avete sofferte per me, per soddisfare all’ingiurie che ho fatto a voi! V’amo, bontà infinita. Mi dolgo sommamente di avervi così disprezzata. Perdonatemi e datemi la grazia di esser tutto vostro. Io tutto vostro voglio essere, e voi l’avete da fare. Voi ancora me l’avete da ottenere colle vostre preghiere, o avvocata e speranza mia Maria».[19]
Ma poi, proprio contro i Protestanti che impugnano la vicenda per legittimare l’autorità del «Concilio di Caifas», pertanto per screditare sia l’infallibilità del Sommo Pontefice che quella dei Concilii generali, il Liguori sentenzia:
«[…] Calvino [oppone all’autorità dei, NdA] Concilj, l’iniquità del Concilio di Caifas, che fu ben generale di tutti i principi de’ sacerdoti, ed ivi fu condannato Gesù Cristo come reo di morte. Dunque ne deduce che anche i Concilj ecumenici sono fallibili. Si risponde che noi diciamo infallibili i soli Concilj generali legittimi, a’ quali assiste lo Spirito Santo; ma come può dirsi legittimo ed assistito dallo Spirito Santo quel Concilio, ove si condannava come bestemmiatore Gesù Cristo, per avere attestato di esser figlio di Dio, dopo tante prove che Egli ne avea date di esser tale? E dove si procedeva con inganni subornando i testimonj, e si operava per invidia, come conobbe lo stesso Pilato? Sciebat enim quod per invidiam tradidissent eum».[20]
San Giovanni Crisostomo dice: «Quel consesso aveva solo l’apparenza di un tribunale; di fatto era una spelonca di assassini sitibondi di sangue. Per questo il Signore intese rimproverarli non rispondendo alle loro domande»[21].
Origene commenta: «Caifa scongiurò Gesù Cristo e gli comandò di dirgli se egli veramente era il Figlio di Dio. Uomo diabolico; Satana, per ben due volte chiese a Gesù Cristo: dimmi se tu sei il Figlio di Dio. Caifa, ripetendo la stessa domanda, imitò Satana, suo padre»[22].
San Beda aggiunge: «Caifa nella sua domanda, si mostrò peggiore di Satana, poiché il fine di ottenere dalla bocca del Signore la confessione della verità, era di calunniarlo e condannarlo a morte»[23].
Sant’Ilario dice: «Osservate: Caifa si stracciò le vesti al momento nel quale Gesù si dichiarò Figlio di Dio, il vero Messia alla presenza di tutta la nazione ebraica, riunita nella persona dei suoi capi. Ciò significa, che, appena il divino Redentore – legalmente e solennemente – scoprì la vera sua natura e la sua vera missione, cessarono tutte le ombre, che erano state destinate a figurarlo.Cessò il sacerdozio di Aronne; scomparve la legge, dinanzi al Vangelo; si squarciarono i veli delle sacre scritture, figurati nelle vesti sacerdotali»[24].
San Girolamo commenta: «Caifa, sacerdote ebraico, stracciò le sue proprie vesti; mentre i soldati gentili conservarono intatta la veste di Gesù sul Calvario. Ciò indica che il sacerdozio di Cristo, figurato nella sua veste inconsutile, sarebbe restato perpetuamente intatto presso i popoli pagani divenuti cristiani; mentre rimaneva scisso e abolito per sempre presso il popolo ebraico»[25].
Conclusiva ma determinante è la sentenza di Papa san Leone I, detto Magno:
«Il buffone sacrilego, reprime la sua allegrezza interna, mentre affetta al di fuori raccapriccio, orrore; compone a mestizia il volto, mentre tripudia nel cuore; si mostra sacerdote zelante dell’onor di Dio vilipeso, mentre sfoga il suo odio crudele; e per fare più profonda impressione sul popolo spettatore, si abbandona a moti violenti, a smanie da uomo profondamente addolorato, mentre era tutta ipocrisia […] Infelice Caifa! Egli non comprese il tremendo mistero che compiva con quella frenesia sacrilega. Stracciandosi le insegne sacerdotali, si dissacrò con le stesse sue mani; si privò egli medesimo dell’onore e della dignità di Grande Sacerdote; egli stesso, reo e carnefice, eseguì sopra se stesso questa sua obbrobriosa condanna».[26]
Credo che basti per chiudere definitivamente anche codesta irriguardevole questione.
Passo tratto da APOLOGIA DEL PAPATO, EffediEffe, capitolo su Caifa e la dignità sacerdotale perduta

Note:
[1]Cf. Mt 26,57 ss.. «Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: “Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia […]”» (Mt 26,65).
[2] Essi partono sempre dal presupposto che l’attuale gerarchia postconciliare (Papa compreso) sia universalmente in errore su alcune questioni di fede e di costume, pertanto, secondo loro, le si dovrebbe resistere pur riconoscendola autorevole. Abbiamo visto, citando il Magistero, che la Chiesa bolla, precisamente e più volte, come protestante anche questa credenza. Per esempio, sulla Tesi del Papato materiale, che sembrerebbe risolvere il problema dell’Autorità nella Chiesa dal Concilio Vaticano [II] in avanti, leggo sul noto periodico «Sì Sì No No» (15 novembre 2013, anno XXXIX, n° 19, p. 1 ss.) che: «La Chiesa poggia sull’essere, sull’atto e sulla forma, non sul divenire, la potenza e la materialità. Perciò la Chiesa o il Papato materiale o in divenire, che da ben 4 Papi [da Montini (Paolo VI) e succ., NdA] non sarebbe passato all’atto ed avrebbe interrotto la successione apostolica formale di Pietro, è un Papato concepito dalla mente di un uomo […], ma non è la Chiesa voluta da Dio […]», pertanto la Tesi di Cassiciacumsarebbe in errore. Credo di aver già dimostrato che, invece, la teologia comune obietta a questa obiezione. Inoltre, nello stesso scritto viene citato san Bellarmino (p. 2, nota 4): «La prima tesi (san Roberto Bellarmino, De Romano Pontifice, lib. II, cap. 30; Francisco Suarez, De fide, disputa X, sez. VI, n.° 11, p. 319; cardinal Louis Billot, De Ecclesia Christi, t. I, pp. 609-610) sostiene che un Papa non può cadere in eresia dopo la sua elezione, ma analizza anche l’ipotesi puramente teorica (ritenuta solo possibile) di un Papa che può cadere in eresia. Come si vede questa ipotesi non è ritenuta per certa dal Bellarmino né dal Billot, ma solo speculativamente possibile. La seconda ipotesi (che il Bellarmino qualifica come possibile, ma molto improbabile, ivi, p. 418) sostiene che il Papa può cadere in eresia notoria e mantenere il Pontificato; essa è sostenuta solo dal canonista francese D. Bouix (Tractatus de Papa, tomo II, pp. 670-671), su ben 130 autori. La terza ipotesi sostiene che, ammesso e non concesso cada in eresia, il Papa perde il Pontificato solo dopo che i cardinali o i vescovi abbiano dichiarato la sua eresia (Cajetanus, De auctoritate Papæ et Concilii, cap. XX-XXI): il Papa eretico non è depostoipso facto, ma deve essere deposto (deponendus) da Cristo dopo che i cardinali hanno dichiarato la sua eresia manifesta ed ostinata. La quarta ipotesi sostiene che il Papa, se cade in eresia manifesta, perde ipso facto il pontificato (depositus). Essa è sostenuta dal Bellarmino (ut supra, p. 420) e dal Billot (idem, pp. 608-609) come meno probabile della prima ipotesi, ma più probabile della terza. Come si vede si tratta solo di ipotesi, di possibilità teoretiche, neppure di probabilità, e mai di certezze teologiche». Poi, a pag. 2 della stessa rivista si legge: «Quella del Papa eretico, però, è solo un’ipotesi, un’opinione discutibile, possibile, nemmeno probabile e assolutamente non è una certezza», così viene scartata certamente ogni soluzione al problema contemporaneo, compresa la Tesi di Cassiciacum. Ora, se l’autore dello scritto qui citato, tal Petrus, fosse in comunione con tutte le dottrine promulgate ed imposte universalmente dal Concilio Ecumenico Vaticano [II], il problema non si porrebbe e questi dimostrerebbe di usare la retta ragione (che il Papa eretico è solo un’ipotesi da scartare e non verificabile); il problema è che lo stesso autore (Petrus), poco dopo, ammette già dalla nota 4 che «la dottrina sul Collegio dei vescovi» insegnata dal Concilio Vaticano [II] ss., è sbagliata poiché è contraria alla «dottrina tradizionale, ribadita sin nel 1958 da Pio XII». L’autore dell’editoriale titolato «Piccolo catechismo sulla Chiesa e il Magistero», prosegue in altre parti del medesimo denunciando varie fratture fra la dottrina del Concilio Vaticano [II] e quella Tradizionale, talvolta finanche con quella dottrina già precedentemente definita (esplicitamente) dalla Chiesa. A rigor di logica, quindi, per il Petrus l’ipotesi diventa certezza. Pertanto questi, prima dice che «il Papa eretico è pura ipotesi», dunque san Bellarmino ed i teologi (comuni) avrebbero semplicemente ipotizzato (ovvero speculato) e non andrebbero presi in considerazione, ma poi egli stesso denuncia, documentando, che questa ipotesi si è verificata, tuttavia egli scarta la teologia comune che, invece, risolverebbe il problema (ho già dimostrato, citando il Magistero e la teologica comune, la fondatezza dell’ipotesi IV). Egli, per di più, chiaramente sposa quell’unica ipotesi minoritaria che è chiaramente erronea, difatti il Petrus «sostiene che il Papa può cadere in eresia notoria e mantenere il Pontificato», teoria «sostenuta solo dal canonista francese D. Bouix […] su ben 130 autori». È come se tal Petrus dicesse: la scienza medica mi fornisce l’immediata cura nel remoto caso di infezione da tetano, essendo però questo caso remoto solo un’ipotesi, io rigetto la cura anche se dovessi rendermi conto di aver realmente contratto il tetano. C’è una logica ambigua in tutto ciò, pertanto io non posso accettarla, pur essendo un assiduo lettore della rivista citata!
[3] «Or gli Ebrei, che erano figli nella casa di Dio, per la loro durezza e incredulità, divennero cani. E di questi cani ce n’ha pur troppi oggidì in Roma, e li sentiamo latrare per tutte le vie, e ci vanno molestando per tutti i luoghi» [Cf. «La Voce del Santo Padre Pio Nono», 1874, fasc. IX, Bologna, Ed. Tipografia Felsinea, pp. 264-265; Proposizione strumentalizzata in: «The Popes Against the Jews: Before the Holocaust», editor. di Garry Wills, su «New York Times», 23 settembre 2001, cit ingl.: «In 1871, addressing a group of Catholic women, Pius said that Jews “had been children in the House of God”, but “owing to their obstinacy and their failure to believe, they have become dogs” (emphasis in the original.). “We have today in Rome unfortunately too many of these dogs, and we hear them barking in all the streets, and going around molesting people everywhere”. This is the pope beatified by John Paul II in 2000 […]»]. Attenzione, sebbene il mondo di oggi voglia far credere il contrario, il peccato esiste ed è esclusivamente ciò a cui fa riferimento Papa Pio IX, egli condanna il peccato di infedeltà e non il peccatore. Testimonianza esplicita: «[Pio IX, NdA] vide un vecchio a terra sulla strada, apparentemente privo di vita presso il quartiere ebraico, il cosiddetto Ghetto. Subito chiese al cocchiere di fermarsi. Scese dalla carrozza per sapere che cosa avesse il vecchio. “È un ebreo”, gli risposero alcuni, senza prestare alcun soccorso. “Che cosa dite?”, chiese il Papa visibilmente adirato. “Non sono gli ebrei il nostro prossimo, che dobbiamo aiutare?”. Quindi il Papa personalmente con l’aiuto del suo assistente sollevò il vecchio, lo fece salire sulla sua carrozza e lo portò alla sua povera casa, dove si trattenne amorosamente con lui, finché il vecchio non si sentì meglio» (Cf. «Piusbuch. Papst Pius IX in seinem Leben und Wirken», Franz Hülskamp e Wilhelm Molitor, Ed. A. Russell in Münster, 1873, p. 93, open lib.: OL13990851M, trad. it. per Apologia del Papato, Patricio Saw).
[4] Cf. San Leone Magno, Sermone XLIV, 2.1-2 sulla Passione del Signore.
[5]San Tommaso D’Aquino, «Catena Aurea in quatuor Evangelia», Expositio in Matthaeum, cap. 26, lez. 16, Taurini, 1953: «Per hoc autem quod scidit vestimenta sua, ostendit Iudaeos sacerdotalem gloriam perdidisse, et vacuam sedem habere pontificis. Dum enim vestem sibi discidit, ipsum quo tegebatur vestimentum legis abrupit». Qui è possibile studiare l’Opera: http://www.corpusthomisticum.org/cmt26.html.
[6]Per capire meglio:Non si parla più di costituzione temporale della nazione (Gv 18,36); la carta di alleanza di Gesù non è più la legge di Mosè (Gal 3,21); Gesù parla del Suo Tempio divino (Mc 14,58) e indistruttibile (Mt 16,18); del Corpo risorto di Cristo (Gv 2,21 ss.); della Chiesa, Corpo di Cristo, Tempio nuovo (2 Cor 6,16; Ef 2, 21; 1Pt 2,5), accessibile a tutti (Mc 11,17). «Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti» (Col 3,11; Cf. Gal 3,28), «Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo […] E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa» (Cf. Gal 19, ss.).
[7]Cf.  18,8
[8] Manifestazione del Messia, qual Re del «regno dei santi». Cf. Mt 16,27; Mc 8,38; 9,1; Lc 9,26 ss.; Mt 24,30; Mc 13,26; Lc 22,27; Mt 26,63 ss.; Mc 14,61; L. 22,68 ss.
[9] F. Spadafora, «Gesù e la fine di Gerusalemme», Rovigo 1950, pp. 17 ss., 61 ss., 93-96; Cf. «Dizionario Biblico», Ed. Studium, Roma, 1955, p. 146; concettualmente uguale in «Dizionario di Teologia Biblica», X. Leon-Dufour …, Ed. Marietti, Torino, 1965, pp.146 ss, III Fondazione della Chiesa. NB: Come fa notare lo stesso mons. Spadafora, purtroppo il gesuita Xavier Leon-Dufour, appena menzionato, successivamente «[…] camminò sulle orme del protestante Willi Marxen […] col caso clamoroso della negazione della risurrezione corporea di Gesù […]» (Cf. «La nuova esegesi. Il trionfo del Modernismo sull’esegesi Cattolica», F. Spadafora, Ed. Les Amis de saint Francois de Sales, Sion, 1996, p. 214). In questo caso i due noti ed importanti studiosi danno, invece, la medesima e tradizionale esegesi alla vicenda. Ho scelto fra i tanti proprio questi due personaggi, per dimostrare come la fede del Dufour, macchiata dal Modernismo, non è più integrale e sempre certa ma talvolta è altalenante e pericolosissima.
[10] Ger 11,19
[11] Is 53,7 ss.
[12]Cf. At 8,31-35. Si legge: «[…] Filippo, prendendo a parlare e partendo da quel passo della Scrittura, gli annunziò la buona novella di Gesù».
[13]Cf. Mt 26,63. Si legge: «[…] Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: “Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”».
[14]Cf. Gv 19,9. In questo caso si capisce che Gesù non discute il potere terreno di Pilato (Cf. Mt 22,21), ma mette in rilievo l’iniquità di cui questi è vittima (Gv 19,11). Si legge: «Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande».
[15]Nella ricerca condotta, mi risulta, inoltre, che il Sommo Sacerdote non poteva stracciarsi le vesti. Riporto, per esempio, il commento (Matteo 26, 65) di mons. Antonio Martini in «Testamento secondo la Volgata», 1817: «I Rabbini dicono, ch’ei poteva stracciare le vesti (non quelle sacre usate nelle funzioni pontificali, ma le vesti ordinarie) in tempo di calamità, ovvero in udendo qualche motto di bestemmia; e questa seconda eccezione sembra inventata per giustificare il fatto di Caipha». Dalla Scrittura sappiamo che: «Il sacerdote, quello che è il sommo tra i suoi fratelli, sul capo del quale è stato sparso l’olio dell’unzione e ha ricevuto l’investitura, indossando le vesti sacre, non dovrà scarmigliarsi i capelli né stracciarsi le vesti» (Lev 21,10).
[16]Spiega san Tommaso d’Aquino nella «Summa Theologiæ» (IIIª q. 47 a. 5): «Sembra che Cristo sia stato riconosciuto dai suoi persecutori. Infatti: Nel Vangelo si legge che “i vignaiuoli vedendo il Figliuolo dissero tra loro: Costui è l’erede; venite, uccidiamolo”. E san Girolamo commenta: “Con queste parole il Signore dimostra in modo evidentissimo che i principi dei giudei crocifissero il Figlio di Dio non per ignoranza, ma per invidia. Capirono cioè che egli era colui di cui il profeta aveva predetto: Chiedi e io ti darò le genti in eredità”. Sembra quindi che costoro abbiano conosciuto che egli era il Cristo, ossia il Figlio di Dio». Dopo la consueta dissertazione, il Dottore Angelico risolve e conclude: «Le parole suddette erano state precedute dalla frase: “Se io non avessi compiuto tra loro cose che nessun altro ha compiuto, non avrebbero peccato”, e così seguono nel contesto: “Ora essi hanno veduto, ed hanno odiato me e il Padre mio”. Il che dimostra che, pur vedendo essi le opere mirabili del Cristo, per odio non arrivarono a conoscere che egli era il Figlio di Dio. L’ignoranza affettata non scusa la colpa, ma piuttosto l’aggrava: essa infatti dimostra che uno è così intenzionato a peccare che preferisce rimanere nell’ignoranza per non evitare il peccato. Perciò i Giudei peccarono non solo come crocifissori dell’uomo Cristo, ma come crocifissori di Dio». All’articolo 6 l’Aquinate spiega pure perché i capi dei Giudei non sono in alcun modo scusabili, difatti: «La scusa pronunziata dal Signore si riferiva, come abbiamo visto, non ai capi dei Giudei, ma alla gente del popolo. Giuda consegnò Cristo non a Pilato, ma ai principi dei sacerdoti, i quali lo consegnarono a Pilato, secondo le parole di quest’ultimo: “La tua nazione e i tuoi pontefici ti hanno consegnato nelle mie mani”. Ebbene, il peccato di tutti costoro fu superiore a quello di Pilato, il quale uccise Cristo per paura dell’imperatore, e a quello dei soldati che lo crocifissero per ordine del preside; e non già per cupidigia come Giuda, né per invidia o per odio come i principi dei sacerdoti. Certamente Cristo volle la propria passione, come pure la volle Dio: non volle però l’atto iniquo dei Giudei. Perciò gli uccisori di Cristo non sono scusati della loro ingiustizia. – Del resto chi uccide un uomo non fa ingiuria a lui soltanto, ma anche a Dio e alla società: così pure chi uccide se stesso, come nota il Filosofo. Ecco perché David condannò a morte colui che “non aveva esitato a stendere la mano per uccidere l’unto del Signore”, sebbene a richiesta dell’interessato».
[17] Caifa comprende la portata delle parole di Gesù, e in segno di orrore per la presunta bestemmia straccia – pare arbitrariamente – da 7 a 8 centimetri le sue vesti, come solevano fare gli Ebrei per mostrare il loro dolore (Cf. «La Sacra Bibbia», commentata dal p. Marco M. Sales OP, 2 Imprimatur, Tipografia Pontificia cav. P. Marietti, Torino, 1911, p. 122, nota 65).
[18] Cf. «La Sacra Bibbia», commentata dal p. Marco M. Sales OP, 2 Imprimatur, Tipografia Pontificia cav. P. Marietti, Torino, 1911, p. 122, note 59-67.
[19] Cf. Sant’Alfonso Maria de Liguori, «Delle cerimonie della Messa», par. II, § 2, Considerazione II per il lunedì, pp. 800 e 801.
[20]Cf. Sant’Alfonso Maria de Liguori, «Storia delle Eresie», confutazione IX, § 8,Dell’autorità de’ Concilj generali, n° 80.
[21] Omelia LXXXV, In Mt.; Cf. «Letture sulla passione di Gesù Cristo», G. Pesce, Ed. Desclée & C, riedizione introdotta da p. Teodoro Foley, Generale dei Passionisti, 20 dicembre 1964, III. Commento dei santi Padri, pp. 302, 303, 304 e 305.
[22]Trattato XXXV, In Ut.; Ivi.
[23]In Lc.; Ivi.
[24] Canone XXXII, In Mt.; Ivi.
[25] In Mt.; Ivi.
[26]Sermone IV, «De Passione …»; Ivi.