martedì 19 maggio 2015

CONVIENE ABBANDONARSI ALLA CORRENTE DEMOCRATICA? (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)

Papa Leone XIII 

Dopo ciò che abbiamo detto, sembra inutile far questa dimanda. Se non che, l'affermativa si ripete
così spesso, che è necessario darvi una risposta.
Se la democrazia deriva dall'orgoglio, essa riposa sulla negazione del peccato originale, se tende a
distruggere tutto questo ordine sociale che ha resa necessaria la propensione naturale che abbiamo
al male, come può avvenire che cristiani, cattolici, e preti possano chiamarsi democratici e lavorare
al progresso, al regno della democrazia?
Ancor una volta, noi non intendiamo di parlare che di democratici, i quali pur dicendosi cristiani,
pretendono di formare una scuola, la scuola dell'eguaglianza e della libertà, invece - come Leone
XIII non ha cessato di chieder loro - di limitare la loro ambizione al far del bene al popolo, ad
affaticarsi per aiutarlo ad uscire dalla sua miseria morale e materiale.
Essi insegnano che la libertà e l'eguaglianza come le presenta allo spirito l'indeterminatezza di
queste parole, sono diritti, sono beni. Coi loro scritti, coi loro discorsi, spargono questa semente
democratica nella vigna del Signore e fino nel campo sacerdotale. Accreditati dalla loro onorabilità,
e dal lato seducente che certe verità od apparenze di verità prestano ai loro errori, essi conducono
fuori delle vie del vero cristianesimo coloro che non si sarebbero mai lasciati trascinare da settari
dichiarati. Essi fanno luccicare agli occhi delle popolazioni l'incanto dell'indipendenza. Aprono
libero campo alla gelosia contro tutto ciò che oltrepassa il livello dell'eguaglianza e, nondimeno, si
dicono e sono cristiani. Come spiegare tale incoerenza?
Oh! egli è perché credono, come de Tocqueville, che l'avvenire spetti alla democrazia, ed il
movimento democratico sia irresistibile, e s'impadronisca del mondo. Vedono in questo un disegno
provvidenziale, e pensano far opera lodevole e santa nel secondare ciò che stimano conforme ai fini
della sapienza divina nella condotta dell'umanità.
Alexis de Tocqueville 

De Tocqueville pubblicando la dodicesima edizione della sua opera: La Démocratie en Amérique,
annunziava così l'avvenimento d'un mondo nuovo.
"Questo libro fu scritto da quindici anni sotto la preoccupazione costante di un sol pensiero:
l'avvenimento prossimo, irresistibile, universale, della democrazia nel mondo. Lo si rilegga e si
troverà in ogni pagina un solenne avvertimento, il quale ricorda che la società cambia forma,
l'umanità condizione e che nuovi destini si avvicinano".(1)
Non vi ha alcuno scritto di democratici cristiani in cui non si trovino parole equivalenti. Tutti,
sull'esempio di Tocqueville, non cessano di dire: "Lo sviluppo graduale dell'eguaglianza è un fatto
provvidenziale. Ne ha i principali caratteri, è universale, è durevole, sfugge ogni giorno alla potenza
umana, tutti gli avvenimenti e tutti gli uomini hanno servito al suo svolgimento".
Vi è dunque, per molti dei nostri cristiani la convinzione di essere chiamati a secondare i fini della
Provvidenza, la quale li ha fatti attaccare al carro della democrazia; ed invocando la volontà di Dio,
manifestata dagli avvenimenti, che si compiono da un secolo, in un medesimo senso, sono riusciti a
farsi ascoltare e seguire.
La Démocratie chrétienne, nel suo numero del febbraio 1897, diceva: "Tutti - sia quelli che lo
biasimano come quelli che l'approvano - riconoscono che nel mondo esiste un movimento
democratico universale".
Sicuramente, la democrazia monta e non cessa di salire dal 1789, in Francia e dapertutto, nell'antico
come nel nuovo mondo. È questa una ragione sufficiente per credere che questo movimento viene
da Dio e che Dio presiede ai progressi della democrazia? Il paganesimo, suo primogenito, ha tutto
invaso nei tempi che succedettero il diluvio, a tal punto che fu necessario un intervento diretto e
personale di Dio continuamente in esercizio per difendere dal suo contagio il piccolo popolo ebreo.
I figli di Abramo erano essi autorizzati a dire: "Andiamo noi pure ad adorare gli idoli come fa il
resto del mondo, giacché essendo l'idolatria evidentemente un fatto universale, è cosa
provvidenziale?".
La stessa Rivista diceva ancora nel maggio 1899: "Vi ha oggidì, nel mondo, un movimento
democratico universale.
Questo movimento noi lo riconosciamo, lo salutiamo, lo favoriamo".
Prima di abbandonarsi ad un impulso, per quanto sia universale, per quanto sembri irresistibile, e
sopratutto prima di favorire il movimento che esso imprime, quello che fa d'uopo considerare, non è
la sua potenza e la sua estensione, ma il suo carattere, il suo punto di partenza ed il termine a cui
deve condurre.
Quale è il carattere di un movimento democratico? La democrazia diffonde essa nelle turbe lo
spirito cristiano, cioè lo spirito del dovere, della temperanza, dell'abnegazione, e dell'umiltà? È la
prima dimanda che deve farsi il cristiano e sopratutto il prete prima di salutarla.
D'onde viene il movimento democratico ed a che mira? Quest'è la seconda dimanda che s'impone
prima di dire una parola, prima di far qualsiasi cosa per favorirlo; poiché non s'impedisce ad un
torrente di correre all'abisso gittandosi ne' suoi flutti, e nemmeno raddrizzando il suo letto.
Il movimento democratico non si accosta assai da vicino al movimento rivoluzionario? E la
Rivoluzione, si può negare che sia originariamente ed essenzialmente satanica? I suoi partigiani lo
proclamano oggidì più alto che i suoi avversari. Essi non cessano di rappresentarla come
l'antagonista del cristianesimo, risoluta di annientare l'idea cristiana, a meno che il cristianesimo
non giunga a soffocare la Rivoluzione.
Se è così, il dovere può essere quello di abbandonarsi al movimento democratico e di favorirlo?
Non è, al contrario, quello di opporsi quanto è possibile, quand'anche, mettendosi attraverso, si
avesse la certezza di rimanere schiacciati?(2) Ciò è quanto hanno sempre fatto i veri servi di Dio,
coloro che nelle lotte di questo mondo, non guardano che a Lui, non ascoltano che Lui, non
chiedono, per saper dove debba portarsi la loro parola e la loro azione, che questa sol cosa: qual'è,
quale fu fin qui l'insegnamento divino? Quindi è che in tutte le epoche di turbolenze e di seduzioni
essi sono stati le guide sicure, i veri benefattori dei loro fratelli. Essi non esitarono punto ad opporsi
alle più impetuose correnti; e Dio, dopo di aver contemplato dall'alto dei cieli i loro sforzi, e di
averli sostenuti, intervenne in una maniera più o meno sensibile e diretta per metter fine alla lotta,
per rovesciare i disegni di Satana e far rientrare l'umanità nelle sue vie.
La certezza, l'invincibile certezza che così avverrà ancora, è ciò che hanno in cuore coloro i quali, in
questi tempi sì torbidi ed oscuri, procurano di non chiudere gli occhi alla luce della fede, e non
cessano di prestare l'orecchio agli oracoli tante volte usciti dal Vaticano.
Quanto sono lontani dal godere una tale certezza i democratici!
Il sig. de Tocqueville, che sollecitava con tanto ardore i suoi contemporanei a gettarsi nel
movimento democratico, perché lo vedeva universale, irresistibile, ben diceva che questo
movimento doveva finire col far cambiare di forma la società, e di condizione l'umanità, ma non si
mostrava per nulla sicuro e non aveva alcuna certezza che questa condizione sarebbe migliore e
questa forma più perfetta.
Nel 1850, faceva questa confidenza alla contessa di Circourt: "Io confesso umilmente (questo può
sembrar umiliante per un uomo che s'è talvolta atteggiato a profeta), che non vedo assolutamente
nulla nella notte in cui ci troviamo. Mi veggo senza bussola, senza vele e senza remi, su di un mare
sconfinato dove non iscorgo da niuna parte la spiaggia; e, stanco di agitarmi invano, io mi corico in
fondo al battello ed attendo l'avvenire".(3)
"Questo sentimento di tristezza e di disperazione - diceva alcuni giorni fa Edoardo Drumont - è così
radicato in tutti gli animi, è talmente sparso nell'aria che se ne ode l'eco fin nei giornali piazzaiuoli
che, d'ordinario, trattano soggetti meno gravi". Ne dà in prova quello che disse recentemente
Edmondo Harancourt nel Journal ed un giovane ebreo socialista, Daniele Halévy, nei quaderni del
La Quinzaine; e conchiude il suo articolo, intitolato: Leur âge d'or, con queste parole: "Gli utopisti
d'una volta sognavano delle Atlantidi, delle Salenti, delle Basiliadi, delle Città del Sole, dove gli
uomini vivevano nell'armonia, nell'abbondanza, nella luce e nella gioia. Quelli d'oggi ci mostrano
l'umanità che finisce nell'orgia, nella servitù, nella strage o nella corruzione".
Tutto ciò indica l'inquietudine della nostra società imbarcata sulla nave della democrazia. Essa si
sente senza bussola, senza vele e senza remi, nella notte oscura; e, stanca di agitarsi invano,
impotente a dirigersi, si abbandona, scoraggiata, alla marea popolare, la quale, dopo le scosse di
mille rivoluzioni, la getterà sugli scogli dei comunismo per infrangerla.(4)
Questo stato di acciecamento, di scoraggiamento e di timore in cui la democrazia ci pose, può solo
spiegare lo stato passivo onde tutto soffriamo, aspettando il naufragio.
"Quante volte - dice de Ribbes - non abbiamo noi inteso il signor Le Play, quando veniva
interrogato che cosa egli pensasse del presente e dell'avvenire, ricordare la "profezia" di
Tocqueville! (sull'avvenimento provvidenziale ed irresistibile della democrazia). Coll'accento del
più profondo dolore, egli dimandava se era da meravigliarsi che le intelligenze ed i caratteri si
fossero abbassati, che tutto avesse ceduto: costumi, leggi, istituzioni, in un paese dove tanti uomini
politici, tanti scrittori, ed una parte considerevole di classi dirigenti propagavano tali idee come
provvidenziali e superiori ai voleri umani e la prendevano come regola di condotta. Non eravi qui
una delle ragioni dell'impotenza di questo paese a riformarsi, dell'incredibile rassegnazione onde
subisce tutte le oppressioni, e della sua sommissione passiva dinanzi a tutte le rivolte?".
Nessuna oppressione è stata mai più umiliante, più degradante di quella che sosteniamo ai nostri
giorni; nessun tiranno ha mai dichiarato più altamente che voleva sbarazzare la società dal
cristianesimo, e spegnerne nelle anime fino l'ultima scintilla. E nessuna persecuzione ha mai trovato
simile rassegnazione. Da ben trent'anni la setta non ha cessato di distruggere e di asservire; essa non
ha incontrato altra resistenza, fin dal principio, che di parole senza importanza, dettate unicamente,
sembra, per "salvar l'apparenza". A poco a poco, le voci stesse si sono spente, ed è nel silenzio che
si compiono gli ultimi attentati.
Questo abbassamento di intelligenze e di caratteri, Le Play non esita ad imputarlo all'invasione delle
idee democratiche negli spiriti, alla loro propaganda non solo per mezzo degli uomini politici che vi
sono interessati e degli scrittori, discepoli di Gian Giacomo, ma per mezzo ancora d'una parte delle
classi dirigenti.
Gli uni e gli altri, con questa propaganda, sebbene non se ne rendano conto, si fanno, come sembra,
i servitori degli Ebrei.
Noi abbiamo udito, nella prima parte di quest'opera (p. 254-258), i rabbini riuniti nell'anti-concilio
di Lipsia, dichiarare che la propaganda dei principii dell'89 era la più sicura garanzia dell'avvenire
del giudaismo; e, più tardi, un rabbino tedesco, osservando lo spirito democratico penetrare
dovunque, esclamare: "Noi andiamo di conquista in conquista contro questi cristiani di corta vista ...
l'avvenire è nostro". Noi convertiamo in massa e in modo inosservato. Nel medesimo tempo, un
giornale algerino, le Hacophet (citato dalla rivista cattolica The Month) salutava in questi termini il
prossimo trionfo della sinagoga: "Invano la tiara lotta contro lo spettro della rivoluzione giudaica
del 1793; essa vorrebbe invano liberarsi dalle catene di ferro del colosso semitico che la stringono;
tutti i suoi sforzi sono inutili. Il pericolo è imminente e il cattolicismo muore mano mano che il
giudaismo penetra negli strati della società".
Sì, sono i Giudei che hanno fatta la Rivoluzione, l'hanno fatta per mezzo dei framassoni, e i
framassoni per mezzo dei principii dell'89, cioè per mezzo dell'idea democratica. E, a misura che
questa idea e questi principii penetrano negli strati della società cristiana, fanno inaridire la vita, la
vita soprannaturale come la vita sociale; ed invano si lotterà contro i figli della Rivoluzione, contro
il socialismo, contro l'anarchismo e contro la dominazione giudaica, se gli spiriti non si liberano dal
dogma della immacolata concezione dell'uomo e di tutto ciò che ne deriva.

Note:

(1) Il signor de Tocqueville dimanda: "Sarebbe egli prudente il credere, che un movimento sociale
che viene di sì lontano possa essere sospeso da una generazione? Si pensa che dopo d'aver distrutto
la feudalità e vinto i re, la democrazia indietreggerà davanti alla borghesia ed ai ricchi? Si fermerà
essa ora che è divenuta si forte e così deboli i suoi avversari?". Ma il medesimo de Tocqueville ha
dovuto riconoscere questo, che è assai più vero oggidì che nel 1832: "Gli istinti della democrazia
portano il popolo ad allontanare gli uomini onorati dal potere; un istinto non meno forte conduce
questi ad allontanarsi dalla carriera politica in cui é loro difficile di rimanere completamente quel
che sono e di camminare senza avvilirsi" (cap. XII).
Più sopra, Le Play disse: "Non si spiega come l'eminente autore, che in questi termini ha criticato la
democrazia, abbia potuto dichiarare che un sol ordine di cose è provvidenziale, e che deve costituire
per tutto un governo tranquillo e regolare".
Ed altrove: "Alessio de Tocqueville, offrendo in un libro pericoloso alla Francia, come modello, il
governo costituito nel 1787 negli Stati Uniti, ha fatto molto male quantunque abbia egli stesso
confutato i suoi sofismi. Egli afferma che il governo esclusivo delle classi inferiori ha prodotto la
grandezza attuale degli Stati Uniti, ma non lo dimostra e prova anzi il contrario. Egli descrive molto
imperfettamente la costituzione di questo paese e non fa menzione dell'influenza preponderante che
esercitavano all'epoca del suo viaggio in America i grandi proprietari degli Stati del Sud".
(2) Al signor Fouret che gli diceva: "La democrazia domina da per tutto; l'avvenire è suo",
Montalembert rispose: "Io la subisco senza contestare la legge sublime onde Dio si compiace di trar
il bene dal male, ma senza voler prendere il male per il bene. Io non so se il trionfo della
democrazia sarà durevole, o se questo torrente devastatore non andrà ben presto a perdersi nelle
acque stagnanti del dispotismo; ma checché ne avvenga, io non voglio partecipare né all'onta della
sua disfatta, né a quella della sua vittoria. Io resterò solo, ma in piedi. Il carro della democrazia, del
falso progresso, della tirannide fallace ed empia è in moto. Non son io che l'arresterò. Ma io amo
meglio cento volte d'essere schiacciato sotto le sue ruote, che montarvi a tergo, per servire di lacchè,
di araldo, o anche di bidello ai sofisti, ai retori ed agli spadacini che lo conducono. (Montalembert
d'aprés son journal et sa correspondance, II, p. 383 et seq.).
(3) OEuvres et correspondances inédites, p. 149.
(4) Il giornale belga Le Peuple, nel suo numero del 29 settembre 1892, diceva: "All'indomani della
rivoluzione, i socialisti avranno tre grandi imprese:
"1° Organizzare il potere rivoluzionario e provvedere alla sua difesa;
"2° Soddisfare immediatamente i bisogni popolari;
"3° Rovesciare l'ordine capitalista e porre le basi dell'ordine sociale.
"Il partito socialista si troverà di fronte a tre classi con interessi differenti ed anche opposti, e sono
la classe operaia della grande industria, la classe agricola e la classe capitalista col suo annesso, la
piccola borghesia industriale e commerciale.
"La classe operaia sarà padrona nelle città industriali, che diverranno altrettanti centri rivoluzionari
confederati, per guadagnare le campagne alla rivoluzione e per vincere la resistenza che si
organizzerà.
"Nelle città industriali, i socialisti dovranno impadronirsi dei poteri locali, armarsi ed organizzare
militarmente gli operai: chi ha armi ha pane, dicea Blanqui.
"Essi (i socialisti) apriranno le porte delle prigioni per lasciar uscire i piccoli ladri, e mettere sotto
chiave i ladri grandi, come banchieri, finanzieri, grandi industriali, grandi proprietari, ecc.
"Non si farà loro del male, ma saranno considerati come ostaggi, responsabili della buona condotta
della loro classe.
"Il potere rivoluzionario si costituirà per mezzo di semplice presa di possesso, e solamente allora
che saranno padroni della situazione i socialisti penseranno a far rettificare i loro atti mediante il
suffragio detto universale; saranno colpiti d'incapacità politica tutti gli ex-capitalisti finché la parte
rivoluzionaria sia guadagnata".