giovedì 31 maggio 2012

Le verità sulle vicende "Risorgimentali" nel Regno delle Due Sicilie(1860-1861):(Parte 34°): La reazione a Isernia l'armata volontaria di La Grange capitolazione di Baia Ritucci continua a indugiare


senzah


Voglio ricordare che tale documento e stato scritto da un testimone dei fatti,quindi data la preziosa importanza del testo ne consiglio un attenta lettura.



Le lotte tra Cavour e Garibaldi erano assai inasprite prima della battaglia del 1° ottobre. Costui che avea preso gran gusto a fare il re, consigliato da Bertani, respingeva tutti le proposte di Cavour, il quale volea che si facesse subito l'annessione incondizionata del Regno di Napoli al Piemonte. Quel ministro piemontese era un uomo scaltro e politico, quindi conoscea che Garibaldi non l'avrebbe tirata a lungo; prevedeva che lo avrebbe scacciato la reazione, e che Francesco II,anche senza esercito, sarebbe stato condotto a Napoli sulle braccia de' popoli, già disgustati del contenersi de' garibaldini, maggiormente nelle province, ed oppressi dall'anarchia sempre crescente.
Tutti questi nuovi pagnottisti, temendo che il re legittimo vincesse, stavano in sospetto di perdere quello che malamente aveano acquistato, e quindi non vedeano altra àncora di salvezza che la pronta annessione al Piemonte, e il subito accorrere della truppa sarda nel Regno. Cavour avea un forte partito, che sebbene non si svelasse apertamente, purtuttavia lavorava per la pronta ed incondizionata annessione.
Garibaldi irritato che lo voleano ridurre un Cèsar déclassé, credendosi davvero sovrano, scrisse al Re di Piemonte che destituisse Cavour e Farini, annunziandogli che dovea andar prima a Roma e Venezia, e poi far l'annessione. Consigliato da Mazzini, il 29 settembre proclamò:«Non possiamo volere l'Italia con annessioni parziali e successive, in modo che si avviluppata a poco a poco nel municipalismo del Piemonte. Che il Piemonte diventi italiano, e non già che l'Italia diventi piemontese. Uguaglianza è che tutte le parti si uniscono in una, affinchè si concorra a creare il codice nazionale.»
Garibaldi, ad intervalli, dicea qualche verità, ma non era questa stessa farina del suo sacco. Bertani, prevedendo che il suo posto di segretario della Dittatura non sarebbe stato di lunga durata, volea dalle finanze due milioni per far la rivoluzione repubblicana in Genova! A questa pretensione si oppose il Ministro delle finanze Scialoia; ed egli dopo questa opposizione fece tanti chiassi con lo stesso Garibaldi, e costui non osò difenderlo. Bertani sentendo il vento cambiato, se ne partì da Napoli, e fu surrogato da Crispi nel segretariato della Dittatura.
Garibaldi sin dal 19 settembre, avea cominciato un poco a sospettare che sotto Capua erano finiti i suoi facili trionfi, che sebbene in quella Piazza avesse qualche relazione, non avea però, né ministri come D. Liborio e Pianelli, né generali simili a Lanza, Clary ec. ec. Tuttavia si lusingava ancora che avesse potuto far da sè, e
quindi resisteva a' consigli ed alle pretensioni del ministro sardo Cavour. Però, dopo il 1° ottobre si convinse che non era osso per i suoi denti masticare (frase cavourriana) il residuale esercito delle due Sicilie, anzi che questo avrebbe potuto sbaragliarlo da un momento all'altro, ad onta degli aiuti del Piemonte: quindi Garibaldi abbassò le ali e la cresta, divenne manieroso con i messi di Cavour, ed in seguito smise la boria ed ubbidì a costui!
Cavour mandò a Napoli Giorgio Pallavicini Trivulzio, antico repubblicano, già prigioniero dello Spielberg in Austria e compagno di Silvio Pellico in quel duro car cere. Pallavicini si presentò a Garibaldi in Caserta, e gli consegnò una lettera di Re V. Emmanuele. Il povero Dittatore, che avea già smessa la boria e le spacconate, fece virtù della necessità. Il 5 ottobre, col pretesto che il Prodittatore di Napoli, l'expre te generale Sirtori fosse necessario agli affari della guerra, lo tolse da quel posto, ed invece nominò Pallavicini: fu questa una mezza abdicazione alla sua sovranità! «Ahi dura terra perché non ti apristi?!
Il primo atto di protesta dell'antico repubblicano Pallavicini, appena fatto Prodittatore, fu quello di cacciare Mazzini da Napoli. Facea dispetto e vergogna veder poi tanti vecchi mazziniani rinnegare il loro duce e maestro; ma direbbe un Giurì: bisogna aver riguardo agli attenuanti; era questione di pagnotta! e con la pagnotta non si scherza! Il solo Crispi difese Mazzini, e costui protetto da quello non ubbidì agli ordini del Proditttatore Pallavicini. Garibaldi scrisse al suo vecchio amico Mazzini una lettera, che non gli mandò, ma che pubblicò nel giornale X Opinione: avete capito nell' Opinione di Torino venduta anima e corpo a Cavour? Mazzini, il 6 ottobre, con un'altra lettera pubblicata da' giornali rossi, protestò contro lo sfratto che gli si dava. Dicea in quella lettera: «Italiano in terra italiana, chiamata a libera vita, sostengo nella mia persona il diritto d'ogni cittadino a vivere in patria.» È da notarsi che Mazzini non rispettò questo diritto in tanti cittadini romani nel 1849, quando ghermì il potere in Roma.
Il Pallavicini, non facea conto degli amici del Dittatore, faceasi chiamare Prodittatore di Garibaldi, ma in realtà lo era di Cavour. Infatti con un decreto sciolse il comitato di azione, quello che avea sostenuta la Dittatura di Garibaldi, e lasciò quello dell'ordine che l'avea avversata, perché cavourriano.
Il partito garibaldino fu sopraffatto, perché Cavour era più scaltro, ed avea più forza nelle sue mani. Costui fece come il leone della favola; sebbene la preda fosse spolpata, finse dividerla; se ne prese tre parti, per l'altra dichiarò: «Si quis quartam tetigerit male affligetur!Il Prodittatore pubblicò parecchi decreti, alcuni in principio buoni, ma eseguiti male. Diede 450 mila lire alla Compagnia Rubattino a ristorarla del vapore che condusse nel 1858 gl'invasori del Regno a Sapri, condotti dal Pisacane; non tenendo conto che quel vapore era stato restituito da Re Ferdinando II. E così diede 750 mila lire pei due vapori che condussero i mille a Marsala, sotto colore di rifare i danni che aveano sofferto: e tutto pagò il popolo napoletano redento e sovrano.
Pallavicini volendo secondare i disegno di Cavour, si affrettò a far giungere deputazioni a Cialdini e Fanti,
che campeggiavano nello Stato Pontificio, per affrettare la invasione del Regno, e al Re del Piemonte perché annettesse alle province sarde queste napoletane.
Il Generale de Benedictis, già disertore dell'esercito borbonico, trovandosi a Sulmona, eccitò i capi rivoluzionarii a recarsi presso Fanti e Cialdini a sollecitarne l'entrata nel Regno. Quel Generale per atterrire i rivoltosi, e quindi tirarli all'intento suo, spacciava che Garibaldi si trovasse in cattive condizioni, battuto da' regï, e che costoro si spingessero contro gli Abruzzi per esterminare tutti i liberali. Questo spauracchio ebbe l'effetto desiderato. Si riunirono i caporioni rivoluzionarii degli Abruzzi, si costituirono in deputazione, e si recarono a Villafavorita, ov'erano Fanti e Cialdini. Questa deputazione, tra le altre cose, disse vituperii contro Garibaldi, ed invocò il potere regio piemontese per abbattere le forze di Francesco II, e l'anarchia de' garibaldini. I due Generali sardi invitarono la deputazione abruzzese a recarsi a Torino, ed esporre tutto a quel governo.
Il de Cesaris, governatore di Chieti, tutto garibadino, si oppose a mandare deputazioni a' piemontesi, poi avendo inteso i fatti del 1° ottobre, egli medesimo rimandò la deputazione a pregare il Re, V. Emmanuele che venisse subito nel Regno.
Si riunirono molte deputazioni abruzzesi, e si recarono ad Ancona. Il Farini ministro del Re V. Emmanuele, scrisse indirizzi d'invito al suo Sovrano, e li fece firmare da' deputati. In cotesti indirizzi si accusava Garibaldi che volesse la repubblica, d'onde la necessità del potere regio piemontese per tutelare i popoli ed il principio monarchico!
Fin dopo il 1° ottobre, in Napoli si cominciò a faticare allo scopo di mandare una deputazione al re di Piemonte, che s'impadronisse del Regno di Napoli. Questa deputazione napoletana si riunì, e partì da Napoli il 4 ottobre, arrivò a Livorno, e di là ad Ancona ov'era il Re.
I componenti la deputazione napoletana, la maggior parte erano individui beneficati dai Borboni, e venuti su in cariche e lucrosi stipendii sotto Garibaldi. È da notarsi che facea parte di quella deputazione il sempre distinto D. Liborio Romano già ministro liberale di Francesco II.
Un'altra deputazione partì da Palermo a nome di tutta l'Isola per invitare lo stesso Re di Piemonte ad abbattere immediatamente il residuale esercito del legittimo Sovrano, e togliere a Garibaldi redentore quel resto di male esercitata potestà che aveagli lasciata Pallavicini. Dopo gli Osanna i Crucifige...!
Tutta questa folla e fretta per invitare il Re di Piemonte ad entrare nel reame di Napoli, non andava a sangue a Garibaldi, il quale era sempre accerchiato da que' mazziniani rimasti fedeli al proprio duce e maestro: quindi il Dittatore, sentendo prossima la fine del suo regno, sbuffava fuoco, e minacciava di pubblicare documenti provanti la complicità del Piemonte della sua invasione del Regno di Napoli. Baie....! sarebbe stato troppo tardi. Ma egli tutto calcolato, si contentò masticare amaro negli ultimi giorni della sua regia potestà. Ingrati! gli avessero meno indorata la pillola... Intanto vedendosi debole di forze, ubbidiva palesemente, e ricalcitrava in segreto tra' più fidi amici.
Cavour che avea protestato in faccia all'Europa contro la spedizione de' mille, che avea chiamato filibustiere Garibaldi, mentre lo proteggeva occultamente e gli mandava aiuti di armi e di danaro, vedendo il frutto maturo, si affrettò a raccoglierlo. Il 6 ottobre si tolse la maschera e parlò chiaro nel Parlamento sardo, presente Winspeare ministro di Francesco II, accreditato presso il Re di Piemonte. Cavour disse alla Camera: «Gli avvenimenti napoletani aveano già determinato il Governo a mandarvi vascelli con soldati di sbarco per tutela de' piemontesi. (Vascelli! quanti ne avea? neppure uno!) Poi le cose peggiorarono. Francesco II ha abbandonato la città capitale (dovea pure dire per opera de' miei tranelli), ed ha quasi di fatto abdicato al trono, (mentre quel Re combattea valorosamente sul Volturno). La guerra civile che v'infierisce (per opera mia), e l'assenza di un governo regolare (questa è pel redentore), mettonvi in pericolo l'ordine sociale; (quanta tenerezza!) perlocchè la città ed i corpi costituiti di Napoli (e vedete contradizione: mentre vi era l'assenza di un governo regolare!) han mandato petizioni per soccorso a Re Vittorio, cui la Provvidenza ha dato la missione di pacificare e ricostituire l'Italia. Pe' doveri di tal missione imposti, Ei manda a Napoli soldati, il che salverà l'Italia ed Europa, porrà fine all'anarchia, al disordine e al versamento di sangue italiano.» Per isbugiardare le impudenti menzogne che dicea quel primo ministro sardo in pubblico Parlamento, oh! quanto sarebbe stato a proposito mettergli sotto gli occhiali due brani di lettere da lui scritte all'ammiraglio sardo Persano, la prima del 3 agosto 1860, ove dice: «Prudenza ed audacia, ammiraglio: siamo alla crisi! faccia quanto può per far scoppiare un moto in Napoli prima dell'arrivo del generale Garibaldi non solamente per ispianargli la via, ma anche per salvarci dalla diplomazie. Diario di Persano parte II pag. 19, edizione di Torino 1870. E nella medesima parte II pag. 82: «Al punto in cui son giunte le cose, non occorre più rischiare una rivoluzione in Napoli per far partire il Re, se ne anderà coll'avvicinarsi di Garibaldi, col quale bisogna andare pienamente e francamente di accordo. S'impossessi però sempre dei forti e della flotta, potrà farlo senza aspettare il suo arrivo.» Sarebbe stata pure a proposito l'altra lettera che trascrissi altrove del 9 agosto ove dicea a Persano: «Appunto perché Napoli è un osso duro, sta a lei che ha buoni denti per masticarlo. Saprò tuttavia tener conto delle immense difficoltà ch'ella deve superare; e se non riesce dirò che il riuscire era impossibile. Il problema che dobbiamo sciogliere è questo: aiutare la rivoluzione, ma far sì che al cospetto d'Europa appaia come atto spontaneo.
La dimane del discorso di Cavour, Winspeare rispose a costui e disse: «L'occupazione sarda è contraria ad ogni diritto: i fatti precedenti, la parentela, e l'amicizia fra i due re la rendono straordinaria e nuova nella storia moderna. Le proteste di Re Francesco, gli sforzi guerreschi sotto Capua, rispondono allo strano argomento della supposta abdicazione.»Indi Winspeare lasciò Torino! Cavour, intanto avea domandato alla Camera sarda l'approvazione di annettere al Piemonte le Marche, l'Umbria, e il Regno di Napoli, sempre per le ragioni del mal governo, per evitare l'anarchia, chiudere l'êra delle
rivoluzioni, e riunire tutta l'Italia sotto lo scettro di Casa Savoia. Quella Camera era siffattamente ligia a Cavour che pochi deputati si opposero. Il deputato Cabella chiese di vedere i documenti su cui si fondavano i disegni ministeriali. Cavour si negò dicendo, che ciò avrebbe potuto nuocere. Il deputato Giuseppe Ferrari si oppose alle annessioni, e dimostrò leleggi sarde inferiori a quelle napoletane, queste essere paragonate alle migliori d'Europa. Gli annessionisti di Napoli essere gente da nulla. Difese il concetto garibaldesco, e disapprovò quello cavourriano, perché opposto alla guerra contro Venezia e Roma: e conchiuse: «Come mai, sig. Cavour, dite di chiudere l'êra delle rivoluzioni, voi che aspettate rivoluzioni a Roma ed a Venezia? "
Altri deputati dissero che i mali del Regno di Napoli erano conseguenza delle ree pratiche del governo sardo, ed enumerarono i mali del reame, e principalmente segnalarono il comunismo di Sicilia. Un deputato gridò:«Non isveliamo le nostre vergogne allo straniero! "
L' 11 ottobre la Camera sarda votò l'annessione delle Marche, delle Umbrie, e del Reame di Napoli con soli sei voti contrarii.
Il 16 si discusse in Senato la legge delle annessioni. Il senatore Brignole-Sale alzò la voce e disse: «Quel Reame (di Napoli) è di un Principe indipendente, che, cinto di un resto di soldati fedeli, resiste all'orde rivoluzionarie. Noi non eravamo con esso in pace? un nostro ministro non era presso di lui? il Governo del nostro Re non ha pubblicamente e sovente disapprovata la rivoluzione siciliana? Perché ora fargli guerra e soccorrere la rivoluzione che disapprovammo? che ragioni di sì rea condotta daremo? Protesto alto a prò de' grandi principii su cui l'ordine riposa.» Meno male! pure è dolce conforto sentir voci oneste in mezzo a quegli osceni tripudii di tanti onorevoli. Cavour e Cassinis risposero e dissero quasi la stessa cosa, cioè che BrignoleSale avea idee antiche sul diritto, e che la giustizia non è merce di tutti i tempi. Cavour conchiuse: «Forse i mezzi non furono tutti regolari, ma lo scopo santo giustifica in gran parte la irregolarità de' mezzi usati.» La legge passò con dodici voti favorevoli alle annessioni. Queste commedie parlamentari avvenivano quando già l'esercito sardo era entrato nel Regno di Napoli!
Mentre in Torino si decretavano le annessioni e l'entrata dell'esercito sardo nel Regno delle due Sicilie, in Palermo erano le solite baruffe tra annessionisti puri e condizionati, tra repubblicani ed annessionisti di qualunque gradazione. I repubblicani voleano una Costituente per proclamare la repubblica e far l'unione italica, lasciando a' diversi Stati la propria autonomia.
Il Prodittatore di Sicilia, Mordini, in conformità del decreto dittatoriale del 19 giugno, il dì 5 ottobre decretò la convocazione del Collegi elettorali, perché si eleggessero i deputati ad una assemblea in Palermo. I piemontisti di Palermo, all'udire quel decreto, strepitarono contro il Prodittatore, perché diceano, che volesse avversare le annessioni, e favorire le proclamazioni di una Costituente.
Il decreto del Prodittatore di Sicilia non dispiacque a' repubblicani di Napoli: Mazzini, Crispi e Ricciardi proposero a Garibaldi di convocare i Collegi elettorali e formare una Costituente anche in Napoli per esaminare le condizioni dell'annessione che si dovea fare al Piemonte.
Crispi e Ricciardi avrebbero voluta la condizione espressa della conquista di Roma e Venezia, e inoltre che Sicilia e Napoli avessero la propria autonomia amministrativa. Il 7 ottobre, Crispi propose al ministero napoletano un decreto simile a quello del Prodittatore di Sicilia: i pareri de' ministri si divisero, perché i componenti quel ministero erano di diversi colori politici, sebbene la maggior parte, chi per paura, chi per inclinazione, optassero per Cavour.
Però, il vecchio repubblicano Pallavicini montò sulle furie, e minacciò il suo sdegno, anche con la sua dimissione...!Il ministro del governo piemontese, l'8 ottobre corse a Caserta ed indusse Garibaldi a firmare il decreto della convocazione de' Comizi popolari con questa formola: «Il popolo (povero popolo!) vuole l'Italia una e indivisibile con V. Emmanuele Re costituzionale, e suoi legittimi discendenti?»
In conseguenza di questo decreto si modificò il Ministero. I direttori furono tutti cambiati, e Tupputi fu creato generale di tutta la guardia nazionale del Regno.
Il decreto dell'8 ottobre distrusse l'ultimo vestigio di potestà che ancora aveano i repubblicani e gli annessionisti condizionati, e fece trionfare su tutta la linea i piemontisti puri.
Il Prodittatore di Sicilia mandò a Garibaldi il ministro Parisi per insistere sull'attuazione del suo decreto del 5 ottobre, col quale convocava i collegi elettorali pel 21 dello stesso mese.
Garibaldi che dava ragione a chi parlasse l'ultimo, aderì alla domanda di Mordini, e volea che si facesse lo stesso in Napoli ad onta del decreto che aveagli fatto firmare il ministro Villamarina l'8 ottobre.
Tra Parisi e Pallavicini corsero parole risentite, Garibaldi infuriava contro tutti, e dava ragione a tutti. Villamarina fece uso del gran colpo di grazia per togliere al Dittatore qualunque titubanza: cioè gli minacciò i fulmini di Torino, e gli disse che l'esercito sardo stava per passare la frontiera del Regno, e che in Napoli erano giunti altri battaglioni sardi per mare. Garibaldi si ammorbidì a quelle minacce; ed i camorristi, già divenuti piemontisti ed annessionisti puri, si unirono col partito cavourriano, riunirono della plebaglia, e la fecere gridare per Toledo: viva l'annessione, morte a Crispi, morte a Mazzini. Allora si videro in Napoli molte persone col SI al cappello, o altro arnese che usavano in capo, senza sapere cosa importasse e significasse quel SI.
Crispi tentò ancora di lottare contro gli annessionisti puri, ma Garibaldi cha avea bisogno dell'esercito sardo, non potendo più far fronte a quello napoletano che lo minacciava seriamente da Capua, il 15 firmò un decreto dichiarante, Italia una e indivisibile con Vittorio Emmanuele; e ch'egli deporrebbe nelle mani di Lui la dittatura conferitagli dal popolo.In questo decreto suppone Garibaldi ciò che non avvenne mai, cioè che la Nazione o il Popolo, come suol dirsi gli avesse conferita la dittatura.
Egli si proclamò Dittatore il 14 giugno in Salemi, un giorno prima del fatto d'armi di Calatafimi; né assemblee di deputati, né comizi popolari confermarono mai quella dittatura. Come mai asserisce in quel decreto la dittatura conferitagli dal Popolo?
È questa una delle solite millanterie e menzogne con le quali i rivoluzionarii vogliono giustificare il potere che ghermiscono co' tranelli o con la violenza.
Crispi, vedendo vincitori i piemontisti puri su tutta la linea, il 16 ottobre si dimise dal ministero degli esteri.
Il Prodittatore di Sicilia, Mordini, rimase al suo posto, e fu costretto a far la volontà dei cavourriani; in effetto, il 17 di quel mese, con un decreto promulgò il Plebiscito pel 21 ottobre, come per lo stesso giorno si era promulgato in Napoli e per tutte le province del Regno.
Mordini, proclamando il Plebiscito per la Sicilia, disse: «Preparassero il grande atto, il cui merito è dovuto al nuovo Washington, Garibaldi.»Atteso quanto di sopra si è detto, questo elogio sembra un epigramma.
In tutte queste poco onorevoli lotte tra repubblicani, annessionisti condizionati ed incondizionati, si vedeva chiaro che il movente era l'ambizione, il potere ed i vantaggi personali. In quest'affare, simile a quello della favola di Esopo, vinse il leone, perché era più forte. Di tutti que' personaggi lottanti, io faccio una eccezione per Crispi, il quale si mostrò fermo nel suo principio, ed operò in conseguenza. Sebbene un abisso separa i principii miei da quelli di Mazzini, pure ammiro costui, anzi sono inclinato a supporre che agisse in buona fede, nel credere che la repubblica sarebbe stata la forma di governo pel popolo italiano. Senza partigianismo debbo ammirare Mazzini, che, ad onta che sagrificasse tante vittime alla sua idea, pure non cambiò bandiera e non fece di cappello ad alcun potente.
Dopo che uscì Crispi dal Ministero, rimasero Ministri e direttori tutticavourriani. Questo Ministero schiccherò decreti a sazietà. Già si era abolito il Ministero di Sicilia in Napoli, si erano tolte le rappresentanze all'estero, e si pregava il Re di Piemonte di incaricare i suoi agenti per la protezione del commercio di Napoli e Sicilia. E tutto questo avveniva prima del plebiscito. Io trovo meno impudenti e più logici i conquistatori del MedioEvo, almeno costoro dicevano quel che volevano e non corbellavano il povero popolo col chiamarlo sovrano.
Dal 16 ottobre in poi si promulgarono molti decreti e regolamenti: dirò i principali. Con un regolamento del 16 si dichiararono abrogate le frontiere col resto dell'Italia, e ciò è da lodarsi, sebbene le Dogane proseguissero a vessare i viaggiatori. Con un decreto si tolse la polizia a' Giudici di Circondario, che poi chiamarono Pretori, e si diede a' Sindaci de' paesi, ciò che fu e sarà causa d'infiniti inconvenienti. Il 19 si dichiararono abrogati i privilegi e le immunità ecclesiastiche nel penale e nel civile; era una conseguenza necessaria della rivoluzione, la quale altra mira non ha che abbattere la Chiesa, e renderla schiava del potere civile, il resto viene da sè. Si abolì l'antica prammatica de monialibus, e tutte le leggi riguardanti servitù a case private in prò de' luoghi pii: e si annullarono tutti i decreti e rescritti modificatori dei consigli degli ospizii.
Furono destituiti moltissimi antichi impiegati, e surrogati dagli adepti della setta.
Si diedero pensioni a tutti i compromessi del 1820, 1830 e 1848, mentre costoro dal Re Ferdinando II, erano stati rimessi negli impieghi e trattati a preferenza.
Chi facea più rumore e chiassi di que' compromessi, avea più pingue pensione; e non vivendo più i Martiri, la pensione si dava agli eredi. E qui è necessario ridire che i rivoluzionarii, in quanto a soccorrere i loro adepti sono più conseguenti e più giusti de' sovrani. Oggi gli uffiziali più onorati che non hanno potuto o voluto dare l'adesione al governo riparatore, gemono nella più desolante miseria e tristo abbandono!
Il 23 ottobre uscì un decreto che fece molto rumore; quel decreto ordinava che si togliessero da' beni di Casa reale sei milioni di ducati, da dividersi tra coloro che aveano sofferto persecuzioni da' Borboni. Figuratevi che festa fecero i liberali, i patrioti! tutti erano stati esiliati, carcerati, saccheggiati da' Borboni, e se volete, anche fucilati...! E volete sapere come si divise quella somma di sei milioni?
10vel dirò, ma come cronista senza assumere alcuna responsabilità, ad onta che Filippo de Boni nel giornale il Popolo d'Italia di quei tempi avesse rivelato nomi e somme divise tra' martiri.
A' militari destituiti nel 1849, si pagarono tutti gli averi in una volta, cioè per 11 anni, tenendo conto delle promozioni che avessero potuto anche avere in quello spazio di tempo. Fu stampato e pubblicato, che Conforti (quello che chiamava ladri i Borboni), essendo stato ministro liberale poche settimane nel 1848, avesse ricevuto settantamila ducati, per soldo di ministro, cioè dal 1848 al 1860! ed invero è ben difficile che un ministro costituzionale la duri per dodici anni al potere! Si stampò inoltre, e si pubblicò in que' tempi (saranno calunnie....) che Scialoia si pigliasse settantacinquemila ducati, e suo padre diciottomila. Il Romanziere Dumas francese (etiam tu?), il de Cesare e Ferrigni ebbero quattrocentomila ducati, il primo per istudiare la storia il secondo l'economia ed il terzo la scienza ed il culto. Che Massari, Ciccone ed altri avessero ricevuto cinquantamila ducati, per istudii economici, e così altri. Peccato che non si diedero altre somme per istudiare la scienza culinaria, oggi tanto necessaria per solennizzare le feste ministeriali. Di tutto questo che vi ho raccontato, voi lo sapete, trattandosi di danari, io al solito me ne lavo le mani, perché credo tutti onesti, e bisogna aver riguardo che nel mondo si trovano invidiosi e calunniatori ad ogni piè sospinto, maggiormente quando costoro restino a denti asciutti. Di fatti molti de' sopra nominati e calunniati dal giornalista Filippo de Boni, intentarono un processo di diffamazione a costui. Fu destinato il Magistrato La Francesca ad esaminare quella calunnia, ma questi fu traslocato, forse per isbaglio, mentre istruiva il processo! E il De Boni, da vero predicatore ostinato, ebbe il coraggio di ripetere le accuse contro i suddetti calunniati, nel giornale il Popolo d'Italia del 12 aprile 1864, e forse per generosità de' diffamati non fu molestato...
11Ministero, a fruire della fuggente potestà, pubblicò un decreto del 25 settem bre, col quale concedea le strade di ferro del Regno alla Società Adami e Lemmi di Livorno: negozio rovinosissimo per l'Italia. Fra gli altri patti vi era quello che il paese si vincolasse per lunghi anni, sottoponendosi al carico di seicentocinquanta milioni di lire, ch'era la spesa presuntiva, ed assicurava alla società l'utile del sette per cento, senza ch'essa sborsasse un centesimo. Quella malalingua di La Farina stampò nel  giornale il Cittadino di Palermo che un Ministro ed un Segretario avessero fatto un carrozzino moderno liberale, e stampò pure in quel giornale un documento stipulato presso Notar Zezza confermante quel carrozzino. Però il Governo del Piemonte annullò poi quel contratto, chi sa per qual ragione! Con decreto del 19 ottobre si chiuse il collegio del Salvatore per un anno.
Lo stesso giorno 29 ottobre si firmò un decreto degno di chi lo propose e degnissimo di chi lo firmò. I Borboni, tiranni e nemici dell'intelligenza, aveano istituito un fondo di soccorsi pe' letterati poveri! E bene, i riparatori dell'ordine morale, i redentori abolirono quel fondo di soccorsi, e fecero repulisti; ossia, diedero invece pensioni e soccorsi alle frine e alle megere. Diedero ducati dodici mensili alla Sangiovannara ostessa a Camorristessa; altrittanti ne diedero ad Antonia Pace, a Carmela Faucitano, a Costanza Leiprecher, Pascarella Proto, e ad altre. Il decreto dicea: «Perché esempii inimitabili di coraggio nel propugnare la libertà.
Il noto letterato Micheletti era soccorso dai Borboni, al 1860 votò per l'Italia una, e morì povero maledicendo la libertà settaria!
Lo stesso giorno 29 ottobre, il Dittatore, il quale esiliava Vescovi, Arcivescovi e Cardinali, fece grazia a tutti i condannati alla galera e all'ergastolo per delitti comuni. Garibaldi sbarazzava le carceri di que' malfattori per mettervi uffiziali, magistrati, aristocratici, preti, e Vescovi e così si facea l'Italia!

(Estratto dal libro di Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta).