martedì 21 febbraio 2012

MEMORIE PER LA STORIA DEL GIACOBINISMO SCRITTE DALL' ABATE BARRUEL TRADUZIONE DAL FRANCESE. TOMO I. 1802 (Parte 8°) CAPITOLO VI.TERZO MEZZO DEI CONGIURATI.L'ESTINZIONE DI TUTTI I CORPI RELIGIOSI.

Gli ordini religiosi sono stati presentati dai loro nemici come corpi del tutto inutili alla religione e principalmente allo stato, ma non capisco con qual diritto l'Europa si possa lamentare di queste associazioni a cui deve di non esser più quella che era al tempo degli antichi galli, germani e britanni, e cioè un territorio
che non aveva neppure i due terzi delle terre coltivate che ha oggi, che aveva delle città assai mediocri e uno scarso numero di villaggi per mancanza di sussistenza, poiché era in gran parte coperta di foreste, paludi e sterili pianure. Non capisco nemmeno come lo stato possa considerare inutili degli uomini che senza dubbio sono stati i migliori coltivatori delle terre dissodate dai loro fondatori e rese atte a provvedere alla sussistenza dei cittadini, uomini che dovrebbero esser nominati con riconoscenza soprattutto da coloro ai quali perfino i
nomi geografici indicano che la propria patria, la propria città o il proprio villaggio non esisterebbero se non vi fossero stati i frati, uomini senza i quali, lo dice la storia, saremmo ancora allo stato barbaro dei nostri antenati e non sapremmo neppure leggere. E forse da questo punto di vista, ahinoi, ci hanno fatto troppa grazia: ci hanno insegnato sì a leggere, ma noi abbiamo imparato a leggere male; ci hanno aperto il tempio della scienza e noi vi siamo entrati solo a metà, e l'uomo più pericoloso per la scienza non è già colui che non sa nulla, bensì colui che sa male, e soprattutto colui che sa pochissimo e che crede di saper tutto.
Si considerino coloro che ci si compiace di chiamare frati ignoranti: sono certo che li si troverà istruiti almeno quanto lo sono i laici in generale e perfino quanto lo sono coloro che hanno ricevuto un'educazione accurata; la mia affermazione è poco sospetta perché non ho mai fatto parte di nessuno degli ordini religiosi compresi in questo rimprovero. Per tutti i religiosi in genere ritengo che questa accusa sia altrettanto ingiusta quanto sarebbe stato vergognoso meritarla. Ho incontrato molti di questi uomini che si trattano da ignoranti, e mi sono reso conto che sanno ciò che devono sapere e che, pur non avendo la scienza di questo mondo e quella del filosofismo, essi sono ancor più felici poiché si accontentano della sapienza necessaria e sufficiente al loro stato. Ho constatato soprattutto che non solo presso i Benedettini, i soli ai quali si rende in qualche modo giustizia, ma anche negli altri ordini vi sono uomini che meritano di distinguersi per le loro conoscenze e per la loro pietà, e ciò in proporzione molto più grande che nel laicato. Lo storico che vorrà essere giusto non dovrà attenersi su questo argomento alle declamazioni dei sofisti dei nostri giorni; tuttavia gli ordini religiosi possono vantarsi per il fatto che la storia e la prova dei loro servizi si trovano proprio negli annali degli stessi empi congiurati contro di loro e contro la religione. I Gesuiti erano distrutti ed i congiurati si
accorsero che il cristianesimo sussisteva ancora; allora si dissero: Ci restano da distruggere i frati; finché esisteranno, ci illuderemo invano di poter trionfare. Questo progetto fu proposto ancora da Federico II,
che lo sviluppò in occasione di una lettera di Voltaire del 3 marzo 1767: “Ercole combatteva i briganti e Bellerofonte le chimere, scriveva il sofista di Ferney; non mi dispiacerebbe vedere degli Ercoli e dei Bellerofonti liberare la terra dai briganti e dalle chimere cattoliche.” La risposta di Federico, in data 24 marzo dello stesso anno, è concepita in questi termini: “Non è riservato alle armi di distruggere l'infame; perirà per mano della verità e per mezzo della seduzione dell'interesse. Se volete che sviluppi questa idea, ecco ciò
che intendo proporre. Ho notato, e non sono il solo, che i luoghi dove ci sono più conventi di frati sono quelli in cui il popolo è più attaccato alla superstizione. Non vi è dubbio che, se si riesce a distruggere questi asili del fanatismo, il popolo diventerà almeno un po' indifferente e tiepido su ciò che attualmente venera. Si tratterebbe di distruggere i conventi, o almeno di iniziare a diminuirne il numero. Il momento opportuno è giunto, perché il governo francese e quello d'Austria sono indebitati ed hanno esaurito le risorse per saldare i
debiti senza riuscirvi. L'attrattiva delle ricche abbazie e dei conventi ben dotati è proprio una tentazione. Descrivendo loro il male che fanno i cenobiti alla popolazione dei loro stati, così come l'abuso del
gran numero di cocollatia che riempiono le province, e nello stesso tempo quanto sia facile pagare una parte dei loro debiti con i tesori di queste comunità che rimarrebbero senza successori, credo che li si determinerebbe a cominciare questa riforma, e si può presumere che, dopo aver approfittato della secolarizzazione di qualche beneficio ecclesiastico, la loro avidità inghiottirà anche il resto.”
“Ogni governo che si determinerà a realizzare questa operazione sarà amico dei filosofi e partigiano di tutti i libri che attaccheranno le superstizioni popolari ed il falso zelo che vi si vorrà opporre.”
“Ecco un piccolo progetto che sottopongo all'esame del patriarca di Ferney; tocca a lui, come padre dei fedeli, rettificarlo ed eseguirlo.”
“Il patriarca mi obietterà forse: che si farà dei vescovi? Gli rispondo che non è tempo di toccarli, che bisogna iniziare a distruggere coloro che fanno avvampare il fanatismo nel cuore del popolo. Quando il popolo si sarà raffreddato, i vescovi diverranno dei servetti di cui i sovrani poi disporranno come vorranno.”
Voltaire apprezzò questi consigli che erano assai di suo gusto, e così rispose a Federico: “La vostra idea di attaccare la superstizione cristicola facendo guerra ai frati è da gran capitano. Una volta aboliti i
frati, l'errore (del cristianesimo) sarà abbandonato al disprezzo universale. Si scrive molto in Francia su questo argomento, tutti ne parlano, ma la cosa non è parsa ancora abbastanza matura. In Francia
non si è arditi a sufficienza, i devoti vi hanno ancora credito.”( Lett. 5 aprile 1767.)
Una volta letta questa corrispondenza non occorre chiedersi a che servano nella Chiesa cattolica gli ordini religiosi; è vero che col passar del tempo molti di essi erano decaduti dal primitivo fervore, ma anche
in questo stato di decadenza Federico, dedicatosi a ricercare le cause che ritardavano ancora i progressi dei suoi complotti contro il cristianesimo, considerava come grandi ostacoli il loro zelo, il loro esempio ed i loro insegnamenti; egli pensava che si potesse abbattere l'edificio della Chiesa solo quando sia stato abbattuto il bastione costituito dai corpi religiosi. Voltaire di fronte a questa idea riconosce un gran capitano che dimostra, contro la superstizione cristicola, tutta l'abilità guerresca già dimostrata nelle sue lunghe guerre contro l'Austria e la Francia. Dunque quelle congregazioni accusate d'ignoranza e di oziosità erano ancora utili a qualcosa in quanto costituivano una vera barriera contro l'empietà, e Federico ne era talmente persuaso che cinque mesi dopo vi ritornò insistendo perché si abbattesse quest'ostacolo prima di attaccare direttamente i vescovi ed il clero secolare, anche se l'incredulità ed il filosofismo avevano occupato le vie al trono.
Il 29 luglio 1775 Voltaire gli scrive: “Speriamo che in Francia la filosofia, che è accanto al trono, ben presto sarà dentro al trono; ma non è che una speranza, e spesso ingannevole. Vi è tanta gente interessata a sostenere l'errore e la sciocchezza, vi sono tante dignità e ricchezze attaccate a questa faccenda che è da temere che gli ipocriti la vincano sui saggi. La vostra Germania stessa non ha forse trasformato i vostri principati ecclesiastici in tanti sovrani? Qual è l'elettore e quale il vescovo tra voi che prenderà il partito della ragione contro una setta che gli assicura quattro o cinque milioni di rendita?”
Federico non ne voleva ancora sapere di attaccare i vescovi, ma sempre sostenendo che occorreva far la guerra agli ordini religiosi, rispose a Voltaire: “Tutto ciò che mi dite dei nostri vescovi teutoni è
verissimo; sono porci ingrassati colle decime di Sion (tale è sempre l'onestà cioè la grossolanità dei sofisti congiurati nei segreti che si confidano) ma sapete anche che nel Sacro Romano Impero le antiche usanze, la bolla d'oro e tali altre antiche sciocchezze fanno in modo che gli abusi stabiliti siano rispettati; si vedono, ci si stringe nelle spalle, ma le cose continuano per la loro strada.”
“Se si vuol diminuire il fanatismo non conviene toccare subito i vescovi, ma se si riesce a diminuire il numero dei frati, specialmente degli ordini mendicanti, il popolo si raffredderà e quindi, meno superstizioso, permetterà ai potenti di disporre dei vescovi secondo ciò che richiederà il bene dello stato. Questa è l'unica via da seguire: minare in sordina e senza rumore l'edificio dell'irragionevolezza è come obbligarlo a crollare da sé stesso.” (Lett. 13 agosto 1775.)
Avevo detto che i mezzi usati dai congiurati avrebbero rafforzato le prove da me prodotte sull'esistenza della congiura e del suo scopo, ed ora non so proprio più cosa possa significare per lo storico l'espressione cospirazione anticristiana se non ciò che è espresso in queste reciproche confidenze da me scrupolosamente riportate parola per parola. Che altro è una cospirazione, se non questa via da seguire per minare in sordina l'edificio della religione che ci si compiace di designare in continuazione coi nomi di “superstizione cristicola”,
“fanatismo”, “irragionevolezza”, per poi giungere alla perdita dei vescovi e distogliere i popoli da ogni devozione al Vangelo? Che altro è dunque una cospirazione se non tutti questi consigli segreti che
nonostante le distanze continuano ad arrivare a Berlino partendo da Ferney e ad arrivare a Parigi partendo da Berlino e passando per Ferney? Quale lettore sarà così sprovveduto da non capire il linguaggio e lo scopo di tutti questi consigli, oppure da supporre che con l'espressione lo stabilirsi della ragione i congiurati non si riferissero all'abolizione di tutto il cristianesimo? Non è particolarmente sorprendente che i congiurati si esprimessero già così chiaramente sullo scopo del loro complotto e sui mezzi che combinavano tra loro per realizzarla.
Del resto Voltaire aveva ragione di rispondere a Federico che in Francia ci si occupava molto della distruzione degli ordini religiosi; dopo l'espulsione dei Gesuiti il progetto era perseguito efficacemente
all'interno del ministero da certi amici dei congiurati. Si cominciò allungando all'età di 21 anni il termine minimo per poter fare la professione religiosa; i ministri pretendevano perfino che si differisse sino a 25; ciò significava che, di cento giovani chiamati a questo stato, appena uno o due avrebbero potuto seguire la loro vocazione, poiché ben pochi genitori avrebbero acconsentito a vedere i loro figli arrivati a quest'età senza decidersi per una differente condizione e senza l'opportuna formazione. Le proteste delle anime pie ottennero che l'età fissata per l'emissione solenne dei voti fosse di 18 anni per le religiose e di 21 per i religiosi, ciò nonostante l'editto fu considerato da molti come un attentato ad un diritto dei cittadini, quello di potersi
consacrare a Dio nello stato cui la loro coscienza li chiama e di preservarsi dai pericoli delle passioni nell'età in cui queste si sviluppano con maggior attività; e fu considerato soprattutto un attentato all'idea che Dio ha diritto al sacrificio di quelli che vuol formare di buon'ora alle virtù religiose, ed anche ai diritti della Chiesa
a cui spetta stabilire tutto ciò che riguarda gli impegni religiosi, e che nell'ultimo concilio ecumenicoa aveva stabilito che a partire dall'età di 16 anni i giovani possiedono tutta la conoscenza e la libertà richieste
per contrarre questo impegno, e che d'altronde si accordavano cinque anni di tempo per coloro che avessero voluto ritirarsi, nell'ipotesi che non avessero avuto tutta la libertà che la Chiesa stessa esige per accettare i voti della religione. ( V. su questo argomento il discorso di Chapellain. )


Concilio di Trento (1545-1563)

Sarebbe stato ridicolo obiettare che la professione religiosa privava lo stato dei suoi sudditi; infatti le
persone specialmente consacrate alle opere di pietà, all'edificazione ed all'istruzione dei popoli sono utilissime alle nazioni, ed era peraltro evidente che la Francia, malgrado il gran numero dei suoi conventi, aveva una popolazione costantemente più abbondante della maggior parte degli altri stati. I legislatori francesi avrebbero fatto meglio ad occuparsi del gran numero di celibi laici prima di parlare delle perdite che la nazione avrebbe potuto avere a causa del celibato religioso. Ma le proteste furono inutili, ed il momento della professione religiosa fu prolungato sino a 21 anni per gli uomini. Accadde allora ciò che i ministri manovrati dai sofisti
avevano previsto e desiderato; in un grandissimo numero di collegi in cui i Gesuiti furono mal rimpiazzati, i giovani, privi di un'attenta educazione e quindi abbandonati alle loro passioni, oppure credendo di perdere inutilmente gli anni che occorreva attendere per poter entrare in religione, non pensarono quasi più a questa vocazione. Tra quelli che venivano ricevuti nei chiostri, gli uni vi entravano unicamente spinti dalla miseria e per procacciarsi il pane più che per servire Dio, e gli altri avevano delle inclinazioni, dei vizi e delle abitudini troppo abituali per potersi piegare facilmente alle esigenze della regola. Gli abusi che già esistevano nei chiostri aumentarono, e mano a mano che diminuiva il numero dei religiosi, diminuiva anche il loro fervore ed aumentavano gli scandali. Era proprio questo che volevano i ministri che cercavano pretesti per la soppressione degli ordini religiosi, e molto più lo volevano i sofisti loro maestri, che non cessavano di diffondere una marea di libri aventi come scopo il versare a piene mani su frati e monaci il ridicolo, il sarcasmo ed il disprezzo.
Colui che assecondò meglio le intenzioni dei congiurati fu Brienne, che era riuscito a far credere perfino ai suoi confratelli di avere una qualche attitudine al governo, e che è finito nel numero dei ministri
resi imbecilli dall'ambizione. Brienne, arcivescovo di Tolosa e poi di Sens, in seguito primo ministro, poi pubblico apostata e morto in un tale disprezzo ed in una tale esecrazione pari a quelle che tutti hanno
oggi per Necker; Brienne, per quanto già odiato ed aborrito, non è ancora giunto al livello d'infamia che merita; non è noto infatti che fu amico e confidente di d'Alembert, e che in quanto ecclesiastico ed
arcivescovo in un'assemblea di commissari incaricati di riformare gli ordini religiosi ha fatto tutto ciò che avrebbe potuto fare lo stesso d'Alembert.
Il clero aveva ritenuto di doversi occupare di questa riforma delle case religiose per ristabilirvi il primitivo fervore; la corte finse di prestarsi a quest'intenzione e nominò dei consiglieri di stato per deliberare sulla questione con i vescovi della commissione detta dei Regolari. Avvenne ciò che ci si poteva attendere da un miscuglio di uomini di stato che agivano esclusivamente in base ad opinioni mondane e di prelati che avevano come fine soltanto il bene della Chiesa; le intenzioni erano spesso contrastanti, tuttavia si convenne su
vari articoli. Molti vescovi abbandonarono disgustati la commissione.
Se ne formò una nuova, composta da monsignor de Dillon arcivescovo di Narbona, monsignor de Boisgelin arcivescovo di Aix, monsignor de Cicé arcivescovo di Bordeaux ed infine del famoso Brienne arcivescovo di Tolosa.
Il primo di questi commissari per la nobiltà del suo contegno e per la maestà della sua eloquenza era più adatto a rappresentare il re agli stati di Linguadoca che San Francesco o San Benedetto in una commissione di religiosi, e così pare che non fosse molto interessato alla questione.
Monsignor de Boisgelin, con i talenti sviluppati nell'assemblea cosiddetta nazionale e con lo zelo manifestato per i diritti della Chiesa per stabilire e mantenere lo stato dedicato alla perfezione evangelica, poté apportare alla commissione le intenzioni dell'ordine e dare dei consigli che la corte non aveva intenzione di seguire.
Quanto a monsignor de Cicè, poi guardasigilli della rivoluzione, se da una parte la sua approvazione ed i sigilli apposti di sua mano ai decreti costituzionali dimostrano che poteva esser stato ingannato, il suo pentimento e le sue ritrattazioni sono la prova che in cuor suo avrebbe meno assecondato quei progetti rovinosi se li avesse conosciuti meglio.
In questa commissione dei regolari solo Brienne era ascoltato dai ministri e possedeva il loro segreto e quello di d'Alembert; quest'ultimo sapeva così bene tutto ciò che i congiurati potevano attendersi dal prelato-filosofo che, nel momento in cui Brienne venne aggregato all'accademia Francese, d'Alembert l'annunziò al capo dei congiurati in questi termini: “Abbiamo in lui un buonissimo confratello che sarà certamente utile alle lettere e alla filosofia, purché questa non gli leghi le mani con un eccesso di licenza o la voce generale non l'obblighi ad agire controvoglia”; ( lett. 30 giugno e 21 dic. 1770. ) il che equivale a dire: Brienne è un uomo che pensa come noi e che farà per noi tutto quello che al suo posto farei io stesso nascondendo il mio gioco.
D'Alembert se ne intendeva di confratelli, ed era così sicuro di Brienne che non esitò a rispondere a Voltaire che riteneva di doversi lamentare del mostruoso prelato: “Vi chiedo la grazia di non precipitare il vostro giudizio. Scommetterei cento contro uno che hanno cercato di impressionarvi, o che almeno vi hanno esagerato i suoi torti. Conosco abbastanza il suo modo di pensare e sono certo che ha fatto in questa occasione solo quello che non ha potuto assolutamente dispensarsi di fare. (Lett. 4. dic. 1770.)

Étienne-Charles de Loménie de Brienne (1727-1794) cardinale e dal 1787 ministro delle finanze al
tempo della rivoluzione. Fu uno dei pochi prelati che fece il giuramento di fedeltà alla rivoluzione,
prescritto dalla costituzione civile del clero del 1790. Imprigionato durante il Terrore giacobino a causa del favore di cui a suo tempo aveva goduto a corte, morì in prigione a Sens.


Le lamentele di Voltaire provenivano da un ordine pubblicato da Brienne contro l'adepto Audra, un
professore pubblico che a Tolosa dava lezioni di empietà anziché di storia. Secondo le indagini di
d'Alembert risulta che Brienne in favore di questo seguace aveva “resistito per un anno intero alle lagnanze del parlamento, dei vescovi e dell'assemblea del clero”, e che era stato necessario forzargli la mano per interdire ai giovani della sua diocesi di ricevere questo tipo di lezioni; e l'apologista aggiungeva: “Non siate dunque prevenuto nei confronti di Brienne e rassicuratevi una volta per tutte, la ragione (la nostra ragione) non dovrà mai lamentarsene.” (21 dic. 1770.)
Tale era lo scellerato ipocrita, ovvero l'adepto con la mitra che con l'intrigo era riuscito ad entrare nella commissione per la riforma degli ordini religiosi; Brienne riuscì a trasformarla in una commissione di
disordine e di distruzione. Appoggiato dal ministero e prendendosi gioco degli altri vescovi della commissione, fece tutto lui dirigendo lui solo questa pretesa riforma. All'editto che differiva la professione
religiosa ne fece aggiungere un altro che in alcune città sopprimeva tutti i conventi che non avessero almeno venti religiosi, ed altrove tutti quelli dove ve ne fossero meno di dieci, con lo specioso pretesto che
la regola si sarebbe osservata meglio se il numero dei religiosi era maggiore. I vescovi, soprattutto il cardinale de Luynes, furono obbligati a far notare i servizi che numerosi piccoli conventi rendevano agli abitanti delle campagne, assistendo i curati e facendo talvolta le loro veci. Malgrado questi reclami, i pretesti non
mancavano mai, e Brienne si prestò così bene alle mire dei sofisti che prima della rivoluzione in Francia 1500 conventi erano già soppressi; costui per di più agiva in modo tale che in poco tempo non vi sarebbe
stato più bisogno di soppressione, perché a forza di accogliere e sollecitare lui stesso le lamentele dei giovani contro i vecchi e degli inferiori contro i superiori, e a forza di contrastare le elezioni dei superiori, seminava e nutriva la divisione, il disordine e l'anarchia nei chiostri. D'altra parte i suoi confratelli sofisti diffondevano tra il
pubblico un gran numero di libelli contro i frati riuscendo a renderli così ridicoli che con le nuove vocazioni si rimpiazzavano a malapena i morti; di coloro che restavano, alcuni si vergognavano di portare una
veste coperta di obbrobrio, (lett. 159 di Volt.al re di Prussia) altri, vinti dalle molestie di Brienne, domandavano essi stessi la soppressione.
Il filosofismo ed i principi di libertà e di eguaglianza si introducevano anche in molte di queste case, con tutti i disordini che naturalmente ne conseguono; i buoni religiosi, i vecchi soprattutto, versavano lacrime di sangue per le persecuzioni di Brienne. Ancora qualche anno e costui avrebbe fatto da solo in Francia ciò che
Federico e Voltaire avevano progettato contro l'esistenza degli ordini religiosi, la cui decadenza era notevolissima in moltissime case, ed era un miracolo che ne restasse ancora qualcuna che fosse infervorata
dallo zelo religioso. Fu poi un prodigio anche maggiore che la fede di una gran parte di questi frati si sia rianimata proprio nei giorni della rivoluzione, perfino la fede di coloro che in precedenza avevano
chiesto la soppressione; so per certo che il numero di questi ultimi era almeno tre volte più grande rispetto a coloro che prestarono il giuramento costituzionale. Il momento dell'apostasia li spaventò: la persecuzione occulta di Brienne li aveva scossi, ma quella pubblica dell'assemblea nazionale li rianimò, mostrando loro che la soppressione era meditata da lungo tempo e costituiva uno dei principali mezzi filosofici per giungere alla distruzione totale del cristianesimo.
Voltaire e Federico non vissero abbastanza a lungo per vedere il loro progetto interamente realizzato in Francia, ma Brienne lo vide, e quando volle vantarsene, ne raccolse solo l'obbrobrio; i rimorsi e la
vergogna lo portarono dove lo attendevano coloro che ne avevano generato la figura. La sua empietà e le sue trame si erano estese contro le vergini consacrate alla vita religiosa; ma fallì miseramente nei riguardi di questa preziosa parte della Chiesa. Le religiose erano per la maggior parte sotto l'ispezione immediata dei vescovi, che non avrebbero permesso a Brienne di andare seminando la divisione e l'anarchia tra queste sante figliuole, e che erano assai circospetti nella scelta degli uomini ai quali era affidata la loro direzione; e l'età della loro professione non era stata abbastanza posticipata, cosicché le passioni non avevano il tempo di fortificarsi. La loro educazione aveva luogo nell'interno dei monasteri, ad eccezione di quelle che si
dedicavano all'assistenza dei poveri e degli ammalati che per la loro carità e la loro modestia costituivano, nel bel mezzo del mondo, uno spettacolo degno degli angeli. Le altre, ritirate nelle loro sante case, vi
trovavano un riparo inaccessibile alla corruzione dei costumi ed all'empietà. Brienne ebbe un bel cercare in qual modo togliere alla Chiesa anche questa risorsa, poiché gli mancavano persino i pretesti.
Volendo diminuire il numero delle vere religiose, immaginò che vi sarebbero state meno novizie se avesse fondato e diffuso un'altra specie di asilo che aveva intenzione di rendere per metà secolare e per
metà religioso; moltiplicò a questo scopo le canonichesse, la cui regola sembra esigere meno fervore perché lascia più libertà di comunicare col mondo.
Dimostrando una sciocchezza inesprimibile, che però aveva il suo scopo segreto, Brienne richiese alcuni gradi di nobiltà per entrare in questi asili ai quali attribuiva le fondazioni che appartenevano
precedentemente a tutti gli ordini di cittadini; si sarebbe detto che nello stesso tempo volesse rendere le vere religiose spregevoli alla nobiltà e la nobiltà stessa odiosa agli altri cittadini attribuendo in modo esclusivo a queste canonichesse le fondazioni alle quali tutti avevano il medesimo diritto; errore che si commetteva anche
destinando quegli stessi fondi a dei canonici nobili.
Queste riflessioni non passavano per la testa di Brienne, che tendeva le sue insidie, e d'Alembert sorrideva lusingandosi che ben presto non vi sarebbero più state né canonichesse né religiose; ma le loro astuzie furono inefficaci perché canonichesse e religiose resero vani i progetti dell'empio. Fu necessario tutto il dispotismo dei costituenti per cacciare dalle loro case e dalle loro cellette queste sante vergini, che con la loro pietà e la loro costanza costituiscono l'onore del loro sesso e, con i martiri di settembre, la parte più bella della
rivoluzione. Fino all'epoca di quei decreti degni di Nerone non erano diminuiti né il numero delle religiose né il loro fervore, ma alla fine l'assemblea cosiddetta nazionale e costituente spedì i suoi decreti, i suoi emissari ed anche i suoi cannoni, trentamila religiose furono scacciate dai loro conventi, malgrado un altro decreto della stessa assemblea che prometteva di lasciarvele morire in pace; a questo punto non vi erano più case di religiosi né di religiose in Francia. Più di quarant'anni prima il filosofismo aveva dettato questo progetto della
loro distruzione addirittura ai ministri di un re cristianissimo, ed al momento dell'esecuzione non vi erano più ministri del re cristianissimo e lo stesso re era rinchiuso nelle torri del Tempio.
L'agognato progetto dell'abolizione degli ordini regolari era già completato, la religione soffriva nei suoi ministri la più atroce delle persecuzioni, ma per ottenere questo trionfo i congiurati in questo lungo intervallo di tempo avevano impiegato altri mezzi che devo rendere noti.