lunedì 25 febbraio 2013

R.P. Raffaele Ballerini d.C.d.G.: Gli avvisi del Cielo.

La Civiltà Cattolica anno XLI, serie XIV, vol. V (fasc. 953, 17 febbr. 1890), Roma 1890 pag. 513-525.
 
 

R.P. Raffaele Ballerini d.C.d.G.

Gli avvisi del Cielo

I.

Di tutti i tempi dell'anno, il quadragesimale suol essere pei cristiani il più acconcio a farli un po' rientrare in sè stessi, che è il biblico recogitare corde, per la cui trascuranza, nelle età più corrotte, orribili desolazioni hanno riempita la terra, desolatione desolata est omnis terra. Allorchè queste parole, più secoli avanti l'era volgare, furono scritte [1], il pervertimento, giunto al colmo, apparecchiava calamità estreme; e nulla ostante che i profeti di Dio le predicessero vicine, non si pensava nè a mutar vita, nè ad implorare la superna clemenza.
Che l'età nostra, così nella malvagità come nella contumacia, rassomigli a quella, non è a dubitarne. Mancano è vero i profeti annunziatori dell'ira divina: ma, a chi voglia intenderli, non mancano segni ed avvisi, che pur dovrebbero tenere in apprensione i più dissennati.
Lasciamo stare i contagi colerici, che in sei anni due volte hanno disertata l'Europa, e segnatamente l'Italia; lasciamo stare i malanni che han percossa la terra, isterilendola di frutti, e le molteplici distruzioni delle vigne, così che da molto in qua si avvera alla lettera il lutto della vendemmia, luxit vindemia, e lo svigorimento della vite, infirmata est vitis, vaticinati da Isaia, in pena dell'essersi i popoli ribellati a Dio, transgressi sunt leges, e dell'aver mutato il diritto, mutaverunt ius [2]; lasciamo stare altre piaghe di inondazioni, di terremoti e via via, che con ispaventosa frequenza si succedono.

Ma che dire dell'epidemia la quale testè, in poche settimane, si è diffusa pei due emisferi del nostro globo, ha infette a un'ora stessa milioni e milioni di creature umane d'ogni età, e molte ne ha spente, nè ha risparmiati pur gli animali; senza che a nessuno sia stato concesso di scoprirne l'origine e la condizione, svergognando così la odierna superbia, che si vantava di avere strappati alla natura tutti i suoi secreti?
La cosa da non pochi si è presa in celia, perchè generalmente non dava morte. Altri però son venuti considerando ciò che sarebbe stato, se qualche maggior grado di malignità avesse avuto il morbo; e si son persuasi che oltre un terzo dei viventi in Europa allo spuntare del 1890 giacerebbe ora sotterra, con quelle conseguenze, ancora politiche, le quali non è difficile immaginare. Tanto leggier fatica è a quel Dio, che pazzamente si nega, tutti in un istante sconvolgere i disegni della mondana scaltrezza!
Onde a buona legge questa non interrotta serie di pubbliche disavventure, da chi ha un briciolo di fede, si tiene in conto di longanime avviso del cielo; «essendo manifesto, come avverte opportunamente un atto recentissimo della Santa Sede, che i frequenti mali da cui siamo afflitti, sono da ascriversi alla divina giustizia, la quale con ragione punisce i corrotti costumi e la trasmodante colluvie delle scelleraggini umane [3]

II.

Un altro avviso però non meno pauroso e costante, poichè dura invariato da bene vent'anni, si ha nello stato incertissimo della pace d'Europa. Se pace è quiete nell'ordine, può dirsi con verità che essa, dopo il 1870, non ha goduta più pace; essendo stata la sua quiete, non nell'ordine ma nelle armi, simile al silenzio che precede le tempeste. Da allora in qua gli anni si sono passati nel continuo timore, che un incendio di guerra o di rivoluzione, da un momento all'altro, si appiccasse in qualche angolo del suo territorio. Da un lato il socialismo colle sue mostruose cupidige, dall'altro i Governi colle reciproche loro diffidenze, hanno tenuti i popoli nelle angustie di un essere, che non è di guerra nè di pace; ma di una tregua, sterile di molti beni dell'una e feconda di molti mali dell'altra.
Assai si è filosofato e scritto da gente di ogni scuola, intorno alle cause di questa condizione stranissima di cose. Chi ha ragionato, chi ha fantasticato e chi ha spropositato. Ma nessuno, secondo noi, ha dato più e meglio nel segno, di coloro che, accoppiando il lume della fede ai dettati del buon discorso, hanno scorta in questa assenza di pace, l'adempimento della parola di Dio, che afferma non potersi aver pace dagli empii: Non est pax impiis [4]; parole riguardanti sì gl'individui e sì le nazioni, sì i privati e sì i Governi; giacchè i popoli prevaricatori Iddio ha condannati alla miseria: Miseros facit populos peccatum [5]; ed ai Governi a sè ribellanti ha minacciata l'ira sua ed il suo furore: Loquetur ad eos in ira sua et in furore suo conturbabit eos [6].
L'Europa non ha più pace, perchè nella parte sua più importante, che è la direttiva, la diplomatica, la legale, la ufficiale, come la chiamano, si è abbandonata all'empietà, ed ha tratta grande porzione di popoli a debaccar seco nel disordine e nell'apostasia. In questo eccesso, che comprende un cumolo di eccessi, i pensatori cristiani vedono la ragione più universale e più adeguata dell'odierno suo stato; come nelle calamità e nelle catastrofi che in sè medesima presagisce, e delle quali sente gli avvisi precursori, vedono un effetto del rimorso, somigliante a quello che rode il cuore dell'empio individuo, e lo mantiene in un'implacabile ansietà. Onde si direbbe quasi che, sebbene per la incredulità sua e la durezza della sua cervice, questa Europa non possa o non voglia riconoscerlo, pure ha segreto presentimento dei flagelli che dall'ira e dal furore del giustissimo Dio si è meritati, e ne paventa ogni tratto lo scroscio.
E chi non dev'esser compreso da simili terrori? Si mirino le ragioni materiali ed umane, o si mirino le morali e divine, tutto nel mondo oggigiorno prenunzia perturbamenti non lontani. Ma gl'indizii che la tazza delle iniquità della europea Babele è ricolma, appariscono da ogni lato. Non sarà dunque altro che utile il rappresentare, come dentro un sol quadro, l'abbozzo delle più gravi, onde si è fatta rea e per le quali dev'essere infallibilmente punita.
Altri, imitando il cane che abbocca il sasso e non cura la mano che glielo scagliò contro, si fermi pure a indagare le cause dei mali pendenti negl'interessi, nelle rivalità, nelle cupidige, negli errori e nelle passioni di questo o quel partito, di questo o di quell'ordine civile di persone. Noi, sollevando l'occhio più alto, le troviamo chiare nelle colpe senza numero e senza peso, che audacemente da tanti anni si sono accumulate, e manteniamo, coi filosofi cattolici, che questa è la causa potissima dei mali presenti e dei più dolorosi di cui sono forse annunziatori.

III.

La guerra alla Chiesa cattolica, mossa direttamente, o permessa, o almeno guardata con indifferenza, è la primaria colpa, radice delle altre, della quale gli Stati d'Europa sono rei, e la quale più sovr'essi provoca la indignazione di Dio. In questo ultimo periodo del secolo, che si gloria singolarmente civile, perchè singolarmente geloso di libertà, noi vediamo l'abbominando spettacolo di una licenza sfrenata concessa ad ogni religioso errore, e di una disumana tirannide usata unicamente contro la verità cattolica: cotalchè l'ingiustizia legale od arbitraria, in danno delle persone, delle cose e dei diritti della Chiesa di Cristo, è divenuta come il cimento al cui paragone si prova la civiltà dei moderni Stati. I quali, per conseguenza, tanto più si giudicano civili, quanto più, colle loro leggi e colle loro sevizie, opprimono il cattolicismo e si adoperano ad avvilirne la gerarchia, ad impoverirne il sacerdozio, a difficultarne il culto, a renderne odiose la fede e la dottrina.
Per quanto si giri l'occhio intorno all'Europa e si scrutino gli andamenti degli Stati suoi, si scorgerà che, per questo rispetto, si può dire senz'amplificazione il non est in ea sanitas. Non ve n'ha per avventura uno solo, che sia immune dalla tabe di questa civiltà, la quale si risolve in un vero anticristianesimo; poichè consiste nel separare tutte le civili appartenenze dalla religione, la politica dal Vangelo, il gius pubblico dal gius divino, la coscienza dal decalogo, i popoli da Dio, i fedeli dalla Chiesa, la società cristiana da Cristo. Il che si chiama laicizzare la legislazione, ripristinare l'indipendenza dello Stato e dei cittadini, e tornare a Cesare quel che è di Cesare. Variano in ciascuno Stato i gradi del morbo; ma tutti ne sono infetti. Quale per profonda malizia, quale per interesse politico, quale per vano timore, tutti, o più o meno, in questo nostro tempo, convenerunt in unum adversus Dominum et adversus Christum eius. Avvegnachè discordi nel resto, si sono in qualche modo accordati nel mettersi contro Dio e contro il suo Cristo, nel romperne la santa legge e nello scuoterne il giogo salutare: dirumpamus vincula eorum, et proiiciamus a nobis iugum ipsorum [7]. In una parola, si sono intesi per escludere Gesù Cristo dalla civiltà, ripetendo il detto della sinagoga contro Cristo Re: Nolumus hunc regnare super nos [8]: vogliamo vivere separati dalla Chiesa, per la quale e nella quale Cristo regna: vogliamo la laicità universale: nulla vogliamo più di comune fra l'autorità del Dio Redentore e noi: intendiamo essere Dio a noi stessi, e surrogare Dio nel reggimento dei popoli.
Or questo delitto, che include un'apostasia formale od equivalente dei poteri pubblici da Dio, dalla sua fede e dalla sua Chiesa, è propriamente quello che Iddio medesimo, nel celebre vaticinio davidico, da noi sopra addotto, ha dichiarato di volere punire dall'alto de' cieli, col suo tremendo scherno e col furore della collera sua: Qui habitat in caelis irridebit eos, et Dominus subsannabit eos. Tunc loquetur ad eos in ira sua, et in furore suo conturbabit eos [9]. E ciò, per confermare, collo splendore della sua giustizia, che Gesù Cristo è costituito Re e Maestro dei popoli e dei regnanti, siccome eterno Figliuolo suo, il quale, nell'assunta natura d'uomo, ha ereditato dal Padre le genti ed il dominio supremo del mondo: Dabo tibi gentes haereditatem tuam, et possessionem tuam terminos terrae. Ond'è che egli governerà i ribelli a sè con verga di ferro, e ne stritolerà l'orgogliosa fronte qual vaso di creta [10].
E perchè non fosse dubbio, che questa immortale profezia, verificatasi costantemente per ogni secolo, in una forma o in un'altra, da Nerone a Napoleone III, era sopra tutto rivolta ai re ed ai terrestri potentati, si conclude coll'ammonirli, che vogliano bene afferrarne l'intelligenza e da essa imparare a servire Iddio con timore, ed a tremare della sua indignazione: Et nunc reges intelligite: erudimini qui iudicatis terram. Servite Domino in timore, et exultate ei cum tremore. Apprehendite disciplinam, nequando irascatur Dominus [11].
È quindi manifesto che l'Europa odierna, così scopertamente ed ufficialmente ribelle a Dio ed al suo Cristo, non può sfuggire al castigo da esso Dio minacciato; ma indubitatamente vi soggiacera: e tanto più disastroso lo sperimenterà, quanto più egli è stato paziente nel dissimulare le sfide della sua tracotanza. Se è certo, com'è certissimo, che sillaba di Dio non si cancella, si può predire che la verga del divino furore visiterà l'Europa, con maggior sicurezza che non si predice il tramonto del sole dopo la sua levata, e la state [l'estate, N.d.R.] dopo l'inverno.

IV.

E questo merito dell'Europa legale, ufficiale, governante a flagelli del tutto spaventosi, che travolgeranno pur le nazioni in gran parte sue complici, apparisce anche troppo evidente, se si considera l'estensione dell'apostasia sua, la quale inchiude un abisso senza fondo di sacrilegi, di nequizie, di disordini; e per la quale è caduta, sotto alcuni riguardi, in più vile stato che le genti barbare del paganesimo.
Lasciamo andare la spogliazione della Chiesa, le rapine de' beni sacri a Dio, la demolizione di tanti suoi templi e la loro conversione in usi turpi o profani, lo sperperamento dei suoi Ordini religiosi, le persecuzioni del suo clero, non d'altro reo se non di essere e serbarsi fedele a Dio; lasciamo andare, diciamo, questo baratro di scelleraggini, eseguite legalmente, sebbene ognuna di essa, al trono dell'Eccelso, gridi vendetta: ed osserviamo così di volo qualcun'altra delle molte sorgenti di peccato, aperte fra i popoli dall'apostasia dei Governi.
Vi è quella delle sètte massoniche, notoriamente nemiche del cristianesimo, corrompitrici della fede e del costume e sovvertitrici d'ogni pace religiosa e civile; le quali, comechè i Romani Pontefici ne avessero mostrata la esiziale empietà e severamente dannatele, si sono, non che tollerate, ma promosse, ma favorite, ma privilegiate, ma sollevate persino agli onori del comando ed alla partecipazione di più troni: di maniera che oggi parecchi potenti Stati sono nelle loro mani, ed altri si reggono sotto gl'influssi loro. Per lo che all'anticristiana massoneria, strumento della sinagoga giudaica, si è dato quasi tutto quello che alla Chiesa di Gesù Cristo si è tolto; ed i popoli battezzati e da Cristo redenti sono abbandonati alla discrezione di occulte potestà, negatrici di Cristo e del suo battesimo; e sopra l'altare in cui prima gli Stati adoravano il vero e vivo Dio del Calvario, adorano in presente Satana, sotto le mentite spoglie di civiltà e di ragione. Del quale misfatto è conseguenza il pullulare libero e tempestoso, per ogni banda, delle sètte socialistiche, generate dalla massoneria, che invadono irreparabilmente la massa della plebe; e preparano in pien meriggio la ruina delle monarchie, il saccheggio delle private sostanze e lo sconquassamento della società, fra gli eccidii e gl'incendii, di cui in questi ultimi venti anni già fecer prova nella Francia e nella Spagna. Al che, appunto in questo proposito, alludendo il Santo Padre Leone XIII, nella sua recentissima Enciclica Sapientia, ha dato a intendere quanto sia da temere che questi non si rinnovellino, colle parole: Graves memoratu casus saeculum tulit; nec satis liquet num non sint pertimescendi pares: «il secol nostro già produsse vicende ben tristi a ricordare; e non sappiamo abbastanza se non sieno per accaderne delle eguali nell'avvenire.» E di fatto non vediamo il possente Impero germanico premunirsi oggi contro il dilagante socialismo, come contro nemico più pericoloso alla dinastia degli Hoenzollern, che non sieno Russia e Francia collegate insieme?
Or questa sorgente di mali senza misura è stata scavata dai Governi: essi, per inescusabile debolezza, o per interessata malizia, alla cristiana civiltà hanno sostituita la barbarie massonica; e sopra il loro capo ricade l'enorme colpa di avere così traditi e di seguitare a tradire i popoli allucinati.

V.

Vi è inoltre la sorgente della licenza, se non sempre per legge, almeno per tacito consenso e per una connivente impunità, lasciata alla stampa ed al teatro, di bestemmiare e vituperare quanto è di più santo e venerabile nel cielo e nella terra: e non solo di vilipendere Iddio e tutte le cose attenentisi al cristianesimo; ma di screditare i primi elementi della morale umana, di deridere ogni virtù e di battere gli stessi cardini, nei quali il vivere sociale e l'ordine della natura sussistono. Licenza esecrabile, il cui delitto, per parte dei poteri che la consentono o la danno, è al sommo aggravata da questo, che poi la negano e la puniscono, quando trascenda a violare la dignità delle loro persone o delle leggi loro. Onde in una gran porzione dell'Europa siamo spettatori di quest'esorbitanza, che si fa lecito l'oltraggio pubblico alla eterna Maestà di Dio, e si vieta l'offesa alla maestà dei re e degl'imperatori: e, verbigrazia, in Germania si passa per un innocente scherzo la bestemmia contro Gesù Cristo, Figliuolo di Dio, e si condanna qual crimenlese [= delitto di lesa maestà, da crimen lesae (maiestatis), N.d.R.] un frizzo contro la celsitudine del gran cancelliere; come presso noi, si sorride a chi pubblicamente maledice l'unità di Dio, ma si mette in carcere chi impreca all'unità d'Italia.
Dal qual modo di procedere è nata la consuetudine sì generale della bestemmia, non solo dotta, scientifica ed elegante, nei libri e nei giornali; ma eziandio bassa e triviale, che indistintamente risona sulle labbra dell'artigiano e del ricco, del paltoniere e del gentiluomo; e si ode non rare volte echeggiare fin dentro il tempio di Temi [= tribunale, N.d.R.] e le aule di qualche Parlamento.
Con la licenza di tutto malmenare a voce ed in istampa, si accompagna quella della pubblica disonestà; alla quale si è sciolto in più guise il freno e si è dato pur anche, in varii casi, un essere legale, con la sequela di un tal guasto nel costume, che le più colte città d'Europa son divenute sentine da disgradarne le antiche Sodome e Gomorre. Il vizio patentato, gabellato e legalizzato, come non fu mai in Babilonia, in Ninive, nell'Atene degli Alcibiadi e nella Roma degli Eliogabali, è ora una gloria comune agli Stati europei; anzi è l'aureola più fulgente della moderna civiltà laicizzata. E il più orrendo agli occhi di Dio si è, che dove non è sorta di lubrici spettacoli, i quali non si veggano autorizzati, le feste e le cerimonie della Chiesa sono poi contenute in angusti limiti e spesso impedite, sotto scusa di tutelare il pubblico decoro. Quindi è che in molte città cristiane e cattoliche, come per esempio nella nostra Italia, sono bensì permesse le mascherate del carnevale per le vie e per le piazze; ma le sacre processioni vi sono interdette. Agl'istrioni ed alle mime è concesso libero lo spazio delle strade, che nè meno si vieta, quando fa pro, agli stendardi di Lucifero: a Cristo in sacramento ed alla sua Croce, per amore di decoro, è negato!
Nulla diciamo dei delitti d'ogni sorta, che, per questo sbrigliamento delle popolari passioni, favorito dai Governi, aumentano e dilagano da per tutto; e in ispecial modo dei furti e dei suicidii. Le annuali tavole statistiche della Francia, dell'Italia, della Germania mettono ribrezzo.

VI.

Un'altra sorgente di pravità, aperta dai Governi nei paesi cristiani, è il pervertimento della pubblica istruzione. Pressochè da per tutto gli Stati hanno privata la Chiesa della sua libertà di ammaestrare e di educare i giovani, ammessi pel battesimo nel suo grembo, secondo il dovere impostole ed il diritto conferitole da Dio: e dove non gliel'hanno tolta interamente, gliela impacciano e gliela inceppano in mille maniere. Per contrario la concedono amplissima ad empii e settarii maestri, che convertono le scuole in officine di errore e di corruttela. L'insegnamento laicizzato e la separazione dell'istruzione dello Stato da quella della Chiesa hanno avuto per effetto, che ora dalle cattedre pubbliche si bandiscono legalmente l'ateismo ed il materialismo; e la gioventù, da istitutori salariati col denaro spremuto ai popoli cristiani, impara ne' ginnasii, nei licei e nelle università, che Dio non esiste, che l'uomo è di poco differente dal bruto, che il Vangelo è una leggenda, che la fede di Cristo è una superstizione, che l'immortalità dell'anima e la vita avvenire sono poetici spauracchi, che il godere è fine del presente vivere; e simili dottrine, le quali i Governi sperano che debbano poi agevolare la surrogazione del culto del Dio-Stato a quello di Dio-Cristo. Ma le prove riescon male, come dimostranlo le turbe di discoli e scapestrati giovani, che si formano cotidianamente in sì fatte scuole, le riunioni loro, nelle quali si professano atei e socialisti, e i tumulti e le sedizioni onde preludono alle belle imprese che adulti poi compiranno.
Già la colluvie di nequizie e di colpe, che dalle predette sorgenti si è derivata nelle popolazioni è così strabocchevole, che sovrabasta a mostrare il merito degli Stati e delle genti d'Europa ai flagelli più ruinosi dell'ira divina. Eppure vi sarebbe anche tanto che dire, intorno allo scempio che vi si è fatto e vi si fa tutto giorno della elementare giustizia e della cristiana coscienza, per la tirannia di leggi dissolvitrici delle famiglie, di sistemi tributarii distruttivi dei patrimonii privati, di balzelli e di leve militari che affamano il minuto popolo e succhiano il miglior sangue delle nazioni, di articoli di codici che offendono la dignità dei cittadini e ledono le libertà più inviolabili dell'uomo.
Ma passiamo sopra tutte queste ed altre iniquità e notiamo invece l'altro grandissimo peccato, che è il vilipendio del gius di natura nelle relazioni fra paese e paese, che i vecchi nostri denominavano diritto delle genti.

VII.

Cosa incredibile, ma pur troppo indubitata! La laicizzazione della politica, negli Stati cristiani, e la sua separazione dalla morale evangelica li hanno condotti a perdere praticamente, non solo il concetto della legge, in quanto è la ragione esistente in Dio, ratio in Deo existens, è la mente di Dio, mens Dei, è la suprema norma delle umane azioni; ma a perdere persino quel concetto della legge naturale, fondato nella retta ragione, in recta ratione, che il filosofo romano riconobbe sussistere fra uomo e uomo, fra popolo e popolo. Perciò, ripudiatosi nelle relazioni internazionali questo rispetto al giusto invariabile ed eterno, si è ricorso ad un diritto nuovo, la cui sovrana regola è l'interesse, il cui termine sono i latrocinii degli Stati, detti da S. Agostino latrocinia magna, e i cui mezzi sono la perfidia, gl'inganni, i tradimenti e la forza brutale: d'onde il motto: La force prime le droit, che può definirsi la sintesi giuridica della civiltà separata da Dio e dal suo Verbo.
I pubblicisti francesi comunemente si lagnano, che l'equilibrio europeo sia crollato sotto il soverchiante peso del trattato di Francoforte, che ferì l'unità nazionale della Francia, togliendole l'Alsazia e la Lorena. Di che concludono che l'indipendenza dei deboli è minacciata, e conviene rifare da capo il lavoro dell'equilibrio, che fu opera di anni lunghi e sanguinosi.
Bene sta. Ma la dissoluzione di questo diritto pubblico era già incominciata, per colpa dell'Impero francese, col Congresso di Parigi nel 1856, e progredita di molto colla guerra del 1859, in detrimento del Romano Pontefice. Codesti politici non arrivano a comprendere che l'iniquità, commessa in nome della Francia, contro il Papato, doveva per giusta vendetta del cielo espiarsi principalmente dalla Francia; e che il diritto europeo non fu spento propriamente in Francoforte, col trattato che privava di due province la Francia, rimasta perdente in una guerra da sè provocata; ma fu spento in Roma, con quella breccia, non provocata dal Papa, non invocata dai romani, la quale, senza l'ombra non diremo di una ragione, ma di un pretesto, abbatteva il sacro trono pontificio e costituiva il Capo della cattolicità in una condizione di morale prigionia, che tutti gli Stati d'Europa avrebbero dovuto impedire.
Questo atto dell'occupazione di Roma, per parte di una setta divenuta Governo, non appoggiato a veruna scusa giustificabile dal diritto cristiano, nè dal diritto delle genti, eppure così acclamato dai fautori della novella civiltà, e guardato con occhio benevolo o indifferente dalle Potenze, fu il vero suggello che autenticò la morte del gius pubblico europeo: ma al tempo stesso fu un nuovo titolo di debito onerosissimo, che l'Europa contrasse colla giustizia di Dio. Ed essa già lo sta pagando, e lo pagherà donec reddat novissimum quadrantem [12], fino all'ultimo centesimo; e lo pagherà solennemente, come Napoleone III pagò il suo nelle umiliazioni e nei dolori di Sèdan: e lo pagherà a gloria ancora temporale del Papato, che si è voluto deprimere ed atterrare, ma che finisce sempre col vedere sotto di sè depressi ed atterrati gli assalitori suoi, o sieno re, o sieno imperatori, o sieno Repubbliche, o sieno popoli, o sieno eretici, o sieno cattolici rinnegati.
Che poi ciò debba accadere anche questa volta, non ostante la sì larga prevaricazione dell'Europa, tutta intesa a perseguitare il cattolicismo ed il suo Capo, ce n'è pegno l'ordine straordinario che la Provvidenza segue visibilmente nell'assistere e nel sostenere il Sommo Pontefice. E questo altresì è uno di quegli avvisi del cielo, che avrebbero da dare a pensare a coloro, i quali stimano vinto l'invincibile.

VIII.

Qualcuno per avventura ci opporrà, che noi ragioniamo troppo misticamente, o se non altro con un rigore di teologia, la quale non è più adatta al tempo nostro, tempo di progresso nelle armonie dei diritti sociali e degli elementi di civiltà. E noi risponderemo, che il ragionamento nostro è stabilito in quelle cose che non soggiacciono a mutazione; cioè nè ad intrinseci regressi, nè a progressi, perchè sempre in ogni tempo vere: e sono la rivelazione di Dio e le leggi di natura. Noi possiamo accertare gli oppositori, che come non vi sono due Dei, nè due Cristi, nè due fedi, nè due decalogi, nè due umane nature; così non si posson dare, per vigore di qualsiasi progresso, nè due contradditorie giustizie, nè due contradditorie virtù. Ond'è inutile illudersi che Dio sia per vedere equo ciò che è iniquo, o virtuoso e meritorio, quello che è punibile e disonesto. Il diritto nuovo non sarà mai ammesso nei codici dell'Altissimo; il quale anzi appone a massimo oltraggio della santità sua l'averlo inventato e praticato.
Quando adunque ci sarà chiarito con validi argomenti, che anche Dio ha ceduto al corso del moderno progresso, ha sancite le nuove modificazioni del giure sociale ed ha riconosciute le sue nuove armonie cogli elementi di civiltà, sovvertendo i cardini della morale pubblica e privata, allora anche noi muteremo linguaggio. Ma per ora, e finchè l'immutabile non si muta, seguiteremo a credere e ad affermare, che Dio socialmente castiga i delitti sociali dei popoli e degli Stati; e ad esortare chi non tiene sotto i piedi la fede ed il buon criterio, a fare gran conto degli avvisi che sinora ci ha dati, ed a recogitare corde; perocchè l'esperienza di tutti i secoli ci mostra, che questi sono come i lampi, dietro i quali vengono poi fulmini sterminatori.

NOTE:

[1] Gerem. XII, 11.
[2] C. XXIV. 5-7.
[3] Cum aperte pateat crebra quibus affligimur mala, ad divinam iustitiam esse referenda, quae, ob corruptos mores et late exundantium flagitiorum colluviem, iustas poenas ab hominibus expetit. S. R. U. Inq. ad omnes archiep. episc. et loc. ord. catholici orbis. Die 30 ianuarii 1890.
[4] Is. XLVIII, 22.
[5] Prov. XIV, 34.
[6] Sal. II, 5.
[7] Sal. II, 2, 3.
[8] Luc. XIX, 14.
[9] Ivi, 4, 5.
[10] Ivi 6, 9.
[11] Ivi, 10, 12.
[12] Mat. V, 26.