domenica 29 marzo 2015

I SOFISMI DI ROUSSEAU E LA DEMOCRAZIA (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)



L'articolo III della Dichiarazione dei diritti dell'uomo dice: "Il principio d'ogni autorità esiste
essenzialmente nella nazione".
Questa dichiarazione è contraria alla ragione nonché alla fede.
Sempre e dappertutto la ragione umana ha pensato e detto che l'autorità appartiene alla causa, il
potere su ciò che è prodotto a chi l'ha prodotto. In conseguenza, il principio di ogni autorità risiede
essenzialmente in Colui che è la causa prima, e le cause seconde hanno, sui loro effetti, un'autorità
derivata dalla sorgente dell'essere. L'autorità suprema o la sovranità assoluta è in Dio nostro primo
Autore, Colui, dal quale teniamo tutto ciò che siamo e tutto ciò che abbiamo. A lui spetta di
governare la nostra vita, di reggere la nostra persona per condurla alla perfezione che egli aveva in
vista nel crearci, nel redimerci e nell'inviarci il suo Spirito santificatore.
Al disotto di questo Sovrano Signore, e partecipanti sotto la sua dipendenza, alla sua sovranità si
trovano coloro ch'Egli ha chiamato ad essere ministri e strumenti della sua bontà creatrice ed
educatrice; il padre sovrano della famiglia, il Papa sovrano della Chiesa; e, nella nazione, quello o
quelli che hanno diritto sovra coloro che l'hanno fatta, che l'hanno difesa e guidata al
conseguimento de' suoi destini.
 Montalembert
Qui non dobbiamo occuparci della sovranità paterna né della sovranità pontificia, ma solamente
della sovranità civile. Dire che il suo principio è essenzialmente nel popolo e che appartiene al
popolo; che egli la conserva anche allora che la delega; che risiede in lui senza limiti, questa è la
democrazia, quale è attualmente professata fra noi, quale è presumibilmente esercitata.
Questa democrazia è la negazione e la distruzione dell'autorità. Il suo principio è l'orgoglio nella sua
più superba presunzione. Il signor di Montalembert lo disse assai bene, a proposito della
Costituente: "La Rivoluzione, sotto il nome di Democrazia, non è che lo scoppio universale
dell'orgoglio".
Ripugna all'orgoglio di riconoscere un padrone. Egli si dice libero, si dice sovrano; ed il sentimento
della sua sovranità lo spinge a scuoterne tutti i gioghi, il giogo civile, come il giogo paterno ed il
giogo ecclesiastico. E siccome egli vede che ogni autorità discende da Dio, si dichiara emanata da
Dio, insorge contro Dio stesso. "Dio è il male" ha detto il democratico Proudhon. Questa bestemmia
è ripetuta continuamente, sotto mille forme diverse, nei giornali democratici, nelle riunioni popolari
ed anche nel Parlamento uscito dalla sovranità del popolo.
In qual guisa la democrazia è giunta a questo grado di empietà e di irragionevolezza? Eccolo.
L'orgoglio umano, malgrado le sue pretensioni alla sovranità, non può fare sparire il male. Lo
incontra dappertutto, ne soffre in tutti i momenti. Non può negare la sua esistenza, ma ciò ch'egli
non vuole, si è di vederne il principio in se stesso. Non vuol punto riconoscere che il male esce dalla
sua natura corrotta per espandersi in tutte le cose; egli lo attribuisce alle cose stesse e
particolarmente alle istituzioni sociali che i secoli hanno create. Perciò egli vuole distruggerle,
sostituire loro un regime di libertà e di eguaglianza, un regime democratico senza precedenti nella
storia dell'umanità.
E siccome la società si oppone, siccome si attiene a Dio ed alla sua autorità per non sprofondare
nell'abisso che questa libertà e questa eguaglianza le scavano, l'orgoglio umano se la piglia con Dio,
dice essere in Lui la sorgente d'ogni male, esser Lui il male e per conseguenza doversi abolire, o se
non lo si può, scancellarne almeno il pensiero dalla mente degli uomini. Non è ciò che tenta la
democrazia nell'ora presente con tutti i mezzi che il potere le concede?
Quest'orgoglio viene di lontano. Il primo soffio si fece sentire a Roma nel secolo XV. Esso uscì,
abbiamo detto, dal petto degli umanisti per diffondersi poi su tutta l'Europa. Essi furono i primi, in
seno al cristianesimo, a glorificare l'uomo a scapito del Creatore. Il soffio divenne procella colla
Riforma; colla Rivoluzione si è fatto ciclone che tutto rovescia. Domani non si terrà pago di
rovesciare, ma distruggerà e porterà via le stesse rovine.
Le sue stragi si propagano di nazione in nazione. Se i cristiani non s'oppongono alle sue invasioni,
se da per tutto si trovano dei cattolici che lo favoriscono, sotto pretesto di cristianizzarlo, l'orgoglio
democratico non tarderà più a stabilire effettivamente il suo regno nel mondo.
E l'orgoglio, padrone del mondo, chiama senza fallo sul nostro globo le folgori che in cielo hanno
colpito l'orgoglio di Lucifero.
Perciò, Le Play aveva grande ragione quando diceva: "Bisogna assolutamente assalire di fronte,
senza reticenza, la teoria democratica".
Papa Leone XIII
Leone XIII l'ha fatto meglio di ogni altro de' suoi predecessori. Pio VII nella sua Lettera apostolica
a mons. di Boulogne; Gregorio XVI nell'Enciclica Mirari vos; Pio IX nella Enciclica Quanta cura,
hanno condannato successivamente i falsi dogmi della Rivoluzione. Nessun Papa ha preso di mira
così direttamente come Leone XIII il dogma democratico per eccellenza: la sovranità del popolo.
Nell'Enciclica Immortale Dei egli dice:
"Il potere pubblico non può venire che da Dio; Dio solo è sovrano signore di tutte le cose; tutte,
quali che esse siano, devono necessariamente esser sottomesse ed ubbidire a Lui, di guisa che,
chiunque ha il diritto di comandare, non tiene questo diritto che da Dio, capo supremo di tutti: Ogni
potere viene da Dio (Rom. XIII)"
Nell'Enciclica Diuturnum:
"S'ingannano quei filosofi che fanno uscire la civile società da un libero contratto ed attribuiscono
all'autorità la stessa origine".
In altra parte di questa stessa Enciclica: "È un errore il pretendere che tutto venga dal popolo; che
per conseguenza l'autorità non appartenga in proprio a quelli che l'esercitano, ma a titolo di mandato
popolare, e sotto riserva che la volontà del popolo può sempre ritirare ai propri mandatari il potere
che ha loro delegato".
Più lungi: "Quelli che amministrano le cose pubbliche hanno diritto di esigere l'obbedienza in tali
condizioni che il rifiuto di sottomissione è un peccato. Ora non havvi uomo che abbia in sé o da sé
ciò che gli è necessario per legare con un vincolo di coscienza il libero volere de' suoi simili; Dio
solo come Creatore e Legislatore universale possiede siffatto potere; quelli che lo esercitano hanno
bisogno di riceverlo da Lui e di esercitarlo in suo nome. "Non vi è che un solo Legislatore ed un sol
Giudice che possa condannare od assolvere" (Giac. IV, 12)".
Abbiamo inteso Le Play attribuire alla teoria democratica i mali presenti della società. Leone XIII
non parla altrimenti.
"Facendo derivare il potere pubblico dalla volontà del popolo, si commette in primo luogo un errore
di principio, ed inoltre si dà all'autorità un fondamento fragile e senza consistenza. Siffatte opinioni
sono come uno stimolo perpetuo alle passioni popolari che vanno crescendo ogni giorno in audacia
e preparano la rovina pubblica. Queste teorie intorno al potere hanno già cagionato grandi mali ed
è a temere che questi mali in avvenire giungano fino ai peggiori estremi".
Karl Ludwig von Haller
Haller nella sua bell'opera: Restauration de la science politique ne dà la ragione: "Non havvi potere
più terribile di quello che può commettere i più esecrandi delitti colla volontà di tutti o colorirli
colla volontà di tutti. Le forze di una corporazione (specialmente quella dei mandatari della
moltitudine) impiegate senza regola e senza freno e rivolte contro il cuore stesso della società,
diventano più formidabili di tutte le altre. I diritti naturali ed acquisiti sono allora calpestati con
maggiore impudenza che non da tiranni individuali, perché le passioni non sono mai così violente
come fra eguali, e perché ciascuno si cela fra la turba dei complici e per conseguenza si sottrae al
timore stesso ed all'onta della responsabilità morale".(1) Non è il quadro esatto di ciò che noi
vediamo attualmente? Tocqueville dice altresì: "Io non conosco paesi in cui le rivoluzioni siano così
pericolose come nei paesi democratici perché, indipendentemente dai mali accidentali e passeggieri,
che inevitabilmente producono, corrono sempre rischio di crearne di permanenti e per così dire
eterni".(2)
Si conosce ciò che il regime democratico ha prodotto in Francia un secolo fa. Il nuovo esperimento
pel quale passiamo, ci adduce mali ancora maggiori, e mali che saranno permanenti, eterni, come
dice Tocqueville, se non rigettiamo questa utopia.
Anche il sig. di Montalembert nel suo scritto: Les interêts catholiques au XIXe siècle, pronunciava
questa sentenza fino dal 1858: "Riconosco volentieri che la democrazia francese, questa grande
dissoluta, che non ha fatto nulla di bene, nulla ha rispettato, nulla risparmiato, non merita guari di
essere tenuta in niun conto, e si è in diritto di trattarla come i pazzi all'ospedale".
Mettere la democrazia all'ospedale non è affare per tutti; io credo anzi che nell'ora presente niuno
sulla terra abbia forza per riuscirvi. Ma quello che tutti possiamo fare si è di raddrizzare le idee ed
ottenere perciò che la democrazia muoia un giorno di sua buona morte.
È ciò che domandava già Le Play nel 1865: "In una società che rovina da tutte le parti, mi pare che
dapprima si debbano raddrizzare le idee. È necessario migliorare il fondo delle cose alla luce dei
principii".
Nel 1867: "La linea di condotta da seguirsi è di lavorare fino a tanto che si abbia un credo dottrinale
ben determinato ... Temo che la salvezza non possa venire che da terribili catastrofi ... Che fare in
questo disordine? Quello che gli Apostoli hanno fatto in mezzo alla corruzione romana: consacrarsi
a propagare il vero ed il buono ... Credo che noi siamo più malati ancora del mondo pagano, almeno
sotto certi rispetti, e dodici apostoli non sarebbero troppi".
Egli li cercava. Già nel 1861, annunciando al sig. de Ribbe che l'Imperatore gli avea dato la
direzione della sezione francese all'Esposizione universale di Londra, egli esprimeva la sua gioia,
non per l'onore che gliene veniva, ma perché questo ufficio lo metteva a contatto con molti uomini
di tutti i paesi e gli permetteva di esercitare il suo apostolato. A questo fine egli creò le "Unioni" e
la sua Rivista. Ed a' suoi discepoli diceva: "Tocqueville, malgrado la sua onestà, ha tutto falsificato,
ha fatto all'Europa ed alla Francia in particolare, un male incalcolabile. Bisogna assolutamente
assalire di fronte, senza riguardo, la tesi democratica". "Non si può mai insistere troppo su questo
punto. Bisogna parlar alto e fermo, mostrar l'abisso aperto, gridar all'erta; ma bisogna nello stesso
tempo conservar una fede inconcussa nel ritorno al bene, nell'energia vitale della Francia".(3)
Questo ritorno tarda molto. Quanti, anche fra i più fedelmente attaccati di cuore alla Francia
tradizionale, rimangono persuasi di questo errore: la democrazia è un progresso sul regime
gerarchico d'una volta!
È vero tutto il contrario. "Questa parola magica di democrazia - disse assai bene Paolo Bourget -
non rappresenta che principii di regresso, la più completa dimenticanza delle leggi dappertutto
inscritte nella natura; è perfettamente falso che il merito individuale possa arrivare ad tinto sviluppo
utile se non è appoggiato su elementi familiari. È perfettamente falso che le maggioranze creino il
diritto nazionale, poiché un popolo non è composto di soli viventi, ma è composto de' suoi morti e
di quelli che verranno, di guisa che i viventi non sono che usufruttuari, la cui amministrazione, per
conseguenza, è limitata. È perfettamente falso che il 1789 abbia segnato per la Francia un'èra di
rigenerazione, e per lo contrario, se il nostro paese ha presentato dei segni di regresso di fronte alle
nazioni concorrenti, è d'allora in poi.
"Queste falsità sono tuttavia sì coraggiosamente ripetute, sono state con tanta compiacenza svolte
da brillanti scrittori, con tanto ardore e con tanta insolenza proclamate, che è necessario un grande
sforzo per rendersi persuasi della loro menzogna".(4)

Note:

(1) Restauration de la Science politique, t. I, cap. IX.
(2) De la Démocratie, t. II, cap. VII.
(3) Le Play, d'après sa Correspondance. Passim.
(4) Lettera di Paolo Bourget al conte Aymer de la Chevalerie, 10 giugno 1904.