lunedì 10 marzo 2014

Elogio della casalinga

housework

Perché mai dedicare ogni anno una giornata alla “donna”? Quale merito può avere una persona solo per appartenere alla categoria sessuale femminile piuttosto che a quella maschile? Non va elogiata la categoria in generale, anonima, impersonale, ma la persona singola, che si distingue per particolari doti, cioè per le azioni buone che può compiere. Infatti ci sono donne brave, laboriose, eroiche, e ci sono donne cattive, perfide, profittatrici. Le elogiamo tutte? Altrettanto dicasi per l’uomo.
Contrapporre il sesso femminile a quello maschile, in pratica la donna all’uomo, come due nemici atavici, anzi, presentare la donna, come si usa fare da qualche anno, come la povera vittima dell’uomo considerato il suo aguzzino non fa altro che aumentare l’odio tra i due sessi, mentre si chiudono gli occhi sulla vera risoluzione del problema che non si vuole affrontare.  In realtà viene messo in risalto dai media solo ciò che suscita scandalo e orrore, ma si tace invece sul lavoro discreto, spesso silenzioso ma efficace di moltissime donne in tutti i settori, oltre che sulla bellezza del rapporto uomo-donna che è quello che vive la stragrande maggioranza delle coppie senza fare tanto strepito. L’uomo e la donna non sono due antagonisti in perenne battaglia tra loro per la difesa dei loro territori, ma due figure complementari sia fisicamente che psicologicamente, quindi necessarie l’uno all’altra, con ruoli diversi ma di uguale valore a tal punto che solo dall’unione intima di un uomo con una donna si può realizzare quel disegno d’amore voluto da Dio che è la famiglia e la vita.
L’aver spinto la donna a sentirsi realizzata solo liberandosi dall’uomo e dalla famiglia è stata una vera trappola per la donna, perché l’ha costretta a cercare spasmodicamente dappertutto, tranne che in famiglia, dei “luoghi” dove sentirsi realizzata, applaudita, considerata, senza mai trovarli, oppure, una volta trovati, ha scoperto che non erano poi così appetibili e gratificanti come lei immaginava e allora frustrazione si aggiunge a frustrazione, perché in molti casi la povera donna rischia di perdere lavoro e affetti famigliari, ritrovandosi in una solitudine amara che purtroppo lei stessa molte volte si è cercata.
Infatti la donna non ha ancora capito che la sua vera emancipazione non si realizza imitando l’uomo nella sua vita professionale, facendo a gara con lui nell’intento di portargli via delle “quote lavoro” in parlamento o all’università o altrove, perché non ne ha bisogno, per il semplice fatto che la donna possiede già “una marcia in più” per natura rispetto all’uomo, una “marcia” che le deriva innanzitutto dal fatto di possedere un livello di sofferenza più forte dell’uomo per cui è capace di affrontare con coraggio, decisione, intuizione e concretezza molte difficoltà trovandone anche adeguate soluzioni, mentre l’uomo si suicida per una cartella dell’esattoria o poco più.

Ma la “marcia in più” per eccellenza le deriva direttamente da Dio avendola destinata nientemeno che al compito di trasmettere la vita! E mentre una donna potrà anche diventare, per le sue capacità professionali che vanno sicuramente tenute in conto e valorizzate, primo ministro, o docente universitario, o astronauta o paracadutista,… per contro l’uomo non potrà mai e poi mai mettere al mondo un figlio e ancor meno allattarlo, neppure con le utopie del gender perché il DNA parla chiaro, anzi chiarissimo: o uomo o donna per tutta l’eternità. Stop. Vi pare poco questo privilegio care donne?
La maternità con le dolcissime peculiarità che comporta: allattamento, svezzamento, profusione di amore tra madre e neonato, ecc. fa talmente parte della natura femminile (a parte le scelte di verginità per il Regno dei Cieli che non sono affatto scomparse e che sono segno di una maternità spirituale feconda) che, se si arriva a toccare la quarantina senza aver ancora formato una famiglia e messo al mondo almeno un figlio, pur avendo avuto onori, gratificazioni e lodi da tutti, si diventa inquiete, insoddisfatte, insopportabili, nella ricerca di “qualunque” mezzo, lecito o illecito, che ti faccia sperimentare quella “marcia in più”, quella della maternità, prima che sia troppo tardi e che tutto l’apparato si arrugginisca per sempre! E qui entrano in gioco, purtroppo, anche decisioni affrettate e inopportune sulla scelta del marito o del compagno con cui fare un figlio che di solito è solo la donna, poi a pagare.
E anche se adesso molte donne reclamano un figlio per il loro egoismo, sganciato perfino dalla presenza di un marito che disturba i loro progetti, tuttavia nella maggioranza dei casi la donna capisce che la maternità chiama in causa direttamente la famiglia, secondo il disegno di Dio, cioè un uomo con cui condividere la vita e quella dei nascituri, e una casa dove vivere questo amore che non è la sede dell’ufficio, o della scuola, o del parlamento, tanto meno dell’ospedale… ma solo quella casa particolare che serve a custodire il “nido d’amore” che è la famiglia. Sì! proprio nido d’amore anche se questa espressione anacronistica fa ridere al giorno d’oggi col disprezzo che esiste per la famiglia. Ma questo “nido” è indispensabile per vivere, anzi per sopravvivere, perché è un nido speciale, dove ci si aiuta, ci si perdona, ci si incoraggia, si litiga anche se occorre, ma si supera tutto perché ci si ama veramente, spiritualmente, e anche sessualmente, solo tra marito e moglie, secondo il disegno di Dio, l’unico garante della nostra felicità.
Se lo Stato assegnasse alla donna che sceglie liberamente di lavorare in famiglia, un congruo assegno mensile per ogni figlio, moltissime donne sceglierebbero di tornare ad essere, come una volta, le “regine” della loro casa, dove possono organizzarsi come meglio credono, senza obbedire al capo-ufficio, entrano ed escono quando vogliono, portano i figli in palestra e vanno dal parrucchiere con calma, mantenendo tutti i contatti relazionali senza nevrosi, soprattutto con marito e figli. In tal modo avremmo anche risolto buona parte del problema della disoccupazione.
Cara donna, sii felice di essere donna soprattutto perché Dio ti ha dato una “marcia in più” che è la tua femminilità legata alla maternità e alla tua possibilità di trasformare il tuo lavoro di casalinga, di per sé umile e silenzioso, in oro prezioso da distribuire ai tuoi stretti famigliari e a tutti quelli che fanno corona attorno al tuo “nido d’amore” e che trovano in esso gioia, serenità e voglia di ritornarci presto.

di Patrizia Stella (http://radiospada.org/)