venerdì 14 marzo 2014

Che Cos'è il legittimismo?(Parte 2°).


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La rinascita della legittimazione attraverso l’unzione dei Re nella Spagna Visigota e nella Monarchia Franca.




Incoronazione di Re Wamba in un dipinto olio su tela di
Francisco de Paula Van Halen del 1843.
A Ponente , nel mondo romano-germanico, troviamo i primi esempi di Consacrazione e legittimazione dell’autorità monarchica da parte della gerarchia ecclesiastica secondo il modello vetero-testamentario dell’Unzione con Olio santo. Per rintracciare la prima prova certa del rito dell’Unzione reale dobbiamo trasferirci nella Spagna visigota del secolo VII. Nel settembre del 672, infatti, fu unto Wamba (672-680), Re cattolico dei Visigoti di Spagna.
Alla morte di Re Recesvindo (653-672) i grandi del Regno lo avevano scelto come nuovo sovrano per reprimere una rivolta di Goti scoppiata in Settimania. San Giuliano, più tardi Vescovo di Toledo, racconta nel suo Liber de historia Galliae che il Re “non volle essere unto dai sacerdoti prima d’essere ritornato alla sede della città regia [Toledo]”. Quando rientrò vittorioso a Toledo, come una sorta di sacrificio personale per meritarsi a pieno la legittimazione, ricevette così l’Unzione dal Vescovo Quirico nella Chiesa palatina, dedicata ai Santi Pietro e Paolo, nota come Ecclesia praetoriensis. “Non appena giunse nella Chiesa del Pretorio, ossia quella dedicata ai Santi Pietro e Paolo, là dove doveva ricevere il segno della santa unzione, ponendosi davanti all’altare divino in tutto lo splendore della pompa regale, secondo il costume prestò giuramento al popolo. Poi, inginocchiatosi, per mano del sacro Vescovo Quirico fu cosparso sul capo d’olio santo e ricevette una copiosa benedizione”.
Anche di Re Egica (694-701) un anonimo cronista menziona la Consacrazione coll’Olio: “Il nostro signore Egica è stato unto Re nella Chiesa del Pretorio dedicata ai Santi Pietro e Paolo domenica 8 dicembre 687”. Il testo di San Giuliano mostra come fossero due gli elementi sostanziali del rito:

 (1) il giuramento;
 (2) l’Unzione.

Il 3° Canone del VI Concilio di Toledo prescriveva, a riguardo del giuramento del re,  in questo modo: “Stabiliamo  che a chiunque in futuro toccherà il vertice del regno, non possa salire al trono prima d’aver promesso, tra le altre condizioni del giuramento, di non permettere che gli Ebrei violino la fede cattolica”. Per quel che riguarda l’Unzione - lo si è visto – il sovrano, dopo aver prestato il solenne giuramento, s’inginocchiava dinanzi al Vescovo, che gli versava sulla testa l’Olio santo. Probabilmente già al tempo dei Re Visigoti, la cerimonia dell’Unzione era accompagnata da una Messa appropriata alla circostanza, come lascia intendere la Lectio de Ordinatione Regis, un manoscritto che contiene le letture tratte sia dal Nuovo che dall’Antico Testamento, adatte per la cerimonia di Consacrazione (legittimazione). Per quel che riguarda invece le preghiere e benedizioni che il Vescovo pronunciava sul Re al momento dell’Unzione, queste dovettero essere assai simili a quelle recitate dal prelato all’indirizzo del sovrano in occasione della convocazione di un Concilio, come si leggono nell’Ordo de celebrando Concilio:

 Rex Deus, a quo Regum regitur re-
gnum, quo gubernante sublime, quo de-
serente fit fragile, famulo tuo illo solers
miserator adsiste. Da ei, Domine, fidei
rectitudinem firmam et legis tuae custo-
diam indefessam: ita morum honestate
praepolleat, ut tuae Maiestati compla-
 ceat; ita nunc praesit populis ut corone-
 tur post transitum cum electis. -
Pater noster.   Benedictio: Benedicat tibi,
 serenissime Princeps, virtutum Dominus et omnipo-
 tens Deus. Amen. Inspiret tibi facere mi-
sericordiam et temperare iustitiam. Amen.
Qui tibi tribuit regnum, ipse cor tuum conservet
inlaesum a nocivitate omnium populorum. Amen. 
  Et qui conventum nostrum pro Domi-
 no veneraris, cum tuis omnibus post lon-
ga saecula coroneris. Amen. Per Domi-
num nostrum etc.

(Traduzione):
 
Sovrano Iddio, che reggi il regno dei re,
 tu che lo rendi sublime col tuo governo,
 e senza di Te diviene fragile, assisti con sol-
lecita misericordia questo tuo servo;
dagli, o Signore, la ferma rettitudine
della fede e l’indefessa custodia della Tua legge;
 così che eccella per l’onestà dei costumi
 in modo da compiacere alla maestà tua;
 e governi i popoli in modo da meritare,
dopo la morte, la corona fra gli eletti.  
Padre nostro. 
  Benedizione: Ti benedica, serenissimo Principe,
il Signore delle virtù e onnipo- tente Iddio.
 Così sia. T’ispiri d’essere mi-
sericordioso e moderare il rigore della giu-
stizia. Chi ti concesse il regno, ti conservi
un cuore incolume dalla malvagità dei po-
poli.   Tu che onori il nostro concilio per il Si-
gnore, possa dopo una lunga successione
 di secoli essere coronato con i tuoi.
Così sia. Per il Signore nostro ecc.
 



File:Rodericus-Hispania-Rex.jpg
Re Rodrigo.
Non v’è traccia, invece, nel rito spagnolo, della consegna delle insegne del potere sovrano, anche se la monarchia visigota conosceva certamente la corona come emblema per eccellenza della potestà regale. Le fonti attestano che l’Unzione di Wamba del 672 non fu la prima, essendo già frutto di consuetudine. Alcuni hanno voluto far rimontare l’esordio della cerimonia a Recaredo (586-601), primo sovrano cattolico dei Visigoti spagnoli. Mancano, tuttavia, prove certe. Sta di fatto che, se non Recaredo, qualche suo successore immediato iniziò a farsi ungere (legittimare) Re dal Vescovo di Toledo, così che al tempo di Wamba (672), il rito poteva già apparire come consuetudinario. Dopo la catastrofe del 713, quando Re Rodrigo (710-713) fu sconfitto ed ucciso dai musulmani nella battaglia di Segoyguela a ovest di Salamanca, e il regno visigoto scomparve per sempre, nei regni cristiani del nord, che erano sopravvissuti alla invasione islamica, non si perse il ricordo della cerimonia dell’Unzione. Così nell’866 Alfonso III il Grande (866-910) fu certamente unto.
 



File:Jean-Joseph Dassy (1796-1865) - Caribert, roi franc de Paris et de l'ouest de Gaule (mort en 567).jpg
Re Clodoveo I.
 
Differentemente , l’introduzione del rito nel Regno franco fu strettamente connessa alle vicende politiche del paese. Qui regnava dalla fine del V secolo, dopo la conversione al Cristianesimo del Re Clodoveo I (481-511), la dinastia Cattolica dei Merovingi.
 
I sovrani discendenti di Clodoveo, tuttavia, non conobbero mai, né praticarono, a differenza dei Re visigoti spagnoli, la cerimonia dell’Unzione sacra. Ben presto essi furono scalzati nell’esercizio effettivo del potere dai Maestri di Palazzo, loro primi ministri, tra cui si distinse la famiglia dei Carolingi. Dopo un primo sfortunato tentativo di prendere direttamente la Corona con Grimoaldo (+ 657?), i Carolingi attesero pazientemente il momento opportuno.
 
Nel 747 Pipino il Breve (742-768), figlio di Carlo Martello (737-741), assunse come il padre la carica di Maestro di Palazzo sotto il sovrano merovingio Childerico III (742-752). Il suo piano, però, era ambizioso: prendere ufficialmente il posto del sovrano merovingio. Pipino deteneva di fatto il potere. Possedeva quella che potrebbe dirsi la ‘legittimità d’esercizio’. Gli mancava - è vero - quella che  deriva dal ‘sangue’, ossia l’appartenenza alla legittima famiglia regnante. Pipino decise d’inviare un’ambasceria, composta da Fulrado, abate di Saint-Denis, e Burcardo, Vescovo di Würzburg, presso Papa Zaccaria (741-752).
 
“Fulrado e Burcado interrogano quindi il Papa ‘a proposito dei re che erano in Francia senza esercitare il potere e gli chiedono se sia cosa buona o cattiva’ […] Così Zaccaria rispose alla domanda: ‘Conviene chiamare Re colui che detiene il potere reale piuttosto che colui che tale potere non ha’ […] Venuto a conoscenza del felice esito della consultazione e forte dell’autorità pontificia, Pipino poté allora riunire i potenti a Soissons (novembre 751) e farsi eleggere Re dei Franchi. Il giovane Childerico III venne tonsurato e rimandato al monastero di Saint-Bertin, dove morì nel 755; suo figlio Teodorico venne rinchiuso e educato nel monastero di Fontenelle”.
 
In quel medesimo anno, Pipino si fece ungere , e quindi legittimare a tutti gli effetti, dai suoi vescovi, nella Cattedrale di Soissons, suggellando con tal cerimonia il passaggio di consegne all’interno del Regno. Quasi certamente a consacrare il primo sovrano carolingio fu l’anglosassone San Bonifacio, legato pontificio e Arcivescovo di Magonza, l’apostolo della Germania.
 

Pipino il Breve
Pipino III detto il Breve.
 
Pipino vedeva in quella cerimonia, infatti, la sanzione divina alla legittima presa di possesso della corona, come spesso ricorda nei suoi documenti:
 
 
“La Divina Provvidenza avendoci unto per il trono reale …
Con l’aiuto del Signore che ci ha posto sul trono ….
Il nostro innalzamento al trono essendo interamente compiuto con l’aiuto del Signore”.
 
 
Per il nuovo Re il rito dell’unzione rappresentava la prova evidente della legittimità della sua ascesa al Trono. Per questo il 28 luglio 754, volle essere unto una seconda volta da Papa Stefano III (752-757) che si trovava in Francia. In quell’occasione vennero anche consacrati i due figli del sovrano, Carlo e Carlomanno, che dovevano succedergli. Il Papa infine, per rafforzare l’alleanza tra la famiglia Reale e la Santa Sede (Trono e Altare) , conferì al Re e ai Principi ereditari il titolo di Patrizi dei Romani (Patricii Romanorum), titolo che comportava il dovere di difendere Roma e la Chiesa. La Clausula de onctione Pippini, un documento contemporaneo steso da un monaco di Saint-Denis, precisa il vero senso della cerimonia:
 
 
“Il suddetto signore fiorentissimo, Pipino, re devoto, in virtù dell’autorità e per or- dine del signor papa Zaccaria di santa memoria e per l’unzione del santo crisma ri- cevuta dalle mani dei beati vescovi delle Gallie e per l’elezione dei Franchi tutti, venne tre anni or sono elevato sul trono reale. In seguito, dalle mani dell’attuale pontefice Stefano, fu nuovamente unto e benedetto re e patrizio con i suddetti figli Carlo e Carlomanno nella chiesa dei suddetti santi Martiri Dionigi, Rustico e Eleuterio ove risiede il venerabile uomo e abate Fulrado arciprete […] Ed egli fece divieto a chiunque, sotto pena d’interdet- to e di scomunica, di mai osare scegliere un re nato da un sangue diverso da quello dei principi che la divina pietà si era degnata di esaltare, e su intercessione dei santi Apostoli confermare e consacrare per mano del beato pontefice, loro vicario”
 
 
Da allora il rito dell’Unzione (legittimazione) passò in eredità ai Re franchi, e dopo l’assunzione da parte di Carlo Magno dell’autorità imperiale anche ai suoi successori in Occidente. Forse già sotto Pipino, certamente con Carlomagno, iniziò ad impiegarsi nella titolatura del sovrano la celebre e pregnante espressione: Dei gratia, Per grazia di Dio. Il modello carolingio, inoltre, ebbe imitatori in Inghilterra, dove nel 787 durante il Concilio di Chelsea, alla presenza dei legati pontifici, fu consacrato con l’Olio il Principe Egberto, figlio e successore di Offa, Re anglosassone della Mercia. È il primo esempio della cerimonia nella monarchia inglese.
 
 
 
La sacralità della legittimazione nel Sacro Romano Impero (800-1806).
 

 
Con il grande sovrano franco, restauratore della potestà imperiale, si ha in Occidente pure la ripresa della cerimonia dell’Incoronazione, come si praticava ormai da secoli nel rituale orientale. La consegna della Corona imperiale, così tipica del cerimoniale in uso alla corte di Costantinopoli, fu ripresa a Roma il Natale dell’800 in occasione della Renovatio Imperii carolingia. La cerimonia fu certamente concordata tra il sovrano, all’apice della potenza, e il Pontefice Romano, Vicario di Cristo, San Leone III (795-816).
Carlo Magno.
Il nuovo papa era succeduto ad Adriano I (771-795), ma aveva ben presto suscitato il malanimo dell’entourage del defunto pontefice. Il 25 aprile 799, durante la processione delle Litanie maggiori, Leone fu assalito da gente armata, che tentò di accecarlo e tagliargli la lingua. Grazie ad un cortigiano riuscì, seppure malconcio, a fuggire. Soccorso dal missus franco Wirondo e dal Duca di Spoleto, Winigi, venne inviato a Paderborn, ove s’incontrò con Carlo. Il 29 novembre del medesimo anno Leone III rientrò a Roma. I suoi avversari presentarono delle accuse contro il prelato, il quale, per scagionarsi, decise di sottoporsi ad un giuramento. Carlo era giunto nel frattempo nella città eterna per dirimere la scottante questione.
Così il 23 dicembre dell’anno 800, antivigilia di Natale, nella Basilica di San Pietro, ove era riunita una grande assemblea del clero e della nobiltà romana, alla presenza del sovrano franco e del suo seguito, Leone giurò solennemente d’essere in- nocente delle accuse che gli rivolgevano i seguaci di Adriano I. Il giorno dopo, vigilia di Natale, i due grand’uomini passarono insieme l’intera giornata. Poi venne la solen- nità di Natale. Ecco il resoconto degli Annali reali:


 
 
Ipsa die sacratissima natalis Domini-
cum rex ad missam ante confessionem
beati Petri apostoli ab oratione surgeret,
Leo papa coronam capiti eius imposuit
et a cuncto Romanorum populo acclama-
tum est: Carolo, Augusto a Deo coronato
 magno et pacifico Imperatori Romanorum,
vita et victoria! Et post laudes ab apostolico
more antiquorum principum adoratus est
 atque ablato patricii nomine imperator et
augustus est appellatus.
 
(Traduzione):
 
Il santo giorno del Natale del Signore il
Re, durante messa, dopo che si levò dalla
preghiera davanti alla tomba del Beato
Apostolo Pietro, Papa Leone gli impose
sul capo la corona e fu acclamato da tutto
 il popolo romano: A Carlo, Augusto
 incoronato da Dio, grande e pacifico
Imperatore dei Romani, vita e vittoria.
E, dopo le lodi, il papa, secondo l’uso degli
antichi sovrani, gli si  prostrò davanti e, in
sostituzione del nome di Patrizio, fu
chiamato Imperatore ed Augusto.
 
La versione dell’avvenimento del Liber Pontificalis è invece alla seguente:
 
 Post haec, adveniente die natalis domini
nostri Jesu Christi, in jam dicta basilica
Beati Petri Apostoli, omnes iterum con-
gregati sunt. Et tunc venerabilis et almifi-
cus praesul manibus  suiis propriis pretio-
sissima corona coronavit eum. Tunc uni-
versi fideles Romani videntes tantam de-
fensionem et dilectionem quam erga sanc-
 tam Romanam ecclesiam et eius vicarium
 habuit, unanimiter altisona voce, Dei nutu
atque Beati clavigeri regni coelo-
rum, exclamaverunt: Karolo, piissimo, augusto,
 a Deo coronato, magno et pacifico imperatori,
vita et victoria! Ante sacram confessionem beati
Petri Apostoli, plures sanctos invocantes, ter dictum
 est et ab omnibus constitutus est imperator Romanorum.
 Illico sanctissimus antistes et pontifex unxit oleo sancto
 Karolum excellentissimum filium eius, regem in ipso die
 natalis domini nostri Jesu Christi. Et missa peracta, post
 celebrationem missarum, obtulit ipse serenissimus domnus
 imperator mensa argentea.
 
(Traduzione):
 
 Dopo questi fatti, giunto il giorno di Natale
 di N. S. Gesù Cristo, di nuovo tutti si riunirono
 nella detta basilica del B. Pietro Apostolo.
Allora il venerabile e nobile prelato lo incoronò
 di sua mano con un preziosissimo diadema.
Allora tutti i fedeli romani, vedendo quanta devozione
 e amore il sovrano mostrava verso santa romana Chiesa
e il suo vicario, all’unisono ed a alta voce, ispirati da Dio
e dal Beato clavigero del regno celeste, esclamarono: A Carlo,
piissimo, augusto, incoronato da Dio, grande e pacifico imperatore,
vita e vittoria! Davanti alla tomba del Beato Pietro apostolo invocando
 numerosi santi, per tre volte fu da tutti ripetuta quella esclamazione
e tutti lo proclamarono imperatore dei Romani.
Il santissimo sommo sacerdote e pontefice immediatamente
dopo unse re con l’olio santo, in quel medesimo giorno di natale,
il suo eccellentissimo figlio Carlo. Terminata la messa, dopo la
celebrazione dell’ufficio, il serenissimo Imperatore fece dono al
papa di una mensa d’argento.

Ci è giunto anche il testo delle Acclamazioni che si levarono al momento della solenne cerimonia:
 
 Dones te rogamus, audi nos,
Ut fructum terrae nobis dones (ter)
Ut domnum apostolicum Leonem
In sanctitate et religione conservare
Digneris, te rogamus, audi nos.
Ut ei vitam et sanitatem dones (ter)
Ut domnum Carolum regem
Conservare digneris (ter),
Ut ei vitam et sanitatem atque
Victoriam dones (ter),
Ut proles regales conservare Digneris,
te rogamus, Ut civitatem et sanitatem dones (ter),
Ut eis vitam et victoriam dones (ter),
Ut populo Christiano pacem
Et unitatem largiaris Filius Dei, te rogamus.
Audi nos, Agnus Dei, qui tollis peccata mundi,
miserere nobis. Kyrie, eleison. Exaudi, Christe, Caroli regi vita.
Exaudi, Deus, prolibus regalibus vita. Exaudi, Christe,
exercitui Francorum vita. Exaudi, Deus, peccata nobis indulge.
Exaudi, Criste, orationes populi tui. Kyrie, eleison.
Omnes Sancti, intercedite pro nobis.
Exaudi, Deus, R. P. Leoni papae vita.
 
(Traduzione):
 
Ti preghiamo, ascoltaci, di concederci
di ottenere il frutto della terra (tre volte);
che ti degni conservare il signor papa Leone
in santità e devozione; che Tu gli conceda vita e sanità (tre volte);
 che ti degni di conservare il signor Re Carlo (tre volte);
che Tu gli conceda vita, sanità e vittoria (tre volte);
che ti degni conservare, ti preghiamo, la prole regale,
che Tu gli conceda vita e sanità (tre volte);
che Tu gli conceda vita e vittoria (tre volte);
che Tu conceda al popolo Cristiano pace e unità,
Figlio di Dio, ti preghiamo, ascolta- ci. Agnello di Dio,
che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi, ecc. Signore, pietà.
 Cristo, concedi vita al Re Carlo; O Dio, concedi vita alla prole reale;
Cristo, concedi vita all’esercito dei Franchi; O Dio, esaudiscici, perdona
 i nostri peccati; Cristo, ascolta le preghiere del tuo popolo;
Signore, pietà;
Santi tutti, intercedete per noi;
O Dio, concedi vita al Rev. Padre papa
Leone.
 
La cerimonia, così suggestiva e gravida di conseguenze per la storia della regalità sacra , e della legittimità  , in Occidente, fu certamente concordata in precedenza tra il Re franco e il Sommo Pontefice. Essa è chiaramente esemplata sul modello imperiale vigente a Costantinopoli. V’è, quindi, un preciso disegno di riproporre in Occidente il rito dell’Incoronazione, che significava in modo eminente la potestà suprema dell’Imperatore Romano e Cristiano. L’idea, insomma, della translatio, ossia del trasferimento dell’Impero da Oriente all’Occidente, è indubbia, come ammettono esplicitamente gli Annales di Lorsch:
 
Et quia tunc cessabat a parte Graeco-
rum nomen imperatoris et femineum im-
perium apud se habebant, tunc visum est
et ipsi apostolico Leoni et universis sanc-
 tis patribus qui in ipso concilio aderant,
seu reliquo christiano populo, ut ipsum
Carolum regem Francorum imperatorem
nominare debuissent, qui ipsam Romam
tenebat, ubi Caesares sedere soliti erant
seu reliquas sedes quas ipse per Italiam
seu Galliam necnon et Germaniam tenebat …
 ideo iustum eis esse videbatur ut ipse cum
Dei adiutorio et universo christiano populo
 petente nomen haberet.
 
(Traduzione):
 
Poiché presso i Greci in quel momento il
nome di Imperatore era venuto meno e l’Impero
era tenuto da una donna, sembrò allora
 cosa opportuna sia al sommo pontefice Leone,
sia a tutti i prelati presenti al concilio, sia
 al resto del popolo cristiano, che Carlo,
Re dei Franchi, fosse nominato Imperatore.
Costui, infatti, aveva in suo potere la stessa Roma,
antica sede e capitale dei Cesari, e teneva le altre
sedi in Italia, in Gallia e in Germania … 
perciò sembrò loro cosa buona che con l’aiuto di Dio e,
vista la richiesta di tutto il popolo cristiano,
gli fosse attribuito tale titolo.
 
 
 
 Carlo Magno incoronato da Papa Leone III.
 
La presenza nel rito del solo atto della consegna della Corona, senza alcun accenno al rito dell’unzione, così tipicamente occidentale, mostra la precisa volontà da parte delle due supreme potestà della Cristianità d’inserirsi consapevolmente nella scia della tradizione imperiale romana, così come si era evoluta alla corte di Costantinopoli. Nel giorno solenne del Natale di Cristo, a Roma, capitale dell’Impero e sede della Cattedra di Pietro, nella basilica dedicata al Principe degli Apostoli, Carlo, durante la messa, inginocchiatosi dinanzi alla tomba del primo Papa, è incoronato da Leone III, che, tratta la corona, certamente simile al suo modello orientale, dall’Altare, la pose sul capo del più potente Principe del mondo, mentre i Romani e i Franchi acclamavano il Sovrano. Venne così sancita la Santa alleanza tra il Trono e l'Altare.
Il papa, infine, ancora alla maniera orientale, compiva il rito dell’adorazione, in segno di sudditanza, all’indirizzo dell’Imperatore [ab apostolico, more antiquorum principum, Carolus adoratus est], inginocchiandosi davanti al Principe. Leone III, da ultimo, ungeva e incoronava il figlio primogenito di Carlo, anch’egli di nome Carlo, indicato come suo successore.
 

 
File:Jean-Joseph Dassy (1796-1865) - Louis Ier dit le Pieux (778-840), empereur d'Occident.jpg
Ludovico I del Sacro Romano Impero.
Il fatto che Carlo, il Natale dell’800, non sia stato unto con l’Olio santo, ma solo incoronato alla maniera orientale, dice, nel linguaggio simbolico del rito, l’idea di rinnovare e Restaurare il Sacro Impero Romano nella sua persona. Era inevitabile, poi, che a tale gesto s’affiancasse nel cerimoniale anche quello occidentale dell’Unzione col sacro Crisma. Tale rito venne, infatti, a fondersi ed unirsi armoniosamente con la prassi della consegna della Corona. Così l’Unzione e la consegna della Corona divennero i due elementi essenziali ed indispensabili del cerimoniale d’intronizzazione e di legittimazione del nuovo Imperatore. Tali rimasero fino al cessare del rito, molti secoli dopo. Carlo era già stato unto come Re, ma non come Imperatore, perché – più volte lo si è detto – l’Imperatore Romano riceveva la Corona e non l’unzione con Olio Santo, estranea al cerimoniale orientale cui, sia Carlomagno, sia Leone III, s’ispirarono nel Natale dell’800. Era tuttavia logico che i due riti s’incontrassero già nella cerimonia d’intronizzazione di Ludovico il Pio (814-840), erede di Carlo. Questi era già stato consacrato e legittimato  Re d’Aquitania coll’Olio Santo, alla maniera franca, a Roma nel 781 da Papa Adriano I (771-795). Il sovrano, tuttavia, fu nuovamente unto nell’anno 816 a Reims dal Pontefice Stefano V. In quell’occasione egli ricevette la Corona Imperiale. Tutte le fonti rilevano che quella cerimonia riguardava l’intronizzazione del nuovo Imperatore; si trattava, vale a dire, della consacrazione imperiale. Nella sua Vita Hludovici, il cronista Thégan è assai esplicito:
 
 
Consecravit eum et unxit eum ad impe-
 ratorem et coronam auream quam secum
 adportaverat posuit super caput eius.
Et Irmingardam reginam appellavit Augu-
stam et posuit coronam auream super ca-
put eius.
 
(Traduzione):
 
 Il papa lo consacrò e lo unse imperatore e
pose sul suo capo la corona d’oro che aveva
portato con sé. Anche la Regina Ermengarda
chiamò Augusta e pose pure sul suo capo la corona d’oro.



Anche Ermoldo il Nero, nel suo poema In honorem Ludowici, accenna ai medesimi elementi:
 
 
 
 Unguine suffuso, hymnisque ex ordine dictis,  
 Caesareo capiti mox decus imposuit.
 
(Traduzione):
 
Dopo averlo unto coll’olio e celebrato il rito
 secondo il suo ordine, impose sul cesareo capo la corona.



File:Die deutschen Kaiser Arnulph.jpg
Arnolfo di Carinzia.
 
Ben presto s’andò formando un cerimoniale assai complesso, che seguì, in un certo senso, le vicende dei rapporti tra le due supreme autorità. Durante l’epoca carolingia si fissò la consuetudine che fosse il Papa a conferire a Roma la Corona imperiale al legittimo detentore. Costui, in omaggio alla sovra nazionalità della monarchia imperiale, deteneva già il titolo sovrano di altri regni. Così, dopo Carlomagno e Ludovico il Pio, furono unti e incoronati Lotario I a Roma il 5 aprile 823 da Papa Pasquale I, Ludovico II nel 850 da Leone IV, Carlo II il Calvo il 25 dicembre 875 da papa Giovanni VIII, Carlo III il Grosso il 12 dicembre 881, Guido da Spoleto il 21 febbraio 891 a Roma da papa Formoso, suo figlio Lamberto nell’892 sempre da Papa Formoso, ma a Ravenna, Arnolfo di Carinzia a Roma il 22 febbraio 896 dal medesimo Sommo Pontefice; Berengario I da Papa Giovanni X a Roma il 5 dicembre 915.
Questi sovrani seguivano un cerimoniale sorto nell’ambiente carolingio, dove, accanto all’Incoronazione da parte del Pontefice, gesto d’origine romana, s’aggiungeva il rito della consacrazione col sacro Crisma sul capo, sulle mani, sul polso, le spalle ed il braccio del novello Imperatore. Il sacro Crisma, il più pregiato tra gli olii liturgici ed in uso pure per le consacrazioni episcopali, effuso sul capo del Principe legittimo , come per i vescovi, rende bene la concezione del Rex-Sacerdos propria di tale tradizione.
 
La fine della casata discendente dal grande Carlo non comportò, né il termine del Sacro Romano Impero, né il venir meno della cerimonia d’Incoronazione e legittimazione . Dopo un  periodo di sede vacante seguita alla morte di Berengario I († 924), la Restaurazione compiuta da Ottone I (962-973), Re di Germania, significò anche la renovatio del rito d’intronizzazione dell’Imperatore Romano.

File:Die deutschen Kaiser Otto der Große.jpg
Ottone I del Sacro Romano Impero.
Ottone non apparteneva alla dinastia di Carlomagno, ormai sulla via del tramonto e confinata nel Regno franco occidentale, ma volle richiamarsi esplicitamente al modello del grande Imperatore. Succeduto al padre Enrico I (919-936), fu incoronato ed unto Re di Germania ad Aquisgrana, capitale di Carlomagno, l’8 agosto 936 dai prelati più importanti del suo Regno, gli Arcivescovi di Colonia, Treviri e Magonza. Divenuto in seguito Re dei Longobardi, ricevette la Corona Ferrea a Pavia il 23 settembre 951.
Ottone, così, operò il trasferimento del titolo imperiale dai Franchi occidentali (Regno di Francia) a quelli orientali (Regno di Germania). Egli, sovrano di due regni inquadrati nell’impero di Carlomagno (Germania ed Italia ) coronò la sua ascesa alla massima potenza della Cristianità col titolo imperiale il 2 febbraio 962 a Roma. Il rito, nel frattempo, era stato in parte modificato. Essendo d’esclusiva competenza del papato, questi apportò una serie di  cambiamenti, che ponevano l’accento sulla differenza sostanziale tra la consacrazione del sovrano e l’autorità episcopale, tra il potere temporale dei Re e la potestas sacerdotale dell’Ordine sacro. Il nuovo Imperatore, già all’epoca della dinastia sassone (862-1024), era unto, anziché col crisma, come in antico, col meno prezioso olio dei catecumeni, non più sul capo, ma su braccia e spalle solamente. La liturgia imperiale s’assimilò, così, alla cerimonia d’intronizzazione del nuovo pontefice, con le tre orazioni pronunciate dai vescovi-cardinali di Albano, Porto ed Ostia, e l’unzione conferita da quest’ultimo. La collazione delle insegne del potere, invece, con l’Incoronazione vera e propria, era riservata unicamente al Papa. Il Pontificale Romano, testo liturgico che ordinava i riti della Curia romana di spettanza del Papa, inoltre, vede far capolino una singolare cerimonia: il nuovo sovrano, dopo essere stato unto e incoronato in S. Pietro, partecipava alla messa papale (la Missa pro Imperatore) svolgendovi le funzioni del suddiacono. L’innovazione nei propositi del papato, uscito rafforzato dalla lotta per le investiture del secolo XI, rimarcava l’inferiorità ontologica della monarchia temporale rispetto al sacerdotium gerarchico. Il più potente Principe della Cristianità, il Sacro Imperatore, se paragonato ad un sacerdote della più sperduta contrada, il quale, però, in virtù dell’Ordine, esercita il potere sublime di compiere il sacrificio eucaristico, era al massimo un semplice suddiacono. Tuttavia,  questa singolare assimilazione dell’autorità temporale ad un ordine, seppur minore, del Sacerdozio, si rivelò un’arma a doppio taglio. E la teoria del Rex-sacerdos, che i carolingi avevano fatto propria, ereditandola da Costantinopoli, espulsa dalla porta, rientrò misteriosamente dalla finestra. Se il rito dell’unzione col Crisma sul capo del Sacro Imperatore era stato espunto dal Pontificale Romano, nei cerimoniali dei più antichi regni europei, Francia, Inghilterra e Germania, tuttavia, esso rimase in vigore fino alla cessazione del rito. La consuetudine in quei regni era troppo potente perché l’autorità pontificia riuscisse a metterla in discussione. Da allora, con il definitivo trasferimento del titolo imperiale dal Regno di Francia a quello di Germania, si fissò la tradizione che il sovrano tedesco, dopo aver ricevuto ad Aquisgrana l’unzione e la corona d’argento di Re di Germania da parte dell’Arcivescovo di Colonia, assistito da quelli di Magonza e Treviri, e a Pavia (o Milano) l’unzione e la Corona Ferrea di Re d’Italia (Regno Longobardorum che comprendeva il nord e parte del centro della Penisola), otteneva, infine, quella d’oro d’Imperatore Romano nella città eterna da parte del Sommo Pontefice.


Carlo V d'Asburgo
Carlo V del Sacro Romano Impero.

Tale prassi rimase in tutto il suo vigore fino al 1530, quando Carlo V d’Asburgo  fu incoronato da Papa Clemente VII a Bologna il 24 febbraio 1530. Dopo d’allora, fino alla cessazione del Sacro Romano Impero (1530-1806) non vi fu più alcun Re di Germania, Imperatore Eletto, come si diceva, a ricevere la Corona Imperiale a Roma da un papa per sottolinearne la legittimità.
Il rito dell’Incoronazione e Unzione del Sacro Romano Imperatore secondo il Pontificale Romano, che ebbe , come detto prima, ultima attuazione con l'incoronazione di Carlo V nel 1530, si articola in due momenti fondamentali:

1) Innanzi tutto, l’unzione del Sovrano, che è il rito più strettamente religioso della cerimonia e che innalza il principe su di un piano d’ordine superiore, indicando la natura sacra dell’autorità legittima di cui è rivestito. Con il conferimento dell’Olio santo, infatti, il Principe riceve un sacramentale assai potente, che se debitamente ricevuto, gli conferisce in maniera sovrabbondante la grazia necessaria alla sua nuova delicatissima condizione. L’unzione e consacrazione del Sovrano erano ritenute talmente importanti in quelle epoche di fede e di Verità, che il senso comune rifuggiva dal considerare vero (legittimo) Re, o vero Imperatore, chi ne fosse sprovvisto. Così il Principe prescelto dai grandi Elettori del Regno di Germania al soglio imperiale, prima della cerimonia poteva soltanto fregiarsi del titolo di Rex Romanorum, e solo in seguito all’unzione papale rivendicava il titolo di Sacro Romano Imperatore, e come tale esercitava legittimamente le funzioni di capo e preside supremo della Cristianità.

2) Il secondo momento della cerimonia prevedeva l’Incoronazione vera e propria, il conferimento della corona o diadema, quale insegna del supremo potere. Attorno a questi due momenti salienti, il rito dell’incoronazione venne col tempo sempre più ampliandosi ed arricchendosi. Di tale progressivo arricchimento n’è prova la cerimonia di benedizione e incoronazione imperiale, così come venne fissandosi nei secoli XI e XII. La sacertà del Principe eletto, che, fa d’uopo ricordarlo, si presentava al Pontefice già segnato almeno da una duplice unzione, quella come Re di Germania ad Aquisgrana (Corona d’argento) e quella come sovrano d’Italia a Pavia o Milano (Corona di ferro), era confermata dal conferimento di un vero ordine clericale. L’Imperatore, a differenza degli altri monarchi della Cristianità, svolgeva nella cerimonia le mansioni del suddiacono, indossando i paramenti liturgici che gli sono propri (stola, dalmatica, piviale) e servendo all’altare il Pontefice nella celebrazione della Missa pro Imperatore. Gli offriva, infatti, il Sacro Calice e l’ampolla e, alla maniera sacerdotale, si comunicava sotto le due specie.

La storia ha registrato quanto i Sacri Imperatori presero sul serio quelle prerogative:

“Carlo IV [1347-1378] corona in capo, spada in mano, leggeva in chiesa, il giorno di Natale, la settima lezione del mattino, particolarmente appropriata ad una bocca imperiale, perché inizia con queste parole, tratte dal Vangelo della Messa di mezzanotte (S. Luca, II, 1): In quel tempo fu pubblicato un editto di Cesare Augusto… Il 25 dicembre 1414 Sigismondo […] figlio di Carlo IV, si mostrò nel medesimo ruolo ai Padri del Concilio di Costanza.”





La maestosa comparsa dei sacri Imperatori nelle absidi delle Chiese, rivestiti dei paludamenti sovrani, nello sfarzo delle liturgie più care ai popoli della Cristianità, meglio di qualsiasi astratta formulazione teorica esprimeva in concreto la legittimità e sacralità del potere Regio e Imperiale.

Francesco II d'Asburgo-Lorena
Francesco II del Sacro Romano Impero.
Ultimo Sacro Romano Imperatore dal 1792 al 1806.
Divenuto in seguito Francesco I d'Austria
dal 1806 al 1835.
Come ormai ben sappiamo, Carlo V fu l’ultimo Sacro Imperatore ad essere unto (legittimato) ed incoronato  dal Papa (1530). Nella nuova cornice storica di un’Europa scossa dal progredire nel Regno di Germania dell’eresia luterana, che ruppe la tunica inconsutile della Respublica Christiana medioevale e introdusse la sovversione in Occidente, il rito dell’incoronazione romana andò in desuetudine. I Sacri Imperatori dei secoli XVI-XVIII furono, così, degli Imperatori ‘eletti’. Si trattava, infatti, del sovrano ‘eletto’, ossia prescelto dalla Dieta dei Principi Elettori del Regno di Germania, ai quali spettava per consuetudine l’officio di scegliere e designare il nuovo candidato alla massima carica temporale della Cristianità. Se il rito della Consacrazione imperiale a Roma non fu più compiuto, questi sovrani erano, tuttavia, spesso incoronati, secondo l’antico cerimoniale medievale, Re di Germania e Re dei Romani, o ad Aquisgrana, antica capitale di Carlomagno, o, tal volta, in Francoforte sul Meno, la città tedesca che in epoca moderna divenne la sede preferita della Dieta dell’Impero. Tutti gli Imperatori ‘Eletti’ di questi secoli furono principi Cattolici, ed appartennero, ad eccezione dell’Imperatore Carlo VII di Baviera (1742-1745), alla Casata d’Asburgo e, dopo l’estinzione di questa nel ramo maschile (1740), alla dinastia dei Duchi di Lorena (Asburgo-Lorena), loro antichi cugini germani, che ne raccolse l’eredità; fino alla nefasta decisione di sciogliere il millenario Impero Cristiano (1806) per far comodo alla Rivoluzione portata con la forza dagli eserciti di Napoleone e continuando a regnare su un Impero (Impero d'Austria) che, se pur grande e retto, non era che un flebile retaggio della gloria passata.




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Fonti:

 F. Cabrol – H. Leclercq, Dictionnaire d’Archéologie Chrétienne et Liturgie. Libraire Letouzey et ané, 1950.

 M. Bloch, I Re Taumaturghi .

 P. Riché, I Carolingi. Una famiglia che ha fatto l’Europa, Firenze, Sansoni, 1983.

 M. Andrieu, Le Pontifical Romain au Moyen Âge, Città del Vaticano, Studi e Testi, 1938, vol. II, pp. 288- 300 ; 251-254; 382-408 ; 427-435.



Scritto da:

Presidente e fondatore A.L.T.A. Amedeo Bellizzi.