giovedì 29 ottobre 2015

LA SALVEZZA STA NEL RITORNO ALLA PACE SOCIALE (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)

Busto di Socrate conservato
nei Musei Vaticani.
 
La Francia, che aveva preceduto e guidato le nazioni moderne nelle vie della civiltà, fu la prima ad

uscirne. Potrà ella rientrarvi? e come potrà farlo?

Si dimandava un giorno a Socrate, qual rimedio conveniva apportare ai mali che affliggevano i

Greci. Egli rispose: "I Greci devono fare quello che facevano quando erano felici e prosperi". Leone

XIII similmente disse: "Con ragione si prescrive a chi vuol rigenerare una società qualunque in

decadenza, di ricondurla alla sue origini".(1) Nelle origini e nei tempi di prosperità e di benessere,

le diverse classi della società aveano fondato i loro rapporti sui sentimenti che regnavano intorno al

focolare domestico e che, raggiando di luogo in luogo, aveano finito per costituire la nazione.

Man mano che questi sentimenti si affievolirono, i legami naturali si rilassarono, e poi si spezzarono

gli uni dopo gli altri. Ed oggi, perché la società possa ancora sussistere, fa mestieri sostituirli con

legami artificiali, con tutto un insieme di mezzi immaginati ed istituiti a misura che si producevano

minaccie di rovine nella società, per mantenere in un certo ordine le diverse membra sociali, farle
corrispondere fra loro e dare allo Stato una vita fittizia.
Luigi XIV di Francia
Si è in tal modo che ebbe origine il regime amministrativo inaugurato da Luigi XIV, costituito dalla

Rivoluzione, affermato e sanzionato da Napoleone I.

"Questa nazione - diceva l'Imperatore - è tutta dispersa e senza coerenza; bisogna rifare qualche

cosa, bisogna gettar sul suolo qualche base di granito". Le basi ch'egli gettò furono le istituzioni

amministrative. Niente havvi in esse di granitico. Le istituzioni solide e durature sono quelle che

uniscono uomini che hanno i medesimi principii, i medesimi sentimenti, i medesimi interessi.

Il regime amministrativo non ha nessuna radice nelle anime; esso è interamente costituito di

regolamenti rigidi, applicati da uomini che hanno l'inflessibilità della macchina della quale essi non

sono che gl'ingranaggi. La macchina amministrativa tutto piega, tutto trita, anche le coscienze; ma

non può mancare che succeda quello che accade ad ogni macchina, che cioè un giorno o l'altro si

rompa e vada in frantumi. Già si fanno intendere da ogni parte ed in ogni cosa sinistre esplosioni

precorritrici della catastrofe finale.

Avremo noi la sorte delle società antiche? Spariremo in questo disastro? O potremo noi

ricostituirci? Il cristianesimo ci offre degli espedienti che il paganesimo non conosceva.

Esso ha saputo raccogliere gli avanzi delle civiltà antiche, ed animandole del suo spirito, da quelle

rovine ha fatto sorgere la civiltà moderna. Potrà restaurarla e renderci la vita? Certamente lo può,

purché noi lo vogliamo.

San Dionigi l'Areopagita

Esso è la pura sorgente della carità, cioè del più potente principio generatore delle scambievoli

affezioni, della devozione, del rispetto, della fedeltà, di tutto ciò che assicura la stabilità, di tutto ciò

che i nostri avi aveano racchiuso in questa parola "La pace".

San Dionigi l'Areopagita, le cui idee ebbero nel medio evo una sì grande influenza, nel suo libro De

nominibus divinis l'ha celebrata in questi termini:


"Ed ora onoriamo colla lode delle sue opere armoniche la pace divina, che presiede ad ogni

alleanza. Poiché, essa è che unisce gli esseri, che li concilia, e produce fra di loro una perfetta

concordia; perciò tutti la desiderano, ed essa riconduce all'unità la loro moltitudine così svariata;

combinando le loro forze naturalmente opposte, essa pone l'universo in uno stato di regolarità

tranquilla.

"I primi fra gli spiriti conciliatori, in grazia della loro partecipazione alla divina pace dapprima sono

uniti con se stessi, poi gli uni cogli altri, infine col Sovrano autore della pace universale; e che, per

un effetto ulteriore, essi uniscono le nature subalterne con se medesime, e fra di loro, e colla causa

unica dell'armonia generale ... Da questa causa sublime ed universale, la pace discende su tutte le

creature, è loro presente, le penetra custodendone la semplicità e la purità della sua forza; essa le

ordina, ravvicina gli estremi coll'aiuto degli intermedi e così le unisce come con legami di

scambievole concordia".(2)

Questi pensieri sì elevati avevano penetrato le anime. Citiamo come esempio "la carità" onde il

conte di Fiandra, Baldovino III, dotò nel 1114 la città di Valenciennes.

"In nome della Santa Trinità, pace a Dio, pace ai buoni ed ai cattivi. Parliamo della pace, miei

carissimi fratelli, per vostro profitto. La pace deve essere ricercata, deve essere custodita, poiché

nessuna cosa è più dolce e più gloriosa. La pace arricchisce i poveri e mette le ricchezze in onore, la

pace toglie ogni timore, reca sanità e confidenza. Chi potrebbe enumerare tutti i suoi benefici? Le

divine Scritture dicono a sua lode: "Oh Dio! quanto son belli i piedi di colui che annunzia la pace e

la buona novella!". E poiché la pace è tanto degna di lode ed abbonda di tanto bene, amatela, miei

cari fratelli, con tutto il vostro cuore, tenetela nel vostro pensiero, custoditela con tutte le forze,

affinché per essa, possiate vivere in onore e pervenire alla pace eterna della quale nostro Signore ha

detto: "Io vi do la mia pace"".

Nella stess'epoca, la confraternita dei mercanti di panno della stessa città pubblicava le sue

ordinanze, delle quali ecco il preambolo: "Fratelli, noi siamo immagine di Dio, poiché nella Genesi


sta scritto: "Facciamo l'uomo ad immagine e somiglianza nostra". In questo pensiero noi ci uniamo,

e, coll'aiuto di Dio potremo compiere l'opera nostra, se fra noi sarà diffuso l'amor fraterno; poiché

dall'amore verso il suo prossimo si sale a quello di Dio. Dunque fratelli, nessuna discordia esista fra

noi, secondo la parola del Vangelo: "Io vi do un nuovo comandamento di amarvi scambievolmente,

com'io ho amato voi, e conoscerò che voi siete miei discepoli se vi amerete gli uni e gli altri"".

Riproducendo questi documenti che furono atti, ed atti che produssero per secoli l'effetto pel quale

erano stati posti, vogliamo noi dire che bisogna ritornare alla feudalità od agli stretti limiti delle

corporazioni d'allora? No certamente. Non si può tornare alle forme sociali del passato, è cosa

impossibile, e non è il caso di punto dolersene. Ma quello che fa mestieri e che basta, si è di

restaurare nei cuori i nobili sentimenti che inspirarono le istituzioni del passato, e nella società i

rapporti che questi sentimenti produssero. Da questi sentimenti e da questi rapporti sorgeranno

nuove istituzioni conformi allo stato presente della società.

Papa Leone XIII


Leone XIII non ha cessato di esortare a questo. Commentando la parola di san Paolo ai Colossesi:

"Ma sopratutto abbiate la carità che è il vincolo della perfezione", - egli dice: "Sì, veramente, la

carità è il vincolo della perfezione ... Nessuno ignora qual fu la forza di questo precetto della carità,

e con qual profondità, fino dal principio, si è radicata nel cuore dei cristiani e con qual abbondanza

produsse frutti di concordia, di mutua benevolenza, di pietà, di pazienza, di coraggio! Perché non ci

applicheremo noi ad imitar gli esempi dei padri nostri? Il tempo stesso in cui viviamo non deve

eccitarci mediocremente alla carità".(3)

"Noi innanzi tutto vi raccomandiamo la carità sotto le sue svariate forme, la carità che dona, la

carità che unisce, la carità che riconduce, la carità che illumina, la carità che fa il bene con le parole,

cogli scritti, colle riunioni, mediante le società, mediante i mutui soccorsi. Se questa sovrana virtù si

praticasse secondo le norme dell'evangelio, la società andrebbe assai meglio".(4)

"Per scongiurare il pericolo che minaccia la società, né le leggi umane, né la repressione dei giudici,

né le armi dei soldati sarebbero sufficienti; quello che massimamente importa ed è indispensabile, si

è che si lasci alla Chiesa la libertà di far rivivere nelle anime i precetti divini, di estendere la sua

salutare influenza su tutte le classi della società".(5)

"E siccome nel passato, contro le orde dei barbari, non ha potuto prevalere nessuna forza materiale,

mentre al contrario la virtù della religione cristiana, insinuandosi negli animi fece sparire la loro

fierezza, raddolcì i loro costumi, li rese docili alla voce della verità e della fede evangelica, così

contro i furori delle moltitudini sfrenate non vi potrebbe essere riparo sicuro senza la virtù salutare

della religione, la quale, diffondendo nelle intelligenze il lume della verità, inspirando nei cuori i

principii della morale di Gesù Cristo, farà intender loro la voce della coscienza e del dovere, e porrà

un freno alle cupidigie prima ancora che si pongano in atto, e smorzerà l'impeto delle malvagie

passioni".(6)

Scongiurare il pericolo della situazione presente, non è che il primo servigio che può renderci il

ritorno alla carità cristiana. Spetta pure ad essa di ristabilire la società nella sua vera costituzione.

"Siccome nel corpo umano, i membri, malgrado la loro diversità, meravigliosamente si adattano

l'uno all'altro in guisa da formare un tutto esattamente proporzionato e si potrebbe dire simmetrico,

così, nella società, le due classi sono destinate dalla natura ad unirsi armonicamente ed a tenersi

scambievolmente in un perfetto equilibrio. Esse hanno un imperioso bisogno l'una dell'altra: non

può esistervi capitale senza lavoro, né lavoro senza capitale. La concordia partorisce l'ordine e la

bellezza; al contrario, da un perpetuo conflitto, non può risultare che la confusione e la lotta

selvaggia".(7)

"Far cessare l'antagonismo fra ricchi e poveri non è il solo fine a cui tende la Chiesa, istruita e

diretta da Gesù Cristo, essa porta più in alto le sue mire, propone un codice di precetti più completo,

perché ambisce di ripristinare l'unione delle due classi fino al punto di unirle scambievolmente coi

nodi di una vera amicizia".(8)

Sarà troppo poco dire della semplice amicizia; se si obbedisce ai precetti del cristianesimo, è

nell'amore fraterno che si opera l'unione di tutti, ricchi e poveri".(9)

Reintegrata nei cuori, questa carità si stabilirà quasi da se stessa nelle istituzioni, per poco che lo si

voglia.

"Quello che noi chiediamo si è che si cementi nuovamente l'edificio sociale ritornando alle dottrine

e allo spirito del cristianesimo, facendo rivivere, almeno quanto alla sostanza, nella loro virtù


benefica e molteplice, e nella forma che possono permetterlo le nuove condizioni dei tempi, quelle

corporazioni d'arti e mestieri che un tempo, informate dal pensiero cristiano, e inspirantisi alle

materne sollecitudini della Chiesa, provvedevano ai bisogni materiali e religiosi degli operai,

facilitavano loro il lavoro, si prendevano cura dei loro risparmi e delle loro economie, difendevano i

loro diritti, e appoggiavano, nei debiti modi, le loro rivendicazioni".(10)

Le corporazioni ristabilite, non nella loro costituzione antica, ma nel loro spirito, in quello spirito di

cui parla Leone XIII, contribuirebbero assai al ripristinamento della "pace".

Un illustre naturalista ha creduto di poter dare alle sue diligenti osservazioni questa conclusione:

"La lotta per l'esistenza è la legge del regno animale. Lo studio della storia permette di assodare

colla massima certezza che una delle principali leggi dell'umanità è "l'unione per la vita"".

Nostro Signore G. C. ne prescrisse la pratica in questi termini: "Fate agli altri quello che volete sia

fatto a voi stessi". "Questa formola - dice il padre Gratry - più breve è più semplice di quella

dell'attrazione, forma, come la legge degli astri, un principio completo, il principio d'una scienza più

ricca, più bella, più importante di quella del cielo stellato. Ecco la legge primitiva, la legge morale,

unica causa di tutti gli umani progressi".(11) Difatti la prosperità si stabilisce e si diffonde

dovunque questa legge è osservata, così nelle nazioni come nelle tribù, così nelle corporazioni come

nella famiglia. Al contrario, la discordia, la guerra, la rovina, si stabiliscono dappertutto, dove

questa legge cessa di essere rispettata.

L'accordo per la vita ha la sua prima sede nella famiglia. Essa s'impone da prima colle più evidenti

ragioni e coi più forti sentimenti. "L'amore suscitato dal vincolo di sangue, - disse M. Jacques - la

comunanza di vita e di pericolo, il bisogno di protezione in comune sotto l'egida d'un capo, danno

origine alla solidarietà domestica". Le tribù non si sono costituite se non là dove i medesimi

sentimenti hanno prodotto il medesimo effetto, se non là dove il bisogno di concordarsi per la vita,

irradiando al di là del focolare domestico, attrasse le forze vicine, e le fece concorrere ad un

maggiore sviluppo di azione e di vita. Le nazioni stesse non si sono formate in altra guisa.

Se tale è la legge della formazione della società, se l'accordo per la vita è benanco la legge

dell'umanità, e se questa legge ha il suo principio nella famiglia, che cosa bisogna fare, quando una

società comincia a dissolversi, per arrestare questa dissoluzione? Risalire al principio; far rivivere la

legge, e per riaccendere questa fiamma, riprenderne la scintilla nel suo focolare, il focolare di

famiglia.

I Francesi erano felici e prosperi, quando la famiglia era presso di essi solidamente costituita,

quando lo spirito di famiglia animava l'intera società, il governo del paese, della provincia, della

cittadinanza, e presiedeva ai rapporti delle classi fra loro.

Oggi da noi la famiglia non esiste più che allo stato elementare. Ricostituirla è opera fondamentale,

senza della quale ogni tentativo di rinnovazione rimarrà sterile. La società non sarà mai rigenerata

se prima non lo è la famiglia. "Nessuno ignora - così Leone XIII - che la prosperità privata e

pubblica dipende principalmente dalla costituzione della famiglia". (12)
 
Note:

(1) Enciclica Rerum novarum.


(2) Cap. XI, traduzione di Monsignor Darboy.

(3) Enciclica Sapientiae christianae.


(4) Discorso al patriziato romano, maggio 1893.

(5) Discorso agli operai francesi, 20 ottobre 1889.

(6) Lettera agli Italiani.

(7) Enciclica Rerum novarum. Più sopra al capitolo ... consideravamo il lavoro-prodotto, o l'oggetto


lavorato. Ma prima d'essere un oggetto lavorato, il lavoro è stato un atto, una spesa di forze umane,

è stato travail-labeur in cui l'uomo ha messo il suo tempo, esercitato la sua intelligenza e la sua


capacità professionale. Nell'officina, come nella domesticità, la materia del contratto che interviene

tra il padrone che dà il lavora e l'operaio, non è soltanto l'opera da produrre, ma la persona chiamata

a produrla. Dal che ne segue che il contratto lega queste due persone l'una all'altra. Ne segue ancora,

come disse Roquefeuil, che il vincolo formato è un vincolo morale che mette l'uno in una posizione

superiore e l'altro in una posizione inferiore. Ora per ciò stesso che havvi vincolo di dipendenza o di

superiorità, havvi obbligazione di patronato, di paternità da una parte e di figliazione dall'altra, ed

ecco perché le questioni che riguardano il lavoro interessano tutt'insieme la religione, la morale e la

politica.

(8) Enciclica Rerum novarum.


(9) Ibidem.

(10) Agli operai francesi, 20 ottobre 1889.

(11) La legge morale e la legge della Storia, t. I, p. 11.


(12) Lettera sulla famiglia cristiana, 14 luglio 1892.