domenica 10 giugno 2012

ATTENTATO CONTRO IL RE FERDINANDO II . di: Paolo Mencacci da: "Storia della Rivoluzione Italiana"




Riusciti vani gli attentati diplomatici contro la fermezza del Re Ferdinando II, faceva d’uopo ai settarii ricorrere a mezzi più speditivi, risoluti come erano di liberarsi ad ogni costo della molesta presenza di quel grande Monarca; si ricorse perciò al ferro dell’assassino. L’8 Dicembre 1856, festa dell’Immacolata Concezione, Ferdinando II Re di Napoli aveva assistito alla santa Messa insieme colla Famiglia Reale, con tutti gli alti funzionari, e 25000 uomini di ogni arma. Dopo la Messa, le milizie presenti vennero passate in rivista. Re Ferdinando presiedeva allo sfilare delle truppe, quando un giovine soldato, di nome Agesilao Milano, uno degli insorti di Calabria nel 1848, amnistiato nel 1852 ed entrato nell’esercito con carte false, uscì dalle file e lanciossi sul Re avventandogli un colpo di baionetta. Il colpo fu ammortito dalla fonda delle pistole sospese alla sella del cavallo, e il Re n’ebbe lievissimo danno. Un Colonnello degli ussari, Conte Francesco de la Tour en Voivre, precipitossi sull’assassino e lo atterrò. Questo venne arrestato, e la sfilata proseguì. La sera, grandi feste in Napoli, e il popolo tripudiò perché il suo Sovrano era scampato da tanto pericolo. Agesilao Milano venne processato, condannato il 12 Dicembre, e giustiziato il mattino del giorno seguente. E qui è da notare una circostanza rilevantissima, che ci venne assicurata da persona autorevole e del tutto degna di fede, ed è la seguente. Agesilao Milano in faccia alla inevitabile sentenza di morte che era per colpirlo, caduto di animo, si mostrò pronto a tutto rivelare intorno agli istigatori e ai complici del suo delitto. Nomi e persone importanti erano per essere deposte negli atti processuali, od erano per sedere sul banco dei delinquenti. Traditori dei propri Sovrani ve ne ha sempre dovizia in questi tempi tristissimi di pervertimento e di empietà! Ferdinando II ne aveva anch’esso intorno a sé: e si fu palese al momento della invasione delle Due Sicilie, pochi anni dopo. Essi adunque accortisi del pericolo che sovrastava a potenti felloni e a loro stessi, come agl’interessi più vitali della Setta, precipitarono lo svolgimento del processo, e, fatto un fascio di deposizioni e di documenti, mostrando ipocritamente zelo per la sicurezza dell’augusta persona di Re Ferdinando, adoperarono in guisa che lo sciagurato regicida fosse prestamente condannato a morte, e la sentenza più prestamente eseguita. Gravi considerazioni faceva naturalmente sorgere l’attentato dell’8 Dicembre, ma noi ne registreremo una sola. — "L’assassinio contro il Re di Napoli, scriveva l’Armonia il 22 dello stesso Dicembre 1856, è la più solenne e la più incontestabile condanna di tutta quell’orda rivoluzionaria, che da parecchi anni spira fuoco e fiamme contro quel Monarca. Esso mette il suggello alla infamia di cui si cuoprirono quei plenipotenziari del Congresso di Parigi, i quali si avvilirono al segno di farsi eco degli schiamazzi della piazza e del trivio. Quell’attentato dà una mentita a tutte le calunnie della stampa inglese, francese e piemontese, e alle asserzioni, che tutto il popolo del Regno delle Due Sicilie odia e detesta in modo orrendo la tirannia del suo Sovrano. Come? un popolo bollente come quello del regno; un popolo che sa di essere sostenuto da tutta la stampa, che si arroga il monopolio della pubblica opinione; un popolo, che ha dalla sua le due maggiori Potenze del mondo; un popolo, che da tutti questi mezzi incendiari è eccitato alla rivolta contro il suo Sovrano, non solo non si ribbella contro di lui, ma è preso da indignazione contro un branco di sconsigliati che alzano l’insegna della rivolta, e, nonché aiutarli nella loro sollevazione, piglia le parti del suo Sovrano; e questo popolo è oppresso dal più duro dei tiranni da non trovare riscontro che nei Neroni e nei Caligola? e coloro che spacciano queste fole trovano ancora chi loro presta fede? e fra questi credenzoni vi hanno uomini di Stato, Diplomatici, Ministri, Sovrani, Imperatori? Philosophorum credula nati, disse Seneca: noi potremmo dire dei politici ciò che quegli disse a’ filosofi: politici, razza di credenzoni! e diciamo i politici da caffè e da bettola, perché i politici da gabinetto s’infingono di credere per darla a bere".